Il punto sulle risposte al rischio sistemico
di Giulia Simonetti

Lug 15 2014
Il punto sulle risposte al rischio sistemico <small><small><I> di Giulia Simonetti  </I></small></small>

A causa della recente crisi finanziaria, negli ultimi sei anni, molta attenzione è stata riservata allo studio del rischio sistemico e molti sforzi sono stati fatti per mettere a punto una regolamentazione efficace nell’arginare le ricadute sistemiche di crisi future. Sebbene il tema sia molto dibattuto, non esiste una definizione univoca ed esaustiva di rischio sistemico. Il concetto di rischio sistemico è di per sé semplice: si tratta del rischio che l’insolvenza o il default di un intermediario finanziario possa ripercuotersi sugli altri partecipanti al mercato con una sorta di effetto domino. Nella Direttiva 2013/36/EU (CRD IV) il rischio sistemico è definito come “un rischio di disordine del sistema finanziario che può avere gravi conseguenze negative per il sistema finanziario e l’economia reale” [1]. La Bank of International Settlements (BIS) ha definito il rischio sistemico come “il rischio che il fallimento di un partecipante nell’adempiere ai suoi obblighi contrattuali possa a sua volta causare il fallimento di altri partecipanti”. Dunque, il rischio sistemico consiste essenzialmente nel propagarsi di uno shock iniziale agli altri partecipanti al mercato creando o alimentando una situazione di instabilità.

        1.      Come valutare il rischio sistemico

Secondo la definizione che abbiamo appena dato, il rischio sistemico può essere interpretato come la propagazione di uno shock attraverso i links di un network finanziario. Il sistema finanziario/interbancario può essere modellato come un network i cui i nodi sono gli operatori finanziari e i link pesati tra i nodi rappresentano il saldo netto dei flussi finanziari tra due nodi/entità.

Secondo questa architettura, le interconnessioni tra le entità finanziarie rappresentano un veicolo di risk sharing in periodi normali e quindi di condivisione di rischi idiosincratici, mentre in periodi di crisi costituiscono un veicolo di propagazione degli shocks finanziari che porta a definire il rischio sistemico proprio come un effetto domino (cascade default) che si innesca a seguito del default di un nodo della rete finanziaria. Nel momento in cui un nodo viene rimosso dalla rete per via del suo default, i links che lascia scoperti possono essere di credito o di debito. I creditori dell’entità defaultata connessi con la stessa potranno recuperare solo parte delle esposizioni. Tramite la LGD si può calcolare l’entità del flusso che viene meno e computare la probabilità di default del nodo/creditore che deve fronteggiare il link scoperto. Una volta analizzati i nodi connessi direttamente con il nodo defaultato, e valutato il suo eventuale default, si può allargare l’analisi agli altri nodi fino a valutare le posizioni dei nodi di tutta l’architettura.

Oltre all’analisi della ripercussione sui nodi vicini, occorre tener conto che in situazione di crisi subentra anche la difficoltà di reperire liquidità (crisi di funding) che può portare ad un’amplificazione dei rischi a livello sistemico. Tutto ciò rende molto complessa l’analisi dei nodi che potrebbero incontrare difficoltà e complica notevolmente la valutazione compiuta del rischio sistemico.

La recente crisi finanziaria ha rivelato numerosi limiti nell’architettura della regolamentazione e della supervisione dei mercati e degli intermediari finanziari. Il limite più significativo è sicuramente rappresentato dal fatto che l’attenzione è stata posta in via quasi esclusiva su un approccio micro-prudenziale con l’obiettivo di salvaguardare la solidità e la solvibilità dei singoli attori del sistema finanziario. La crisi ha mostrato che il sistema finanziario non è necessariamente solido anche nel caso in cui tutte le singole componenti del sistema finanziario siano solide. Il sistema è comunque vulnerabile rispetto alla propagazione di shocks che originano in settori specifici dell’economia reale o del sistema finanziario e che sembrano avere natura circoscritta.  Queste considerazioni hanno portato le autorità ad integrare il classico approccio micro-prudenziale con una supervisione e regolamentazione macro-prudenziale che considera il rischio sistemico e la stabilità del sistema finanziario nel suo complesso.

        2.      Cosa dice la normativa

La CRD IV (Capital Requirements Directive) [1] e Basilea III congiuntamente con il Regolamento (UE) n.575/2013 (CRR) intendono essenzialmente assicurare la solidità patrimoniale degli intermediari finanziari con l’obiettivo, qualora si verifichi una crisi, di garantire che la ‘‘risoluzione’’ dell’ente in difficoltà possa avvenire in modo ordinato, limitando l’impatto negativo sul sistema finanziario e l’economia reale. Questo obiettivo è perseguito richiedendo in primo luogo che gli enti creditizi e le imprese di investimento si dotino di un patrimonio che, in funzione dei rischi ai quali possono essere esposti, sia adeguato in termini di quantità e qualità.

Preso atto dei meccanismi prociclici che hanno contribuito a scatenare la crisi finanziaria, il Consiglio per la stabilità finanziaria (FSB), il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (CBVB) e il G-20 hanno raccomandato di introdurre correttivi che fossero in grado di attenuarne gli effetti. In particolare, nelle direttive sopra menzionate, sono comprese norme che impongono requisiti patrimoniali aggiuntivi per assicurare che nei periodi di crescita economica le banche accumulino una base di capitale sufficiente a coprire le perdite che potrebbero materializzarsi nei periodi di stress.

Le direttive impongono agli intermediari di detenere una riserva di conservazione del capitale al fine di assorbire le perdite durante periodi di stress finanziario e economico. La  riserva è costituita da Common Equity Tier 1 ed è pari al 2,5% dell’importo complessivo dei risk weighted assets, componente che si va a sommare al 4,5% del Common Equity Tier 1 capital ratio previsto dal CRR. La riserva di capitale anticiclica è calcolata come l’importo complessivo dei risk weighted assets moltiplicato per la media ponderata dei coefficienti anticiclici che si applicano nei paesi in cui sono situate le esposizioni creditizie. La riserva di capitale anticiclica è accumulata allorché si verifica una crescita aggregata del credito e di altre classi di attività aventi un impatto significativo sul profilo di rischio, ed è rilasciata nei periodi di stress. Ogni autorità calcola per ogni trimestre un indicatore di riferimento che viene utilizzato ai fini della determinazione del coefficiente anticiclico. Questo indicatore deve riflettere da vicino il ciclo del credito tenendo conto delle specificità dell’economia nazionale. L’indicatore si basa sulla deviazione del rapporto credito-PIL dalla tendenza di lungo periodo. La media ponderata dei coefficienti anticiclici può andare dallo 0% ad un massimo del 2,5%. Questa riserva di capitale anticiclica dovrebbe raffreddare l’economia nei momenti espansivi e sostenere l’offerta di credito nei momenti di rallentamento.

Con l’obiettivo di attenuare il rischio sistemico, le direttive affidano agli Stati membri il potere di chiedere ad alcuni operatori particolarmente rilevanti di detenere anche una riserva di capitale a fronte del rischio sistemico. Anche questa riserva è costituita da Common Equity Tier 1 ed è pari almeno all’1% ed è inferiore al 5% dei risk weighted assets (esposizioni solo interne allo Stato o includendo anche le esposizioni verso paesi terzi). Lo Stato membro può decidere di applicare questa ulteriore riserva a specifici intermediari qualora esista un rischio di perturbazione del sistema finanziario che può avere gravi conseguenze per il sistema finanziario e per l’economia reale. Per la determinazione del coefficiente da applicare lo Stato membro può chiedere il consiglio dell’ESRB (European Systemic Risk Board).

Il comitato di Basilea ha inoltre messo a punto una procedura per identificare gli enti a rilevanza sistemica a livello globale (Global Systemically Important Banks, G-SIBs, or Global Systemically Important Financial Institutions, G-SIFIs). A questi intermediari è richiesto di detenere un’ulteriore riserva di capitale che può andare dall’1% al 3,5% di Common Equity Tier 1 con intervalli dello 0,5%. Il cuscinetto è definito in base alla rilevanza sistemica, dove per rilevanza sistemica si intende l’impatto sul mercato finanziario globale derivante da una situazione di difficoltà della G-SIFI. La metodologia è basata su diversi indicatori, ognuno dei quali riflette un aspetto della rilevanza sistemica di un intermediario. Gli indicatori sono i seguenti:

  • dimensione
  • interconnessione con il sistema finanziario
  • sostituibilità dei servizi o infrastrutture fornite
  • complessità
  • attività transfrontaliere sia con Stati membri che con paesi terzi

Analogamente il comitato di Basilea fornisce una procedura simile per l’individuazione delle Other Systemically Important Financial Institutions (O-SIFIs) che invece hanno l’obbligo di detenere una riserva al massimo pari al 2% di Commo Equity Tier 1. La rilevanza sistemica è valutata in base ad almeno uno dei seguenti criteri:

  • dimensione
  • rilevanza per l’economia o dell’Unione o dello Stato membro pertinente
  • significatività delle attività transfrontaliere
  • interconnessione con il sistema finanziario

L’attributo di O-SIFI o G-SIFI deve essere riesaminato una volta l’anno. Vista la rilevanza delle G-SIFIs e delle O-SIFIs per il sistema finanziario e il potenziale impatto del loro fallimento sui contribuenti, esse saranno, con molta probabilità, obbligate detenere anche la riserva di capitale a fronte del rischio sistemico. In questo caso le riserve non si sovrappongono ma si applica la percentuale più elevata tra le due.

L’EMIR (European Market Infrastructure Regulation), entrata in vigore per fasi a partire dal 16 Agosto del 2012 e tuttora in via di applicazione, si basa su tre pilastri fondamentali [2]:

  • obbligo di clearing per tutti i derivati eligibili (derivati plain) che dovranno essere compensati attraverso una Controparte Centrale (CCP)
  • obbligo di collateral per tutti i derivati dichiarati non eligibili con margini di collateral standard imposti dalla normativa
  • obbligo, in entrambi i casi, di comunicare i contratti scambiati sia in borsa che in mercati OTC ad un Trade Repository (TR).

I primi due pilastri cercano di rispondere alle esigenze di monitoring e gestione del rischio sistemico. Una CCP è un’entità legale indipendente che si interpone tra le parti contraenti di un contratto derivato. Quando la CCP subentra nel trading, il singolo contratto stipulato tra le due parti lascia il posto a due nuovi contratti tra la CCP e ciascuna delle due controparti. Dunque il buyer e il seller non sono più controparti fra loro, ma sono entrambe controparte della CCP, con la quale adempiono all’obbligo di clearing. Dunque, l’introduzione delle CCPs muta la struttura del mercato che passa da un OTC bilaterale, con una rete omogenea, ad un modello eterogeneo in cui si accentrano gli scambi nelle CCPs.

L’obbligo di collateral per i derivati OTC non eligibili è stato introdotto nell’ottica di ridurre sia il rischio di controparte che il rischio sistemico in modo tale da ridurre l’impatto della perdita in caso di insolvenza o default della controparte e interrompere  la  diffusione di shock in caso di stress.

Meno visibile ma non meno importante è il contributo del terzo pilastro. Come osserva l’ESRB nell’occasional paper n.2 (2013), per una analisi ben fatta del network finanziario è necessario avere informazioni dettagliate per ogni scambio o per esposizione (nel caso specifico repo e Securities lending transactions), in modo tale da non far ricorso a tecniche di filling di dati [3].

L’obbligo di comunicazione delle operazioni ai TR è per tutte le entità finanziarie e non finanziarie incorporate in Europa che sono controparti nei contratti derivati, mentre gli obblighi di clearing e di collateral si applicano solo ad enti con soglie di operatività rilevanti.

        3.      ESRB: warnings e raccomandazioni

In risposta alla recente crisi, la Commissione Europea ha istituito l’ESRB (European Systemic Risk Board) affidandogli il mandato di vigilare sulla stabilità del sistema finanziario nel suo complesso. L’ESRB è responsabile della vigilanza macro-prudenziale del sistema finanziario dell’Unione Europea al fine di contribuire a prevenire o attenuare i rischi che potrebbero attentare alla stabilità finanziaria.

L’ESRB ha due strumenti per svolgere il proprio mandato: warnings e recommendations. La differenza è che un warning richiede l’attenzione dei destinatari ai rischi sistemici individuati, senza una descrizione dettagliata delle azioni richieste, mentre una recommendation include consigli su azioni da adottare per ridurre i rischi rilevati. I destinatari di warnings e recommendations  dell’ESRB possono essere l’Unione Europea, i singoli Stati membri dell’UE, le autorità di vigilanza europee, nonché le autorità di vigilanza nazionali dell’UE. Anche se le raccomandazioni dell’ESRB non sono giuridicamente vincolanti, i destinatari sono soggetti ad un meccanismo “act or explain” ovvero allinearsi alla recommendation oppure motivare perché si è scelto di non farlo.

I warnings e le recommendations emessi dall’ESRB forniscono un’idea di quali siano le variabili economiche che sono legate al rischio sistemico.

Una prima reccomandation dell’ESRB ha riguardato il lending in foreign currencies: ovvero i prestiti in valuta estera a famiglie e a piccole e medie imprese che si sono diffusi negli ultimi anni in alcuni Stati membri per via dei bassi tassi di interesse. Famiglie e piccole imprese sono soggetti che non sono in grado di coprirsi dal rischio di cambio, questo aspetto può avere una ricaduta sulla banca che accumula una significativa esposizione al rischio di credito/valuta [4].

Una seconda reccomandation ha riguardato il funding in US dollar: il dollaro è un’importante valuta di funding per le banche europee. La maggior parte del funding in dollari è a breve termine, e l’ESRB ha osservato un disallineamento tra le scadenze delle attività, che sono a lungo termine, con le scadenze delle passività in dollari statunitensi che sono a breve o a brevissimo termine. In presenza di una elevata volatilità del dollaro si possono creare tensioni in questo funding market, tensioni che l’ESRB vuole tenere sotto osservazione [5].

Nell’occasional paper di Marzo 2013 l’ESRB [3] analizza il potenziale contributo al rischio sistemico di strumenti quali repo e securities lending transactions (SFTs). Sebbene queste transazioni comportino un rischio relativamente basso, se usate in maniera massiva come funding tool possono contribuire al rischio sistemico in modo non trascurabile. Gli haircuts sul collateral portano a prociclicalità della leva finanziaria del sistema. Questi strumenti sono molto utilizzati da un’ampia gamma di partecipanti al mercato (istituti di credito, fondi pensione, compagnie di assicurazione e compagnie di investimento) creando forti interconnessioni e canali di contagio tra il sistema bancario e lo shadow banking system. La pratica di riutilizzo del collateral e la re-ipoteca dell’asset del cliente contribuisce a creare connessioni e possibili canali di contagio. Questa fitta connessione tra il settore bancario e lo shadow banking system attraverso i mercati SFTs è stata evidenziata anche dal Financial Stability Board (FSB) [6].

Riferimenti

[1] Direttiva 2013/36/EU (CRD IV)

[2] M. Bonollo, G. Simonetti (2014), FinRiskAlert paper, “Cosa porta con sé l’EMIR”

[3] A. Bouveret, J. Jardelot, J. Keller, P. Molitor, J. Theal, M. Vita (2013), ESRB Occasional paper n.2, Towards a monitoring framework for securities financing transactions

[4] Raccomandazione del Comitato Europeo per il rischio sistemico sui prestiti in valuta estera (2011)

[5] Raccomandazione del Comitato Europeo per il rischio sistemico relativa al finanziamento in dollari statunitensi degli enti creditizi (2011)

[6] Securities Lending and Repos: Market Overview and Financial Stability Issues”, Interim Report of the FSB Workstream on Securities Lending and Repos, 2012

 

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