Le partecipazioni di CDP nei fondi
di Stefano Corsaro

Set 10 2015
Le partecipazioni di CDP nei fondi <small><small><I> di Stefano Corsaro </I></small></small>

Una delle modalità con cui Cassa Depositi e Prestiti (CDP) offre sostegno all’economia sono i Fondi da essa partecipati o controllati. Ciò che differenzia l’attività così portata avanti dal resto della strategia di CDP (su cui ci siamo già soffermati, si veda Corsaro, 2015) è lo scopo perseguito. L’obiettivo di FRI, Export Banca e dei plafond è infatti ridurre la mancanza di credito (credit crunch); i Fondi, invece, tentano di affievolire la mancanza di capitale proprio (equity crunch).

Di seguito analizzeremo i casi del Fondo Italiano di Investimento (FII) e del Fondo Strategico Italiano (FSI).

IL FONDO ITALIANO DI INVESTIMENTO

Il Fondo Italiano di Investimento è un fondo mobiliare chiuso, creato nella seconda metà del 2010 e gestito da una SGR, le cui quote sono equamente suddivise tra CDP, MEF, Confindustria, ABI, Monte dei Paschi, Unicredit, Intesa Sanpaolo, Istituto Centrale delle Banche Popolari – la quota di CDP è dunque del 12,5%. Nato con una patrimonializzazione di 1 miliardo di euro e con un obiettivo di 3 miliardi, il Fondo ha attualmente una dimensione di 1,2 miliardi (per poter entrare nel capitale dello stesso, l’investimento minimo è di 100 milioni). Non si tratta di uno strumento unico in Europa: esempi in tal senso sono Jeremie, gestito dallo European Investment Fund; il Fonds Stratégique d’Investissement francese, creato tra il 2008 e il 2009 e attivo per imprese di tutte le dimensioni; il Vækstfonden danese, incentrato principalmente su società di nuova costituzione e fondi di venture capital.
Il Fondo italiano è attivo per le piccole e medie imprese e ha il duplice obiettivo di favorire la patrimonializzazione delle Pmi e la loro aggregazione, così da creare un nucleo di ‘medi campioni nazionali’ capaci di competere sui mercati internazionali, senza perdere la flessibilità tipica delle aziende di minore dimensione. Gli investimenti durano 12 anni, 5 per l’investimento e 7 per il disinvestimento (i tempi sono prorogabili, rispettivamente, di 1 e 2 anni): si tratta di periodi più lunghi rispetto ai fondi di private equity.

Diverse modalità di intervento, suddivise in dirette e indirette, sono possibili.

Gli interventi diretti si strutturano in quattro linee:

  1. equity: il FII può entrare nel capitale sociale, con quote perlopiù di minoranza, di aziende con fatturato indicativamente compreso tra 10 e 250 milioni (all’apertura del Fondo, riferimento erano le imprese con fatturato tra 10 e 100 milioni), per un periodo di 5-7 anni. Al fine di garantire la patrimonializzazione delle aziende, senza ridurne il controllo da parte degli azionisti, possono essere acquistate azioni privilegiate, invece di titoli ordinari;
  2. mezzanine finance. In questo caso, FII acquisisce debito subordinato, il cui rimborso integrale avviene dopo il rimborso dei titoli senior, e un warrant (o opzione call), con cui l’ingresso in azienda è condizionato a un aumento pre-determinato del valore della stessa. Il vantaggio di questo strumento è la fornitura di equity senza aumentare nell’immediato il debito (nel caso di acquisizione di debito subordinato) o senza diluire le quote di partecipazione degli altri azionisti (nel caso di warrant o opzione call);
  3. obbligazioni convertibili o warrant: esse prevedono la possibilità di entrare nel capitale sociale dell’impresa non immediatamente, ma se avviene un aumento di valore dell’impresa stessa. I casi 2 e 3 sono adatti in caso di aziende fortemente indebitate;
  4. prestiti partecipativi: della durata di 5-10 anni, essi prevedono che parte del rendimento sia collegato ai risultati ottenuti dalla società finanziata. I prestiti partecipativi sono utilizzati per aziende con ambiziosi piani di crescita nel medio periodo – uno dei target principali del Fondo.

Gli investimenti indiretti prendono la forma di:

  1. coinvestimento, effettuato assieme ad altri fondi di private equity, con cui si concludono accordi al fine di diminuire i costi fissi;
  2. fondi di fondi: in questo caso, il FII fornisce equity, garanzie o prestiti ad altri fondi

In entrambi i casi, è necessaria una esplicita condivisione di obiettivi tra il FII e gli altri fondi partecipanti (CDP, 2015a; CDP, 2015b; FII, 2009; Bassanini, 2015).

Tra il 2010 e il 2014, il Fondo ha compiuto investimenti per un totale di 354 milioni in 32 società ed è entrato in 20 fondi per un ammontare di 408 milioni. Il numero di imprese in cui al 31 dicembre il FII ha interessi di qualunque natura è pari a 127. Lo scorso anno il Fondo ha anche allargato il suo perimetro di attività, con l’apertura del Fondo Venture Capital e del Fondo Minibond. La dimensione di tali fondi di fondi è di 50 e 250 milioni di euro; l’obiettivo è di raggiungere una dotazione di 200 e 500 milioni. Il primo si occuperà di favorire la nascita e l’espansione di start up innovative; il secondo aiuterà la creazione di fondi di minibond, per supportare le Pmi – oggetto dell’operazione sono circa 33000 aziende con ricavi tra 5 e 250 milioni (CDP, 2015b; CDP, 2015c).

IL FONDO STRATEGICO ITALIANO

Il FSI è stato creato nel 2011 con una dotazione di 4,4 miliardi di euro e con l’obiettivo di raccogliere 7 miliardi tramite l’ingresso di investitori istituzionali; è controllato all’80% da CDP (il 2,3% è detenuto dalla controllata Fintecna) e con una quota di minoranza del 20% di Banca d’Italia.  Il capitale attualmente disponibile per gli investimenti ammonta a 5,1 miliardi di euro: esso viene impiegato per acquisire quote in imprese in equilibrio economico-finanziario e che presentano potenzialità per competere in ambito internazionale, buone prospettive di sviluppo e per la creazione di ‘poli’ di eccellenza. L’investimento avviene preferibilmente in capitale primario; quando un aumento di capitale non è possibile, il Fondo investe in quote di azioni già esistenti. Le quote acquisite sono solitamente di minoranza (con possibili deroghe per aumentare la concorrenza e gestire squilibri temporanei) al fine di non alterare le dinamiche di mercato e di rimanere un ‘investitore non gestore’. L’importo minimo degli investimenti è fissato a 50 milioni di euro: sono previsti limiti di concentrazione per settore. Come la CDP, anche il FSI compie investimenti di lungo periodo (con l’obiettivo di ottenere rendimenti di mercato), così da completare i finanziamenti bancari di breve periodo e favorire lo sviluppo delle principali imprese nazionali.
Oggetto di interesse del Fondo sono le aziende di ‘rilevante interesse nazionale’, ovvero operanti in settori strategici: difesa, sicurezza, infrastrutture, trasporti, comunicazioni, energia, assicurazioni e intermediazione finanziaria, ricerca e innovazione ad alto contenuto tecnologico, pubblici servizi, turistico-alberghiero, agroalimentare e della distribuzione, gestione dei beni culturali e artistici. Il criterio settoriale può essere sostituito da un parametro dimensionale o di sistema: nel primo caso, sono considerate strategiche le società, attive in qualunque settore, con un fatturato non inferiore a 300 milioni e almeno 250 dipendenti; se, infine, le imprese presentano importanti indotto e esternalità positive, il fatturato e il numero di dipendenti minimi richiesti diminuiscono del 20%. Le aziende che soddisfano i requisiti suddetti sono 2186.

Il FSI sta acquisendo un ruolo di primaria importanza nelle attività di CDP e non solo. Esso ‘rappresenta oggi il principale veicolo di attrazione di capitali esteri da investire nel tessuto imprenditoriale italiano. FSI si pone, infatti, come catalizzatore di risorse finanziarie destinate alle imprese strategiche e in questo senso può essere considerato strumento di una nuova politica economica del Paese’ (CDP, 2015c, p. 21). Il Fondo ha sinora concluso accordi internazionali per circa 3 miliardi, garantendo nella maggior parte dei casi che il controllo dell’azienda rimanesse nel nostro paese. Tra il 2013 e il 2014, sono inoltre stati approvati 35 investimenti in aziende di grandi dimensioni, e sono entrate nel portafoglio del Fondo 10 aziende, per un esborso di 2,7 miliardi – sono tuttora parte delle attività del Fondo 8 aziende, per un investimento complessivo di 2,1 miliardi di euro.
Gli investimenti approvati hanno seguito nella maggioranza dei casi il criterio settoriale. I loro obiettivi sono stati molteplici: creazione di infrastrutture strategiche; potenziamento della filiera produttiva; innovazione; internazionalizzazione; quotazione in Borsa; aumento degli occupati. In alcuni casi, sono nati nuovi stabilimenti o ne sono stati acquisiti di esistenti all’estero.
Le 8 aziende in portafoglio di FSI hanno grande rilevanza da un punto di vista quantitativo (il loro indotto contribuisce allo 0,2% del valore aggiunto nazionale) e per la loro solidità. Analizzando, infatti, la crescita di MOL e ricavi delle aziende in cui il Fondo ha investito, emerge che, nel triennio 2011-2013, 7 delle 8 imprese partecipate dal FSI hanno avuto tassi di crescita di entrambi gli indicatori superiori al settore di appartenenza. Si stima, inoltre, che l’attività del Fondo abbia contribuito a un aumento dell’occupazione diretta e indiretta compreso tra il 9% e il 15%. Tra le principali finalità rimane da potenziare la capacità di aggregazione, al fine di favorire la competitività internazionale (CDP, 2015c; FSI, 2015a; FSI, 2015b; Bassanini, 2012; Bassanini, 2015).

RUOLO E POTENZIALITÀ DEI FONDI

La creazione di Fondi di investimento di proprietà pubblica ha rappresentato un notevole cambiamento nel ruolo dello Stato nell’economia: alla classica dicotomia tra lo Stato regolatore e lo Stato imprenditore si è infatti sostituito lo Stato investitore, che impiega i propri fondi per finalità pubbliche, ma non interviene nelle decisioni circa il loro impiego, lasciate a logiche private. Coerentemente con quanto detto, i Fondi non salvano imprese in difficoltà, ma le aiutano a svilupparsi – coerentemente, il FSI richiede che le aziende siano in equilibrio economico-finanziario ed entrambi hanno come obiettivo la creazione di un nucleo di ‘campioni nazionali’ (Corsaro, 2015; CDP, 2015c).
Le attività di FII e FSI sono parzialmente complementari, in quanto il primo si occupa di piccole e medie imprese, il secondo di aziende di grandi dimensioni. Potrebbe dunque essere utile semplificare gli strumenti normativi per i finanziamenti alle imprese – anche con riferimento ad altre forme di finanziamento pubblico -, diminuendo enti e norme preposte a tale obiettivo. I Fondi potrebbero inoltre essere ulteriormente capitalizzati (il Fonds Stratégique d’Investissement francese ha una dotazione di 20 miliardi di euro, FII e FSI si fermano a un terzo).

 BIBLIOGRAFIA

Bassanini, Franco. La Cassa Depositi e Prestiti nell’economia sociale di mercato. Cassa Depositi e Prestiti. 2012.

Bassanini, Franco. La politica industriale dopo la crisi: il ruolo della Cassa Depositi e Prestiti. Astrid Rassegna, n.7. 2015.

Cassa Depositi e Prestiti (CDP). Crescere per competere. Il caso del Fondo Strategico Italiano. Quaderni, n.1. 2015c.

Cassa Depositi e Prestiti (CDP). Fondo Italiano di Investimento (FII). Imprese. 2015a.

Corsaro, Stefano. La nuova Cassa Depositi e Prestiti e il sostegno alle imprese. FinRiskAlert.it. 2015.

Cassa Depositi e Prestiti (CDP). Relazione finanziaria annuale 2014. 2015b.

Fondo Italiano di Investimento (FII). Fondo Italiano di Investimento per le Piccole e Medie Imprese. 2009.

Fondo Strategico Italiano (FSI). Chi siamo. 2015a.

Fondo Strategico Italiano (FSI). Come operiamo. 2015b.

 

Il Decreto di attuazione dell’accordo tra Italia e Stati Uniti sulla normativa FATCA
di Giulia Mele

Set 10 2015
Il Decreto di attuazione dell’accordo tra Italia e Stati Uniti sulla normativa FATCA <small><small><I> di Giulia Mele </I></small></small>

Il 13 agosto 2015 è stato pubblicato il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (il “Decreto“) di attuazione della legge n. 95 del 18 giugno 2015, di ratifica dell’Accordo intergovernativo tra il governo italiano e quello degli Stati Uniti d’America finalizzato a migliorare la compliance fiscale internazionale e ad applicare la normativa FATCA (Foreign Account Tax Compliance Act).

Prima di passare alla disanima dei contenuti del Decreto sembra opportuno richiamare brevemente la natura e la ratio della disciplina FATCA.

Le disposizioni del FATCA sono state adottate nell’ambito dell’Hiring Incentives to Restore Employment (HIRE) Act e completate  dagli orientamenti emanati dal Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti (i “FATCA Regulations”).

Obiettivo conclamato della disciplina è quello di individuare e disincentivare l’evasione fiscale offshore da parte dei cittadini statunitensi o dei residenti negli Stati Uniti. In particolare, si impongono determinati obblighi alle Foreign Financial Institution (le “FFI“) che detengano (e intendano continuare a detenere), in conto proprio o di terzi, rapporti finanziari con soggetti di origine statunitense. Esse dovranno, infatti, sottoscrivere un apposito accordo con l’amministrazione fiscale statunitense (l’Internal Revenue Service o “IRS“) in base al quale le FFI saranno tenute a verificare se tra i propri clienti vi siano contribuenti americani e, in tal caso, ad attivare uno scambio informativo con l’IRS. Nel caso in cui tali obblighi di scambio siano disattesi è prevista l’imposizione di una ritenuta alla fonte (pari al 30% dell’importo corrisposto).

L’Italia, insieme ad altri Stati Membri dell’Unione Europea, si è impegnata a recepire la normativa FATCA nell’ ordinamento sottoscrivendo, il 10 gennaio 2014, un accordo intergovernativo (l”IGA Italia“) basato sul principio di reciprocità dello scambio dei flussi informativi. Tale accordo è stato ratificato dalla sopracitata legge n. 95 del 18 giugno 2015 (la “Legge di Ratifica“).

In base all’IGA Italia, da un lato, le istituzioni finanziarie italiane sono tenute ad identificare i titolari dei conti correnti che risultino aperti presso di esse da investitori statunitensi e a condividere con gli USA le informazioni rilevanti e, dall’altro, gli Stati Uniti sono tenuti a comunicare all’amministrazione finanziaria italiana gli elementi informativi relativi ai conti correnti detenuti nel loro territorio da residenti italiani.

Al fine di assicurare l’effettività dello scambio delle informazioni, la Legge di Ratifica ha introdotto disposizioni concernenti gli adempimenti cui sono tenute le istituzioni finanziarie italiane ai fini dell’attuazione del suddetto obbligo di scambio. Tali disposizioni consistono, inter alia, negli obblighi (i) di adeguata verifica ai fini fiscali e di acquisizione di dati sui conti finanziari e su taluni pagamenti (art. 5 della Legge di Ratifica) e (ii) di comunicazione all’Agenzia delle Entrate degli elementi informativi acquisiti (art. 4 della Legge di Ratifica).

In questo contesto, la Legge di Ratifica attribuisce al Ministro dell’Economia e delle Finanze il compito di: (i) stabilire le regole tecniche per la rilevazione, la trasmissione e la comunicazione all’Agenzia delle Entrate delle informazioni relative ai conti finanziari ed ai pagamenti corrisposti da soggetti non residenti ovvero da cittadini statunitensi ovunque residenti; (ii)  individuare le procedure di adeguata verifica ai fini fiscali; (iii) disciplinare l’applicazione del prelievo alla fonte; (iv) stabilire la tempistica degli obblighi di comunicazione tra istituzioni finanziarie.

In linea con quanto previsto dalla Legge di Ratifica il 6 agosto u.s. il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha emanato il Decreto, composto da 11 articoli più un allegato (l'”Allegato“), e l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato un provvedimento contenente le disposizioni attuative del Decreto medesimo. Tali provvedimenti, quindi, completano il quadro normativo disegnato dall’IGA Italia e recepito dalla Legge di Ratifica per l’implementazione della normativa FATCA.

Di seguito una breve disamina dei principali contenuti del Decreto.

Ambito di applicazione

Il Decreto, innanzitutto, individua i soggetti tenuti alle comunicazioni dovute all’Agenzia delle entrate in aggiunta a quelli elencati nell’art. 4, comma 1 della Legge di Ratifica (i.e. banche, società di intermediazione mobiliare, Poste Italiane S.p.A. società di gestione del risparmio, società finanziarie e società fiduciarie residenti nel territorio dello Stato Italiano).

A tal fine, preliminarmente, sono state individuate le categorie di intermediari interessati dalla normativa FATCA attraverso la definizione delle nozioni di “istituzione di custodia”, “istituzione di deposito”, “entità di investimento”, impresa di assicurazione specificata” e “holding company“.

Inoltre, per specificare il perimetro delle istituzioni italiane interessate – le quali devono rientrare in una delle categorie sopra elencate – viene individuata la nozione di “istituzione finanziaria italiana” (c.d. IFI), comprendente (i) qualsiasi istituzione finanziaria residente in Italia (ad esclusione delle stabili organizzazioni di tale istituzione finanziaria situate al di fuori del territorio dello Stato) e (ii) qualsiasi stabile organizzazione di un’istituzione finanziaria non residente in Italia, se tale stabile organizzazione è situata in Italia.

Le IFI, per ragioni sistematiche, sono distinte in due sottocategorie ovvero le istituzioni finanziarie tenute alla comunicazione (c.d. “IFI reporting“) e quelle non tenute alla comunicazione.

Le IFI reporting sono tassativamente elencate al numero 7.1. dell’art. 1, comma 1 del Decreto nel quale sono ricomprese, inter alia, le banche, le società di gestione del risparmio, gli istituti di moneta elettronica e gli istituti di pagamento, nonché gli organismi di investimento collettivo del risparmio in possesso dei requisiti previsti per le entità di investimento.

Due diligence fiscale

L’art. 2 del Decreto stabilisce che le IFI reporting devono applicare le procedura di adeguata verifica in materia fiscale (due diligence) per identificare i conti finanziari oggetto di comunicazione. Le procedure di adeguata verifica che le IFI reporting dovranno porre in essere per determinare il FATCA status del titolare del conto sono indicate nell’Allegato al Decreto.

In particolare, la sezione I, al paragrafo A dell’Allegato, contiene una parte definitoria che distingue tra i conti “nuovi”, ossia aperti a partire dal 1 luglio 2014, e “preesistenti”, ovvero quelli già esistenti alla data del 30 giugno 2014.

Inoltre, tanto per i conti “nuovi” che per quelli “preesistenti”, l’Allegato fissa delle soglie di rilevanza al di sotto delle quali non sussiste l’obbligo di verifica, identificazione o comunicazione. Resta ferma, in ogni caso, la facoltà per l’istituzione finanziaria italiana di espletare le procedure di adeguata verifica su tutti i conti, indipendentemente dal superamento della soglia di rilevanza.

Tali distinzioni valgono a graduare l’intensità delle procedure di adeguata verifica, contemperando le opposte esigenze di mitigare gli oneri gravanti sulle istituzioni finanziarie italiane e arginare il rischio di evasione da parte di contribuenti statunitensi.

Sono, inoltre, definite le procedure antiriciclaggio, più volte richiamate nell’ambito della due diligence ai fini FATCA, intendendosi per tali quelle previste dal decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231, nonché dai provvedimenti della Banca d’Italia e del Ministero dell’Economia e delle Finanze.

Inoltre, nell’Allegato sono elencati una serie di documenti, definiti “prove documentali”, accettati nell’ambito della due diligence con riferimento sia alle persone fisiche che giuridiche.

Il prelievo alla fonte

L’art. 3 del Decreto chiarisce che l’obbligo di applicare il prelievo alla fonte grava esclusivamente sulle istituzioni finanziarie italiane che, in virtù di apposito accordo concluso con le autorità fiscali statunitensi, hanno assunto la qualità di intermediari qualificati con responsabilità primaria di sostituto d’imposta statunitense (qualified intermediary with primary withholding responsability).

Le istituzioni finanziare non in possesso di tale qualifica saranno, invece, tenute a comunicare all’istituzione finanziaria che immediatamente le precede nella catena degli intermediari i dati necessari per applicare il prelievo alla fonte, ciò al fine di garantire l’applicazione del prelievo risalendo la catena degli intermediari fino ad individuare la qualified intermediary with primary withholding responsability.

Oggetto e termini della comunicazione

Il Decreto individua i dati che le IFI reporting devono inoltrare all’Agenzia delle entrate per consentire lo scambio di informazioni con la competente autorità finanziaria statunitense.

In particolare, indipendentemente dalla tipologia di conto finanziario, devono essere fornite le informazioni essenziali per uno scambio efficace, che consentano di individuare il titolare del conto e l’eventuale reddito sottratto alla conoscibilità delle autorità statunitensi. Pertanto, sono sempre inviati i dati identificativi del titolare, quali nome, denominazione o ragione sociale, indirizzo e codice fiscale statunitense (TIN – Tax Identification Number). Inoltre, devono essere trasmesse informazioni sul numero e sul saldo o valore del conto, nonché i dati identificativi dell’istituzione finanziaria italiana che effettua la comunicazione. Oneri informativi aggiuntivi sono previsti nel caso di conti di custodia e di deposito.

Con riferimento ai termini entro i quali le informazioni devono essere trasmesse all’Agenzia delle entrate, il Decreto stabilisce che lo scambio di informazioni tra autorità competenti deve avvenire entro il 30 settembre di ciascun anno solare. Pertanto, al fine di consentire all’Agenzia delle entrate di provvedere all’invio rispettando la tempistica prestabilita, il comma 4 dell’art. 5 del Decreto individua nel 30 aprile di ciascun anno il termine entro il quale le IFI reporting sono tenute a trasmettere i dati riferiti all’annualità precedente. Tale data è diretta a garantire la raccolta, il caricamento nelle banche dati preposte e una prima analisi delle informazioni, per trasmettere un dato completo e fruibile al partner internazionale.

Il Decreto, inoltre, prevede che il termine di scadenza per il primo invio dei dati debba essere stabilito con provvedimento dal Direttore dell’Agenzia delle entrate. Nel provvedimento del 7 luglio scorso tale termine è stato individuato nel 31 agosto 2015, data entro la quale, quindi, gli operatori finanziaria interessati dalla normativa FATCA dovranno inviare le informazioni sui conti finanziari concernenti l’anno 2014.

Infine, con riferimento alle modalità e le tempistiche per l’invio delle informazioni rilevanti da parte delle società di gestione del risparmio, preme rilevare come Assogestioni abbia fornito alcune precisazioni rinviando la completa disanima della normativa ad un manuale in corso di pubblicazione (i.e. FATCA: istruzioni per l’uso).

In ogni caso, anticipano i contenuti di tale manuale la circolare 84/15/C del 31 luglio 2015 e 87/15/C del 4 agosto 2015.

Le sopracitate circolari indicano come gli OICR immobiliari – il cui reddito lordo nel triennio che scade il 31 dicembre dell’anno antecedente a quello della verifica deriva in misura inferiore al 50% dall’investimento, reinvestimento o negoziazioni di “attività finanziarie” – non sono tenuti alla comunicazione.

Inoltre, per i conti finanziari fra le informazioni da segnalare vi sono i conti “preesistenti” chiusi nel secondo semestre del 2014, a condizione che entro il 31 dicembre 2014 sia stata completata la procedura di adeguata verifica in materia fiscale, all’esito della quale siano stati identificati come “conti statunitensi oggetto di comunicazione”.

Infine, gli OICR potranno avvalersi delle società di gestione del risparmio per inviare le proprie comunicazioni.

EBA: gestione delle crisi bancarie

Set 10 2015

L’EBA ha reso nota la sua Opinione su quali asset debbano essere garantiti in caso di trasferimento parziale di proprietà in seguito a una risoluzione. E’ garantita la piena protezione delle fonti consolidate di rifinanziamento, come il debito garantito, e dei mezzi di attenuazione del rischio.

Comunicato stampa
Opinione

EBA: consultazione sull’esenzione delle controparti non finanziarie dal rischio CVA

Set 10 2015

L’Autorità bancaria europea (EBA) ha lanciato una consultazione sulle norme tecniche in merito alle procedure per l’esclusione delle operazioni con controparti non finanziarie (SNF) stabiliti in un paese terzo dall’aggiustamento della valutazione del rischio di credito (CVA).
La consultazione terminerà il 5 novembre.

Comunicato stampa
Documento per la consultazione

Ulteriori analisi dell’EBA su NSFR e leva finanziaria

Set 10 2015

Ulteriori analisi dell’EBA su NSFR e leva finanziaria sono previste nei prossimi mesi: esse verteranno su proporzionalità, scopo dell’applicazione e impatto sui mercati della calibrazione di tali indicatori.
Il report sull’NSFR sarà pronto entro fine anno, quello sulla leva finanziaria entro ottobre 2016 (data che potrebbe essere anticipata a luglio).

Comunicato stampa
Richiesta di analisi all’EBA