ESMA: consultazioni per la definizione dei meccanismi si compensazione dei derivati OTC

Lug 16 2014

L’11 luglio 2014 l’ESMA ha lanciato un primo giro di consultazioni per la definizione dei meccanismi di compensazione dei derivati OTC all’interno dell’Unione Europea. I due documenti di consultazione sono volti a stimolare l’acquisizione dei pareri delle parti interessate sui progetti di norme tecniche di regolamentazione (c.d. regulation technical standards, RTS), ancora da approvare, per la compensazione degli Interest Rate Swap (IRS) e dei Credit Default Swaps (CDS) che l’ESMA deve sviluppare nell’ambito dell’EMIR.

Relativamente all’IRS la consultazione è aperta fino a 18 agosto 2014, mentre per la categoria di derivati CDS il documento di consultazione è aperta fino al 18 settembre 2014.

Comunicato stampa

Documento di Consultazione n.1

Documento di Consultazione n.2

Aggiornate le Q&A sul Regolamento n.648/2012

Lug 16 2014

L’ESMA ha pubblicato un aggiornamento del documento contenete le domande e le risposte (Q&A) sull’applicazione del Regolamento n. 648/2012, recante norme sugli strumenti derivati OTC, sulle controparti centrali e sui repertori di dati sulle negoziazioni.

Q&A

Aggiornamento FAQ sul Regolamento n. 648/2012

Lug 16 2014

La Commissione europea ha pubblicato un set aggiornato di FAQ sul regolamento n. 648/2012, avente ad oggetto gli strumenti derivati over-the-counter (OTC), le controparti centrali (CCP) ed i  repertori di dati commerciali (EMIR).

FAQ

 

Meccanismo Unico di Risoluzione

Lug 16 2014

Il 14 luglio 2014 il Consiglio  ha adottato un regolamento che istituisce un meccanismo di risoluzione unico per le banche in dissesto. La creazione di un meccanismo di risoluzione unico (SRM) – con un Comitato decisionale centrale e un Fondo di risoluzione unico – assicura che le decisioni di risoluzione in tutti gli Stati membri partecipanti siano adottate in modo coordinato ed efficace, minimizzando le ripercussioni negative sulla stabilità finanziaria e riducendo la dipendenza delle banche dal merito creditizio degli emittenti sovrani.

Comunicato stampa

Regolamento (PE-CONS 88/14)

 


 

Il punto sulle risposte al rischio sistemico
di Giulia Simonetti

Lug 15 2014
Il punto sulle risposte al rischio sistemico <small><small><I> di Giulia Simonetti  </I></small></small>

A causa della recente crisi finanziaria, negli ultimi sei anni, molta attenzione è stata riservata allo studio del rischio sistemico e molti sforzi sono stati fatti per mettere a punto una regolamentazione efficace nell’arginare le ricadute sistemiche di crisi future. Sebbene il tema sia molto dibattuto, non esiste una definizione univoca ed esaustiva di rischio sistemico. Il concetto di rischio sistemico è di per sé semplice: si tratta del rischio che l’insolvenza o il default di un intermediario finanziario possa ripercuotersi sugli altri partecipanti al mercato con una sorta di effetto domino. Nella Direttiva 2013/36/EU (CRD IV) il rischio sistemico è definito come “un rischio di disordine del sistema finanziario che può avere gravi conseguenze negative per il sistema finanziario e l’economia reale” [1]. La Bank of International Settlements (BIS) ha definito il rischio sistemico come “il rischio che il fallimento di un partecipante nell’adempiere ai suoi obblighi contrattuali possa a sua volta causare il fallimento di altri partecipanti”. Dunque, il rischio sistemico consiste essenzialmente nel propagarsi di uno shock iniziale agli altri partecipanti al mercato creando o alimentando una situazione di instabilità.

        1.      Come valutare il rischio sistemico

Secondo la definizione che abbiamo appena dato, il rischio sistemico può essere interpretato come la propagazione di uno shock attraverso i links di un network finanziario. Il sistema finanziario/interbancario può essere modellato come un network i cui i nodi sono gli operatori finanziari e i link pesati tra i nodi rappresentano il saldo netto dei flussi finanziari tra due nodi/entità.

Secondo questa architettura, le interconnessioni tra le entità finanziarie rappresentano un veicolo di risk sharing in periodi normali e quindi di condivisione di rischi idiosincratici, mentre in periodi di crisi costituiscono un veicolo di propagazione degli shocks finanziari che porta a definire il rischio sistemico proprio come un effetto domino (cascade default) che si innesca a seguito del default di un nodo della rete finanziaria. Nel momento in cui un nodo viene rimosso dalla rete per via del suo default, i links che lascia scoperti possono essere di credito o di debito. I creditori dell’entità defaultata connessi con la stessa potranno recuperare solo parte delle esposizioni. Tramite la LGD si può calcolare l’entità del flusso che viene meno e computare la probabilità di default del nodo/creditore che deve fronteggiare il link scoperto. Una volta analizzati i nodi connessi direttamente con il nodo defaultato, e valutato il suo eventuale default, si può allargare l’analisi agli altri nodi fino a valutare le posizioni dei nodi di tutta l’architettura.

Oltre all’analisi della ripercussione sui nodi vicini, occorre tener conto che in situazione di crisi subentra anche la difficoltà di reperire liquidità (crisi di funding) che può portare ad un’amplificazione dei rischi a livello sistemico. Tutto ciò rende molto complessa l’analisi dei nodi che potrebbero incontrare difficoltà e complica notevolmente la valutazione compiuta del rischio sistemico.

La recente crisi finanziaria ha rivelato numerosi limiti nell’architettura della regolamentazione e della supervisione dei mercati e degli intermediari finanziari. Il limite più significativo è sicuramente rappresentato dal fatto che l’attenzione è stata posta in via quasi esclusiva su un approccio micro-prudenziale con l’obiettivo di salvaguardare la solidità e la solvibilità dei singoli attori del sistema finanziario. La crisi ha mostrato che il sistema finanziario non è necessariamente solido anche nel caso in cui tutte le singole componenti del sistema finanziario siano solide. Il sistema è comunque vulnerabile rispetto alla propagazione di shocks che originano in settori specifici dell’economia reale o del sistema finanziario e che sembrano avere natura circoscritta.  Queste considerazioni hanno portato le autorità ad integrare il classico approccio micro-prudenziale con una supervisione e regolamentazione macro-prudenziale che considera il rischio sistemico e la stabilità del sistema finanziario nel suo complesso.

        2.      Cosa dice la normativa

La CRD IV (Capital Requirements Directive) [1] e Basilea III congiuntamente con il Regolamento (UE) n.575/2013 (CRR) intendono essenzialmente assicurare la solidità patrimoniale degli intermediari finanziari con l’obiettivo, qualora si verifichi una crisi, di garantire che la ‘‘risoluzione’’ dell’ente in difficoltà possa avvenire in modo ordinato, limitando l’impatto negativo sul sistema finanziario e l’economia reale. Questo obiettivo è perseguito richiedendo in primo luogo che gli enti creditizi e le imprese di investimento si dotino di un patrimonio che, in funzione dei rischi ai quali possono essere esposti, sia adeguato in termini di quantità e qualità.

Preso atto dei meccanismi prociclici che hanno contribuito a scatenare la crisi finanziaria, il Consiglio per la stabilità finanziaria (FSB), il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (CBVB) e il G-20 hanno raccomandato di introdurre correttivi che fossero in grado di attenuarne gli effetti. In particolare, nelle direttive sopra menzionate, sono comprese norme che impongono requisiti patrimoniali aggiuntivi per assicurare che nei periodi di crescita economica le banche accumulino una base di capitale sufficiente a coprire le perdite che potrebbero materializzarsi nei periodi di stress.

Le direttive impongono agli intermediari di detenere una riserva di conservazione del capitale al fine di assorbire le perdite durante periodi di stress finanziario e economico. La  riserva è costituita da Common Equity Tier 1 ed è pari al 2,5% dell’importo complessivo dei risk weighted assets, componente che si va a sommare al 4,5% del Common Equity Tier 1 capital ratio previsto dal CRR. La riserva di capitale anticiclica è calcolata come l’importo complessivo dei risk weighted assets moltiplicato per la media ponderata dei coefficienti anticiclici che si applicano nei paesi in cui sono situate le esposizioni creditizie. La riserva di capitale anticiclica è accumulata allorché si verifica una crescita aggregata del credito e di altre classi di attività aventi un impatto significativo sul profilo di rischio, ed è rilasciata nei periodi di stress. Ogni autorità calcola per ogni trimestre un indicatore di riferimento che viene utilizzato ai fini della determinazione del coefficiente anticiclico. Questo indicatore deve riflettere da vicino il ciclo del credito tenendo conto delle specificità dell’economia nazionale. L’indicatore si basa sulla deviazione del rapporto credito-PIL dalla tendenza di lungo periodo. La media ponderata dei coefficienti anticiclici può andare dallo 0% ad un massimo del 2,5%. Questa riserva di capitale anticiclica dovrebbe raffreddare l’economia nei momenti espansivi e sostenere l’offerta di credito nei momenti di rallentamento.

Con l’obiettivo di attenuare il rischio sistemico, le direttive affidano agli Stati membri il potere di chiedere ad alcuni operatori particolarmente rilevanti di detenere anche una riserva di capitale a fronte del rischio sistemico. Anche questa riserva è costituita da Common Equity Tier 1 ed è pari almeno all’1% ed è inferiore al 5% dei risk weighted assets (esposizioni solo interne allo Stato o includendo anche le esposizioni verso paesi terzi). Lo Stato membro può decidere di applicare questa ulteriore riserva a specifici intermediari qualora esista un rischio di perturbazione del sistema finanziario che può avere gravi conseguenze per il sistema finanziario e per l’economia reale. Per la determinazione del coefficiente da applicare lo Stato membro può chiedere il consiglio dell’ESRB (European Systemic Risk Board).

Il comitato di Basilea ha inoltre messo a punto una procedura per identificare gli enti a rilevanza sistemica a livello globale (Global Systemically Important Banks, G-SIBs, or Global Systemically Important Financial Institutions, G-SIFIs). A questi intermediari è richiesto di detenere un’ulteriore riserva di capitale che può andare dall’1% al 3,5% di Common Equity Tier 1 con intervalli dello 0,5%. Il cuscinetto è definito in base alla rilevanza sistemica, dove per rilevanza sistemica si intende l’impatto sul mercato finanziario globale derivante da una situazione di difficoltà della G-SIFI. La metodologia è basata su diversi indicatori, ognuno dei quali riflette un aspetto della rilevanza sistemica di un intermediario. Gli indicatori sono i seguenti:

  • dimensione
  • interconnessione con il sistema finanziario
  • sostituibilità dei servizi o infrastrutture fornite
  • complessità
  • attività transfrontaliere sia con Stati membri che con paesi terzi

Analogamente il comitato di Basilea fornisce una procedura simile per l’individuazione delle Other Systemically Important Financial Institutions (O-SIFIs) che invece hanno l’obbligo di detenere una riserva al massimo pari al 2% di Commo Equity Tier 1. La rilevanza sistemica è valutata in base ad almeno uno dei seguenti criteri:

  • dimensione
  • rilevanza per l’economia o dell’Unione o dello Stato membro pertinente
  • significatività delle attività transfrontaliere
  • interconnessione con il sistema finanziario

L’attributo di O-SIFI o G-SIFI deve essere riesaminato una volta l’anno. Vista la rilevanza delle G-SIFIs e delle O-SIFIs per il sistema finanziario e il potenziale impatto del loro fallimento sui contribuenti, esse saranno, con molta probabilità, obbligate detenere anche la riserva di capitale a fronte del rischio sistemico. In questo caso le riserve non si sovrappongono ma si applica la percentuale più elevata tra le due.

L’EMIR (European Market Infrastructure Regulation), entrata in vigore per fasi a partire dal 16 Agosto del 2012 e tuttora in via di applicazione, si basa su tre pilastri fondamentali [2]:

  • obbligo di clearing per tutti i derivati eligibili (derivati plain) che dovranno essere compensati attraverso una Controparte Centrale (CCP)
  • obbligo di collateral per tutti i derivati dichiarati non eligibili con margini di collateral standard imposti dalla normativa
  • obbligo, in entrambi i casi, di comunicare i contratti scambiati sia in borsa che in mercati OTC ad un Trade Repository (TR).

I primi due pilastri cercano di rispondere alle esigenze di monitoring e gestione del rischio sistemico. Una CCP è un’entità legale indipendente che si interpone tra le parti contraenti di un contratto derivato. Quando la CCP subentra nel trading, il singolo contratto stipulato tra le due parti lascia il posto a due nuovi contratti tra la CCP e ciascuna delle due controparti. Dunque il buyer e il seller non sono più controparti fra loro, ma sono entrambe controparte della CCP, con la quale adempiono all’obbligo di clearing. Dunque, l’introduzione delle CCPs muta la struttura del mercato che passa da un OTC bilaterale, con una rete omogenea, ad un modello eterogeneo in cui si accentrano gli scambi nelle CCPs.

L’obbligo di collateral per i derivati OTC non eligibili è stato introdotto nell’ottica di ridurre sia il rischio di controparte che il rischio sistemico in modo tale da ridurre l’impatto della perdita in caso di insolvenza o default della controparte e interrompere  la  diffusione di shock in caso di stress.

Meno visibile ma non meno importante è il contributo del terzo pilastro. Come osserva l’ESRB nell’occasional paper n.2 (2013), per una analisi ben fatta del network finanziario è necessario avere informazioni dettagliate per ogni scambio o per esposizione (nel caso specifico repo e Securities lending transactions), in modo tale da non far ricorso a tecniche di filling di dati [3].

L’obbligo di comunicazione delle operazioni ai TR è per tutte le entità finanziarie e non finanziarie incorporate in Europa che sono controparti nei contratti derivati, mentre gli obblighi di clearing e di collateral si applicano solo ad enti con soglie di operatività rilevanti.

        3.      ESRB: warnings e raccomandazioni

In risposta alla recente crisi, la Commissione Europea ha istituito l’ESRB (European Systemic Risk Board) affidandogli il mandato di vigilare sulla stabilità del sistema finanziario nel suo complesso. L’ESRB è responsabile della vigilanza macro-prudenziale del sistema finanziario dell’Unione Europea al fine di contribuire a prevenire o attenuare i rischi che potrebbero attentare alla stabilità finanziaria.

L’ESRB ha due strumenti per svolgere il proprio mandato: warnings e recommendations. La differenza è che un warning richiede l’attenzione dei destinatari ai rischi sistemici individuati, senza una descrizione dettagliata delle azioni richieste, mentre una recommendation include consigli su azioni da adottare per ridurre i rischi rilevati. I destinatari di warnings e recommendations  dell’ESRB possono essere l’Unione Europea, i singoli Stati membri dell’UE, le autorità di vigilanza europee, nonché le autorità di vigilanza nazionali dell’UE. Anche se le raccomandazioni dell’ESRB non sono giuridicamente vincolanti, i destinatari sono soggetti ad un meccanismo “act or explain” ovvero allinearsi alla recommendation oppure motivare perché si è scelto di non farlo.

I warnings e le recommendations emessi dall’ESRB forniscono un’idea di quali siano le variabili economiche che sono legate al rischio sistemico.

Una prima reccomandation dell’ESRB ha riguardato il lending in foreign currencies: ovvero i prestiti in valuta estera a famiglie e a piccole e medie imprese che si sono diffusi negli ultimi anni in alcuni Stati membri per via dei bassi tassi di interesse. Famiglie e piccole imprese sono soggetti che non sono in grado di coprirsi dal rischio di cambio, questo aspetto può avere una ricaduta sulla banca che accumula una significativa esposizione al rischio di credito/valuta [4].

Una seconda reccomandation ha riguardato il funding in US dollar: il dollaro è un’importante valuta di funding per le banche europee. La maggior parte del funding in dollari è a breve termine, e l’ESRB ha osservato un disallineamento tra le scadenze delle attività, che sono a lungo termine, con le scadenze delle passività in dollari statunitensi che sono a breve o a brevissimo termine. In presenza di una elevata volatilità del dollaro si possono creare tensioni in questo funding market, tensioni che l’ESRB vuole tenere sotto osservazione [5].

Nell’occasional paper di Marzo 2013 l’ESRB [3] analizza il potenziale contributo al rischio sistemico di strumenti quali repo e securities lending transactions (SFTs). Sebbene queste transazioni comportino un rischio relativamente basso, se usate in maniera massiva come funding tool possono contribuire al rischio sistemico in modo non trascurabile. Gli haircuts sul collateral portano a prociclicalità della leva finanziaria del sistema. Questi strumenti sono molto utilizzati da un’ampia gamma di partecipanti al mercato (istituti di credito, fondi pensione, compagnie di assicurazione e compagnie di investimento) creando forti interconnessioni e canali di contagio tra il sistema bancario e lo shadow banking system. La pratica di riutilizzo del collateral e la re-ipoteca dell’asset del cliente contribuisce a creare connessioni e possibili canali di contagio. Questa fitta connessione tra il settore bancario e lo shadow banking system attraverso i mercati SFTs è stata evidenziata anche dal Financial Stability Board (FSB) [6].

Riferimenti

[1] Direttiva 2013/36/EU (CRD IV)

[2] M. Bonollo, G. Simonetti (2014), FinRiskAlert paper, “Cosa porta con sé l’EMIR”

[3] A. Bouveret, J. Jardelot, J. Keller, P. Molitor, J. Theal, M. Vita (2013), ESRB Occasional paper n.2, Towards a monitoring framework for securities financing transactions

[4] Raccomandazione del Comitato Europeo per il rischio sistemico sui prestiti in valuta estera (2011)

[5] Raccomandazione del Comitato Europeo per il rischio sistemico relativa al finanziamento in dollari statunitensi degli enti creditizi (2011)

[6] Securities Lending and Repos: Market Overview and Financial Stability Issues”, Interim Report of the FSB Workstream on Securities Lending and Repos, 2012

 

Le nuove disposizioni in tema di organizzazione e governo societario delle banche
di Concetta Brescia Morra e Giulia Mele

Lug 15 2014
Le nuove disposizioni in tema di organizzazione e governo societario delle banche <small><small><I> di Concetta Brescia Morra e Giulia Mele  </I></small></small>

Premessa

Il 6 maggio 2014, all’esito di un procedimento di consultazione pubblica, la Banca d’Italia ha adottato un provvedimento contenente le nuove disposizioni di vigilanza in materia di organizzazione e governo societario delle banche (di seguito il “Documento”) che recepisce le novità introdotte dalla Direttiva 2013/36/UE (c.d. CRD IV) e dalle Linee Guida emanate dall’EBA nel 2011 in tema di corporate e governance di banche.

Le medesime sono state recepite nella Circolare della Banca d’Italia n. 285/2013 recante “Disposizioni di Vigilanza per le Banche” (primo aggiornamento, nuovo Titolo IV, “Governo societario, controlli interni, gestioni dei rischi”).

La Banca d’Italia, con l’adozione della nuova disciplina, non si è limitata ad aggiornare le disposizioni sul governo societario, risalenti al marzo del 2008 e confluite nella Circolare n. 263/2006, ma ha proceduto ad una riorganizzazione delle previsioni in materia societaria incorporando nel nuovo Documento disposizioni, chiarimenti e indirizzi applicativi forniti al sistema bancario nel lasso di tempo compreso tra il 2008 e il 2014. In ogni caso la nuova disciplina, come specificato dal Documento, non esaurisce il quadro normativo in materia di governo societario di cui fanno parte altre tematiche tra cui: i controlli sugli assetti proprietari e sulle modificazioni statutarie, il sistema dei controlli interni, la gestione dei rischi, i requisiti degli esponenti aziendali, le operazioni con parti correlate e i conflitti di interesse, il contrasto al riciclaggio e, infine, gli obblighi di disclosure verso gli investitori e il mercato.

L’obiettivo di questo scritto è quello di evidenziare le novità introdotte dalla nuova normativa con un focus sulle disposizioni che riguardano la disciplina dei flussi informativi.

1.      Le novità introdotte dalle nuove istruzioni in tema di governance

Le norme contenute nelle nuove istruzioni in tema di organizzazione e governo societario delle banche sono, per la maggior parte, speculari a quelle contenute nella disciplina previgente; tuttavia, nonostante la continuità con le disposizioni del 2008, possono essere rintracciati nel nuovo Documento molteplici profili di novità.

1.1.Il principio di proporzionalità

Innanzitutto bisogna rilevare l’intervenuta rimodulazione del principio di proporzionalità ascrivibile, per lo più, al Regolamento (UE) 1024/2013 (Regolamento sul Meccanismo di Vigilanza Unico) il quale ha operato una distinzione tra banche “of significant relevance” e banche “less relevant”. Le nuove disposizioni, infatti, nello specificare che l’applicazione del principio di proporzionalità deve avvenire secondo criteri che tengano conto “della dimensione e della complessità della banca”, fa riferimento, per enucleare tali criteri, a parametri che consentono di suddividere le banche in tre categorie: banche di maggiori dimensioni o complessità operativa, banche intermedie e banche di minori dimensioni o complessità operativa. Lo stesso Documento, infine, specifica che con la locuzione “banche di maggiori dimensioni o complessità operativa” debbono intendersi proprio quelle considerate “of significant relevance” dall’art. 6 del Regolamento succitato.

1.2.Autovalutazione

Ulteriore elemento di novità è rappresentato dalla disciplina dell’autovalutazione degli organi aziendali la quale è stata incisivamente modificata. In particolare, in passato il contenuto dell’attività di autovalutazione era piuttosto generico, data la mancanza di indicazioni esaustive in merito al contenuto e alle procedure da adottare, con la conseguenza che le modalità di adempimento di tale obbligo erano sostanzialmente discrezionali. La nuova disciplina, invece, non solo ha previsto dettagliatamente le finalità e le modalità di esecuzione di tale procedura ma ha previsto, altresì, che tale analisi venga effettuata almeno con cadenza annuale e che il suo risultato sia formalizzato in un apposito documento soggetto all’approvazione del consiglio (di amministrazione, di sorveglianza o di gestione) e, ove richiesto, sottoposto alla Banca d’Italia.

Infine le nuove disposizioni prevedono che le banche di maggiori dimensioni o complessità operativa, almeno una volta ogni tre anni, demandino lo svolgimento dell’autovalutazione ad un professionista esterno scelto tra coloro che non siano direttamente o indirettamente legati alla banca da altro rapporto professionale, economico o di altra natura che possa comprometterne l’indipendenza.

1.3.Composizione degli organi societari

Le novità più rilevanti introdotte dalla nuova disciplina si riferiscono agli organi societari. Il Documento, infatti, pur confermando la tripartizione di funzioni societarie – supervisione strategica, gestione e controllo- già adottata nel 2008, ha introdotto nuove regole riguardanti la composizione degli organi societari.

I principi ispiratori della nuova disciplina sono essenzialmente tre:

  • il c.d. “principio di non pletoricità”;
  • la diversificazione per professionalità e genere;
  • la valorizzazione degli amministratori indipendenti.

Per quanto riguarda il primo principio bisogna rilevare come anche le precedenti disposizioni prevedessero obblighi di non pletoricità che, tuttavia, non si sono mostrati capaci di scoraggiare efficacemente la tendenza delle banche italiane di dotarsi di organi sovrabbondanti soprattutto se confrontati con quelli di banche comunitarie. Per questo, il legislatore è intervenuto fissando, ma solo per le banche di maggiori dimensioni o complessità operativa, stringenti limiti al numero dei componenti. In particolare per le banche che adottano il sistema tradizionale è stato previsto un numero massimo di 15 componenti, per le banche che adottano il sistema dualistico un numero di 22 (componenti totali tra consiglio di gestione e di sorveglianza) ed infine di 19 per le banche che adottano il modello monistico. Per quanto riguarda le banche intermedie e di minori dimensioni,  è prescritto l’obbligo generico di dotarsi di organi societari meno numerosi.

Il legislatore ha, tra l’altro, previsto che in casi eccezionali, analiticamente valutati e motivati, sia possibile dotarsi di un numero di componenti maggiore rispetto a quello prescritto.

Il secondo principio su cui fa leva la nuova disciplina è quello della diversificazione per professionalità e genere. Il concetto di “diversificazione” è piuttosto articolato ed ampio e richiede: (i) che gli organi aziendali assicurino un’adeguata rappresentanza delle diverse componenti della base sociale (investitori istituzionali, minoranze qualificate); (ii) che siano presenti componenti di età, genere e provenienza geografica diverse; (iii) che i componenti siano dotati di professionalità adeguate al ruolo da ricoprire e calibrate in relazione alle caratteristiche operative e dimensionali della banca.

Il fatto che i componenti degli organi sociali siano rappresentanza di compagini variegate elimina il rischio di appiattimento su opinioni maggioritarie e consente di assumere decisioni che risultano adeguatamente ponderate e che danno luogo ad una sintesi dialettica frutto dell’apporto di esperienze e visioni differenti.

Il terzo principio consiste nella valorizzazione degli amministratori indipendenti. L’elemento di maggiore novità consiste nell’aver introdotto la regola per cui almeno un quarto dei componenti dell’organo di supervisione strategica deve possedere requisiti di indipendenza; la portata dirompente nella nuova normativa consiste nell’aver individuato una proporzione minima tra amministratori indipendenti e amministratori non indipendenti dato che la disciplina previgente imponeva alle banche solo l’obbligo di dotarsi di un numero adeguato di amministratori indipendenti senza specificarne il numero. L’unico elemento problematico, stante la perdurante inattuazione della normativa di cui all’art. 26 del TUB, afferisce alla nozione di “amministratore indipendente” la quale dovrebbe pertanto essere mutuata dal codice di autodisciplina o dall’art. 148 del D.lgs. n. 58/1998 (TUF). Le nuove disposizioni, tuttavia, non richiamano nessuno dei riferimenti normativi citati e demanda alle banche il compito di definire nei propri statuti una definizione di “amministratore indipendente” che sia coerente con il ruolo ad essi assegnato.

Strettamente correlato al tema degli amministratori indipendenti è l’obbligo, per le sole banche di maggiori dimensioni o complessità operativa, di costituire comitato endo-consiliari all’interno dell’organo con funzione di supervisione strategica. Ci si riferisce ai tre comitati “nomine”, “rischi” e “remunerazioni” i quali devono essere composti da tre/cinque amministratori tutti non esecutivi e in maggioranza indipendenti.

Infine sono previsti dalla nuova disciplina obblighi riguardanti tutti i componenti degli organi sociali; ci si riferisce, in particolare, all’obbligo di perseguire l’interesse complessivo della banca e quindi di operare con autonomia di giudizio e all’obbligo di dedicare tempo e risorse adeguate all’incarico svolto, a tal fine sono previste nella CRD IV limiti al cumulo di incarichi.

Infine, allo scopo di garantire il continuo aggiornamento dei componenti dei vari organi è previsto l’obbligo per le banche di adottare piani di formazione idonei ad aggiornare ed approfondire le conoscenze e le competenze di quest’ultimi; i medesimi piani devono essere utilizzati anche al fine di agevolare l’inserimento di nuove figure nella compagine sociale.

2.      Flussi informativi interni

Le nuove disposizioni in materia di organizzazione e governo societario rivedono la disciplina in tema di flussi informativi interni alla banca. L’efficacia ed efficienza di questi ultimi rappresentano condizioni imprescindibili per assicurare una buona governance.

Le nuove disposizioni prevedono l’obbligo per le banche di dotarsi di appositi regolamenti interni con i quali disciplinare: (i) tempistica, forme e contenuti della documentazione da trasmettere ai singoli componenti degli organi per l’adozione consapevole delle delibere sulle materie all’ordine del giorno; (ii) individuazione dei soggetti tenuti ad inviare flussi informativi agli organi aziendali; (iii) determinazione del contenuto minimo dei flussi informativi che devono senz’altro includere le indicazioni concernenti l’esposizione della banca a tutte le tipologie di rischio rilevanti (creditizi, di mercato, operativi etc.), gli eventuali scostamenti rispetto alle politiche approvate dall’organo con funzione di supervisione strategica e le tipologie di operazioni innovative con indicazione dei rispettivi rischi ed infine (iv) gli obblighi di riservatezza cui sono tenuti i componenti e i meccanismi previsti per assicurarne il rispetto.

Appare evidente come le nuove regole non introducano rilevanti novità in tema di flussi informativi la cui concreta disciplina viene, di fatto, rimessa alla discrezionalità dei singoli istituti. Esse quindi non entrano nel merito dell’annoso problema rappresentato dalle difficoltà degli amministratori indipendenti, e più in generale degli amministratori non esecutivi, di acquisire informazioni dirette e “rilevanti” sulla gestione e sull’organizzazione aziendale.

L’art. 2381 c.c. prescrive l’obbligo agli organi delegati di riferire periodicamente (almeno ogni sei mesi) al consiglio sul generale andamento della gestione. Secondo il medesimo articolo, il consiglio “valuta” l’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile “sulla base delle informazioni ricevute” e l’andamento generale della gestione “sulla base della relazione degli organi delegati”. In quest’impianto non è previsto un rapporto diretto fra il singolo consigliere di amministrazione e la struttura operativa e dirigenziale della società. In buona sostanza, gli amministratori non esecutivi accedono solo a informazioni di “seconda mano” perché filtrate dagli organi delegati. Questo sistema vanifica l’utilità del flusso informativo ridotto a mero strumento formale di coinvolgimento degli amministratori non delegati nella gestione dell’ente bancario.

Le nuove regole in materia di governance bancaria, tuttavia, introducono alcune disposizioni che permettono di aprire una breccia nel meccanismo appena descritto. Come anticipato, infatti, le nuove norme impongono alle banche l’obbligo di dotarsi di comitati endo-societari costituiti interamente da amministratori non esecutivi i quali, attraverso tali comitati, hanno la possibilità di essere realmente coinvolti nelle funzioni di controllo. L’assunto è, del resto, confermato anche dalle disposizioni di vigilanza che prescrivono l’obbligo per i componenti non esecutivi di “acquisire, avvalendosi dei comitati interni, informazioni sulla gestione e sull’organizzazione aziendale, dal management, dalla revisione interna e dalle altre funzioni aziendali di controllo”.

L’esigenza di garantire flussi informativi tempestivi, completi e diretti agli amministratori non esecutivi, si spiega con l’esigenza di monitorare il fattore “rischio”, per natura, insito nell’attività bancaria. In questo contesto, il coinvolgimento degli amministratori senza deleghe agevola l’assunzione di decisioni oculate soprattutto in settori di attività complessi o in cui elevata è la possibilità che si verifichino situazioni di conflitto di interessi.

Non è un caso che uno dei comitati di obbligatoria costituzione sia proprio quello denominato “comitato rischi” in cui sono previsti penetranti obblighi informativi in capo all’organo con funzione di supervisione strategica e all’organo di controllo, nonché la possibilità per lo stesso comitato di poter accedere direttamente alle informazioni aziendali rilevanti.

In definitiva, i comitati sono per gli amministratori senza deleghe lo strumento per conoscere informazioni che non siano veicolate dagli organi delegati e, di conseguenza, rappresentano la vera occasione per poter svolgere quei compiti di “valutazione” sulle scelte compiute dagli esponenti esecutivi che l’art. 2381 c.c. attribuisce proprio agli amministratori non esecutivi.

ESMA: linee guida sui principi contabili

Lug 10 2014

L’ESMA ha pubblicato le linee guida sul rispetto delle informazioni finanziarie pubblicate in Unione Europea. L’obiettivo delle linee guida è quello di promuovere una maggiore convergenza della vigilanza tra esecutori contabili dell’UE.
Tra i temi trattati figurano il processo di attuazione a livello nazionale e il coordinamento delle attività a livello europeo.
Dalla data di pubblicazione, le autorità nazionali hanno due mesi per rendere noto se intendono rispettare le regole proposte dall’ESMA.

Comunicato stampa
Report

EBA: consultazioni sui sistemi di risoluzione

Lug 10 2014

Sono partite due consultazioni sull’organizzazione delle risoluzioni e sulle mosse per prevenire gli impedimenti alle risoluzioni stesse. Tra gli elementi analizzati vi sono i contenuti dei piani di risoluzione disegnati dalle autorità e i criteri su cui può essere compiuto un giudizio sulla resolvability.
Le consultazioni si concluderanno il 9 ottobre 2014.

Comunicato stampa
Paper per la consultazione n.15
Paper per la consultazione n.16

EBA: consultazione sulle situazioni che potrebbero portare a supporto pubblico

Lug 10 2014

Da ieri è partita una consultazione su delle linee guida concernenti situazioni eccezionali che potrebbero portare a misure di supporto pubblico per le istituzioni in difficoltà. Uno degli obiettivi principali della BRRD è evitare quanto più possibile l’utilizzo dei fondi dei contribuenti e fare riferimento quasi esclusivamente a risorse private.
La consultazione terminerà il 9 agosto.

Comunicato stampa
Paper per la consultazione