Capital Market Union: una sintesi del processo, punti critici e prospettive*
di Lorenzo Codogno

Apr 13 2016
Capital Market Union: una sintesi del processo, punti critici e prospettive*  di Lorenzo Codogno

* Articolo pubblicato su Lettera Assiom Forex – Febbraio 2016

L’economia europea è fortemente dipendente dal sistema bancario per il suo finanziamento. La maggior parte della letteratura economica tende ad avvalorare l’importanza dei mercati dei capitali per la crescita economica e per la riduzione del rischio sistemico (ad es. Langfield e Pagano, 2015). E questo a maggior ragion vale nella situazione attuale, nella quale il canale del finanziamento bancario fatica a svolgere in pieno il suo ruolo.

Infatti, il nuovo quadro di regole e di supervisione, con conseguente maggiore assorbimento di capitale, e il carico pesante di crediti deteriorati riducono la propensione delle banche a prestare denaro a debitori percepiti come rischiosi. Ne risulta un effetto pro-ciclico che deprime la crescita del credito, nonostante la politica ultra-accomodante della Banca Centrale Europea. Quindi, anche solo per contrastare queste forze, una maggiore diversificazione delle fonti di finanziamento sarebbe desiderabile, anche per il sistema bancario stesso.

La capitalizzazione complessiva dei mercati azionari europei è di circa il 65% del PIL, la metà della percentuale degli Stati Uniti, mentre in Italia vale circa il 35%. La dimensione del mercato azionario è meno della metà di quello statunitense e il mercato obbligazionario è meno di un terzo. Rispetto agli Stati Uniti, le famiglie dell’Unione Europea hanno il doppio dei depositi bancari e soltanto la metà degli investimenti in fondi comuni e azioni (Hill, 2015). Nonostante l’accresciuta integrazione e lo sviluppo dei mercati finanziari nei primi anni dell’Unione Monetaria, non è stato centrato l’obiettivo iniziale di creare un mercato finanziario integrato e di grandi dimensioni, che potesse competere con quello statunitense (ad es. Codogno, 1998).

Il concetto di libertà nei movimenti dei capitali era già incapsulato nel Trattato di Roma più di 50 fa, ma dopo tanti anni i mercati finanziari in Europa rimangono ancora frammentati e organizzati secondo direttrici nazionali. Dopo un periodo di crescente integrazione, soprattutto a seguito dell’avvio dell’unione monetaria, la crisi economico-finanziaria degli ultimi anni ha portato verso una nuovo ripiegamento all’interno dei confini nazionali sia dell’attività bancaria sia degli investimenti privati nei mercati dei capitali.

Un mercato dei capitali rafforzato e pienamente integrato consentirebbe di liberare risorse per gli investimenti, soprattutto quelli delle piccole e medie imprese, attrarrebbe più investimenti dal resto del mondo e renderebbe il sistema finanziario più stabile diversificando le fonti di finanziamento. Un mercato più grande promuoverebbe anche maggiore concorrenza, maggiore offerta, costi inferiori, una più efficiente distribuzione del rischio e una maggiore capacità di assorbimento di shock avversi.

 E’ in questo quadro che si inserisce il progetto di un’Unione dei Mercati dei Capitali in Europa, o Capital Market Union (CMU). Nel luglio del 2014 l’attuale Presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, lanciò per la prima volta l’idea (Juncker, 2014). A fine 2014 fu nominato un nuovo Commissario, Jonathan Hill, le cui responsabilità comprendono “la stabilità finanziaria, i servizi finanziari e l’unione dei mercati dei capitali”. La Commissione europea pubblicò successivamente, nel febbraio del 2015, un Green Paper (CE, 2015a) nel quale si delinearono i tratti principali del progetto e si diede il via ad una consultazione pubblica conclusasi tre mesi dopo. Più di 700 risposte alla consultazione pubblica pervennero dagli stakeholders (CE, 2015b) e il Parlamento europeo e il Consiglio dell’Unione europea diedero entrambi il loro forte sostegno alle priorità e all’approccio indicati dalla Commissione (Council of the EU, 2015). Tutto ciò permise alla Commissione di costruire un piano d’azione (“Action Plan for a Capital Market Union”), pubblicato poi il 30 settembre del 2015 (CE 2015c), con l’obiettivo di contribuire a creare un vero mercato unico dei capitali in tutti i 28 Stati membri dell’Unione Europea entro la fine del 2019.

 Per raggiungere questi obiettivi sono state pianificate numerose iniziative, anche piccole ma nel loro complesso importanti, per rimuovere gli ostacoli che si frappongono allo sviluppo del mercato dei capitali e per favorire un’allocazione del risparmio più efficiente all’interno dell’Europa. I punti principali del piano d’azione della Commissione europea comprendono:

(1)  L’ampliamento delle opportunità per gli investitori istituzionali e per quelli privati. La Commissione farà delle proposte su come aumentare le opzioni e la competizione nell’offerta di servizi finanziari transfrontalieri per la clientela privata e per offrire un “passaporto europeo” più efficace. Saranno esplorate le possibili iniziative per lo sviluppo di un mercato europeo per pensioni private e per offrire alle famiglie migliori soluzioni per realizzare i loro obiettivi pensionistici.

(2)  La facilitazione dell’accesso al mercato e la raccolta di capitali per le società. Questo comprende il finanziamento dell’innovazione, delle start-ups e delle società non quotate, l’investimento a lungo termine, compreso quello per le infrastrutture e la sostenibilità ambientale.

(3)  Il rafforzamento della cornice di riferimento per un sistema finanziario più solido e resiliente. Questo dovrebbe essere raggiunto con un nuovo quadro di regolamentazione, un approccio teso a favorire l’investimento a medio e lungo termine e rendere il sistema meno vulnerabile a shocks.

 Pur essendo un piano a medio termine, in settembre la Commissione ha presentato una prima serie di proposte urgenti miranti a rilanciare i mercati delle cartolarizzazioni di alta qualità e a promuovere gli investimenti a lungo termine in infrastrutture. Inoltre, ha avviato due consultazioni sui fondi per il venture capital e sulle obbligazioni garantite.

Il 2 dicembre, il Consiglio dell’Unione Europea ha approvato un primo pacchetto che include: (1) una regolamentazione sulle cartolarizzazioni che si applicherà a tutte le operazioni del genere che si svolgeranno in futuro, in particolare per la parte due diligence, la suddivisione del rischio, la trasparenza e la semplificazione delle regole, nonché i criteri per l’identificazione di ‘cartolarizzazioni semplici, trasparenti e standardizzate’ (STS securitisation), (2) una proposta di modifica della Regolamentazione per i Requisiti di Capitale per fare in modo che il trattamento delle cartolarizzazioni per le banche e le società d’investimento sia meglio parametrata al rischio e al contempo più adeguatamente rifletta le specifiche caratteristiche dei prodotti. L’obiettivo dichiarato è quello di promuovere un mercato delle cartolarizzazioni sostenibile, liquido e robusto capace di attrarre un più ampio e stabile spettro di investitori per meglio allocare il capitale dove più è necessario all’interno dell’economia. Infine, la proposta della Commissione tende a rafforzare il ruolo degli investitori non-bancari di lungo periodo come le società d’assicurazione. Ad esempio, le proposte di revisione della normativa Solvency II ridurrebbero l’assorbimento di capitale per l’investimento in infrastrutture di circa un terzo e libererebbero risorse per circa 10 miliardi, secondo le stime della Commissione.  E’ iniziata ora la discussione con il Parlamento europeo, con l’obiettivo di pervenire all’approvazione finale entro la prima parte del 2016.

 Altre materie per le quali la Commissione dovrebbe fare delle proposte in tempi brevi riguardano: (1) la revisione della Direttiva sul Prospetto, venture capital, crowdfunding, collocamenti privati (private placements), mini bonds, i mercati per la crescita delle piccole e medie imprese. Queste modifiche possono essere apportate nell’ambito dell’attuale cornice istituzionale e dei mandati dati alle Autorità di Sorveglianza europea (ESAs), pur con l’intento di favorire una convergenza e un coordinamento della sorveglianza. Entro la metà del 2016, la Commissione pubblicherà un White Paper per rivedere la governance e il finanziamento delle autorità di sorveglianza, tenendo conto del nuovo ruolo nella CMU.

 I punti di debolezza dell’intero progetto di CMU riguardano soprattutto quattro aspetti. In primis, la mancanza di un attore unico responsabile del progetto. Nel caso dell’Unione Bancaria questo soggetto è la Banca Centrale Europea, ma per la CMU la Commissione Europea non svolge lo stesso ruolo di guida operativa e le competenze sono molto disperse tra i vari attori istituzionali coinvolti. Il progetto di nuova governance europea, soprattutto con il cosiddetto ‘Rapporto dei 5 Presidenti’, auspica il passaggio da un’integrazione basata su regole a un’integrazione basata su istituzioni. Anche per il progetto di CMU, quindi, sarebbe indispensabile non solo il ruolo di coordinamento della Commissione ma anche un’istituzione che abbia la responsabilità e le capacità operative per attuare questo progetto ambizioso nei tempi stabiliti. Nelle Conclusioni del Consiglio si enfatizza che i prossimi passi della CMU possono essere intrapresi sulla base dei mandati esistenti delle Autorità di Supervisione Europee (ESAs). Tuttavia, si riconosce anche la necessità per le Autorità di lavorare nella direzione di una convergenza della sorveglianza, sia attraverso processi di peer review sia attraverso cooperazione rafforzata, per identificare gli aspetti dove un approccio integrato può portare a un migliore funzionamento del mercato unico dei capitali.

 Secondariamente, vi è l’oggettiva difficoltà nell’armonizzare i diversi sistemi legislativi e di regolamentazione, a volte poco conciliabili. Il progetto si scontra infatti con problematiche molto rilevanti, come ad esempio le diverse leggi fallimentari e in genere i diversi ordinamenti giuridici, e sistemi fiscali e contabili non pienamente compatibili. Vi sono anche differenze culturali e tradizioni locali che è difficile eradicare. Nulla è impossibile visto che processi simili sono già avvenuti con successo in altri ambiti, ma il progetto è indubbiamente molto impegnativo. Ovviamente non è possibile creare una CMU solamente attraverso regole e istituzioni, ma è possibile disegnare un contesto normativo e incentivi adeguati per favorirne lo sviluppo attraverso le forze del libero mercato.

 Un terzo aspetto importante riguarda l’approccio sbilanciato del progetto sul finanziamento dell’economia a scapito degli aspetti legati al Mercato Unico. In effetti, il progetto di CMU non è altro che un tassello del progetto più vasto di Mercato Unico, partito sin dagli anni ’80 e che ha visto vari tentativi di rilancio negli ultimi anni che hanno portato ad alcuni progressi indubbi ma hanno mancato gli obiettivi iniziali di piena integrazione. L’attenzione, forse esagerata, sul finanziamento all’economia di fatto duplica altri sforzi e progetti in corso (ad es. il Piano Juncker) in alcuni casi aggiungendo poco a quanto già in atto se si tralascia l’approccio integrato.  Inoltre, vi sono varie iniziative in Europa che sembrano andare in direzione opposta rispetto agli obiettivi della CMU, come ad esempio la proposta di Bank Structure Reform in discussione al Parlamento Europeo (con la proposta di separazione delle attività delle banche nei mercati dei capitali da quelle tradizionali di tipo commerciale) o le discussioni ancora aperte sulla Financial Transaction Tax (Bini Smaghi, 2015).

 Infine, il piano d’azione è molto graduale e poco ambizioso e di fatto sposta in avanti tutte le decisioni più delicate. Sembra che l’approccio scelto sia quello di semplificare e armonizzare le regole esistenti, già di per se’ un obiettivo molto ambizioso, ma senza il desiderio di ‘creare’ un vero e proprio mercato unico (Rossi, 2015). Questo può essere in parte dovuto ad un inevitabile conflitto di interessi con il mercato finanziario londinese che detiene la leadership in Europa (e il Commissario responsabile del progetto è inglese). Il timore britannico che una maggiore integrazione europea possa sottrarre attività alla City di Londra sembra essere ingiustificato nel caso in cui il Regno Unito decida, nel referendum che si terrà probabilmente entro l’estate, di rimanere all’interno dell’Unione Europea. Tuttavia, il timore potrebbe essere giustificato in caso di decisione contraria. Quindi la sensazione è che difficilmente si potranno fare dei decisi passi in avanti sino a che non sarà chiarita la posizione inglese.

 L’approccio gradualistico, oltre ad essere quello suggerito dai vari stakeholders nella citata consultazione pubblica, è anche il risultato dell’attuale scarsa motivazione politica a favore di iniziative che vadano nella direzione di una maggiore integrazione. La Commissione Europea ovviamente sostiene il progetto, lo valuta essere realistico in relazione alle condizioni e giudica l’approccio “dal basso” come il più fattibile e il meno rischioso. Anche il completamento dell’Unione Bancaria, con questioni importanti e essenziali ancora aperte, ha visto la sua fase conclusiva slittare in avanti. Il progetto della CMU potrebbe richiedere un percorso ancora più lungo. All’apparenza la CMU non sembra necessitare di alcuna forma di mutualizzazione dei rischi sistemici, almeno per il momento, e non si parla ancora di questo nei documenti pubblicati. Ma di fatto emergeranno nuovi rischi che dovranno essere affrontati con un approccio di condivisione, elemento questo che ha allungato le tempistiche della piena implementazione dell’Unione Bancaria. Infine, una CMU di successo dovrà disfarsi di molta regole e limiti nazionali che, come per tutti i mercati, tendono a favorire gli attuali protagonisti, soprattutto quelli all’interno dei confini nazionali. Chi porterà a compimento questo progetto dovrà avere come mandato quello di favorire l’innovazione e forme alternative di intermediazione finanziaria. In sostanza, una CMU di successo dovrà contemplare “momenti di rottura” rispetto all’esistente (Danielsson et al, 2015) e dovrà evitare che ostacoli tecnici siano invocati per limitare la concorrenza.  Andando a toccare interessi precostituiti, questo inevitabilmente porterà in campo istanze nazionali e con ogni probabilità si ripeteranno le battaglie politiche registrate con l’Unione Bancaria, e, nel peggiore dei casi, gli ostacoli registrati nel portare avanti le istanze del Mercato Unico per i Servizi, di cui la CMU per certi aspetti ne è un sottoinsieme.

 La storia dell’integrazione europea ci ha abituato a prolungate fasi di rallentamento seguite da forti accelerazioni. La crisi economico-finanziaria ha portato ad una dis-integrazione finanziaria e dei mercati dei capitali che ora molto faticosamente si cerca di contrastare e di invertire. La CMU, se disegnata in modo appropriato, può portare innovazione nell’intermediazione finanziaria e maggiore concorrenza, può ridurre i rischi sistemici e offrire un potenziale nuovo di sviluppo per l’economia europea. Ma la strada rimane in salita.

 Biblografia

Bini Smaghi, L., Capital Market Union: What could it look like?, 20 novembre 2015.

Commissione Europea, Green Paper: Building a Capital Market Union, 18 febbraio 2015.

Commissione Europea, Feedback Statement on the Green Paper “Building a Capital Markets Union”, 30 settembre 2015.

Commissione Europea, Action Plan on Building a Capital Markets Union, 30 settembre 2015.

Codogno, L., Assessing Bond Market Developments Post-EMU, Journal of Applied Corporate Finance, Volume 11 no. 3, Fall 1998, pp. 66-81.

Council of the EU, Council Conclusions on the Commission Action Plan on building a Capital Market Union, 10 novembre 2015.

Danielsson, J., et al., Europe’s proposed capital markets union: Disruption will drive investment and innovation, 2015.

Hill, J., Speech on Building a Capital Market Union, Euromaney Capital Market Union Forum, 3 dicembre 2015.

Juncker, J-C., A New Start for Europe: My Agenda for Jobs, Growth, Fairness and Democratic Change, Discorso di apertura tenuto in occasione della sessione plenaria del Parlamento europeo, Strasburgo, 15 luglio 2014.

Langfield, S.,Pagano, M.,“Bank bias in Europe: effects on systemic risk and growth”, ECB Working Paper Series, 1797, maggio 2015.

Rossi, S., Finance for Growth: A Capital Market Union, Keynote address at the Rome Investment Forum 2015: Financing Long-Term Europe, 11 dicembre 2015.

Véron, N., Wolff, G., Capital Markets Union: A Vision for the Long Term, Bruegel Policy Contribution, aprile 2015.

Visco, I., Investment Financing in the European Union, OECD-Euromoney Conference on Long-Term Investment Financing, 19 novembre 2015.

Solvency II: la Commissione Europea adotta modifiche per promuovere gli investimenti in infrastrutture

Apr 06 2016

In data 2 aprile 2016 è entrato in vigore un emendamento della Commissione Europea alla disciplina Solvency II con l’obiettivo di facilitare e rendere più vantaggiosi gli investimenti in infrastrutture da parte delle imprese di assicurazione. L’iniziativa rientra tra le prime misure adottate ai sensi del Capital Markets Union Action Plan lanciato nel settembre 2015.
L’emendamento prevede la riduzione dei requisiti posti per gli investimenti nei cosiddetti qualifying infrastructure projects. In particolare è stata introdotta una riduzione dei requisiti patrimoniali legati a tali forme di investimento: la ponderazione per il rischio degli investimenti in azioni non quotate collegate ad investimenti in infrastrutture scende dal 49% al 30% mentre quella per gli strumenti di debito è ridotta (fino ad un massimo) del 40%.

Comunicato stampa

Consultazione della Commissione Europea su un regime di risoluzione efficace all’interno dell’UE

Apr 06 2016

La Commissione Europea ha lanciato una consultazione riguardante i sistemi di insolvenza adottati dai paesi membri dell’UE. Scopo della consultazione è di raccogliere osservazioni sugli aspetti chiave di tali regimi e definire principi e pratiche comuni che possano assicurare che gli impianti nazionali trovino efficace applicazione anche in contesti di tipo cross-border.

La consultazione avrà termine il 14 giugno 2016.

Scheda della consultazione

Pubblicato nuovo Report del Comitato di Basilea su RWAs e banking book

Apr 06 2016

Il Comitato di Basilea ha pubblicato il suo secondo Report dedicato alle attività ponderate per il rischio (Risk-weighted Assets o RWAs). Tale documento rientra nel programma RCAP (Regulatory Consistency Assessment Programme) volto a garantire una piena ed effettiva implementazione del quadro normativo di Basilea III. Lo studio, che si concentra sulla variabilità delle RWAs delle banche che usano modelli interni per il calcolo del rischio di credito, rappresenta un’estensione dell’analisi precedentemente svolta nel 2013. In particolare:

– L’analisi si basa sui dati riguardanti i portafogli dei prestiti verso piccole e medie imprese di 35 importanti banche attive a livello internazionale. I risultati dello studio mostrano una relazione ragionevole tra tassi effettivi di default e i valori medi delle probabilità di default stimate. A livello di singola istituzione finanziaria, però, si osserva una maggiore variabilità dei parametri stimati e dei risultati effettivi. Tale fenomeno può essere parzialmente spiegato dalle differenze e dalle peculiarità locali dei settori retail di riferimento;

– Lo studio prende in considerazione anche la variabilità delle stime dell’Exposure at Default (EAD) per ogni possibile asset class. I risultati, basati sui dati raccolti da 37 banche, evidenziano una significativa variabilità nelle prassi utilizzate dalle singole istituzioni finanziarie con conseguente aumento della variabilità dei risultati in termini di RWAs.

Il documento segnala, inoltre, alcune sound practices riguardanti le funzioni di validazione dei modelli riscontrate durante lo svolgimento dell’analisi.

Comunicato stampa
Report

IVASS: avviata consultazione su 3 Schemi di Regolamento

Apr 06 2016

L’IVASS ha pubblicato 3 nuovi Documenti di consultazione in materia di regolamentazione del settore assicurativo:

1) Documento di consultazione IVASS n. 5/2016 riguardante lo Schema di Regolamento recante disposizioni relative alle imprese di assicurazione locali. In consultazione fino al 23 maggio 2016;

2) Documento di consultazione IVASS n. 6/2016 riguardante lo Schema di Regolamento recante disposizioni in materia di informazione al pubblico e all’IVASS in recepimento delle Linee Guida EIOPA in materia di pubblic disclosure e supervisory reporting. In consultazione fino al 23 maggio 2016;

3) Documento di consultazione IVASS n. 7/2016: Schema di Provvedimento recante modifiche al Regolamento concernente la disciplina dell’attività di intermediazione assicurativa e riassicurativa. In particolare, il documento introduce novità significative nella modalità di trasmissione all’IVASS delle istanze e comunicazioni dovute ai fini della tenuta del Registro Unico degli intermediari assicurativi e riassicurativi (RUI). In consultazione fino al 30 aprile 2016.

Documento di consultazione IVASS n. 5/2016
Documento di consultazione IVASS n. 6/2016
Documento di consultazione IVASS n. 7/2016

Solvency II: EIOPA pubblica approccio macroprudenziale per contesti con tassi di interesse bassi

Apr 06 2016

L’EIOPA ha pubblicato il documento “A potential macroprudential approach to the low interest rate environment in the Solvency II context” che delinea un quadro di riferimento macroprudenziale – all’interno del perimetro Solvency II – idoneo a contesti caratterizzati da tassi di interesse bassi.
Lo scopo del documento è di contribuire alla discussione, in corso ormai da tempo, sulla definizione di un impianto macroprudenziale per il settore assicurativo che promuova la stabilità finanziaria ai sensi della disciplina Solvency II. In particolare, il documento individua i seguenti obiettivi:

– Aumentare la capacità di ripresa del settore assicurativo;

– Limitare il rischio derivante dalle cosiddette politiche di “searching for yield” adottate collettivamente dalle imprese di assicurazione;

– Ridurre la prociclicità del mercato assicurativo.

Per il raggiugimento di ciascuno di questi obiettivi, l’EIOPA ha definito un insieme di misure compatibili con Solvency II. Inoltre possibili azioni di breve o medio periodo potranno essere adottate dall’EIOPA o dalle autorità nazionali per rispondere alle criticità poste da contesti macroeconomici con bassi tassi di interesse.

Comitato di Basilea: nuove misure per ridurre la variabilità delle attività ponderate per il rischio di credito

Apr 06 2016

Il Comitato di Basilea ha pubblicato un documento di consultazione contenente un pacchetto di modifiche da apportare all’impianto degli approcci basati sui rating interni per il calcolo del rischio di credito (IRB o Internal Rating Based). Tali proposte rivestono un ruolo chiave nel programma di riforma normativa che il Comitato di Basilea sta portando avanti da tempo. Le modifiche avanzate mirano a ridurre la complessità del quadro normativo, aumentare la comparabilità dei requisiti patrimoniali a fronte del rischio di credito e limitarne l’eccessiva variabilità. In particolare, le novità principali riguardano:

– Esclusione dell’uso degli approcci IRB per determinate categorie di esposizioni (quali i prestiti ad atre istituzioni finanziarie) per le quali gli input dei modelli non possono essere stimati con sufficiente affidabilità;

– Introduzione, a livello di singola esposizione, di valori minimi dei parametri (floor) tali da garantire un trattamento sufficientemente prudenziale dei portafogli per i quali rimane possibile l’utilizzo degli approcci IRB;

– Maggiore specificazione delle procedure di stima dei parametri dei modelli al fine di ridurre la variabilità delle attività ponderate per il rischio di credito nel caso di portafogli per i quali rimane possibile l’utilizzo degli approcci IRB.

La consultazione avrà termine il 24 giugno 2016.

Comunicato stampa
Documento di consultazione

Pubblicato Report EBA sui prestiti alle PMI

Apr 06 2016

L’Autorità Bancaria Europea ha pubblicato un Report riguardante l’accesso al credito delle piccole e medie imprese (PMI). Il Report analizza sia i trend e le condizioni di accesso al mercato del credito che l’effettiva rischiosità delle PMI europee in relazione ad un intero ciclo economico.
Dall’analisi emerge che l’introduzione del cosiddetto fattore di supporto delle PMI ha avuto scarso impatto nel sostenere l’erogazione di prestiti nei confronti di questa categoria di imprese. L’EBA, tuttavia, raccomanda di continuare a monitorare regolarmente il mercato per valutare gli effetti del fattore di supporto alla luce di una quantità maggiore di dati e di un periodo di tempo più esteso.

Comunicato stampa
Report

Il nuovo Standardised Approach for Counterparty Credit Risk (SA-CCR)
di Edgardo Palombini e Michael Zottarel

Apr 06 2016
Il nuovo Standardised Approach for Counterparty Credit Risk (SA-CCR)  di Edgardo Palombini e Michael Zottarel

Nell’ambito degli interventi finalizzati ad accrescere l’affidabilità e la comparabilità degli RWA delle banche, il Comitato di Basilea ha avviato la revisione delle metodologie standard di calcolo dei requisiti patrimoniali minimi a fronte dei rischi del primo pilastro. Le nuove metodologie standard sono più risk-sensitive rispetto a quelle attuali, sono obbligatorie per tutte le banche (comprese quelle con modelli interni validati) e possono essere utilizzate per determinare un floor regolamentare agli RWA.

Il nuovo Standardised Approach per il rischio di controparte (SA-CCR) entrerà in vigore il 1° gennaio 2017 e sostituirà il metodo del valore corrente e il metodo standardizzato per la determinazione dell’EAD.

Il presente articolo si propone di analizzare alcune caratteristiche della nuova metodologia, evidenziandone i benefici e le potenziali incongruenze.

 1. Il SA-CCR e i suoi impatti

Il SA-CCR mantiene l’impostazione generale dell’attuale normativa, secondo cui l’EAD di un netting set è funzione del suo costo di sostituzione (replacement cost – RC) e di una componente che ne approssima la Potential Future Exposure (PFE), ma introduce alcune novità sostanziali.

Il costo di sostituzione dipende dall’esposizione corrente verso la controparte e dalle caratteristiche dell’eventuale CSA (threshold, minimum transfer amount e independent amount).

La metodologia di calcolo della PFE è incentrata sulla definizione di “Hedging Set”, inteso come insieme di deal per i quali è ammessa una compensazione del rischio totale o parziale, e presenta specifiche varianti. In particolare:

  • Add-on: i nuovi coefficienti sono calcolati tramite una simulazione «IMM-style» calibrata su un periodo di stress e, di conseguenza, risultano generalmente più conservativi rispetto all’attuale metodo CEM;
  • Netting: è riconosciuta una mitigazione del rischio che, a differenza del CEM, può essere totale, ma solo all’interno dello stesso hedging set;
  • Esposizioni marginate: il Margin Period of Risk (10 giorni) impatta sulla PFE attraverso la riduzione dei maturity factor dei singoli trade e, indirettamente, il calcolo del multiplier;
  • Mark-to-market negativi e over-collateral: entrambi consentono un abbattimento del rischio, in quanto fattori di riduzione del moltiplicatore, con un potenziale beneficio sulla PFE fino al 95%.

La somma tra RC e PFE è moltiplicata per un coefficiente alpha pari a 1,4, introdotto per tenere conto del wrong-way risk, in analogia con il metodo dei modelli interni.

Il potenziale impatto del SA-CCR sugli RWA delle banche dipende dalla tipologia di operazioni alle quali è applicato. Per l’operatività con clientela corporate e retail, in assenza di ISDA, l’assorbimento patrimoniale dovrebbe aumentare, in quanto i nuovi Add-on sono più elevati rispetto agli attuali. Per l’operatività con controparti istituzionali e clearing house, il trattamento più favorevole del netting e la riduzione della PFE per le esposizioni marginate dovrebbero ridurre gli RWA, ma tale effetto potrebbe essere compensato, almeno parzialmente, dall’applicazione del coefficiente alpha in presenza di grandezze rilevanti quali i margini iniziali.

2. Utilizzo gestionale del SA-CCR

Il SA-CCR rappresenta una metodologia di misurazione del rischio di controparte più avanzata rispetto alle prassi in uso presso molte banche italiane che non hanno sviluppato modelli interni di tipo EPE. L’introduzione del SA-CCR a fini segnaletici offre quindi l’opportunità di adottare anche in ambito gestionale un approccio risk-sensitive, con una contestuale rivisitazione dei principali processi di gestione del rischio di controparte. La metrica di rischio, infatti, svolge un ruolo fondamentale nella concessione/revisione delle linee di credito, oltre che in fase di origination delle operazioni, per la verifica della capienza della linea (pre-deal check).

In ottica gestionale, il SA-CCR si presta ad essere parametrizzato in modo diverso rispetto alla normativa, in funzione del risk appetite e delle scelte metodologiche di ciascuna banca. Gli Add-on del SA-CCR, ad esempio, sono stimati in modo da approssimare l’esposizione attesa futura, ma possono essere ricalibrati in modo da riflettere livelli di confidenza più elevati (eg 95%), secondo la prassi più diffusa per il calcolo delle misure gestionali del rischio di controparte. Il SA-CCR, inoltre, pone alcuni limiti ai benefici della diversificazione, su tutti quelli connessi a posizioni lunghe e corte su tassi di interesse in valute diverse, ma tali vincoli possono essere modificati a livello gestionale in modo da riflettere la correlazione storica tra i fattori di rischio.

E’ opportuno sottolineare, inoltre, che il SA-CCR recepisce le regole per la definizione del Margin Period of Risk definite in ambito IMM. Tutte le banche dovranno quindi adottare una definizione e un processo di monitoraggio delle dispute con le controparti, della liquidità dei deal in portafoglio e della liquidità del collateral scambiato.

3. Esempi di calcolo

La Fig. 1 mostra la EAD CEM e la EAD SA-CCR (con e senza collateral) di un ATM FX forward (per una qualunque coppia di valute) espresse in funzione della durata residua. Il SA-CCR è molto penalizzante rispetto al CEM per durate residue inferiori ad un anno, i due approcci producono risultati vicini tra uno e cinque anni, dopodiché la EAD CEM diventa maggiore. Si noti come la EAD SA-CCR sia costante oltre l’anno, mentre la rischiosità di un FX forward dovrebbe essere crescente rispetto alla sua durata residua. L’eventuale presenza di accordi di marginazione (giornaliera) riduce drasticamente la EAD SA-CCR mentre non ha impatto su quella CEM.

La Fig. 2 mostra la EAD CEM e la EAD SA-CCR (con e senza collateral) di un ATM IRS (per una qualunque valuta) espresse in funzione della durata residua. La EAD SA-CCR è significativamente più elevata, soprattutto per scadenze medio-lunghe. Anche in questo caso, un eventuale accordo di marginazione (giornaliera) abbatte notevolmente la EAD SA-CCR, riportandola in linea con quella CEM, che invece non risente della presenza del collateral.

4. Limiti del SA-CCR

Il SA-CCR non coglie il rischio base derivante da posizioni su curve con tenor diversi. Si consideri, ad esempio, un portafoglio composto da due 10Y IRS plain vanilla, uno fisso vs EURIBOR 3M e l’altro EURIBOR 6M vs fisso. Nell’ipotesi di mark-to-market nullo, tale portafoglio è caratterizzato dal rischio di movimenti della base EURIBOR 3M/6M. Al contrario, la EAD SA-CCR è nulla, in quanto è ammessa una compensazione totale della componente PFE, rispetto ad una EAD CEM pari allo 0,6% del nozionale.

Il SA-CCR non riconosce alcune situazioni di perfect hedge tra trade diversi. Si aggiunga al precedente portafoglio un 10Y Basis swap EURIBOR 3M vs EURIBOR 6M. Nell’ipotesi di mark-to-market nullo, il nuovo portafoglio non dovrebbe originare rischio di controparte, infatti un modello interno genererebbe EPE nulla. Al contrario, la EAD SA-CCR è pari allo 0,9% del nozionale, a causa del trattamento separato dei basis trades (con supervisory factor pari allo 0,25% da applicare all’Add-on dell’Hedging Set separato), rispetto ad una EAD CEM ancora pari allo 0,6% del nozionale.

Il SA-CCR non coglie adeguatamente il rischio delle posizioni FX. La PFE non riflette le differenze nella volatilità dei tassi di cambio, in quanto la EAD di un derivato sul cambio EUR/USD è uguale a quella di un identico derivato sul cambio EUR/JPY. Inoltre, dati tre derivati identici su tre diverse coppie di valute che annullano il rischio (eg EUR/USD, JPY/EUR e USD/JPY), nel SA-CCR un portafoglio così composto determina un’esposizione pari alla somma delle esposizioni dei singoli trades.

Il SA-CCR non considera la correlazione tra alcuni fattori di rischio. Si considerino, ad esempio, un portafoglio composto da un IRS fisso vs variabile in euro e da un IRS identico in dollari. A tale portafoglio il SA-CCR attribuisce una PFE uguale a quella di un portafoglio dove la posizione in dollari ha segno opposto rispetto a quella in euro. In altri termini il SA-CCR assume che vi sia correlazione nulla tra i tassi di interesse in euro e in dollari. Tale trattamento contrasta con quanto previsto dalla Fundamental Review del Trading Book (FRTB) dove, all’interno del sensitivities-based method, è prevista una correlazione positiva tra tassi di interesse in valute diverse, ai fini del calcolo del General Interest Rate Risk.

5. Conclusioni

Il nuovo metodo standard per il CCR, che entrerà in vigore il 1° gennaio 2017, costituisce una modalità di misurazione del rischio di controparte più evoluta rispetto all’attuale metodo CEM, nonché rispetto alle prassi in uso presso la maggior parte delle banche italiane. Allo stato attuale la normativa lascia spazio a differenti interpretazioni in merito al trattamento di alcuni payoff, che potrebbero essere gestiti in modo diverso da banca a banca, con l’obiettivo di ridurne l’impatto in termini di RWA.

L’introduzione del SA-CCR offre l’opportunità di adottare un approccio risk-sensitive sia a fini segnaletici sia in ambito gestionale, con una contestuale rivisitazione dei principali processi di gestione del rischio di controparte. Il SA-CCR si presta ad essere parametrizzato in modo diverso rispetto alla normativa, in funzione del risk appetite e delle scelte metodologiche di ciascuna banca. A tal fine, gli Add-on possono essere ricalibrati in modo da riflettere livelli di confidenza più elevati, inoltre è possibile eliminare alcuni vincoli normativi alla diversificazione del rischio tra posizioni diverse.

L’EBA specifica il tasso di riferimento da usare ai sensi della Direttiva Mcd

Mar 23 2016

L’EBA ha specificato la formula da utilizzare per il calcolo del tasso di riferimento ai sensi della Direttiva 2014/17/UE (Mortgage Credit Directive o Mcd). La Direttiva Mcd, infatti, richiede al soggetto creditore di utilizzare, in determinate circostanze, un tasso di riferimento a scopi illustrativi in caso di mutui a tasso variabile. La Direttiva, inoltre, attribuisce all’Autorità Bancaria Europea il compito di definire tale tasso di riferimento.
La formula specificata dall’EBA prevede l’utilizzo di un tasso sottostante specifico per ogni Stato membro (il tasso di riferimento BCE per i paesi dell’Eurozona o il tasso di riferimento della banca centrale nazionale altrimenti).

La formula entrerà in vigore dal ventesimo giorno successivo alla pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea ma potrà essere utilizzata già prima della sua pubblicazione ufficiale.

Comunicato stampa
Decisione EBA