Il decreto legge n. 18 del 14 febbraio 2016: le novità per le banche di credito cooperativo e i fondi di investimento
di Giulia Mele

Mar 11 2016
Il decreto legge n. 18 del 14 febbraio 2016: le novità per le banche di credito cooperativo e i fondi di investimento   di Giulia Mele

Il 15 febbraio scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 37 il decreto legge n. 18 del 14 febbraio 2016 (il “D.L.“) recante “misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulla cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio” che dovrà essere convertito entro il 16 aprile prossimo.

Il D.L. introduce, tra le altre, importanti novità per le banche di credito cooperativo (le “BCC“) – sulla cui disciplina il legislatore è intervenuto profondamente riformando, in buona sostanza, l’intero settore bancario cooperativo – e per i fondi di investimento alternativi (i “FIA“) per i quali sono state introdotte le modalità operative per la concessione di finanziamenti (c.d. direct lending).

Le misure previste nel D.L. sono state concepite nell’ottica di sostenere con immediatezza il sistema del credito cooperativo nonché rilanciare e dare nuovo impulso al sistema finanziario nazionale attraverso l’effettiva espansione dei soggetti capaci di erogare credito.

Di seguito una breve disamina delle principali novità.

La riforma del settore bancario cooperativo

Come anticipato, il D.L. ha modificato la disciplina delle BCC intervenendo con misure incisive finalizzate a porre rimedio alle debolezze strutturali delle stesse, derivanti: (i) dal modello di attività, focalizzato sulla tradizionale attività al dettaglio e quindi particolarmente esposto all’andamento dell’economia reale; (ii) dagli assetti organizzativi e dalla dimensione ridotta, con effetti sui costi e sulle possibilità di innovazione; e (iii) dalla forma giuridica cooperativa conseguenza della ristrettezza della base sociale, dei limiti al possesso azionario del socio e del voto capitario.

Il punto focale della riforma ruota intorno all’obbligo per le BCC di entrare a far parte di un gruppo bancario cooperativo (il “GBC“). Il nuovo art. 33 del d.lgs. n. 385/1993 (il “TUB“) prevede, infatti, che l’adesione ad GBC sia condizione per il rilascio dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria in forma di BCC.

Inoltre, in caso di esclusione della BCC dal GBC, la medesima potrà continuare a svolgere l’attività bancaria previa autorizzazione della Banca d’Italia e trasformazione in società per azioni, perdendo quindi lo status di BCC, o altrimenti dovrà deliberare la propria liquidazione.

Per quanto riguarda la composizione del GBC, l’art. 37-bis del TUB chiarisce che lo stesso è costituito: (i) dalla capogruppo, vale a dire una società per azioni con un patrimonio netto superiore ad un miliardo di euro, autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria alla quale sono attribuiti contrattualmente poteri di direzione e coordinamento del gruppo e il cui capitale sociale è detenuto in misura maggioritaria dalle BCC appartenenti al medesimo gruppo; (ii) dalle BCC che aderiscono al contratto e hanno adottato le connesse clausole statutarie; e (iii) dalle società bancarie, finanziarie e strumentali controllate dalla capogruppo, come definite dall’art. 59 del TUB.

I soggetti appartenenti al GBC sono, quindi, assoggettati ai poteri di direzione e coordinamento della capogruppo in virtù di un possesso azionario pregresso alla costituzione del gruppo o acquisito successivamente ovvero per il tramite dello stesso contratto di coesione posto a fondamento del gruppo.

Il contratto di coesione è, quindi, lo strumento capace di assicurare alla capogruppo il controllo sulle BCC facenti parte del GBC. Per queste ragioni il contratto di coesione assume un ruolo cruciale nella definizione dei rapporti tra i soggetti del gruppo, tanto da spingere il legislatore a disciplinarne anche il contenuto minimo.

In particolare, lo stesso oltre ad indicare la banca capogruppo ed i relativi poteri nonché le condizioni di adesione e quelli di esclusione dal gruppo, dovrà consentire il conseguimento delle finalità mutualistiche alle banche, assicurando un’effettiva attività di direzione e coordinamento quanto meno con riguardo all’attuazione degli indirizzi strategici, al rispetto della normativa in materia bancaria, finanziaria e della disciplina prudenziale di riferimento. In ogni caso, l’intensità del controllo e, in generale, i poteri della capogruppo dovranno essere proporzionati alla rischiosità delle banche aderenti (cfr. art. 37-bis, comma 3 TUB).

Peraltro i poteri e le prerogative della capogruppo descritte nel contratto di coesione, dovranno riflettersi anche nello statuto delle BCC. Le nuove norme, infatti, dispongono che lo statuto delle stesse includa anche l’indicazione dei poteri attribuiti alla capogruppo.

Le ulteriori novità introdotte dal D.L. consistono nella possibilità per la banca capogruppo di finanziare direttamente le singole BCC per le quali, peraltro, è previsto anche un innalzamento del numero minimo dei soci, elevato da 200 a 500, e del valore nominale della partecipazione detenibile da ciascun socio portato da cinquantamila euro a centomila, in linea con quanto previsto per le cooperative operanti in settori diversi da quello bancario.

Inoltre, per assicurare il frazionamento del capitale sociale della capogruppo – coerentemente con la natura cooperativa del GBC – il comma 2 del nuovo art. 37-bis del TUB rimette allo statuto della capogruppo l’obbligo di stabilire un limite massimo al numero di azioni con diritto di voto detenibile da ciascun socio (a tal fine si dovrà tenere conto anche delle partecipazioni detenute in via indiretta, tramite società controllate, società fiduciarie o interposta persona).

Infine, è previsto l’obbligo di stabilire contrattualmente la garanzia in solido delle obbligazioni assunte dalla capogruppo e dalle altre banche aderenti al GBC (cfr. comma 4, art. 37-bis TUB). Tale presidio consente l’applicazione di regole prudenziali di matrice europea idonee a rafforzare la situazione patrimoniale del GBC e la sua capacità competitiva, anche nel confronto con analoghi gruppi esteri.

Le norme disciplinano, altresì, il procedimento per la costituzione dei GBC, in base al quale la banca che intenda assumere il ruolo di capogruppo dovrà sottoporre alla Banca d’Italia uno schema di contratto di coesione e l’elenco delle BCC e delle altre società che intendano aderire al GBC. Su tale documentazione la Banca d’Italia esercita un controllo preventivo finalizzato all’accertamento della sussistenza delle condizioni di legge per la costituzione del gruppo e dell’idoneità del contratto a consentirne la sana e prudente gestione.

La stipula del contratto tra la capogruppo e le BCC aderenti dovrà intervenire entro 90 giorni dall’accertamento preventivo della Banca d’Italia; quest’ultime potranno aderire al GBC attraverso una richiesta al gruppo prescelto, il cui accoglimento si realizzerà per mezzo di un meccanismo di silenzio assenso. La richiesta di adesione ad un gruppo si ha per accolta, in ogni caso, qualora la BCC abbia in precedenza fatto parte di un accordo di responsabilità contrattuale che tuteli tutte le parti aderenti e, in particolare, garantisca la loro liquidabilità e solvibilità. In questo caso, quindi, il GBC prescelto perde la facoltà di rifiutare l’adesione.

Il quadro normativo sopra descritto, infine, dovrà essere completato dalle norme di attuazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze il quale – sentita la Banca d’Italia – dovrà individuare (i) i requisiti minimi organizzativi e operativi della capogruppo, tali da assicurare la sana e prudente gestione, la competitività e l’efficienza del gruppo bancario nel rispetto delle finalità mutualistiche; e (ii) il numero minimo di BCC di un GBC, necessario ad assicurare il rispetto dei requisiti prudenziali, la diversificazione e il frazionamento dei rischi.

I FIA e la concessione di finanziamenti

L’altra novità introdotta dal D.L. è solo apparentemente meno rivoluzionaria di quella relativa alle BCC consistendo nella “semplice” specificazione delle modalità operative con cui i FIA – italiani ed UE – possono effettuare l’attività di concessione di finanziamento (cfr. art. 17 del D.L.).

La portata innovativa del recentissimo set di norme può essere ricompresa solo riepilogando brevemente le vicende che hanno interessato i FIA nell’ambito dell’attività in questione.

In particolare, il Decreto Legge n. 91/2014 (c.d. “Decreto Competitività“) – convertito con modificazioni dalla Legge n. 116/2014 – aveva esteso alle imprese di assicurazione (oltre che ai veicoli di cartolarizzazione) la possibilità di erogare direttamente crediti, attività, quest’ultima, da sempre riservata – ai sensi dell’art. 106 del TUB – solo alle banche ed agli intermediari finanziari. Tale estensione era stata accompagnata da interventi normativi di coordinamento con la disciplina della riserva dell’attività finanziaria (nel TUB) e di chiarimento delle modalità per la concessione di crediti per le assicurazioni.

Il Decreto Competitività aveva, inoltre, introdotto un’apertura verso la possibilità di concessione di finanziamenti da parte dei fondi comuni di investimento attraverso una modifica della definizione di organismi di investimento collettivo del risparmio – OICR – contenuta nel d.lgs. n. 59/1998 (il “TUF“), con la previsione dell’investimento di questi in crediti, inclusi quelli emessi a valere sul proprio patrimonio. Proprio la locuzione “inclusi quelli a valere sul patrimonio” è stata utilizzata dal legislatore per estendere anche agli OICR la possibilità di concedere finanziamenti (tale assunto trova, peraltro, conferma nelle relazioni di accompagnamento delle disposizioni attuative del TUF).

Anche sul piano fiscale, il Decreto Competitività aveva confermato la predetta lettura prevedendo un’agevolazione fiscale in relazione agli interessi e ad altri proventi derivanti da talune forme di finanziamento alle imprese, anche erogate da OICR.

Nonostante tali spiragli normativi, tuttavia, in relazione ai fondi, non si era attuato alcun coordinamento con le previsioni del TUB, che continuavano ad attribuire solo a banche e ad intermediari finanziari la possibilità di esercitare l’attività di concessione di finanziamenti e che limitavano gli obblighi in materia di trasparenza a tali soggetti; inoltre, mancava del tutto una normativa secondaria idonea a definire le modalità entro cui tale attività avrebbe potuto essere esercitata (a differenza di quanto previsto per gli altri soggetti, vale a dire, assicurazioni e imprese di cartolarizzazione a cui il medesimo Decreto Competitività aveva esteso la possibilità di concedere finanziamenti).

Alla luce di tali considerazioni, nel contesto della quadro normativo precedente al D.L., sembrava pertanto preferibile, in ottica prudenziale, che gli OICR non prestassero l’attività di concessione di finanziamenti in maniera diretta, avvalendosi, piuttosto, di una banca o di un intermediario (in questo contesto si riteneva preferibile, ad esempio, che l’OICR instaurasse un rapporto esclusivamente con la banca o l’intermediario finanziario che cedeva il credito, evitando ogni rapporto diretto con i mutuatari).

Il testo del neo emanato D.L. fuga qualsiasi dubbio interpretativo e sancisce, per via legislativa, la possibilità anche per i fondi di esercitare direttamente l’attività di concessione di finanziamenti disciplinandone l’operatività.

In particolare, le modifiche al TUF apportate dal D.L. sono finalizzate a disciplinare l’attività di direct lending svolta in Italia da FIA italiani o europei, anche al fine di evitare arbitraggi regolamentari tra operatori di diversa nazionalità ed assicurare un omogeneo grado di protezione dei soggetti finanziati.

In particolare, il Decreto prevede che ai crediti erogati in Italia da FIA nazionali si applicano le norme del TUF e le relative norme attuative (vale a dire il regolamento della Banca d’Italia sulla gestione collettiva del risparmio del 19 gennaio 2015 e il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze n. 30/2015).

Il nuovo articolo 46-ter del TUB disciplina la concessione di finanziamenti in Italia da parte di FIA UE stabilendo procedure e requisiti equivalenti a quelli previsti per gli operatori nazionali, in modo conforme ai principi internazionali previsti dal Financial Stability Board, anche al fine di prevenire i fenomeni dello shadow banking.

Tanto premesso, i FIA UE che intendano svolgere il direct lending in Italia dovranno comunicarlo preventivamente alla Banca d’Italia la quale avrà 60 giorni (durante i quali il FIA EU non potrà operare) per esprimere un eventuale diniego. Inoltre, ai fini dell’ottenimento del nulla osta, il FIA EU dovrà rispettare una serie di condizioni; in particolare:

a) dovrà essere autorizzato dall’autorità competente dello stato membro d’origine ad investire in crediti, inclusi quelli erogati a valere sul proprio patrimonio, nel paese di origine;

b) dovrà avere forma chiusa ed uno schema di funzionamento, soprattutto per quanto riguarda le modalità di partecipazione, analogo a quello dei FIA italiani che investono in crediti;

c) le norme del paese d’origine del FIA UE in materia di contenimento e di frazionamento del rischio, inclusi i limiti di leva finanziaria, dovranno essere equivalenti alle norme stabilite per i FIA italiani che investono in crediti. L’equivalenza rispetto alle norme italiane potrà essere verificata con riferimento anche alle sole disposizioni statutarie o regolamentari del FIA UE, a condizione che l’autorità competente dello stato membro di origine ne assicuri l’osservanza.

A tali disposizioni di rango primario dovranno aggiungersi quelle secondarie emanate da Banca d’Italia la quale, peraltro, potrà prevedere la partecipazione dei FIA UE alla centrale dei rischi.

Inoltre, per evitare fenomeni elusivi della disciplina nazionale prevista dal TUB per gli intermediari finanziari ed assicurare un omogeneo livello di protezione dei clienti, il nuovo art. 46-quater del TUB stabilisce che l’attività di concessione di finanziamenti da parte di FIA italiani ed europei sarà soggetta alle disposizioni in materia di trasparenza delle condizioni contrattuali e dei rapporti con i clienti nonché alla relativa disciplina sanzionatoria di cui al TUB.

Sul piano fiscale, infine, il Decreto prevede una modifica dell’art. 26, comma 5-bis del DPR n. 600/1973 (in materia di imposta sui redditi), volta a chiarire che le norme ivi previste non possono non tener conto delle disposizioni in tema di riserva di attività per l’erogazione di finanziamenti nei confronti del pubblico di cui al TUB. La circostanza che il legislatore abbia ritenuto necessario tale ulteriore coordinamento con la normativa fiscale dimostra che la stessa non era, in assenza delle previsioni del D.L., sufficiente a ritenere possibile, per un OICR, l’attività di erogazione diretta del credito.

Alla luce di quanto fin qui evidenziato si intuisce, quindi, la vera portata delle novità introdotte dal D.L. il quale, in buona sostanza, ha reso possibile anche per gli OICR esercitare direttamente l’attività di concessione di finanziamenti che fino a questo momento, nonostante i contenuti del Decreto Competitività, non poteva considerarsi fattibile per via, soprattutto, del mancato coordinamento con la riserva di attività contenuta nel TUB.

Tale novità rende effettiva per le imprese italiane la possibilità di avvalersi di un importante canale di finanziamento ulteriore ed alternativo a quello bancario.

Share

I commenti per questo post sono chiusi