Troppo spesso siamo abituati a ragionare d’Europa soltanto nell’emergenza e fatichiamo invece ad intravedervi un’opportunità importante per il nostro Paese. Tutto questo viene accompagnato dall’immancabile riconoscimento (carico di autocommiserazione) che non contiamo abbastanza in Europa, come se fosse colpa di qualcun altro e non nostra.
Questa visione è ben radicata. L’esperienza della crisi finanziaria ce lo mostra in modo eclatante: l’Europa ha assunto quasi sempre le sembianze arcigne dell’austerità e del bail-in delle banche popolari. Meno noto, ma qualcuno per fortuna lo ricorda, è che la Banca Centrale Europea ha salvato il nostro paese in occasione della speculazione sui titoli di Stato italiani con lo spread che correva oltre cinquecento punti.
Oggi non siamo più nell’emergenza, l’euro non sembra a rischio ma il dibattito attorno al destino dell’Europa è tutt’altro che sopito, sono le forze politiche italiane che non sembrano curarsene più di tanto. Ci sono alcuni elementi su cui riflettere. Da un lato l’affermarsi di alcune forze anti-europee, che rimette in discussione alcuni principi fondanti dell’architettura europea e rafforza un approccio intergovernativo, per cui sono i paesi a decidere piuttosto che le istituzioni europee, dall’altro l’uscita della Gran Bretagna che rischia di ridurre il dibattito europeo ad un confronto tra Parigi e Berlino con gli altri paesi destinati ad un ruolo da comprimari.
L’asse franco-tedesco si è materializzato anche sul fronte accademico con il contributo di quattordici illustri economisti che hanno messo a punto una proposta per ridisegnare la governance economica europea (Reconciling risk sharing with market discipline: a constructive approach to euro area reform, CEPR policy insight no.91).
Il documento avanza diverse proposte che meriterebbero una discussione molto articolata, conviene provare ad andare per grandi temi.
A ben guardare, c’è molto di tedesco e poco di francese. L’approccio è quello di Berlino che privilegia il rafforzamento delle regole con la responsabilità delle decisioni che rimane in capo ai singoli paesi senza la definizione di un vero potere politico in sede europea. Non c’è traccia di un ministro delle finanze europeo e di un ruolo dell’Europa nella definizione di politiche fiscali con un budget adeguato. Il documento è davvero molto timido sulla strada di costruire istituzioni che gestiscano l’economia del vecchio continente. Un’impostazione che cozza contro chi, come l’Italia, avanza l’idea degli Stati Uniti d’Europea.
Insomma una visione tecnocrate rivista e corretta che non esita a collocare fuori dalla Commissione Europea il ruolo di guardiano dei conti pubblici dei diversi paesi (tramite l’istituzione di un’autorità indipendente) e a chiedere un rafforzamento delle autorità che sovraintendono alle risoluzioni bancarie che, nel caso specifico dell’Italia, sono accusate di essere state troppo attente ad ascoltare le esigenze locali.
L’intenzione è di affondare il colpo sul fronte del sistema bancario con limiti sui titoli di Stato detenuti dalle banche, il rafforzamento delle procedure di bail-in e la richiesta di ridurre i rischi dovuti ai crediti deteriorati. Tre misure che rischiano di mettere in seria difficoltà il sistema bancario italiano. Anche quando si propone (cosa sacrosanta e invocata da tutti) un sistema di garanzia dei depositi lo si fa tra mille cautele rimettendo il conto principale al paese in difficoltà e non agli altri. Insomma la condivisione dei rischi tra i diversi paesi è davvero lontana.
Le innovazioni forse più significative riguardano i vincoli sulla finanza pubblica che dovrebbero portare a regole più semplici e meno rigide in presenza di una recessione. Tutto questo senza il venir meno dell’obiettivo di ridurre il debito pubblico dei paesi non virtuosi. Sul debito pubblico si prevedono meccanismi semi-automatici di ristrutturazione nel caso di difficoltà del paese. La novità più interessante è la previsione di una sorta di Fondo Monetario Europeo, che dovrebbe assistere i paesi in seria difficoltà, e la creazione di un titolo privo di rischio tramite una cartolarizzazione di titoli di Stato che dovrebbe aiutare i mercati e le banche a digerire il fatto che il debito pubblico possa essere ristrutturato.
Può essere che questa proposta sia destinata a passare alle cronache come un divertissement degli accademici ma può anche essere che presenti un set di proposte pronte all’uso per ridisegnare una governance europea sul piano tecnico senza mediazione politica. Un approccio che sicuramente non va nella direzione di un’Europa più politica ma che potrebbe essere il vero obiettivo dei cosiddetti paesi forti. Uno scenario che non giocherebbe di sicuro a favore del nostro Paese.
(pubblicato su Avvenire, 20 Febbraio 2018)