Prudential Valuation dei derivati (AVA)
di Michele Bonollo e Daniele Marazzina

Mar 18 2014
Prudential Valuation dei derivati (AVA) <small><small><I>di Michele Bonollo e Daniele Marazzina</I></small></small>

L’EBA ha pubblicato il Consultation Paper EBA/CP/2013/28 per proporre un’unica metodologia di calcolo dell’Additional Valuation Adjustment (AVA) riguardo alla valutazione prudenziale di tutte le posizioni misurate al fair value, come richiesto da Basilea 3. Nonostante la scadenza per applicare questa valutazione sia vicina (la normativa è in vigore dal 1 Gennaio 2014 e prevede come data di prima applicazione la fine del primo quadrimestre del 2014), una documentazione definitiva per il calcolo dell’AVA non è ancora disponibile. Il nostro obiettivo è evidenziare le modalità di calcolo e le criticità annesse basandoci sul materiale ad oggi disponibile. In particolare l’EBA propone di calcolare l’AVA attraverso un Simplified Approach, a prima vista di semplice attuazione, ma non privo di punti oscuri, oppure un Core Approach, molto più complesso da calcolare, ma meno “punitivo” in termini di capital requirements. Quest’ultimo approccio sarebbe comunque applicabile a non più di nove banche italiane.

1.     La Situazione

L’European Banking Authority (EBA) ha pubblicato in data 10 luglio 2013 il Consultation Paper EBA/CP/2013/28 contenente un draft Regulatory Technical Standards (RTS) dal titolo “On Prudential Valuation under Article 105(14) of Regulation (EU) 575/2013”.

Lo scopo di tale pubblicazione dell’EBA è quello di determinare un valore prudenziale che possa raggiungere un appropriato grado di certezza considerando allo stesso tempo come le posizioni del trading book contribuiscono in modo rilevante al risultato (Utile/Perdita) del Conto Economico. Ricordiamo che una parte del risultato del portafoglio finanziario è di tipo Realized, cioè legato a strumenti finanziari acquistati e venduti, quindi con risultato certo derivante dal differenziale di prezzo. Ma una parte spesso rilevante del risultato di bilancio è determinato dalle posizioni Unrealized, in cui cioè nel conto economico affluisce la differenza tra prezzo di acquisto e valutazione. Da questo dato di fatto consegue l’esigenza di un maggior presidio e prudenza negli standard internazionali di valutazione. Per effettuare quindi una prudent valuation delle posizioni misurate al fair value, e perché questa sia calcolata in maniera uniforme dalle diverse istituzioni finanziarie, l’EBA prevede due metodologie di calcolo dell’Additional Valuation Adjustment (AVA). La necessità di introdurre tale regolamentazione nasce dalla Capital Requirements Regulation (CRR) 575/2013, detta “Basilea 3”, in vigore dal 1 Gennaio 2014, nella quale viene definito l’obbligo per le istituzioni finanziarie di effettuare la prudential valuation da detrarre al Common Equity Tier 1 capital. Si noti che l’Articolo 34 di “Basilea 3” richiede una prudential valuation applicata a tutte le posizioni misurate al fair value. Per questo il calcolo dell’AVA si deve applicare a tutte le posizioni, siano esse appartenenti al trading book o al banking book.

La valutazione al fair value è legata all’IFRS 13 “Fair Value Measurement”, in vigore dal 1 gennaio 2013. Tale regolamentazione definisce il fair value come “il prezzo che dovrebbe essere ricevuto per vendere un’attività o che dovrebbe essere corrisposto per estinguere una passività in una transazione normale tra partecipanti al mercato alla data della valutazione”. Il market price di un asset finanziario liquido in un mercato attivo è certamente la quotazione più affidabile per il suo fair value. Molti sono però i casi in cui le informazioni sulle transazioni e valori di scambio non sono disponibili: in tutti questi casi è necessario ricorrere a tecniche di valutazione descritte nella documentazione IFRS. “Basilea 3” richiede ora di aggiungere alla stima del fair value anche la stima prudenziale determinata dall’AVA.

2.     Scadenze

Il Consultation Paper EBA/CP/2013/28 è rimasto in consultazione fino all’8 ottobre 2013, in concomitanza con uno studio di impatto (Quantitative Impact Study – QIS) terminato il 15 novembre dello stesso anno. Le prossime scadenze dovrebbero quindi vedere la pubblicazione di una versione finale della RTS (Regulatory Technical Standards) per il primo quadrimestre del 2014 (*), e un’approvazione finale da parte della UE nel terzo quadrimestre dello stesso anno, salvo eventuali rinvii.

3.     Il Calcolo dell’AVA

L’EBA prevede due modalità di calcolo: una semplificata (Simplified Approach) e una evoluta (Core Approach). L’approccio semplificato si applica solo alle istituzioni finanziarie avente la somma dei valori assoluti di attività e passività, valutate al fair value, inferiore a €15bn. Qualora un’istituzione finanziaria smetta di soddisfare tale requisito per due quadrimestri consecutivi, dovrà notificarlo immediatamente all’EBA e organizzare un piano per il passaggio al Core Approach. Si noti che, considerando i dati di bilancio al 31 Dicembre 2012, solo nove banche italiane rientrerebbero fra quelle che devono ricorrere al Core Approach (Tabella 1).

Tabella1

Il Simplified Approach prevede di calcolare l’AVA come somma del 25% del profitto netto non realizzato sulle posizioni al fair value, e lo 0.1% della somma delle attività e passività tenute al fair value.

Il Core Approach invece prevede il calcolo dei singoli AVA richiesti dalla normativa Article 105(10) e (11) della regolamentazione EU 575/2013, e stabilisce regole per la loro aggregazione. In particolare, nove diversi AVA vengono considerati, e il Consultation Paper EBA/CP/2013/28 spiega come calcolarli:

  1. Incertezza sulle quotazioni di mercato (articolo 8)
  2. Costi di chiusura (articolo 9)
  3. Differenziali creditizi non realizzati (articolo 10)
  4. Rischi di modello (articolo 11)
  5. Posizioni concentrate (articolo 12)
  6. Costi di investimento e costi di finanziamento (articolo 13)
  7. Costi amministrativi futuri (articolo 14)
  8. Chiusure anticipate (articolo 15)
  9. Rischi operativi (articolo 16).

Nel caso in cui non sia possibile calcolare gli AVA come descritto, ad esempio a causa della mancanza dei dati necessari, la regolamentazione permette di valutarli come somma

(a)    del 100% del profilo netto non realizzato sulle posizioni al fair value ;

(b)   del 10% del valore nominale, per i derivati, oppure del 25% del valore di mercato ridotto dell’ammontare calcolato in (a) .

Per quanto riguarda il calcolo dell’AVA su “incertezza sulle quotazioni di mercato” (1) esso è in parte legato alle gerarchie del fair value definite nell’IFRS 13. Tale regolamentazione presenta tre livelli gerarchici: il livello 1 è legato agli strumenti finanziari liquidi in un mercato attivo, in questo caso il fair value è il market price; il livello 2 contiene quegli strumenti il cui prezzo è osservabile, ma che non appartengono al livello 1 (e.g., strumenti finanziari quotati in mercati non particolarmente attivi); infine il livello 3 contiene tutti gli asset o i debiti i cui prezzi non sono osservabili. Anche se non ufficialmente stabilito, ci sembra ragionevole ritenere che questo AVA debba essere zero per gli strumenti di livello 1, mentre debba essere calcolato per gli altri strumenti, per questi strumenti il calcolo dovrebbe essere effettuato con la stessa modalità del Simplified Approach, come dettagliato nell’Articolo 8 della documentazione EBA/CP/2013/28.

Riteniamo sia anche importante soffermarci sugli AVA relativi ai “rischi di modello” (4) e ai “rischi operativi” (9). Mentre nel primo caso la regolamentazione si riferisce alla valutazione del rischio causato della potenziale esistenza di una serie di modelli diversi utilizzati o dalla calibrazione dei modelli sui dati di mercato, nel secondo caso ci si riferisce alle potenziali perdite che possono essere sostenute a causa del rischio operativo relativi ai processi valutativi, cioè al rischio di perdite dovute ad errori, infrazioni, interruzioni di attività e danni causati da processi interni o da eventi esterni. Appare evidente come i due temi siano fortemente correlati e di difficile separazione. Si prenda ad esempio il caso della valutazione di un derivato: i rischi operativi hanno a che fare con la complessità del payoff, e quindi con i possibili errori che riguardano sia il modello valutativo (inclusione di tutti i fattori di rischio, metodi di calibrazione e loro frequenza), sia la sua implementazione fisica (il codice software di valutazione e analisi del rischio), sia i processi automatici (provider) e manuali (dipartimenti di front e middle office) di  maintenance del deal – si pensi a eventi di fixing e corporate action sui prodotti path dependent. Infine la necessità di valutare tale derivato spesso spinge le istituzioni finanziarie a considerare più di un modello di valutazione. Pertanto il rischio operativo e di modello hanno forti elementi di contiguità. Solitamente questo succede per prodotti complessi che non appartengono al level 1 delle gerarchie del fair value. Si deve quindi tenere conto in modo particolare del rischio dell’incertezza sulle quotazioni di mercato, ad esempio nella calibrazione dei modelli. In sintesi, il perimetro che divide le nove categorie suggerite da “Basilea 3” e riprese dalla regolamentazione sugli AVA non è marcatamente delineato, e questo può generare fenomeni di double counting e/o errori, con difficile quantificazione oggettiva dei componenti dell’AVA.

4.     Criticità

Il calcolo dell’AVA pone diverse criticità non del tutto risolti da un punto di vista pratico.

4.1 Ragionevolezza dell’impianto metodologico: Anche l’apparentemente ‘‘basico’’ Simplified Approach (che riguarderà la grande parte delle banche italiane) ha alcuni punti non del tutto ovvi. Da un lato la previsione di una percentuale sui profitti unrealized (25%)  e una percentuale sulla somma “lorda” dei fair value (0.1%) correttamente consentono di legare la rettifica di valore AVA rispettivamente all’ammontare dei profitti e ai volumi di operatività, di cui il la somma lorda dei fair value (detta anche gross mark to market) rappresenta una proxy. Dall’altro, la mancata applicazione dell’AVA in caso di profit&loss negativo non sembra avere un razionale: ci potrebbero essere perdite unrealized anche maggiori di quelle già determinate, anzi questo è forse un caso che merita maggiore attenzione rispetto alla sovrastima dei profitti. Inoltre, poiché banche con valori di fair value simili possono contenere esposizioni (delta equivalent o vega equivalent) anche tra loro molto diversi, la percentuale sul fair value potrebbe essere un criterio troppo rozzo a causa diversa volatilità degli strumenti pur con medesimo fair value.

Per quanto riguarda i capital requirements, il Simplified Approach, seppure più immediato del Core Approach, sembra essere eccessivamente punitivo, e potrebbe portare ad un eccessivo incremento dei requisiti di capitale. Lo stesso vale per la regola del Core Approach da applicare qualora non si riuscisse a utilizzare le metodologie proposte in EBA/CP/2013/28, Articoli 8-16: considerare il 10% del valore nominale della posizione in derivati sembra essere una richiesta eccessivamente forte.

Riteniamo inoltre che la disciplina AVA avrebbe dovuto essere maggiormente raccordata a principi contabili quali l’IFRS 13 sul fair value measurement. Soprattutto, per valuation input di tipo matriciale o illiquido, mancano i riferimenti agli strumenti al fair value di livello 3, quelli cioè per cui, mancando un mercato di quotazione o liquidità degli underlying, alle banche viene chiesto nel financial report maggiore granularità di disclosure.  Per dare un ordine di grandezza, osserviamo che banche quali BNP Paribas e Deutsche Bank hanno circa 40 bn € di fair value (Bilancio 2012) di derivati in questa classe, mentre in Italia, sempre con riferimento al Bilancio 2012, le banche più esposte sono Mediobanca, Unicredit e Intesa SanPaolo con un’esposizione di poco più di 2 bn €.

Concludendo, in relazione ai building block dell’AVA, in merito al rischio operativo oltre al tema delle possibili dispute tra le controparti nelle operazioni di calcolo e regolamento del payoff, andrebbe data maggiore enfasi, o se possibile quantificazione, alla complessità di gestione (i.e. fixing per strumenti path dependent, controlli di barriere, ecc) del deal derivato, e le perdite da errori che può determinare.

4.2 Applicabilità: A livello di applicabilità, sia il Simplified Approach che il Core Approach richiederanno un investimento in termini di tempo e risorse umane da parte delle istituzioni finanziarie: questo perché il calcolo richiede una notevole serie di dati, opportunatamente aggregati, che non sempre sono già in possesso delle istituzioni finanziarie. Ad esempio, con riferimento al Simplified Approach, l’inclusione di profitti netti non realizzati, oltre ad essere considerata una misura non di interesse da parte di alcune istituzioni ad oggi, può essere di difficile applicazione, data la usuale mancanza di dati disaggregati fra profili netti realizzati e non.

Rispetto al Core Approach, appaiono inoltre di difficile applicazione concreta alcuni principi, quali quello del target level del 90% sul range dei valori possibili, e il non chiaro confine tra approcci probabilistici e il ricorso a quelli expert based di consenso.

4.3 Scadenze: Una importante criticità generale è sicuramente legata alle scadenze, dato che la CRR 575/2013 sembrerebbe richiedere l’uso degli AVA nel primo quadrimestre del 2014, mentre la documentazione finale riguardante il calcolo degli AVA vedrà la luce nel secondo/terzo quadrimestre (*). Al momento non sembra che la documentazione presente sia sufficientemente chiara e completa per un calcolo univoco e non ambiguo degli AVA, ma richiede un approfondimento sia legato ai dati da utilizzare, e a come aggregarli, sia un approfondimento nella definizione degli otto AVA, per ora presentati come elenco e tramite definizioni troppo generali nelle normative e nella regolamentazione.

(*) L’Eba ha pubblicato il final draft sulla Prudential Valuation il 31 Marzo 2014, successivamente alla pubblicazione di questo articolo

http://www.eba.europa.eu/documents/10180/642449/EBA-RTS-2014-06+RTS+on+Prudent+Valuation.pdf

Riferimenti

[1] M. Bianchetti, U. Cherubini   (2013) AIFIRM – Associazione Italiana Financial Risk Management – Commissione Rischio di Mercato – Gruppo di lavoro “Prudent Valuation” – Abstract e impostazione dell’attività (http://www.aifirm.it/?p=1273)

[2] Autorità bancaria europea – EBA (2013) Consultation Paper EBA/CP/2013/28
(
http://www.eba.europa.eu/documents/10180/336425/EBA_CP_2013_28.pdf)

[3] IFRS Foundation (2013) IFRS13 – Fair Value Measurement
(http://www.ifrs.org/current-projects/iasb-projects/fair-value-measurement/Pages/fair-value-measurement.aspx)

[4] ISDA (2013) Response of the Association for Financial Markets in Europe (AFME) and International Swaps and Derivatives Association, Inc. (ISDA) to the European Banking Authority (EBA) Consultation Paper On “Draft Regulatory Technical Standards on prudent valuation under Article 105(14) of Regulation (EU) 575/2013 Capital Requirements Regulation (CRR) – (EBA/CP/2013/28)”
(http://www2.isda.org/attachment/NTk3NA)

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