FSB: pubblicata seconda analisi tematica sulle procedure di risoluzione

Mar 23 2016

Il Financial Stability Board (FSB) ha pubblicato il documento “Second Thematic Review on Resolution Regimes” riguardante lo stato attuale dei regimi di risoluzione delle istituzioni finanziarie applicati nelle singole giurisdizioni membri FSB. L’analisi rientra in una serie di studi svolti dal Board a supporto dell’implementazione tempestiva ed efficace delle linee guida definite dal documento “Key Attributes of Effective Resolution Regimes for Financial Institutions” in materia di procedure di risoluzione.
Le principali evidenze riscontrate sono le seguenti:

– Solo una parte delle giurisdizioni membri (principalmente le giurisdizioni domestiche delle banche di importanza sistemica globale) ha già adottato regimi di risoluzione che prevedono l’attribuzione alle autorità preposte di una gamma di poteri in linea con i Key Attributes. Nella maggior parte delle giurisdizioni non conformi, si riscontra la mancata assegnazione dei poteri riguardanti la continuità delle funzioni dell’istituzione finanziaria, il bail-in e la sospensione temporanea dei diritti di recesso anticipato;

– Sebbene i regimi di risoluzione si applichino a tutte le tipologie di banche commerciali, l’estensione alle holding finanziarie con partecipazioni bancarie, alle filiali di banche estere e ad altri enti facenti parte di un gruppo finanziario differisce significativamente tra le varie giurisdizioni membri;

– Esistono importanti discrepanze tra i diversi impianti normativi per quanto riguarda i requisiti per l’applicazione delle procedure di risoluzione e il loro livello di dettaglio;

– Maggiore enfasi è stata attribuita alla definizione dei processi di pianificazione dei risanamenti piuttosto che alla pianificazione della risoluzione o alla valutazione della risolvibilità.  In particolare, solo 9 giurisdizioni membri prevedono esplicitamente l’attribuzione di poteri regolamentari che permettano di richiedere alle banche l’adozione di misure per migliorare la risolvibilità.

Come conseguenza, il documento include numerose raccomandazioni affinchè le singole normative siano pienamente conformi ai pricipi dei Key Attributes. Tra queste, l’FSB raccomanda di attribuire i poteri di risoluzione mancanti e adeguare i regimi di risoluzione alla luce delle discrepanze rilevate nel report. L’FSB, inoltre, richiede alle singole giurisdizioni di comunicare – entro dicembre 2016 – le misure adottate o che intendono adottare per colmare tali lacune.

Pubblicato Handbook del Comitato di Basilea per la valutazione della conformità RCAP

Mar 23 2016

Il Comitato di Basilea ha pubblicato il documento “Handbook for Jurisdictional Assessments” contenente le linee guida e i processi per la valutazione della conformità dei singoli impianti normativi con gli standard di Basilea ai sensi del programma RCAP (Regulatory Consistency Assessment Programme).
L’Handbook presenta sia un quadro di riferimento generale che processi e procedure specifiche per valutare la conformità nelle seguenti aree:

– norme in materia di risk-based capital;
Liquidity Coverage Ratio;
– banche di rilevanza sistemica globale.

Il documento sarà oggetto di aggiornamenti periodici per tener conto delle modifiche e dei perfezionamenti apportati al perimetro RCAP.

Comunicato stampa
Handbook for Jurisdictional Assessments

Mercati finanziari: per l’ESMA il livello di rischio rimane elevato

Mar 23 2016

L’ESMA ha pubblicato il documento “Trends, Risks and Vulnerabilities Report No. 1 2016” che riporta le dinamiche e i fattori di rischio dei mercati finanziari europei per il secondo semestre del 2015.
L’analisi mostra il permanere di alti livelli di rischio di mercato dovuti principalmente all’incertezza sulla crescita dei paesi emergenti (Cina in primis) e ai continui ribassi dei prezzi delle materie prime. Tra le criticità maggiori si segnalano:

– Calo del 19% dei mercati azionari europei in generale e del 27% del settore finanziario;

– distorsioni significative sui mercati delle materie prime e delle economie emergenti;

– Contrazione del 50% della raccolta fondi e disinvestimento netto dal mercato obbligazionario per 11 miliardi di Euro;

– Ribasso del 30% dei rendimenti mensili medi dei fondi azionari accompagnato dai livelli massimi di volatilità degli ultimi 3 anni.

Come conseguenza, l’ESMA ha mantenuto il proprio market risk indicator a livello very high (il più alto possibile) e l’indicatore dei rischi di liquidità e contagio a livello high, entrambi con outlook stabile. L’analisi è completata dalla pubblicazione del report trimestrale “Risk Dashboard No. 1 2016” contenente i dati relativi al quarto trimestre 2015.

Comunicato stampa
Trends, Risks and Vulnerabilities Report No. 1 2016
Risk Dashboard No. 1 2016

Le armi spuntate di Draghi
di Carlo Milani

Mar 23 2016
Le armi spuntate di Draghi    di Carlo Milani

Al fine di contrastare il perdurante problema del basso livello dei prezzi nell’Area euro la BCE ha messo sul tappeto, durante l’ultima riunione del 10 marzo, un nuovo arsenale di misure.

Le misure convenzionali

Un primo pacchetto di interventi ha riguardato il tradizionale strumento dei tassi d’interesse. In linea con le attese dei mercati, il tasso sulle somme depositate presso la BCE dalle istituzioni finanziarie e monetarie è sceso di altri 10 punti base, passando dal -0,30 al -0,40%. La BCE ha quindi ulteriormente aumentato la penale che le banche sono tenute a pagare nel caso in cui dispongano di liquidità in eccesso, non curandosi pertanto dei molti dubbi sollevati sull’efficacia di questa misura. Le banche dell’eurozona, infatti, continuano a detenere un ingente quantitativo di deposit facility (circa 250 miliardi di euro a febbraio 2016 – grafico 1). Data la ritrosia delle banche nell’applicare tassi negativi sui depositi della clientela per il rischio di perdere una stabile fonte di finanziamento, nonché in certi casi per effetto di alcuni vincoli normativi che impediscono di applicare ai conti corrente tassi al di sotto dello zero, gli istituti di credito europei hanno visto aumentare il costo della raccolta. Per il momento questo maggior costo non si è trasferito sulla clientela, tant’è che i tassi d’interesse applicati a imprese e famiglie mostrano una tendenza decrescente. In Svizzera, dove la Banca Centrale si è spinta già da molto tempo nell’applicare tassi negativi fino a un livello del -0,75%, gli operatori stanno riscontrando alcuni effetti opposti rispetto ai desiderata dell’autorità monetaria, come alcune tendenze all’aumento dei tassi applicati sui mutui. In Giappone, dove la Bank of Japan ha recentemente adottato tassi negativi, si è registrata invece un’impennata delle vendite delle casseforti, chiaro segnale del fatto che i giapponesi si preparano a tesaurizzare banconote dentro le mura domestiche per evitare di pagare possibili penali sulla liquidità detenuta.

Grafico 1

Meno attese sono state invece le manovre sul tasso di rifinanziamento principale, portato dallo 0,05 allo 0,00%, e quello sulle operazioni di rifinanziamento marginale (da 0,30 a 0,25%). Dalla variazione di appena 5 punti base non ci si può attendere ovviamente importanti effetti macroeconomici. In questo caso la BCE ha voluto essenzialmente offrire al mercato il segnale che è disposta a utilizzare tutti gli strumenti a sua disposizione per raggiungere l’obiettivo di riportare l’inflazione sul target del 2%.

Le misure non convenzionali. Il QE

Tra le misure non convenzionali la BCE è andata nuovamente a rivedere, e ampliare, il precedente programma di acquisti di titoli di Stato, covered bond e ABS (expanded asset purchase programme, o più brevemente QE, quantitative easing. Si veda Corsaro e Milani, 2015). Dopo essere già intervenuta nel dicembre del 2015 per allungare la scadenza del QE, passata dal settembre 2016 a marzo 2017, il programma è stato ampliato nella sua portata, aumentando da 60 miliardi di euro di acquisti mensili a 80 a decorrere dall’aprile dell’anno in corso. Un aumento di un terzo degli acquisti mensili ha stupito i mercati, che invece si aspettavano un incremento di “soli” 10 miliardi. Inoltre, un’altra novità ha riguardato il perimetro dei potenziali titoli eleggibili. Alla lista si sono infatti aggiunti i titoli emessi dalle società non finanziarie operanti nell’Area euro e aventi un rating investment grade (BBB- o superiore). In altri termini, la BCE potrà acquistare emissioni obbligazionarie di solide imprese non finanziarie europee, come ad esempio Eni o Enel per il caso italiano.

Grafico 2. Composizione dello stock obbligazioni emesse in euro da imprese non finanziarie dell’Area euro
(dati relativi a gennaio 2016)

Al momento mancano i dettagli tecnici su questa nuova misura, quindi è difficile darne una valutazione esaustiva. In ogni caso va rilevato che le emissioni di obbligazioni corporate sono molto diverse da paese a paese. Guardando allo stock totale di bond, includendo quindi anche quelli con un rating inferiore all’investment grade, si può notare come la Francia sia il paese in cui le aziende non finanziarie hanno emesso più obbligazioni in valuta domestica (430 miliardi di euro a gennaio 2016), seguita da Germania (126 miliardi) e da Italia (113 miliardi – grafico 2). L’ammontare totale comunque non è molto ampio, essendo pari a poco meno di 900 miliardi di euro, cifra che impallidisce di fronte ai quasi 7.500 miliardi di titoli pubblici emessi in valuta domestica dai paesi dell’Eurozona (grafico 3). Gli spazi quindi per concentrare gli acquisti sui corporate bond non finanziari sono abbastanza limitati.

 Grafico 3. Stock di titoli obbligazionari emessi in euro
(in miliardi di euro)

Le misure non convenzionali. Il T-LTRO II

Ultima misura varata dalla BCE è una nuova versione del T-LTRO (Targeted Longer-Term Refinancing Operations). Dalle informazioni che attualmente la BCE ha messo a disposizione si desume che il programma T-LTRO II prevedrà quattro finestre temporali, con cadenza trimestrale, in cui le banche potranno avanzare richiesta di finanziamento (la prima nel giugno dell’anno in corso). La durata dell’operazione sarà di quattro anni, con possibilità di rimborso anticipato dopo due anni. Le banche potranno prendere a prestito fino a un massimo del 30% del valore dello stock di impieghi erogati, nel gennaio 2016, a imprese e famiglie, con esclusione dei prestiti per acquisto di abitazioni e al netto dei prestiti già ricevuti in virtù del primo programma di T-LTRO, in cui la soglia massima ottenibile, per lo stesso perimetro di impieghi, era pari al 7% (Barucci, Corsaro, Milani, 2014). Posto che le banche hanno utilizzato al massimo delle potenzialità il T-LTRO I, lo spazio lasciato aperto per ulteriori finanziamenti è pari al 23% del totale dei finanziamenti eleggibili. Per la Germania ciò equivale a circa 310 miliardi di euro, 270 per la Francia, 240 per l’Italia (grafico 4).

Il tasso applicato su queste operazioni di finanziamento è pari al tasso di riferimento, ovvero lo 0%.  Viene però fissato un benchmark che può garantire alle banche un’ulteriore convenienza nell’attivare queste operazioni e  basato sulla dinamica del flusso di credito, registrato tra febbraio 2015 e gennaio 2016, verso le categorie di prenditori considerate. Nello specifico:

– per le banche che hanno osservato un flusso positivo di impieghi il benchmark è pari a zero;

– per le banche che hanno registrato una diminuzione il benchmark è pari al flusso di crediti eleggibili nel periodo. Ciò implica che per le banche che hanno ridotto il credito non necessariamente dovranno aumentare lo stock di credito, sarà infatti sufficiente diminuirlo a un tasso più contenuto.

Grafico 4. Ammontare potenziale del T-LTRO II
(in miliardi di euro)

Gli istituti di credito che tra il 1° febbraio 2016 e il 31 gennaio 2018 dovessero superare del 2,5% il benchmark potrebbero ottenere uno “sconto” sull’operazione, pagando il tasso sulle deposit facility, pari attualmente al -0,4%. Qualora il flusso di credito superasse il benchmark per una percentuale inferiore alla soglia stabilita lo sconto sarebbe calcolato in maniera lineare sulla base della differenza tra il tasso di rifinanziamento e il tasso sulle deposit facility. In altri termini, le banche che grazie ai finanziamenti ottenuti dovessero allentare le loro politiche creditizie potrebbero, alla scadenza dell’operazione, ripagare un importo inferiore rispetto a quello preso a prestito. Ad esempio, alle attuali condizioni una banca che prendesse a prestito un miliardo di euro e riuscisse a battere il benchmark per oltre il 2,5% ripagherebbe dopo quattro anni 984 milioni di euro, con un risparmio di 16 milioni.

Mancando anche su questa misura tutti i dettagli tecnici il giudizio che si può fornire è solo parziale. Dalle informazioni disponibili appare però improbabile che questo strumento fornirà uno stimolo necessario alle banche per riattivare il canale di trasmissione bancario riportando così l’inflazione verso il target. Non sembrano infatti presenti sufficienti disincentivi che potrebbero spingere le banche semplicemente a finanziarsi per quattro anni a tasso zero e utilizzare questa forma di provvista per sostituire, quanto meno in parte, le obbligazioni bancarie in scadenza, il cui rendimento all’emissione per le banche italiane si aggira intorno al 2%. Tra risparmiare il 2%, senza assumersi rischi e cliccando giusto qualche tasto su un terminale elettronico, ed erogare un finanziamento a un’impresa assumendosene rischi e costi di gestione, a fronte di un rendimento medio che, incluso il “bonus” BCE dello 0,4%, si aggirerebbe intorno al 3,5% circa, probabilmente le banche opteranno più per la prima strada.

Conclusione

La BCE, con gli ultimi interventi, ha dimostrato ancora una volta di essere l’unica istituzione europea capace al momento di offrire una qualche risposta alle perduranti difficoltà macroeconomiche e finanziarie dell’Area euro. L’opposizione interna, coalizzata intorno alla Bundesbank, ha però impedito in questi anni di intervenire in modo più tempestivo, facendo così diminuire l’efficacia delle misure messe più recentemente in campo. Una conferma al riguardo è fornita dall’andamento implicito dell’inflazione dell’Area euro desumibile dai titoli obbligazionari ad essa indicizzati (grafico 5). Se dopo i recenti annunci di Mario Draghi, e le sue anticipazioni, gli indici azionari hanno recuperato parte del terreno perso da inizio anno, le attese sull’inflazione a 5 anni sono andate invece peggiorando.

Le armi a disposizione della BCE per combattere la deflazione non sono comunque finite. Un QE asimmetrico, in cui gli acquisti si concentrino soprattutto sui titoli dei paesi periferici, e l’ampliamento dei titoli eleggibili alle cartolarizzazioni con sottostante le sofferenze bancarie sono probabilmente le misure aggiuntive che più efficacemente potrebbero essere messe in atto. Più in generale, comunque, va ribadito che la politica monetaria può far ben poco per rilanciare l’economia reale in un contesto in cui è prevale negli operatori economici una preferenza per la liquidità. Solo una seria politica fiscale espansiva potrebbe rimettere in moto il motore della crescita europea, da troppi anni oramai ingolfato.

Grafico 5. Inflazione attesa e indici azionari

Bibliografia

Barucci E., Corsaro S., Milani C., Il funding for lending nella versione BCEFinRiskAlert.it del 9 Giugno 2014.
Corsaro S., Milani C., Pro e contro del Quantitative Easing europeoFinRiskAlert.it del 2 Febbraio 2015.

Terzo Pilastro: il Comitato di Basilea lancia consultazione sulle modifiche al quadro normativo

Mar 16 2016

Il Comitato di Basilea ha pubblicato il documento di consultazione “Pillar 3 disclosure requirements – consolidated and enhanced framework”, contenente le proposte di modifica al Terzo Pilastro degli Accordi di Basilea sulla Vigilanza Bancaria. Le modifiche, volte a migliorare la disciplina attuale, riguardano:

– individuazione di un set di indicatori “chiave” per valutare la posizione prudenziale della singola istituzione finanziaria;

– divulgazione degli ipotetici RWA calcolati secondo l’approccio standardizzato;

– aumento della granularità nella comunicazione degli aggiustamenti apportati alla valutazione prudenziale.

Nuovi requisiti di trasparenza, inoltre, sono introdotti nel perimetro del Terzo Pilastro in modo da riflettere le modifiche al quadro normativo attualmente in corso. Tra queste, è istituito l’obbligo di divulgazione della TLAC (total loss-absorbing capacity) per le banche a rilevanza sistemica.
Le modifiche formulate nel documento di consultazione andranno a comporre, unitamente ai requisiti di trasparenza emessi nel gennaio 2015, il nuovo quadro di riferimento del Terzo Pilastro.

La consultazione avrà termine il 10 giugno 2016.

Comunicato stampa
Documento di consultazione

Cartolarizzazioni STS: Opinione BCE sulle proposte del Parlamento Europeo e del Consiglio in tema di regolamentazione comune e modifiche al regolamento CRR

Mar 16 2016

La BCE ha pubblicato un’Opinione riguardante le proposte formulate dal Parlamento Europeo e dal Consiglio per le cosiddette cartolarizzazioni STS (simple, transparent and standardised). In particolare gli argomenti oggetto dell’Opinione sono:

– creazione di un impianto normativo comune;

– modifica alla disciplina dei requisiti prudenziali per questa tipologia di operazioni ai sensi del Regolamento (EU) N. 575/2013 (Regolamento CRR) .

Il documento della BCE, formulato a seguito della richiesta del Consiglio Europeo, accoglie favorevolmente le iniziative legislative e ne condivide gli obiettivi comuni di rafforzamento dell’integrazione dei mercati finanziari UE e di creazione di un trattamento delle cartolarizzazioni STS che sia più sensibile al rischio.

Opinione

Consultazione ESMA sulla reportistica SFTR

Mar 16 2016

L’ESMA ha pubblicato un documento di consultazione riguardante gli strumenti di reportistica da adottare ai sensi del nuovo Regolamento SFTR (Securities Financing Transactions Regulation). La nuova disciplina sulla trasparenza (ed in particolare sulle attività del cosiddetto sistema bancario ombra) richiede, infatti, alle istituzioni operanti sul mercato di comunicare le informazioni sulle operazioni di securities financing,

La consultazione avrà termine il 22 aprile 2016.

Comunicato stampa
Documento di consultazione

Risoluzione del Parlamento Europeo sullo stato della Banking Union

Mar 16 2016

In data 10 marzo, il Parlamento Europeo ha adottato la prima risoluzione annuale riguardante la Banking Union (BU) con 351 voti favorevoli, 112 contrari e 30 astensioni. Contestualmente è stato approvato il Report sullo stato della BU nel 2015.
Sebbene l’istituzione del Single Supervisory Mechanism sia considerata un successo, il Report identifica diversi problemi e significativi margini di miglioramento per giungere al completamento della BU. In particolare si evidenzia la necessità di un coordinamento efficace tra politiche micro e macro-prudenziali e della stabilizzazione del quadro normativo e di vigilanza.

Il Parlamento Europeo chiama in causa la Commissione Europea e le Autorità di Vigilanza Europee affinché conducano analisi approfondite sugli effetti prodotti dai nuovi requisiti patrimoniali sulla concessione di credito da parte delle banche, con particolare rilievo al caso delle piccole e medie imprese.

Come segnalato nel Report, i membri del Parlamento hanno accolto favorevolmente il pacchetto di misure legislative della Commissione Europea volto ad istituire uno schema di protezione dei depositi a livello Europeo (European Deposit Insurance Scheme o EDIS). Il documento, inoltre, evidenzia come l’applicazione dello strumento del bail-in possa comportare una riduzione sistematica del rischio di moral hazard. Allo stesso tempo, però, si invita il Single Resolution Board a controllare attentamente affinché l’applicazione della nuova discplina avvenga in modo graduale e imparziale così da garantire la stabilità finanziaria e mantenere la fiducia nel sistema bancario.

Report

Cresce l’industria dei mini-bond in Italia
di Giancarlo Giudici

Mar 16 2016
Cresce l’industria dei mini-bond in Italia    di Giancarlo Giudici

L’ultimo report annuale pubblicato dall’Osservatorio mini-bond del Politecnico di Milano mostra una progressiva e stabile crescita dell’industria in Italia.
La ricerca considera le emissioni da parte di società di capitali o cooperative aventi operatività propria (escludendo banche e assicurazioni) di importo massimo fino a € 500 milioni, non quotate su listini aperti agli investitori retail.
Se per le grandi imprese l’accesso al mercato mobiliare è una via piuttosto agevole, per le PMI sono numerose le difficoltà sia dal punto di vista culturale, sia dal punto normativo. Storicamente, infatti, la dipendenza delle piccole imprese dai finanziamenti bancari è in Italia più forte che altrove.
Da qui nascono le innovazioni legislative che dal 2012 in avanti hanno offerto alle PMI (con l’esclusione delle sole microimprese) l’opportunità concreta di aprire un nuovo canale di finanziamento diretto sul mercato.
Il 2015 si è confermato un anno di progressiva crescita anche per la piattaforma di scambio ExtraMOT PRO, gestita da Borsa Italiana, che ha consentito alle imprese di individuare un mercato secondario ‘adatto’ per i mini-bond, con procedure di ammissione semplici, rapide e poco costose: un mercato che in tre anni è riuscito ad arrivare alla soglia di 126 titoli quotati a fine 2015 per un controvalore nominale complessivo di oltre € 5 miliardi, pur con scambi ridotti data la logica ‘buy-and-hold’ di molti investitori come i fondi chiusi.
La ricerca, considerando i parametri prima introdotti, ha identificato 145 imprese che alla data del 31 dicembre 2015 avevano collocato mini-bond in Italia (di cui 48 per la prima volta nel 2015). Fra queste, 55 sono identificabili come PMI non finanziarie. Rispetto al 2014, nel 2015 è aumentata la proporzione delle PMI, passando dal 39,6% al 48,1%.
In gran parte le emittenti sono società per azioni (l’86,2%), ma sono rappresentate pure società a responsabilità limitata e cooperative. Nel campione compaiono anche 17 imprese già quotate sul mercato azionario.
Il fatturato delle imprese emittenti è molto variabile; la fascia più numerosa del campione si concentra fra € 100 milioni e € 500 milioni, ma compaiono anche ben 23 società con fatturato inferiore a € 10 milioni. Nel 2015 è cresciuto il numero di emittenti con fatturato compreso fra € 10 milioni e € 25 milioni, mentre sono diminuite quelle con volume fra € 25 milioni e € 100 milioni.
Per quanto riguarda il settore di attività, si registra la netta supremazia del settore manifatturiero, soprattutto grazie alle grandi imprese e alle nuove emittenti del 2015.
I settori rappresentati sono comunque molti diversificati, dal commercio alle utilities, dai servizi finanziari all’immobiliare, dall’informatica alle costruzioni.
La collocazione geografica evidenzia una netta prevalenza delle regioni del Nord sebbene il 2015 abbia visto una piccola ‘riscossa’ del Meridione e un ‘crollo’ di Lombardia e Veneto, passati da 33 emittenti nel 2014 a 13 nel 2015.
Analizzando le dichiarazioni delle emittenti, si conferma come dominante l’obiettivo di finanziare la crescita interna dell’azienda (nel 64% dei casi, soprattutto per le PMI). Al secondo posto emerge l’obiettivo di ristrutturare le passività dell’impresa (soprattutto per le grandi imprese). Seguono le strategie di crescita esterna tramite acquisizioni, e il fabbisogno di alimentare il ciclo di cassa del capitale circolante.
L’Osservatorio ha inoltre analizzato i bilanci delle PMI non finanziarie che hanno emesso mini-bond, dai quali si evidenziano, in media, trend positivi della redditività e della situazione di liquidità prima dell’emissione, connessi ad una buona riduzione della leva finanziaria.
Per quanto riguarda le emissioni, partire da novembre 2012 sono stati registrati 179 collocamenti (in alcuni casi le imprese hanno condotto più emissioni). Si tratta in gran parte di obbligazioni, ma compaiono anche 19 cambiali finanziarie, spesso nell’ambito di programmi ‘rolling’. Il valore nominale totale dei mini-bond supera € 7 miliardi (€ 634,4 milioni considerando solo le 95 emissioni fatte da PMI, € 1,36 miliardi considerando solo le 152 emissioni sotto € 50 milioni).
Il 2015 ha visto una ulteriore riduzione del valore medio delle emissioni (€ 22 milioni nel secondo semestre rispetto a € 28 milioni nello stesso periodo del 2014 e a € 100 milioni nel 2013).
Nel campione totale, le emissioni sotto € 50 milioni sono la stragrande maggioranza (l’85%). Il 47% è sotto la soglia di € 5 milioni.
Molti titoli (136 su 177) sono stati quotati su ExtraMOT PRO ma la frequenza è calata nel 2015. Alcune emissioni (8) sono state quotate su listini esteri (in Germania, Irlanda, Austria e Lussemburgo).
Per quanto riguarda la scadenza, si conferma una netta concentrazione sul valore di 5 anni, soprattutto per le grandi imprese. Il valore medio per tutto il campione è 5,67 anni, quello mediano 5 anni. Alcuni mini-bond (soprattutto le cambiali finanziarie) hanno scadenza molto breve; esistono invece 22 titoli con scadenza superiore a 7 anni.
Il 2015 ha visto una riduzione della maturity, con una media di 5,00 anni rispetto a 6,81 nel 2014.
Nella maggioranza dei casi (il 58,8%) il rimborso del titolo è previsto alla scadenza (bullet), soprattutto per le grandi imprese e per quelle già quotate in Borsa. Nelle PMI e nelle emissioni sotto € 50 milioni è relativamente più frequente la modalità amortizing, con un rimborso graduale fino alla scadenza.
Per quanto riguarda la cedola, in quasi tutti i casi è stata fissata all’inizio del prestito, mentre in 19 casi è stata legata ad un benchmark variabile nel tempo. Il valore medio della cedola fissa per l’intero campione è pari a 5,65%, quello mediano è il 5,7%. Si riscontra una riduzione del coupon nel 2015 rispetto al 2014 (la media è 5,07% rispetto a 5,83% dell’anno prima).
I mini-bond del campione sono associati a un rating nella metà dei casi (di cui il 26% ‘pubblico’ e distribuito quasi equamente fra investment grade e speculative grade mentre il 23% è unsolicited o undisclosed).
Per quanto riguarda gli investitori che hanno sottoscritto mini-bond, il 2015 ha visto l’assoluto protagonismo dei fondi chiusi, che raggiungono la quota del 35,8% del capitale totale raccolto sul mercato, seguiti dalle banche estere (essenzialmente la BEI, con il 15,3%), dalle banche italiane (14,9%), dai fondi esteri (11,4%) e dai fondi aperti e gestioni patrimoniali delle SGR italiane (9,7%).
La ricerca ha censito 12 fondi chiusi di private debt che alla data del 31/12/2015 avevano già investito € 450 milioni nei mini-bond italiani. A questi si aggiungono 7 fondi in fase di prossimo closing e 4 iniziative in fase di avvio del fundraising. Alcune di queste iniziative saranno supportate dal Fondo Italiano di Investimento.
Nel complesso, la stima delle ulteriori risorse disponibili per i mini-bond, in caso di raggiungimento dei target previsti, potrebbe arrivare a € 900 milioni.
Si può affermare che il potenziale di sviluppo dei mini-bond fra le PMI rimane significativo. Per il 2016 le aspettative sono quelle di una crescita in linea con i dati del 2015 e di un’innovazione incrementale nella tipologia degli strumenti e nelle prassi.
Del tutto da scoprire sono ancora le potenzialità riferite agli ambiti delle cartolarizzazioni dei mini-bond e dei project-bond.