Risoluzione del Parlamento Europeo sullo stato della Banking Union

Mar 16 2016

In data 10 marzo, il Parlamento Europeo ha adottato la prima risoluzione annuale riguardante la Banking Union (BU) con 351 voti favorevoli, 112 contrari e 30 astensioni. Contestualmente è stato approvato il Report sullo stato della BU nel 2015.
Sebbene l’istituzione del Single Supervisory Mechanism sia considerata un successo, il Report identifica diversi problemi e significativi margini di miglioramento per giungere al completamento della BU. In particolare si evidenzia la necessità di un coordinamento efficace tra politiche micro e macro-prudenziali e della stabilizzazione del quadro normativo e di vigilanza.

Il Parlamento Europeo chiama in causa la Commissione Europea e le Autorità di Vigilanza Europee affinché conducano analisi approfondite sugli effetti prodotti dai nuovi requisiti patrimoniali sulla concessione di credito da parte delle banche, con particolare rilievo al caso delle piccole e medie imprese.

Come segnalato nel Report, i membri del Parlamento hanno accolto favorevolmente il pacchetto di misure legislative della Commissione Europea volto ad istituire uno schema di protezione dei depositi a livello Europeo (European Deposit Insurance Scheme o EDIS). Il documento, inoltre, evidenzia come l’applicazione dello strumento del bail-in possa comportare una riduzione sistematica del rischio di moral hazard. Allo stesso tempo, però, si invita il Single Resolution Board a controllare attentamente affinché l’applicazione della nuova discplina avvenga in modo graduale e imparziale così da garantire la stabilità finanziaria e mantenere la fiducia nel sistema bancario.

Report

Cresce l’industria dei mini-bond in Italia
di Giancarlo Giudici

Mar 16 2016
Cresce l’industria dei mini-bond in Italia    di Giancarlo Giudici

L’ultimo report annuale pubblicato dall’Osservatorio mini-bond del Politecnico di Milano mostra una progressiva e stabile crescita dell’industria in Italia.
La ricerca considera le emissioni da parte di società di capitali o cooperative aventi operatività propria (escludendo banche e assicurazioni) di importo massimo fino a € 500 milioni, non quotate su listini aperti agli investitori retail.
Se per le grandi imprese l’accesso al mercato mobiliare è una via piuttosto agevole, per le PMI sono numerose le difficoltà sia dal punto di vista culturale, sia dal punto normativo. Storicamente, infatti, la dipendenza delle piccole imprese dai finanziamenti bancari è in Italia più forte che altrove.
Da qui nascono le innovazioni legislative che dal 2012 in avanti hanno offerto alle PMI (con l’esclusione delle sole microimprese) l’opportunità concreta di aprire un nuovo canale di finanziamento diretto sul mercato.
Il 2015 si è confermato un anno di progressiva crescita anche per la piattaforma di scambio ExtraMOT PRO, gestita da Borsa Italiana, che ha consentito alle imprese di individuare un mercato secondario ‘adatto’ per i mini-bond, con procedure di ammissione semplici, rapide e poco costose: un mercato che in tre anni è riuscito ad arrivare alla soglia di 126 titoli quotati a fine 2015 per un controvalore nominale complessivo di oltre € 5 miliardi, pur con scambi ridotti data la logica ‘buy-and-hold’ di molti investitori come i fondi chiusi.
La ricerca, considerando i parametri prima introdotti, ha identificato 145 imprese che alla data del 31 dicembre 2015 avevano collocato mini-bond in Italia (di cui 48 per la prima volta nel 2015). Fra queste, 55 sono identificabili come PMI non finanziarie. Rispetto al 2014, nel 2015 è aumentata la proporzione delle PMI, passando dal 39,6% al 48,1%.
In gran parte le emittenti sono società per azioni (l’86,2%), ma sono rappresentate pure società a responsabilità limitata e cooperative. Nel campione compaiono anche 17 imprese già quotate sul mercato azionario.
Il fatturato delle imprese emittenti è molto variabile; la fascia più numerosa del campione si concentra fra € 100 milioni e € 500 milioni, ma compaiono anche ben 23 società con fatturato inferiore a € 10 milioni. Nel 2015 è cresciuto il numero di emittenti con fatturato compreso fra € 10 milioni e € 25 milioni, mentre sono diminuite quelle con volume fra € 25 milioni e € 100 milioni.
Per quanto riguarda il settore di attività, si registra la netta supremazia del settore manifatturiero, soprattutto grazie alle grandi imprese e alle nuove emittenti del 2015.
I settori rappresentati sono comunque molti diversificati, dal commercio alle utilities, dai servizi finanziari all’immobiliare, dall’informatica alle costruzioni.
La collocazione geografica evidenzia una netta prevalenza delle regioni del Nord sebbene il 2015 abbia visto una piccola ‘riscossa’ del Meridione e un ‘crollo’ di Lombardia e Veneto, passati da 33 emittenti nel 2014 a 13 nel 2015.
Analizzando le dichiarazioni delle emittenti, si conferma come dominante l’obiettivo di finanziare la crescita interna dell’azienda (nel 64% dei casi, soprattutto per le PMI). Al secondo posto emerge l’obiettivo di ristrutturare le passività dell’impresa (soprattutto per le grandi imprese). Seguono le strategie di crescita esterna tramite acquisizioni, e il fabbisogno di alimentare il ciclo di cassa del capitale circolante.
L’Osservatorio ha inoltre analizzato i bilanci delle PMI non finanziarie che hanno emesso mini-bond, dai quali si evidenziano, in media, trend positivi della redditività e della situazione di liquidità prima dell’emissione, connessi ad una buona riduzione della leva finanziaria.
Per quanto riguarda le emissioni, partire da novembre 2012 sono stati registrati 179 collocamenti (in alcuni casi le imprese hanno condotto più emissioni). Si tratta in gran parte di obbligazioni, ma compaiono anche 19 cambiali finanziarie, spesso nell’ambito di programmi ‘rolling’. Il valore nominale totale dei mini-bond supera € 7 miliardi (€ 634,4 milioni considerando solo le 95 emissioni fatte da PMI, € 1,36 miliardi considerando solo le 152 emissioni sotto € 50 milioni).
Il 2015 ha visto una ulteriore riduzione del valore medio delle emissioni (€ 22 milioni nel secondo semestre rispetto a € 28 milioni nello stesso periodo del 2014 e a € 100 milioni nel 2013).
Nel campione totale, le emissioni sotto € 50 milioni sono la stragrande maggioranza (l’85%). Il 47% è sotto la soglia di € 5 milioni.
Molti titoli (136 su 177) sono stati quotati su ExtraMOT PRO ma la frequenza è calata nel 2015. Alcune emissioni (8) sono state quotate su listini esteri (in Germania, Irlanda, Austria e Lussemburgo).
Per quanto riguarda la scadenza, si conferma una netta concentrazione sul valore di 5 anni, soprattutto per le grandi imprese. Il valore medio per tutto il campione è 5,67 anni, quello mediano 5 anni. Alcuni mini-bond (soprattutto le cambiali finanziarie) hanno scadenza molto breve; esistono invece 22 titoli con scadenza superiore a 7 anni.
Il 2015 ha visto una riduzione della maturity, con una media di 5,00 anni rispetto a 6,81 nel 2014.
Nella maggioranza dei casi (il 58,8%) il rimborso del titolo è previsto alla scadenza (bullet), soprattutto per le grandi imprese e per quelle già quotate in Borsa. Nelle PMI e nelle emissioni sotto € 50 milioni è relativamente più frequente la modalità amortizing, con un rimborso graduale fino alla scadenza.
Per quanto riguarda la cedola, in quasi tutti i casi è stata fissata all’inizio del prestito, mentre in 19 casi è stata legata ad un benchmark variabile nel tempo. Il valore medio della cedola fissa per l’intero campione è pari a 5,65%, quello mediano è il 5,7%. Si riscontra una riduzione del coupon nel 2015 rispetto al 2014 (la media è 5,07% rispetto a 5,83% dell’anno prima).
I mini-bond del campione sono associati a un rating nella metà dei casi (di cui il 26% ‘pubblico’ e distribuito quasi equamente fra investment grade e speculative grade mentre il 23% è unsolicited o undisclosed).
Per quanto riguarda gli investitori che hanno sottoscritto mini-bond, il 2015 ha visto l’assoluto protagonismo dei fondi chiusi, che raggiungono la quota del 35,8% del capitale totale raccolto sul mercato, seguiti dalle banche estere (essenzialmente la BEI, con il 15,3%), dalle banche italiane (14,9%), dai fondi esteri (11,4%) e dai fondi aperti e gestioni patrimoniali delle SGR italiane (9,7%).
La ricerca ha censito 12 fondi chiusi di private debt che alla data del 31/12/2015 avevano già investito € 450 milioni nei mini-bond italiani. A questi si aggiungono 7 fondi in fase di prossimo closing e 4 iniziative in fase di avvio del fundraising. Alcune di queste iniziative saranno supportate dal Fondo Italiano di Investimento.
Nel complesso, la stima delle ulteriori risorse disponibili per i mini-bond, in caso di raggiungimento dei target previsti, potrebbe arrivare a € 900 milioni.
Si può affermare che il potenziale di sviluppo dei mini-bond fra le PMI rimane significativo. Per il 2016 le aspettative sono quelle di una crescita in linea con i dati del 2015 e di un’innovazione incrementale nella tipologia degli strumenti e nelle prassi.
Del tutto da scoprire sono ancora le potenzialità riferite agli ambiti delle cartolarizzazioni dei mini-bond e dei project-bond.

Derivati OTC: le Autorità di Vigilanza Europee pubblicano standard tecnici per la marginazione delle operazioni non compensate tramite CCP

Mar 11 2016

Il Comitato congiunto delle Autorità di Vigilanza Europee (EBA, EIOPA, ESMA) ha pubblicato la bozza finale degli standard tecnici (Regulatory Technical Standards o RTS) in materia di collateralizzazione delle operazioni in derivati OTC non compensate tramite controparti centrali (CCP).
I nuovi RTS mirano ad incrementare la sicurezza e la stabilità dei mercati di derivati OTC dell’Unione Europea ai sensi della disciplina EMIR. Le disposizioni principali sono le seguenti:

– è introdotto l’obbligo di marginazione (sia iniziale che di variazione) per le controparti di un’operazione in derivati OTC non compensata tramite CCP;

– è definita la lista di strumenti finanziari “eleggibili” come collaterale al fine di assicurare che le attività poste a garanzia siano sufficientemente diversificate e non soggette al cosiddetto wrong-way risk;

– sono definite le procedure operative per la documentazione e la gestione degli accordi di collateralizzazione tra le controparti;

– sono definite le procedure da seguire per il trattamento delle operazioni in derivati a livello intra-gruppo, rivolte sia alle istituzioni finanziarie che alle autorità di vigilanza.

I nuovi RTS saranno applicati in modo proporzionale al fine di permettere il recepimento e l’attuazione del nuovo regime.

Comunicato stampa EBA
Standard Tecnici

Consultazione EBA sull’inclusione della valutazione prudenziale tra le segnalazioni COREP

Mar 11 2016

L’Autorità Bancaria Europea (EBA) ha lanciato una consultazione sull’inclusione della valutazione prudenziale tra le informazioni rientranti nel perimetro COREP (si tratta del regime segnaletico attraverso il quale le istituzioni finanziarie dell’Unione Europea trasmettono le informazioni di vigilanza alle autorità preposte).
Le modifiche introdotte, che rientrano nel quadro di armonizzazione del sistema COREP già intrapreso dall’EBA, prevedono l’inclusione di nuovi requisiti per la comunicazione delle informazioni riguardanti la valutazione prudenziale e il rischio di credito.

La consultazione avrà termine il 30 marzo 2016.

Comunicato stampa
Documento di consultazione

Rischio operativo: il Comitato di Basilea lancia consultazione sul nuovo framework

Mar 11 2016

Il Comitato di Basilea ha pubblicato un documento di consultazione riguardante le proposte di modifica alla disciplina dei requisiti di capitale a fronte dei rischi operativi.

Le revisioni, che rappresentano un aggiornamento al testo pubblicato nell’ottobre 2014, rientrano nel più ampio obiettivo del Comitato di bilanciare semplicità, trasparenza e sensibilità al rischio nel calcolo dei requisiti patrimoniali.
La nuova disciplina verte sul cosiddetto Standardised Measurement Approach (SMA), che mira a superare i limiti dell’attuale sistema ed, in particolare, a risolvere i problemi legati all’Advanced Measurement Approach (AMA). L’approccio proposto, infatti, preclude l’utilizzo di modelli interni al fine d aumentare la semplicità di calcolo e limitare la variabilità dei risultati. Lo SMA combina una misura del rischio operativo di tipo contabile, il Business Indicator (BI), con le informazioni riguardanti le perdite operative già sofferte dalla singola istituzione.

La consultazione avrà termine il 3 giugno 2016.

Comunicato stampa
Documento di consultazione

Il decreto legge n. 18 del 14 febbraio 2016: le novità per le banche di credito cooperativo e i fondi di investimento
di Giulia Mele

Mar 11 2016
Il decreto legge n. 18 del 14 febbraio 2016: le novità per le banche di credito cooperativo e i fondi di investimento   di Giulia Mele

Il 15 febbraio scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 37 il decreto legge n. 18 del 14 febbraio 2016 (il “D.L.“) recante “misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio” che dovrà essere convertito entro il 16 aprile prossimo.

Il D.L. introduce, tra le altre, importanti novità per le banche di credito cooperativo (le “BCC“) – sulla cui disciplina il legislatore è intervenuto profondamente riformando, in buona sostanza, l’intero settore bancario cooperativo – e per i fondi di investimento alternativi (i “FIA“) per i quali sono state introdotte le modalità operative per la concessione di finanziamenti (c.d. direct lending).

Le misure previste nel D.L. sono state concepite nell’ottica di sostenere con immediatezza il sistema del credito cooperativo nonché rilanciare e dare nuovo impulso al sistema finanziario nazionale attraverso l’effettiva espansione dei soggetti capaci di erogare credito.

Di seguito una breve disamina delle principali novità.

La riforma del settore bancario cooperativo

Come anticipato, il D.L. ha modificato la disciplina delle BCC intervenendo con misure incisive finalizzate a porre rimedio alle debolezze strutturali delle stesse, derivanti: (i) dal modello di attività, focalizzato sulla tradizionale attività al dettaglio e quindi particolarmente esposto all’andamento dell’economia reale; (ii) dagli assetti organizzativi e dalla dimensione ridotta, con effetti sui costi e sulle possibilità di innovazione; e (iii) dalla forma giuridica cooperativa conseguenza della ristrettezza della base sociale, dei limiti al possesso azionario del socio e del voto capitario.

Il punto focale della riforma ruota intorno all’obbligo per le BCC di entrare a far parte di un gruppo bancario cooperativo (il “GBC“). Il nuovo art. 33 del d.lgs. n. 385/1993 (il “TUB“) prevede, infatti, che l’adesione ad GBC sia condizione per il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forma di BCC.

Inoltre, in caso di esclusione della BCC dal GBC, la medesima potrà continuare a svolgere l’attività bancaria previa autorizzazione della Banca d’Italia e trasformazione in società per azioni, perdendo quindi lo status di BCC, o altrimenti dovrà deliberare la propria liquidazione.

Per quanto riguarda la composizione del GBC, l’art. 37-bis del TUB chiarisce che lo stesso è costituito: (i) dalla capogruppo, vale a dire una società per azioni con un patrimonio netto superiore ad un miliardo di euro, autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria alla quale sono attribuiti contrattualmente poteri di direzione e coordinamento del gruppo e il cui capitale sociale è detenuto in misura maggioritaria dalle BCC appartenenti al medesimo gruppo; (ii) dalle BCC che aderiscono al contratto e hanno adottato le connesse clausole statutarie; e (iii) dalle società bancarie, finanziarie e strumentali controllate dalla capogruppo, come definite dall’art. 59 del TUB.

I soggetti appartenenti al GBC sono, quindi, assoggettati ai poteri di direzione e coordinamento della capogruppo in virtù di un possesso azionario pregresso alla costituzione del gruppo o acquisito successivamente ovvero per il tramite dello stesso contratto di coesione posto a fondamento del gruppo.

Il contratto di coesione è, quindi, lo strumento capace di assicurare alla capogruppo il controllo sulle BCC facenti parte del GBC. Per queste ragioni il contratto di coesione assume un ruolo cruciale nella definizione dei rapporti tra i soggetti del gruppo, tanto da spingere il legislatore a disciplinarne anche il contenuto minimo.

In particolare, lo stesso oltre ad indicare la banca capogruppo ed i relativi poteri nonché le condizioni di adesione e quelli di esclusione dal gruppo, dovrà consentire il conseguimento delle finalità mutualistiche alle banche, assicurando un’effettiva attività di direzione e coordinamento quanto meno con riguardo all’attuazione degli indirizzi strategici, al rispetto della normativa in materia bancaria, finanziaria e della disciplina prudenziale di riferimento. In ogni caso, l’intensità del controllo e, in generale, i poteri della capogruppo dovranno essere proporzionati alla rischiosità delle banche aderenti (cfr. art. 37-bis, comma 3 TUB).

Peraltro i poteri e le prerogative della capogruppo descritte nel contratto di coesione, dovranno riflettersi anche nello statuto delle BCC. Le nuove norme, infatti, dispongono che lo statuto delle stesse includa anche l’indicazione dei poteri attribuiti alla capogruppo.

Le ulteriori novità introdotte dal D.L. consistono nella possibilità per la banca capogruppo di finanziare direttamente le singole BCC per le quali, peraltro, è previsto anche un innalzamento del numero minimo dei soci, elevato da 200 a 500, e del valore nominale della partecipazione detenibile da ciascun socio portato da cinquantamila euro a centomila, in linea con quanto previsto per le cooperative operanti in settori diversi da quello bancario.

Inoltre, per assicurare il frazionamento del capitale sociale della capogruppo – coerentemente con la natura cooperativa del GBC – il comma 2 del nuovo art. 37-bis del TUB rimette allo statuto della capogruppo l’obbligo di stabilire un limite massimo al numero di azioni con diritto di voto detenibile da ciascun socio (a tal fine si dovrà tenere conto anche delle partecipazioni detenute in via indiretta, tramite società controllate, società fiduciarie o interposta persona).

Infine, è previsto l’obbligo di stabilire contrattualmente la garanzia in solido delle obbligazioni assunte dalla capogruppo e dalle altre banche aderenti al GBC (cfr. comma 4, art. 37-bis TUB). Tale presidio consente l’applicazione di regole prudenziali di matrice europea idonee a rafforzare la situazione patrimoniale del GBC e la sua capacità competitiva, anche nel confronto con analoghi gruppi esteri.

Le norme disciplinano, altresì, il procedimento per la costituzione dei GBC, in base al quale la banca che intenda assumere il ruolo di capogruppo dovrà sottoporre alla Banca d’Italia uno schema di contratto di coesione e l’elenco delle BCC e delle altre società che intendano aderire al GBC. Su tale documentazione la Banca d’Italia esercita un controllo preventivo finalizzato all’accertamento della sussistenza delle condizioni di legge per la costituzione del gruppo e dell’idoneità del contratto a consentirne la sana e prudente gestione.

La stipula del contratto tra la capogruppo e le BCC aderenti dovrà intervenire entro 90 giorni dall’accertamento preventivo della Banca d’Italia; quest’ultime potranno aderire al GBC attraverso una richiesta al gruppo prescelto, il cui accoglimento si realizzerà per mezzo di un meccanismo di silenzio assenso. La richiesta di adesione ad un gruppo si ha per accolta, in ogni caso, qualora la BCC abbia in precedenza fatto parte di un accordo di responsabilità contrattuale che tuteli tutte le parti aderenti e, in particolare, garantisca la loro liquidabilità e solvibilità. In questo caso, quindi, il GBC prescelto perde la facoltà di rifiutare l’adesione.

Il quadro normativo sopra descritto, infine, dovrà essere completato dalle norme di attuazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze il quale – sentita la Banca d’Italia – dovrà individuare (i) i requisiti minimi organizzativi e operativi della capogruppo, tali da assicurare la sana e prudente gestione, la competitività e l’efficienza del gruppo bancario nel rispetto delle finalità mutualistiche; e (ii) il numero minimo di BCC di un GBC, necessario ad assicurare il rispetto dei requisiti prudenziali, la diversificazione e il frazionamento dei rischi.

I FIA e la concessione di finanziamenti

L’altra novità introdotta dal D.L. è solo apparentemente meno rivoluzionaria di quella relativa alle BCC consistendo nella “semplice” specificazione delle modalità operative con cui i FIA – italiani ed UE – possono effettuare l’attività di concessione di finanziamento (cfr. art. 17 del D.L.).

La portata innovativa del recentissimo set di norme può essere ricompresa solo riepilogando brevemente le vicende che hanno interessato i FIA nell’ambito dell’attività in questione.

In particolare, il Decreto Legge n. 91/2014 (c.d. “Decreto Competitività“) – convertito con modificazioni dalla Legge n. 116/2014 – aveva esteso alle imprese di assicurazione (oltre che ai veicoli di cartolarizzazione) la possibilità di erogare direttamente crediti, attività, quest’ultima, da sempre riservata – ai sensi dell’art. 106 del TUB – solo alle banche ed agli intermediari finanziari. Tale estensione era stata accompagnata da interventi normativi di coordinamento con la disciplina della riserva dell’attività finanziaria (nel TUB) e di chiarimento delle modalità per la concessione di crediti per le assicurazioni.

Il Decreto Competitività aveva, inoltre, introdotto un’apertura verso la possibilità di concessione di finanziamenti da parte dei fondi comuni di investimento attraverso una modifica della definizione di organismi di investimento collettivo del risparmio – OICR – contenuta nel d.lgs. n. 59/1998 (il “TUF“), con la previsione dell’investimento di questi in crediti, inclusi quelli emessi a valere sul proprio patrimonio. Proprio la locuzione “inclusi quelli a valere sul patrimonio” è stata utilizzata dal legislatore per estendere anche agli OICR la possibilità di concedere finanziamenti (tale assunto trova, peraltro, conferma nelle relazioni di accompagnamento delle disposizioni attuative del TUF).

Anche sul piano fiscale, il Decreto Competitività aveva confermato la predetta lettura prevedendo un’agevolazione fiscale in relazione agli interessi e ad altri proventi derivanti da talune forme di finanziamento alle imprese, anche erogate da OICR.

Nonostante tali spiragli normativi, tuttavia, in relazione ai fondi, non si era attuato alcun coordinamento con le previsioni del TUB, che continuavano ad attribuire solo a banche e ad intermediari finanziari la possibilità di esercitare l’attività di concessione di finanziamenti e che limitavano gli obblighi in materia di trasparenza a tali soggetti; inoltre, mancava del tutto una normativa secondaria idonea a definire le modalità entro cui tale attività avrebbe potuto essere esercitata (a differenza di quanto previsto per gli altri soggetti, vale a dire, assicurazioni e imprese di cartolarizzazione a cui il medesimo Decreto Competitività aveva esteso la possibilità di concedere finanziamenti).

Alla luce di tali considerazioni, nel contesto della quadro normativo precedente al D.L., sembrava pertanto preferibile, in ottica prudenziale, che gli OICR non prestassero l’attività di concessione di finanziamenti in maniera diretta, avvalendosi, piuttosto, di una banca o di un intermediario (in questo contesto si riteneva preferibile, ad esempio, che l’OICR instaurasse un rapporto esclusivamente con la banca o l’intermediario finanziario che cedeva il credito, evitando ogni rapporto diretto con i mutuatari).

Il testo del neo emanato D.L. fuga qualsiasi dubbio interpretativo e sancisce, per via legislativa, la possibilità anche per i fondi di esercitare direttamente l’attività di concessione di finanziamenti disciplinandone l’operatività.

In particolare, le modifiche al TUF apportate dal D.L. sono finalizzate a disciplinare l’attività di direct lending svolta in Italia da FIA italiani o europei, anche al fine di evitare arbitraggi regolamentari tra operatori di diversa nazionalità ed assicurare un omogeneo grado di protezione dei soggetti finanziati.

In particolare, il Decreto prevede che ai crediti erogati in Italia da FIA nazionali si applicano le norme del TUF e le relative norme attuative (vale a dire il regolamento della Banca d’Italia sulla gestione collettiva del risparmio del 19 gennaio 2015 e il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 30/2015).

Il nuovo articolo 46-ter del TUB disciplina la concessione di finanziamenti in Italia da parte di FIA UE stabilendo procedure e requisiti equivalenti a quelli previsti per gli operatori nazionali, in modo conforme ai principi internazionali previsti dal Financial Stability Board, anche al fine di prevenire i fenomeni dello shadow banking.

Tanto premesso, i FIA UE che intendano svolgere il direct lending in Italia dovranno comunicarlo preventivamente alla Banca d’Italia la quale avrà 60 giorni (durante i quali il FIA EU non potrà operare) per esprimere un eventuale diniego. Inoltre, ai fini dell’ottenimento del nulla osta, il FIA EU dovrà rispettare una serie di condizioni; in particolare:

a) dovrà essere autorizzato dall’autorità competente dello stato membro d’origine ad investire in crediti, inclusi quelli erogati a valere sul proprio patrimonio, nel paese di origine;

b) dovrà avere forma chiusa ed uno schema di funzionamento, soprattutto per quanto riguarda le modalità di partecipazione, analogo a quello dei FIA italiani che investono in crediti;

c) le norme del paese d’origine del FIA UE in materia di contenimento e di frazionamento del rischio, inclusi i limiti di leva finanziaria, dovranno essere equivalenti alle norme stabilite per i FIA italiani che investono in crediti. L’equivalenza rispetto alle norme italiane potrà essere verificata con riferimento anche alle sole disposizioni statutarie o regolamentari del FIA UE, a condizione che l’autorità competente dello stato membro di origine ne assicuri l’osservanza.

A tali disposizioni di rango primario dovranno aggiungersi quelle secondarie emanate da Banca d’Italia la quale, peraltro, potrà prevedere la partecipazione dei FIA UE alla centrale dei rischi.

Inoltre, per evitare fenomeni elusivi della disciplina nazionale prevista dal TUB per gli intermediari finanziari ed assicurare un omogeneo livello di protezione dei clienti, il nuovo art. 46-quater del TUB stabilisce che l’attività di concessione di finanziamenti da parte di FIA italiani ed europei sarà soggetta alle disposizioni in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti nonché alla relativa disciplina sanzionatoria di cui al TUB.

Sul piano fiscale, infine, il Decreto prevede una modifica dell’art. 26, comma 5-bis del DPR n. 600/1973 (in materia di imposta sui redditi), volta a chiarire che le norme ivi previste non possono non tener conto delle disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico di cui al TUB. La circostanza che il legislatore abbia ritenuto necessario tale ulteriore coordinamento con la normativa fiscale dimostra che la stessa non era, in assenza delle previsioni del D.L., sufficiente a ritenere possibile, per un OICR, l’attività di erogazione diretta del credito.

Alla luce di quanto fin qui evidenziato si intuisce, quindi, la vera portata delle novità introdotte dal D.L. il quale, in buona sostanza, ha reso possibile anche per gli OICR esercitare direttamente l’attività di concessione di finanziamenti che fino a questo momento, nonostante i contenuti del Decreto Competitività, non poteva considerarsi fattibile per via, soprattutto, del mancato coordinamento con la riserva di attività contenuta nel TUB.

Tale novità rende effettiva per le imprese italiane la possibilità di avvalersi di un importante canale di finanziamento ulteriore ed alternativo a quello bancario.

Basilea III: pubblicati i risultati dell’esercizio di monitoraggio al 30 giugno 2015

Mar 03 2016

Il Comitato di Basilea ha pubblicato i risultati dell’attività di monitoraggio del settore bancario mondiale alla luce degli accordi di Basilea III. L’esame, basato su un campione di 230 banche, 101 appartenenti al Gruppo 1 e 129 al Gruppo 2, ha avuto ad oggetto i dati al 30 giugno 2015. Il monitoraggio è stato condotto ipotizzando che la versione finale degli accordi sia pienamente in vigore: non sono stati, quindi, tenuti in considerazione gli accordi transitori previsti dalla normativa stessa.

I risultati mostrano che tutte le banche di grandi dimensioni rispettano i requisiti patrimoniali posti dalla nuova disciplina sia in termini di CET1 minimo che di livello target del 7% (considerando anche eventuali i requisiti patrimoniali addizionali previsti per le banche di rilevanza sistemica globale).
Per quanto riguarda gli indicatori di liquidità, sebbene le medie ponderate per entrambi i Gruppi mostrino un lieve calo rispetto al semestre precedente, l’84% delle banche ha riportato un LCR (Liquidity Coverage Ratio) pari o superiore al 100% (requisito in vigore dal 2019) mentre tutte le banche partecipanti hanno un LCR almeno pari al 60% (requisito in vigore alla data di riferimento dell’esame). La media ponderata dell’NSFR (Net Stable Funding Ratio) è pari al 111,9% per le banche del Gruppo 1 e al 114,0% per quelle del Gruppo 2.

Comunicato stampa
Report

EBA: pubblicati i risultati del monitoraggio CRD IV-CRR/Basel III al 30 giugno 2015

Mar 03 2016

L’EBA ha pubblicato il nuovo report sul monitoraggio del sistema bancario europeo svolto ai sensi della disciplina CRD IV – CRR e degli accordi di Basilea III. L’esercizio, svolto in parallelo a quello condotto dal Comitato di Basilea su scala mondiale, si basa sui dati forniti da 297 banche europee di cui 49 appartenenti al Gruppo 1 e 297 al Gruppo 2.

L’analisi, condotta su dati al 30 giugno 2015, evidenzia un ulteriore miglioramento della situazione patrimoniale delle banche europee. I risultati, infatti, mostrano che la gran parte degli istituti rispetta pienamente i requisiti patrimoniali di prossima adozione e solo un ristretto numero di banche presenta potenziali situazioni di shortfall (con una dotazione di capitale supplementare che si attesta al minimo storico di 1 miliardo di Euro).
Per la prima volta, l’esercizio di monitoraggio ha preso in considerazione anche il leverage ratio, così come definito dalla normativa UE, mostrando come tale indicatore rappresenti un vincolo regolamentare significativo per un cospicuo numero di istituti nel campione.

In tema di indicatori di liquidità, il valore medio di LCR (Liquidity Coverage Ratio) risulta pari al 121,2% per le banche del Gruppo 1 e al 156,7% per quelle del Gruppo 2. In particolare, il 90% delle banche partecipanti presenta un LCR superiore al requisito minimo del 70%, mentre 8 banche su 10 hanno un LCR superiore al 100% (valore soglia in vigore dal 2019).   L’analisi evidenzia un incremento dell’LCR che può essere attribuito ad aggiustamenti strutturali e alla riformulazione dell’impianto LCR avvenuto nel gennaio 2013.
Per quanto riguarda l’NSFR (Net Stable Funding Ratio), le banche del Gruppo 1 e del Gruppo 2 mostrano, rispettivamente, un valore medio del 104% e del 111%, in continuo aumento rispetto ai periodi precedenti. I risultati indicano, inoltre, che il 75% del campione rispetta il requisito minimo del 100%.

Comunicato stampa
Report

IOSCO: pubblicato secondo report sull’implementazione dei principi di benchmarking da parte degli amministratori IBOR

Mar 03 2016

Lo IOSCO (International Organization of Securities Commissions) ha pubblicato un report che raccoglie i risultati dell’indagine riguardante l’applicazione dei Principi in materia di benchmarking finanziario (definiti dallo stesso IOSCO) da parte degli amministratori dei tassi IBOR: EURIBOR, LIBOR e TIBOR.

L’analisi svolta mostra che le principali criticità individuate nel report precedente – del giugno 2014 – sono state risolte. Inoltre, secondo il giudizio dello IOSCO, gli amministratori dei 3 indici hanno sviluppato e potenziato le proprie politiche e procedure interne in diverse aree, quali la prevenzione dei conflitti di interesse, la consultazione degli stakeholder e la supervisione interna.

Il documento fornisce ulteriori commenti a ciascun amministratore con l’obiettivo di rafforzare l’implementazione dei Principi stessi. Alla luce del fatto che gran parte delle precedenti raccomandazioni hanno trovato applicazione, lo IOSCO non ha ritenuto necessario prevedere un ulteriore esame in merito al recepimento dei nuovi commenti.

Comunicato stampa
Report

L’EBA lancia gli stress test 2016 sulle banche UE

Mar 03 2016

L’Autorità Bancaria Europea, EBA, ha pubblicato la metodologia e gli scenari macroeconomici da applicare per gli stress test 2016. Le istituzioni interessate sono 51 (rappresentative del 70% del totale degli asset bancari dell’UE), tra le quali ci sono 5 banche italiane: UniCredit, Intesa Sanpaolo, Mps, Banco Popolare e Ubi Banca.

Confermata l’assenza di soglie minime di capitale da rispettare: obiettivo principale dei test è di fornire uno strumento di vigilanza i cui risultati confluiranno nel processo SREP della BCE (fase in cui eventuali misure correttive potranno essere prese in considerazione).

Gli stress test saranno condotti alla luce di uno scenario avverso che riflette i 4 rischi sistemici che rappresentano attualmente le minacce più significative alla stabilità del sistema bancario UE:

– brusca inversione dei premi per il rischio globali, amplificata da una ridotta liquidità del mercato secondario;
– deboli prospettive di redditività per banche e assicurazioni in un contesto caratterizzato da bassi tassi di    crescita nominale e aggiustamenti di bilancio incompleti;
– aumento delle preoccupazioni sulla sostenibilità del debito del settore pubblico e del settore privato non finanziario;
– potenziali tensioni riguardanti un sistema bancario ombra in rapida crescita, amplificate dai rischi di contagio e liquidità.

Come risultato combinato delle tensioni sui mercati intra ed extra UE, lo scenario avverso prevede la seguente dinamica del PIL UE: -1,2% nel 2016, -1,3% nel 2017 e +0,7% nel 2018.
Inoltre si considerano una riduzione tra il 2,5% e il 4,6% del tasso di crescita cumulata nelle economie avanzate rispetto allo scenario base nel 2018, e una riduzione tra il 4,5% e il 9,7% del PIL totale dei paesi emergenti rispetto alle proiezioni di base nel 2018.

Comunicato stampa
Nota metodologica
Scenario macroeconomico avverso
Scenario rischio di mercato