Due lezioni dal fallimento Silicon Valley Bank: l’importanza del risk management e i danni dell’eccesso di liquidità
a cura di Emilio Barucci per Huffington Post

Mar 12 2023
Due lezioni dal fallimento Silicon Valley Bank: l’importanza del risk management e i danni dell’eccesso di liquiditàa cura di Emilio Barucci per Huffington Post

Il ricordo della crisi finanziaria del 2008 è talmente vivido che il fallimento di Silicon Valley Bank (SVB) ha fatto subito pensare … ci risiamo, un altro fallimento bancario che potrebbe innescare una nuova crisi finanziaria. Una nuova Lehman, un incubo che pesavamo non si sarebbe più ripetuto.

La decisione della autorità americane di dichiarare il fallimento della sedicesima banca americana con assets per oltre 200 miliardi di dollari decreta il secondo fallimento (per dimensione) nella storia del sistema bancario americano, dopo Washington Mutual nel 2008. Il contagio ha presto preso piede anche in Europa con l’indice della borsa delle banche europee che ha perso quasi il 4%, Deutsche Bank è arrivata a perdere il 7%.

Si tratta di una reazione immotivata, le banche europee (e quelle italiane in particolare) non rischiano niente, i veri rischi sono per il sistema delle startups della Silicon Valley e non solo. E’ notizia di ieri che Circle, la società che sta dietro USD (la seconda stablecoin per capitalizzazione) aveva 3.3 miliardi di dollari depositati presso SVB. Un ammontare di denaro che è di molto superiore ai 250 mila dollari che sono assicurati dalle autorità americane nel caso di fallimento. La possibilità di rientrare in possesso di questi fondi dipende dalla capacità delle autorità americane di trovare un cavaliere bianco, cioè una banca disposta a salvare SVB. Se così non fosse, a Circle non rimarrebbe altro che mettersi in fila aspettando la liquidazione degli assets della banca e recuperare quello che rimane. Il timore che si materializzi questa opzione è tale che la solidità della stablecoin è stata messa in discussione tanto da perdere la parità con il dollaro giungendo a valere 0,88 dollari (invece di 1 dollaro).

Altri fondi di venture capital e  startups si trovano in una situazione simile in quanto utilizzavano SVB per gestire la loro liquidità. Alcune società, soprattutto le più piccole, potrebbero avere difficoltà a corrispondere gli stipendi.

I problemi saranno locali sia geograficamente che a livello di industria (Stati Uniti, California, mondo hi-tech) ma ciò non significa che il fallimento di SVB non sia inquietante. Nonostante il rafforzamento della regolamentazione e del capitale degli intermediari, il sistema creditizio è ancora vulnerabile anche senza uno shock particolarmente significativo. E’ bastato un rialzo dei tassi, drastico quanto si vuole, per far fallire una banca. Cosa difficile da capire.   

Per capire ciò che è successo conviene ripercorrere brevemente la storia di SVB.

SVB era un istituto di credito basato in California specializzato nel fare credito e nel gestire la liquidità delle startups nell’hi-tech della Silicon Valley e dei fondi di venture capital che le finanziano.

La storia è più o meno questa. I depositi della banca sono più che triplicati dal 2019 al 2021. La banca svolgeva solo in parte un’attività creditizia tradizionale. Solo il 40% delle suo attivo consisteva in prestiti, il resto era investito in titoli. Semplicemente aveva un eccesso di liquidità e questa veniva perlopiù da grandi investitori, il 95% dei suoi depositi erano di taglia superiore a 250.000 dollari.

Il modello di business è molto diverso da quello di una banca tradizionale, basti pensare che Bank of America ha circa il 60% di prestiti e il 40% di titoli e soltanto il 38% dei suoi depositi sono di taglia elevata.

Questo modello di business ha funzionato fino al 2022 con la banca che ha generato un margine di interesse netto pari a 4,5 miliardi di dollari. Nell’ultimo anno il mondo hi-tech delle startup si è raffreddato e questo ha portato molte di esse (e i fondi venture capital) a ritirare la loro liquidità. Questo ha innescato una spirale negativa già vista ai tempi di Bear Stearns e Lehman.

Non sapendo bene cosa fare di tutti questi fondi, SVB decise, prima del rialzo dei tassi, di investire circa 90 miliardi in cartolarizzazioni di mutui, titoli a lungo termine sicuri che rendevano assai poco. Il rialzo dei tassi ha portato ad una perdita di quindici miliardi su questi titoli. Non c’è niente di strano tutte le banche sono esposte in titoli a reddito fisso (titoli di stato ad esempio) e un aumento dei tassi porta minusvalenze. Il problema è stata la forte esposizione di SVB. Tanto per fare un esempio, le banche italiane nel loro complesso hanno un’esposizione significativa in titoli di stato, ma l’ammontare nel complesso è 400 miliardi, una quota pari a meno del 10% dei loro attivi.

Questa situazione è divenuta ben presto cosa nota tra gli operatori i quali hanno pensato bene di ritirare la loro liquidità dalla banca. E’ stato tutto molto rapido: 40 miliardi, un quarto di tutti i depositi, sono stati ritirati in un solo giorno. Come nel caso di Bear Stearns, la liquidità è evaporata nel giro di poche ore lasciando un buco di un miliardo, nell’impossibilità di trovare un compratore la banca è stata dichiarata fallita.

Non c’è da incolpare la Federal Reserves per l’aumento sostenuto dei tassi di interesse, né tantomeno trarne considerazioni riguardo a ciò che dovrebbe fare la Banca Centrale Europea. Al riguardo, semmai, il punto è che la stretta monetaria sul fronte della liquidità in eccesso delle banche è arrivata troppo tardi.

Il vero dato inquietante è che c’è un mondo finanziario, quello statunitense, che non ha imparato la lezione. Le autorità di vigilanza americane sono state molli. SVB aveva un modello di business che non rispettava le più semplici regole di gestione dei rischi: forte concentrazione delle fonti di liquidità, mismatch delle scadenze tra attivo e passivo (indebitamento a breve e investimenti a lungo termine), forte esposizione al rischio di tasso, forte concentrazione degli attivi esposti alle fluttuazioni di mercato.

Le banche italiane ed europee sono ben più solide. Non c’è dubbio che l’Europa abbia una regolazione e autorità di vigilanza molto più severe e attive. Ma questo non ci può rassicurare. Questo default è locale, con poche ramificazioni nel sistema finanziario globale esposto a leva, ma ciò non ci autorizza a dormire sonni tranquilli. Se succedesse in una banca più centrale per il sistema finanziario le conseguenze potrebbero essere ben più serie, come è successo nel caso dei mutui subprime. Forse la lezione da imparare è che la regolazione e la vigilanza fanno quello che possono, anche perché qualcuno non fa il proprio dovere, ma vale una regola semplice: un eccesso di liquidità nel sistema prima o poi trova una falla (oggi come nel 2008) e le conseguenze potrebbero essere catastrofiche. Guarda caso, la falla è sempre negli Stati Uniti.

Share

I commenti per questo post sono chiusi