Banking Union: un passo importante ma non la panacea di tutti i problemi
di Emilio Barucci

Ott 13 2014
Banking Union: un passo importante ma non la panacea di tutti i problemi <small><small><I> di Emilio Barucci  </I></small></small>

Nella complessa partita che riguarda l’Europa post crisi del debito sovrano, la Banking Union (BU) rappresenta sicuramente una storia di successo. Gli Stati nazionali e le istituzioni europee sono riuscite in larga misura a rispettare la tabella di marcia che si erano imposti per mettere a punto un sistema di vigilanza a livello europeo incentrato sulla BCE.

La BU dovrebbe poggiare su tre pilastri: il Single Supervisory Mechanism (SSM), il Single Resolution Mechanism (SRM) e il Single Deposit Guarantee Scheme (SDG). Il SSM e il SRM ambiscono a creare un level playing field per quanto riguarda la vigilanza bancaria, a rendere il sistema più solido e a recidere il cordone ombelicale tra banche e conti pubblici. Il SDG intende invece creare una rete di protezione a livello europeo per i possessori di depositi.

Un bilancio sullo stato della BU ci porta a dire che il SSM è oramai pienamente in funzione con l’asset quality review, gli stress tests e il passaggio a giorni della vigilanza delle banche (diretta per le più grandi e indiretta per le più piccole) in capo alla BCE. Il SRM, assieme al Single Resolution Fund (SRF), è oramai definito anche se entrerà in funzione nel 2016. Invece, il SDG ancora non si vede all’orizzonte.

Il SSM rappresenta sicuramente una nota positiva. L’azione combinata dell’EBA, sul fronte della regolazione, e della BCE, sul fronte della vigilanza, dovrebbe garantire un assetto regolamentare e di vigilanza comune a tutti i paesi dell’area euro evitando l’eterogeneità osservata prima della crisi finanziaria, un dato che aveva portato a significativi arbitraggi regolamentari. Questo dovrebbe contribuire a rafforzare il mercato unico europeo in ambito finanziario.

L’assetto decisionale che si viene a creare su materie di vigilanza all’interno della BCE (Supervisory Board e Governing Council) potrà richiedere una messa a punto nella pratica ma ci sono tutte le condizioni affinché il nuovo sistema funzioni efficacemente. I possibili conflitti (all’interno della BCE) tra l’attività di vigilanza e la condotta della politica monetaria così come i possibili conflitti tra la BCE e le autorità di vigilanza nazionale sembrano essere di portata ridotta. Più complesso è il rapporto che si verrà ad instaurare con l’EBA e con l’European Systemic Risk Board, che sono incaricate rispettivamente della regolazione in materia bancaria e delle politiche macroprudenziali. E’ presto per giudicare, ma è facile prevedere che queste istituzioni saranno chiamate a cooperare strettamente e che le complesse procedure formali di interazione nell’eventualità di conflitti non verranno attivate.

Il SRM e il SRF rappresentano sicuramente le novità di maggior rilievo della BU. Il SRM mette a punto una procedura che dovrebbe evitare il fallimento di una banca con le sue ricadute nefaste per l’intero sistema finanziario, il meccanismo stabilisce che devono essere gli azionisti e i possessori di obbligazioni a ‘‘pagare’’ il conto di un eventuale dissesto. Questo deve avvenire o tramite equity swap o write off del debito garantendo pienamente i possessori di alcune tipologie di obbligazioni e di depositi fino a 100.000 euro. Si tratta di una procedura di bail-in (tipo quella avvenuta per Cipro) che rischia di cambiare radicalmente il mondo dei titoli di debito emessi dalle banche: essi non saranno più plain vanilla ma avranno delle componenti di opzionalità che saranno assai difficili da valutare e assai poco gradite al mercato. Questi aspetti rischiano di complicare l’attività delle banche soprattutto nei paesi (come l’Italia) che presentano un elevato funding gap. Questo problema è amplificato dalla soglia elevata delle liabilities che debbono essere assorbite dai claimants della banca (8%) prima di poter far ricorso al SRF e dalla elevata discrezionalità nella mani del Single Resolution Board nel definire le liabilities che potrebbero essere oggetto di write-off. Senza dimenticare che l’esclusione ex ante di alcuni titoli (covered bonds) può condurre ad una pericolosa segmentazione del mercato.

Il ruolo dei privati nella gestione delle crisi risulta prevalente, il SRF può intervenire solo se gli investitori privati hanno sopportato l’8% delle perdite, l’intervento deve essere inferiore al 5% delle liabilities e il suo impiego è soggetto a numerosi vincoli. Il SRF (55 miliardi di euro in tutto) può svolgere il ruolo di ‘‘facilitatore’’ del processo di bail-in di una banca ma non può assolutamente costituire un back-stop per fronteggiare crisi bancarie sistemiche.

Con il SRM si passa dall’idea che le banche ‘‘non’’ possono fallire all’idea che esse possono fallire ma che il processo deve avvenire in modo ordinato con gli azionisti e gli obbligazionisti che debbono pagare in primo luogo il conto. Questo complica terribilmente il quadro alla luce dell’elevato grado di discrezionalità della procedura (la sua stessa attivazione e il riferimento all’interesse pubblico nel definire la procedura di bail-in). Il SRM pone in capo alle banche vincoli nella gestione del loro passivo, vincoli che debbono soddisfare ex ante in previsione di una crisi. Le banche di fatto debbono sottostare ad un’ulteriore autorità di vigilanza.

Nonostante queste criticità possiamo concludere che la BU rappresenta sicuramente un passaggio importante ma occorre non caricarla di aspettative eccessive. In primo luogo, come abbiamo visto, la BU non garantisce affatto uno schermo efficace nei confronti delle crisi bancarie di rilevanza sistemica: la necessità di un back stop pubblico è ancora presente. In secondo luogo, occorre ricordare che la BU era parte di una road map che comprendeva l’unione fiscale (con una qualche forma di mutualizzazione del debito) e l’unione politica. La sensazione è che il dibattito si sia arenato su un equivoco: la BU garantisce di poter trattare le crisi bancarie senza far pagare lo scotto ai contribuenti e senza appesantire i conti pubblici, questo elimina l’esigenza di un maggior coordinamento delle politiche economiche dei singoli Stati, di una politica fiscale comune e in definitiva della mutualizzazione del debito. Occorre ricordarsi che questo non è quello che la BU è in grado di garantire: la BU non è un sostituto degli eurobonds.

Solvency II

Ott 10 2014

La Commissione europea ha adottato un atto delegato contenente norme di attuazione per Solvency II.
L’atto comprende:
– la valutazione delle attività e delle passività, comprese le cosiddette “misure di garanzia a lungo termine;
– come impostare il livello di capitale e calibrare le varie classi di asset in cui le compagnie di assicurazioni possono investire;
– e come le compagnie di assicurazione dovrebbero essere gestite e governate.
L’atto entreà in vigore dopo l’esame e l’approvazione del Parlamento Europeo e del Consiglio.

Comunicato Stampa

Testo dell’atto delegato

Valutazione dell’impatto

FAQ  

Gestione del rischio

Ott 10 2014

Il Comitato di Basilea ha pubblicato un documento contenente i risultati dell’implementazione delle banche dei principi sulla gestione del rischio operativo. L’analisi riguarda 60 banche di rilevanza sistema appartenenti a 20 paesi diversi.

Comunicato Stampa

Documento

Basilea III

Ott 10 2014

La Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS) ha pubblicato le FAQ sulla leva finanziaria introdotta da Basilea III.

FAQ

Banca d’Inghilterra: proposte di modifica per la stabilità del sistema finanziario

Ott 10 2014

La Banca d’Inghilterra ha pubblicato quattro documenti contenenti proposte di modifica finalizzate ad aumentare la resistenza del sistema finanziario.

La consultazione verrà chiusa il 6 gennaio 2015

Comunicato stampa

Consultazione sulla struttura legale e sulla governance

Protezione dei depositanti

Tutela dei contraenti

Continuità operativa in caso di fallimento

 

Tasso massimo garantibile nelle polizze vita: variazione al ribasso
di Silvia Dell’Acqua

Ott 07 2014
Tasso massimo garantibile nelle polizze vita: variazione al ribasso <small><small><I> di Silvia Dell’Acqua </I></small></small>

L’ulteriore recente calo dello spread tra BTP e BUND a seguito delle rassicurazioni di Draghi sull’atteggiamento della Banca Centrale Europea (possibilità di quantitative easing) ha portato alla fine di settembre il rendimento dei titoli decennali italiani al 2.40%. A questa continua discesa del tasso medio di rendimento dei prestiti obbligazionari emessi dallo Stato (TMO) segue l’abbassamento del tasso massimo garantibile (TMG) per i contratti assicurativi che prevedono una garanzia di tasso d’interesse.

La regola di determinazione del TMG è definita dal regolamento ISVAP n° 21 in base a quanto prescritto dal Codice delle Assicurazioni del 2005 (normativa primaria nazionale); tale normativa nazionale era stata emanata per recepire quella europea, in particolare la terza direttiva 92/96/CEE del 10 novembre 1992.

La direttiva prescrive che il tasso di interesse utilizzato dalle Compagnie debba essere scelto in base a criteri prudenziali e fissato secondo le norme dell’autorità competente dello Stato Membro. La regolamentazione è volta alla tutela dei consumatori, perché non permette alle Compagnie di promettere garanzie irrealizzabili.

Il TMG è definito a partire dal TMO, definito in funzione delle rilevazioni mensili dei tassi annui di rendimento lordo dei Buoni del Tesoro Poliennali con scadenza a dieci anni (BTP_10y). Ogni mese il TMO è pari al valore minimo tra l’ultimo tasso BTP rilevato e la media aritmetica degli ultimi 12 tassi.

Il TMG viene aggiornato rispetto al valore in vigore se si verifica una delle seguenti condizioni:

  • il 60% di ciascuno degli ultimi 3 valori del TMO è superiore al 115% del TMG in vigore
  • il 60% di ciascuno degli ultimi 3 valori del TMO è superiore al TMG in vigore per più di 50bp;
  • il 60% di ciascuno degli ultimi 3 valori del TMO è inferiore al 85% del TMG in vigore
  • il 60% di ciascuno degli ultimi 3 valori del TMO è inferiore al TMG in vigore per più di 50bp;

le condizioni di aggiornamento corrispondono ad una variazione significativa del TMO (15% del valore corrente o 50 punti base).

Qualora si verifichi almeno una delle quattro condizioni, il nuovo valore del TMG è definito come media aritmetica delle ultime 3 osservazioni del 60% del TMO, arrotondata al più vicino quarto di punto (cioè 0.00%, 0.25%, 0.50% o 0.75%).

La regola appena descritta vale per i contratti con generica provvista di attivi, un valore massimo del TMG del 4% si applica per le assicurazioni di puro rischio; per i contratti con idonea provvista di attivi la procedura è quella descritta per quelli con generica provvista, ma ai fini della verifica delle condizioni di variazione e ai fini della determinazione del nuovo valore si considera il 75% del TMO in luogo del 60%. Anche i piani individuali di previdenza (PIP) di Ramo I sono assoggettati alla regola di calcolo del TMG, essendo classificati come contratti assicurativi con generica provvista di attivi.

Di seguito si riporta un grafico con gli ultimi livelli di BTP_10y, TMG (generica provvista), TMG_2 (idonea provvista): con la rilevazione del BTP_10y di Luglio, il TMG è passato da 2.25% a 1.75%, con la rilevazione di Settembre, il TMG_2 è passato da 2.50% a 2.00%; qualora anche il rendimento del BTP_10y di Ottobre dovesse scendere sotto a 2.479% (= 85% * 1.75% / 60%), il livello del TMG scenderà ulteriormente passando da 1.75% a 1.50%.

 

Immagine articolo

Poiché il TMG è un tasso massimo garantibile, le Compagnie sono obbligate a non superarlo, potendo in ogni caso applicare un tasso inferiore; naturalmente in caso di modifica a ribasso del TMG, le Compagnie devono adeguare le garanzie sui prodotti con tasso garantito più elevato del nuovo TMG entro 3 mesi dalla variazione del TMG stesso.

L’adeguamento riguarda la nuova produzione (nuove polizze, ma anche capitali acquisiti su polizze già esistenti con versamenti effettuati dopo la modifica del TMG) e può essere apportato anche al portafoglio in essere ove esistano specifiche clausole contrattuali che consentano di rivedere il rendimento minimo garantito sui capitali già acquisiti alla data della modifica.

Tipicamente accade che le Compagnie si attrezzino per abbassare i tassi garantiti in corrispondenza di un abbassamento del TMG, pur non sforando il limite di tasso massimo garantibile.

Ovviamente, le Compagnie con portafoglio di prodotti a garanzia di rendimento minimo legato al TMG beneficeranno di una discesa di quest’ultimo in termini di requisito di capitale sotto Solvency II.

Gestione del Rischio di Liquidità
di Enrico Ubaldi

Ott 07 2014
Gestione del Rischio di Liquidità <small><small><I> di Enrico Ubaldi </I></small></small>

E’ alquanto difficile dare una definizione precisa della nozione di liquidità. Nel seguito cerchiamo di definirne i contorni, di mettere in relazione il rischio liquidità con altri rischi e di fare il punto su quanto prescrive la regolazione.

1. La nozione di liquidità

Ad oggi non esiste una definizione universalmente accettata di liquidità. Citando Williamson [1], possiamo affermare che la liquidità ha a che vedere con flussi di denaro scambiati tra gli agenti del sistema finanziario, tra i quali abbiamo: banche centrali, banche commerciali, investment banks, fondi di investimento, etc. La liquidità è legata alla redditività dell’operatività dell’intermediario finanziario, nel caso dell’attività bancaria tale legame deriva dalle sue due principali funzioni:

  • la funzione monetaria, esercitata tramite la trasformazione delle passività in moneta, che viene messa a disposizione del pubblico;
  • la funzione creditizia, che consiste nel trasferimento di risorse dalle unità che si trovano in una situazione di surplus di liquidità a quelle che si trovano in una situazione di deficit, favorendo così il processo di allocazione del risparmio e lo sviluppo economico. Questa funzione si concretizza nella raccolta di denaro attraverso depositi (per lo più a breve termine) che viene impiegata per il finanziamento di fabbisogni finanziari a medio o lungo termine che risultano in genere essere più redditizi rispetto a forme di impiego più a breve termine.

Ciò conduce ad un inevitabile trade-off tra rischio di liquidità e redditività. Tanto più liquide/a breve termine sono le attività della banca, tanto minore sarà il loro rendimento. Detenere un’eccessiva liquidità al fine di minimizzare il rischio di non poter fronteggiare le uscite può essere molto costoso, sia per la redditività della banca che per l’economia nel suo complesso.

Alla nozione di liquidità sono associati due tipi di rischio: il market liquidity risk, che è rappresentato dalla perdita in cui incorre un agente che scambia o converte in denaro un titolo a condizioni che non corrispondono a quelle che si avrebbero in condizioni di normalità, e il funding liquidity risk che rappresenta invece il rischio di non avere accesso a sufficienti finanziamenti per poter rispettare gli impegni finanziari.

2. Rischio di liquidità ed altri rischi finanziari

Matz e Neu in [2] definiscono il rischio di liquidità come “rischio consequenziale” per sottolinearne la sua caratteristica di essere connesso a situazioni avverse imputabili ad altri rischi finanziari.

Tra questi, alcuni fanno parte dei cosiddetti “rischi di Primo Pilastro” per i quali il Comitato di Basilea ha predisposto adeguati requisiti patrimoniali. Il rischio di liquidità può essere infatti influenzato in primo luogo dal rischio di credito: eventuali insolvenze di market player potrebbero condurre alla diminuzione dei flussi di denaro attesi mentre una riduzione del rating di un emittente potrebbe influire negativamente sulla sua capacità di raccolta sul mercato. Anche il rischio di mercato, producendo variazioni nel valore di titoli “collateralizzabili” e nel valore di smobilizzo degli asset in portafoglio, può essere fonte di rischio in un’ottica di gestione della liquidità. Anche la presenza in portafoglio di titoli derivati potrebbe impattare sulla liquidità qualora l’andamento del sottostante richiedesse ad esempio un aumento dei margini di garanzia. Significativi deflussi di cassa potrebbero infine provenire dal rischio operativo a causa dell’inadeguatezza dei processi interni di misurazione e gestione della liquidità.

Tra i “rischi di Secondo Pilastro” collegati al rischio di liquidità troviamo invece il rischio di tasso d’interesse del banking book, con il mismatching delle scadenze tra attivo e passivo, il rischio di controparte e quello di cartolarizzazione, che possono richiedere un improvviso impiego di liquidità. Ancora, il rischio reputazionale (abbassamento del rating), quello strategico e quello di concentrazione (esposizione verso un numero limitato di controparti) possono giocare un ruolo fondamentale nella generazione di una crisi di liquidità.

D’altro canto, il rischio di liquidità può influenzare altri tipi di rischi, come è avvenuto nella recente crisi finanziaria. La carenza di liquidità ha inciso sia sul rischio di mercato che su quello di credito: la richiesta di aumento delle risorse liquide ha portato ad una diminuzione dei prezzi di alcune attività finanziarie. Persistenti difficoltà nella gestione del rischio di liquidità possono inoltre ripercuotersi in maniera negativa anche sulla reputazione dell’istituto finanziario.

3. Gestione del rischio di liquidità

Secondo la Circolare n° 263 di Banca d’Italia [3], coerentemente con quanto richiesto dagli accordi internazionali di Basilea III ([4] e [5]), il punto di partenza per il processo di valutazione del rischio di liquidità da parte di una banca deve essere la ricognizione dei flussi e deflussi di cassa attesi – e dei conseguenti sbilanci o eccedenze – nelle diverse fasce di scadenza che compongono la maturity ladder. La granularità delle scadenze prese in considerazione è un elemento essenziale per la stima dell’esposizione al rischio di liquidità. Con riferimento alla liquidità a breve, la banca deve adottare tutte le misure che consentono di stimare i fabbisogni di liquidità in un orizzonte di riferimento minimo di un mese. Relativamente invece alle scadenze più lunghe, la banca deve identificare e misurare il rischio con riferimento ad un numero di scadenze almeno pari a quelle utilizzate per la misurazione del rischio di tasso di interesse.

Il processo di valutazione, da condurre nella fase di primo impianto e successivamente in presenza di significativi cambiamenti nelle ipotesi di costruzione, deve comprendere:

  • la revisione dei principi, del processo di sviluppo delle metodologie e degli algoritmi utilizzati per la misurazione del rischio di liquidità;
  • l’analisi dei risultati anche attraverso l’utilizzo di tecniche di validazione retrospettiva (c.d. backtesting) ed il ricorso ad analisi di sensitività e stress test che dimostrino la tenuta delle ipotesi sottostanti in un periodo che incorpori almeno una situazione di crisi;
  • la verifica della coerenza delle metodologie utilizzate per la stima dell’esposizione al rischio di liquidità con il modello di business della banca.

Accanto alla ricognizione dei flussi e deflussi di cassa attesi, è necessario che le banche calcolino indicatori in grado di evidenziare tempestivamente l’insorgenza di vulnerabilità nella posizione di liquidità (indicatori di early warning), come il Liquidity Coverage Ratio e il Net Stable Funding Ratio, rapporti che debbono essere superiori ad una soglia minima così come previsto dal Comitato di Basilea [6].

Le banche devono stimare l’impatto in termini di surplus/sbilanci di liquidità in ciascuna fascia di scadenze attraverso analisi di scenario, la messa in atto di stress test atti a valutare gli effetti di eventi negativi sull’esposizione al rischio e sull’adeguatezza delle riserve di liquidità sotto il profilo quantitativo e qualitativo. Uno degli aspetti critici da considerare è rappresentato dall’identificazione di appropriati fattori di rischio al fine di assicurare l’adeguatezza dell’intero processo di stress testing. La selezione dei fattori di rischio rilevanti deve essere connessa con l’identificazione dei punti di vulnerabilità che possono minare la liquidità della banca e può essere effettuata con riferimento a ciascun prodotto, divisa o controparte.

Nel caso di gruppi bancari, si richiede che le prove di stress siano effettuate sia su base globale che individuale. Nell’ambito di gruppi caratterizzati da una gestione accentrata del rischio di liquidità, è consentito lo svolgimento di prove di stress solo a livello accentrato sotto alcune condizioni: che ciò sia coerente con il modello organizzativo e gestionale adottato, che siano colte in maniera adeguata le specificità del profilo di rischio di ciascun componente del gruppo (inclusa l’eventuale operatività all’estero), che sia consentito anche agli organi aziendali di tali componenti di conoscerne prontamente i risultati, e infine che si tenga conto, nell’esercizio di stress, di eventuali ostacoli al trasferimento della liquidità all’interno del gruppo.

Le banche sono inoltre tenute a predisporre un piano di emergenza (Contingency Funding Plan) per fronteggiare situazioni avverse nel reperimento di liquidità. Tale piano deve definire le strategie di intervento nell’ipotesi di tensioni sul fronte della di liquidità disponibile, prevedendo le procedure per il reperimento di fonti di finanziamento in caso di emergenza. In particolare, il piano deve contenere:

  • la catalogazione delle diverse tipologie di tensione sul fronte della liquidità per identificarne la natura (sistemica o idiosincratica);
  • l’individuazione delle competenze e delle responsabilità di organi e funzioni aziendali in situazioni di emergenza;
  • le stime di “back-up liquidity” al fine di determinare i fondi disponibili  in presenza di scenari avversi.

Nel caso dei gruppi bancari, il piano deve anche indicare i meccanismi d’interazione tra le diverse entità e gli interventi attivabili. In particolare esso deve prevedere le azioni da intraprendere in presenza di limitazioni alla circolazione dei fondi.

Bibliografia

[1] Lawrence Blume and Steven Durlauf. The new Palgrave dictionary of economics. Palgrave Macmillan, 2008.

[2] Leonard Matz and Peter Neu. Liquidity risk measurement and management: A practitioner’s guide to global best practices. John Wiley & Sons, 2006.

[3] Banca d’Italia (2012). Nuove disposizioni di vigilanza prudenziale per le banche.

[4] Basel Committee of Banking Supervision (2013).  The Liquidity Coverage Ratio and liquidity risk monitoring tools.

[5] Basel Committee of Banking Supervision (2014).  Basel III: the Net Stable Funding Ratio – consultative document.

[6] Ottolini, Ubaldi (2014). Il rischio di liquidità e Basilea III: LCR e NSFR.