Recensione del film “La Grande Scommessa”
di Emilio Barucci

Lug 20 2018
Recensione del film “La Grande Scommessa”  di Emilio Barucci

La sera del 18 luglio ho introdotto il film La Grande Scommessa nell’ambito del Polimifest, una bella iniziativa del mio Ateneo. Un film del 2015 di Adam McKay, prodotto da Brad Pitt e tratto dal libro di Michael Lewis, cinque candidature per il premio Oscar, premio Oscar per la migliore sceneggiatura non originale.

Ho buttato giù per iscritto le parole che ho detto per questa occasione in quanto penso (modestamente) che siano una riflessione di qualche interesse per coloro che praticano il mondo della finanza. Ho cercato di essere fedele alle cose che ho detto senza abbellirla in modo artefatto.

Penso che un film del genere dovrebbe essere mostrato agli studenti di finanza e che dovrebbe essere spiegato loro con attenzione e passione. Sarebbe un buon modo di introdurli alle contraddizioni di questo mondo.

Si tratta di un film difficile che fugge due possibili trabocchetti: raccontare una storia romanzata e fare la morale. E’ un film che mantiene un taglio documentarista in modo efficace con alcune trovate che lo rendono avvincente. Si basa su fatti realmente accaduti ed infatti cita personaggi e operatori del mondo finanziario senza remore. E’ difficile per una persona non esperta di finanza comprendere tutto ma non importa, il senso si comprende e quindi non ci si deve spaventare. E’ anche un film senza errori, una nota di merito vista la difficoltà del tema.

Il film racconta l’alta finanza per quello che è: una trasposizione moderna della ‘‘guerra’’ in una società (quella americana) ben educata e sviluppata. Non penso di essere il primo né l’ultimo che fa questo paragone. Il film lo mostra in modo efficace. Una guerra che si consuma in palazzi di vetro, tra persone ben vestite che non fa vittime fisicamente (almeno direttamente) ma che può procurare molti danni.

Le storie di quattro personaggi si intrecciano nel film. Vediamoli:

  1. Michael Burry: il medico che è diventato un guru della finanza con qualche problema di relazione e che scommette per primo contro il mercato immobiliare in quanto si è documentato e agisce principalmente per il gusto di mostrare che ha ragione.
  2. Mark Baum: il moralizzatore, che pur gestendo un hedge fund, vorrebbe dare un calcio nei denti alle banche e quindi scommette contro il mercato immobiliare per far scoppiare la bolla e farle soffrire.
  3. Jared Vennett: il venditore senza morale che non esita a vendere prodotti che vanno contro l’interesse della sua banca pensando solo al suo bonus.
  4. Jamie Shipley e Charlie Geller: due giovani rampanti che vogliono semplicemente diventare ricchi scommettendo contro il mercato immobiliare.

Sono tanti i punti di contatto tra finanza e guerra mostrati dal film. Vediamoli.

  1. E’ un film solo al maschile in cui le figure femminili svolgono un ruolo marginale. La finanza come affermazione di virilità sotto varie forme. Non soltanto per fare soldi ma anche per vedere riconosciuti i propri argomenti, per sopraffare l’altro, per vincere una scommessa, o per moralizzare il mondo. Insomma la finanza è uno splendido palcoscenico in cui affermare il proprio ego. Potremmo dire il gioco dei giochi in quanto i soldi in ballo sono tanti, le ricadute per la collettività inimmaginabili e la necessità di rispondere del proprio operato è assai limitata.
  2. Racconta la finanza nelle sue contraddizioni. I quattro protagonisti, seppur animati da motivazioni diverse, fanno alla fine soldi a palate non solo per loro ma anche per altri, che non erano animati da buone intenzioni (nel caso di Baum e Burry) e contribuiscono a salvare il sistema finanziario (Baum). Dove sta il bene e il male? Cosa è giusto o sbagliato? Difficile da dire.

Georgina Hale di Standard&Poor’s messa sotto pressione per i rating farlocchi degli ABS e dei CDO scritti sui mutui subprime lo dice in modo chiaro a Mark Baum: il vostro interesse a veder abbassare il rating è motivato dalla vostra posizione corta sui titoli. Baum non si nasconde ma rivendica che avere una posizione corta non fa sì che lui sia in errore nel chiedere alle agenzie di rating un rating più basso per questi titoli. Giorgina ribatte che è un ipocrita.

E’ questa la contraddizione che deve essere affrontata: distinguere l’interesse personale (nel rispetto della norma che a dire il vero ‘‘morde’’ poco) da ciò che è vero, ciò che è giusto. Un tema difficile da affrontare in finanza in quanto non ci sono regole chiare stringenti e i valori e i diritti in campo non sono ben definiti. Il film ci sottopone il dilemma senza pretendere di darci risposte.

Mark Baum è l’ultimo a cedere, non vuole liquidare la sua posizione per salvare Morgan Stanley in quanto vuole dargli una pedata nei denti e combattere la sua crociata. Quando accetta di farlo diventando incredibilmente ricco confessa: se facciamo questo diventeremo come gli altri. Il film non suggerisce cosa sia giusto o sbagliato. Non fa la morale, il moralizzatore è soltanto triste e dopo la crisi diventerà più gentile e non si permetterà mai di dire ‘‘Io l’avevo detto, Io avevo ragione’’ in quanto appunto è come gli altri. Uno sconfitto.

  1. Racconta un mondo della finanza in cui regna l’irresponsabilità in quanto i protagonisti della finanza hanno spesso poca dimestichezza con la loro coscienza, pensano al bonus, alla loro (breve) carriera in cui potrebbero anche farla franca tenendo comportamenti avventati.
  2. Il paragone con la guerra si vede bene in un aspetto che spesso viene dimenticato. Come i legionari romani che tornavano dalla campagna militare e venivano allietati da donne e banchetti, i protagonisti della finanza (tutti maschi) vivono una vita nel lusso fatta champagne e di ristoranti stellati.
  3. Un altro punto di contatto è offerto dal predominio della tecnica che appare neutra (e quindi pulita) ma non lo è. Quante volte negli ultimi decenni ci è stata raccontata la balla della guerra tecnologica che non farebbe danni collaterali. Bombe intelligenti che non farebbero vittime. Discorso simile in finanza. I protagonisti si fanno la guerra tra di loro (a chi fa più soldi) ma poi a soffrire davvero sono le persone che perdono il lavoro e sono costrette a vivere in macchina in quanto non hanno più una casa.

Questo porta alla contraddizione tra mondo della finanza e mondo reale che è molto simile al contrasto tipico di tutte le guerre tra la vita degli alti comandi e le sofferenze della popolazione.

  1. Come in guerra non ci sono strumenti di protezione. Non c’è Stato, né regolatore che tengano. Un po’ come nel caso della Convenzione di Ginevra in guerra che offre davvero poche garanzie, in finanza è permesso tutto ciò che non è espressamente proibito e se poi divieni vittima puoi davvero farci poco.

Jared Vennett usa un’espressione che può essere rivenduta: ‘‘dimmi la differenza che c’è tra stupido e illegale e faccio arrestare mio cognato’’. Il sistema finanziario avrebbe fatto cose stupide in quanto non valutava bene i titoli strutturati scritti sui mutui subprime e aveva messo in gioco meccanismi non controllabili ma nessuno faceva, secondo la sua interpretazione, cose illegali (cosa tutta da dimostrare).

Il film si chiude con una riflessione di Mark Baum che fa pensare. Osservando che dopo dieci anni nessuno ha pagato e che il sistema non è stato riformato afferma: ‘‘ho la sensazione che tra qualche anno la gente dirà quello che dice sempre quando l’economia crolla. Daranno la colpa agli immigrati e alla povera gente.’’ Non era ancora arrivato Donald Trump, era in anticipo sui tempi ma ha colto nel segno.

Una riflessione che ci obbliga a valutare se questa crisi sia passata invano. Difficile da dire, molte cose sono state fatte c’è da domandarsi se si è andati sempre nella giusta direzione non per moralizzare la finanza ma per farla funzionare bene. Si può e si deve agire sui comportamenti degli uomini ma in fin dei conti una buona finanza è una finanza ben costruita.

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