Il rischio di liquidità e Basilea III: LCR e NSFR

Mar 12 2014
Il rischio di liquidità e Basilea III: LCR e NSFR <small><small><I>di Roberto Ottolini e Enrico Ubaldi</I> </small></small>

In risposta alla recente crisi finanziaria che ha rivelato l’importanza della gestione della liquidità per il corretto funzionamento di un intermediario finanziario, il Comitato di Basilea ha introdotto due nuovi standard di liquidità che dovranno essere soddisfatti dagli intermediari creditizi: Liquidity Coverage Ratio (LCR) e Net Stable Funding Ratio (NSFR).

Mentre l’LCR (standard di liquidità di breve periodo) è stato più volte rivisto e affinato, l’NSFR (orizzonte temporale annuale) verrà introdotto in un secondo momento e le sue caratteristiche sono ancora oggetto di analisi. Secondo Banca d’Italia, le banche italiane non incontreranno ostacoli per uniformarsi agli standard richiesti dalla nuova normativa. Alcuni studi condotti da BIS ed EBA, che monitorano periodicamente il processo di convergenza verso gli standard richiesti, mostrano come la maggior parte delle banche a livello internazionale soddisfi già oggi i requisiti.

Le problematiche aperte sono principalmente tre:

  • effetti sul ruolo delle banche in merito alla trasformazione delle scadenze,
  • possibili distorsioni sul mercato conseguenti alla concentrazione da parte degli intermediari su alcune asset classes,
  • calibrazione dell’NSFR.

Entro la fine dell’anno si completerà il processo di definizione dell’NSFR, che entrerà in vigore nel 2018. L’LCR verrà invece introdotto dal 1° gennaio 2015 con una soglia minima richiesta del 60%, che verrà innalzata del 10% annuo fino a raggiungere il 100%.

1.      Motivazioni e definizioni

Durante la prima fase della crisi finanziaria cominciata nel 2007 molte banche, sebbene avessero adeguati livelli patrimoniali, hanno riscontrato delle difficoltà nella gestione della propria posizione di liquidità. Ad esempio, sono stati frequenti i casi di fire sales (vendite di asset a prezzi estremamente scontati) per soddisfare un bisogno imminente di liquidità. Non sono mancati esempi di bank runs sia da parte di depositanti (Northern Rock) che di investitori istituzionali (Bear Stearns). La crisi ha evidenziato l’importanza di una corretta gestione della liquidità da parte degli intermediari finanziari al fine di garantire la loro solidità e la stabilità finanziaria a livello di sistema. Per questo motivo il Comitato di Basilea nel 2008 ha pubblicato, come schema per la regolamentazione dei principi di liquidità, il documento “Principles for Sound Liquidity Risk Management and Supervision (“Sound Principles”)”, a seguito del quale sono stati sviluppati due standard minimi.

Il primo è il Liquidity Coverage Ratio (LCR) che ha come obiettivo il rafforzamento della resilienza a breve termine del profilo di liquidità della banca. L’obiettivo è quello di assicurare che la banca abbia sufficienti assets altamente liquidi al fine di fronteggiare gli impegni dal lato delle uscite in uno scenario di stress su un orizzonte temporale di un mese. La versione definitiva dell’indicatore è stata pubblicata a Gennaio 2013. L’LCR si rifà alle metodologie tradizionali di “indice di copertura” della liquidità utilizzate internamente dalle banche per valutare l’esposizione a eventi aleatori di liquidità, e viene calcolato come rapporto tra lo stock dei cosiddetti HQLA (High Quality Liquid Assets) – composti da contanti e attività che possano essere convertite in contanti con una perdita modesta o nulla – e il totale dei deflussi di cassa netti (deflussi di cassa attesi al netto degli afflussi di cassa attesi nell’arco di 30 giorni) in uno scenario di stress, che considera eventi quali prelievi dai depositi al dettaglio, aumento delle volatilità del mercato e deflussi contrattuali. Per essere classificato come HQLA, un asset deve essere facilmente liquidabile sul mercato anche in periodi di tensione e deve essere possibile utilizzarlo come collaterale presso la banca centrale. Deve inoltre presentare un’elevata affidabilità creditizia (bassissimo rischio di default) con una bassa volatilità e una scarsa correlazione rispetto alle attività rischiose come le obbligazioni bancarie.

Il totale dei deflussi di cassa attesi è determinato moltiplicando i saldi delle varie tipologie di passività/raccolta e “impegni fuori bilancio” per dei moltiplicatori che dovrebbero descrivere il saggio di prelievo. Il totale degli afflussi di cassa attesi è ottenuto moltiplicando i saldi delle diverse tipologie di crediti/impieghi per i relativi moltiplicatori ai quali ci si attende che essi affluiscano. Il totale degli afflussi di cassa è soggetto ad un massimale aggregato pari al 75% dei deflussi di cassa attesi.

Il requisito prevede che il valore del rapporto non sia inferiore al 100%.

Il secondo indice è il Net Stable Funding Ratio (NSFR), che punta a rafforzare invece la resilienza su un più lungo orizzonte temporale (un anno). L’NSFR è definito come il rapporto tra l’ammontare disponibile di provvista stabile (Available Amount of Stable Funding, ASF) e l’ammontare obbligatorio di provvista stabile (Required Amount of Stable Funding, RSF). Anche qui, il requisito imposto è che tale rapporto sia maggiore del 100%. L’orizzonte temporale considerato per valutare la provvista stabile è di un anno:

Per provvista stabile si intendono “i tipi e gli importi di capitale di rischio e di debito che si ritiene costituiscano fonti affidabili di fondi su un orizzonte temporale di un anno in condizioni di stress prolungato”. L’ammontare disponibile (ASF) di tale provvista è quella parte di patrimonio e di passività che è ritenuta essere ‘‘affidabile’’ entro l’anno: capitale, azioni privilegiate con scadenza uguale o superiore all’anno, passività con scadenza pari o superiore l’anno; la porzione dei depositi a vista fonte di funding per un periodo di tempo esteso, la quota di funding wholesale per un periodo di tempo esteso.

L’ammontare obbligatorio (RSF) è invece l’ammontare di provvista richiesto all’intermediario. Tale ammontare è calcolato in funzione di alcune caratteristiche delle attività detenute e delle esposizioni fuori bilancio, quali ad esempio la vita residua o altre caratteristiche di liquidità. Esso è composto dagli investimenti in “attività meno liquide” che approssimano la necessità di funding stabile, quali azioni e obbligazioni, prestiti, immobili, partecipazioni e operazioni fuori bilancio. I valori contabili a bilancio vengono attribuiti a una delle categorie stabilite dal documento del Comitato di Basilea, a cui sono associati dei fattori di haircut per l’ASF e per il RSF, coefficienti di ponderazione che vengono applicati alle rispettive voci. Le due somme ponderate di tali valori vanno a costituire rispettivamente il numeratore e il denominatore dell’NSFR.

2.      Criticità e benefici

Tra le problematiche riguardanti gli indicatori di liquidità introdotti dal Comitato di Basilea ci sono alcune questioni aperte sulla calibrazione dell’NSFR. Rispetto alla definizione iniziale sono stati aggiustati alcuni fattori di haircut della provvista stabile (ASF) e richiesta (RSF) per rispondere a una triplice esigenza: un maggiore allineamento con l’LCR, maggiore attenzione alla provvista a breve termine (con fonti di finanziamento più volatili), riduzione del cliff effect (rischio derivante da variazioni improvvise) nella misurazione della stabilità dei finanziamenti. Le principali modifiche dei fattori ASF e RSF sono esposte nel paragrafo 4.

Uno dei punti critici principali dell’NSFR riguarda il fatto che l’attuazione di tale indicatore potrebbe portare a distorsioni con un impatto negativo circa il ruolo tradizionale svolto dalle banche in merito alla trasformazione delle scadenze. L’attività bancaria trae profitto da investimenti a medio-lungo termine a fronte di una raccolta a breve termine che solitamente avviene ad un tasso contenuto; così facendo gli intermediari svolgono un ruolo positivo per l’economia facendo ‘‘incontrare’’ i risparmiatori, che desiderano detenere attività a breve termine, e le imprese che invece hanno bisogno di finanziarsi a medio-lungo termine. L’NSFR rischia di impattare pesantemente questo modello in quanto il rapporto punta ad allineare le scadenze e a coprire investimenti a medio-lungo termine con finanziamenti di pari durata che risultano essere più costosi rispetto al funding a breve. Come conseguenza dell’introduzione di tale indicatore, potremmo osservare una diminuzione dei prestiti erogati dalle banche, che verrebbero sostituiti con investimenti finanziari più sicuri. Il NSFR potrebbe dunque portare ad una disintermediazione bancaria con le imprese che dovrebbero finanziarsi direttamente sui mercati, o tramite altri canali quali il sistema bancario ombra (shadow banking) e le cartolarizzazioni ([9]).

Un altro punto critico in merito alla definizione dell’NSFR riguarda il comportamento di investitori e risparmiatori in condizioni di stress di liquidità. Si pensi ad esempio ai depositi, con il rischio di corse agli sportelli, o ad asset classes in cui potrebbero esserci vendite o acquisti in massa, a discapito di altre. Sembra quindi difficile determinare quali voci di bilancio possano essere considerate come “stabili” o “instabili”, e costituire quindi la provvista stabile con cui calcolare l’NSFR. Ancora più complicata è la calibrazione di fattori di haircut che dovrebbero tenere conto di tali comportamenti. [8] giungono addirittura a dubitare dell’efficacia dell’introduzione di requisiti di liquidità, quali LCR e NSFR, per quelle banche che hanno dimostrato in passato di non avere problemi di insolvenza e di capitale.

Essendo stato sviluppato prima dell’NSFR e più volte rivisto, non si registrano particolari criticità per quanto riguarda l’LCR se non il timore per gli effetti che deriverebbero dalla (indotta) concentrazione in particolari asset classes da parte dei principali gruppi bancari. Si potrebbe innescare un meccanismo di “corsa ai titoli più liquidi” (quelli con fattori di penalizzazione minori), con annessa diminuzione dei loro rendimenti e loro immobilizzazione nei portafogli bancari al fine di soddisfare i vincoli di liquidità richiesti. D’altro canto le banche, alla ricerca di rendimenti elevati, sarebbero portate ad operare in modo più aggressivo sulle asset classes non vincolate al soddisfacimento degli indicatori. Questo potrebbe portare all’assunzione di rischi eccessivi. La segmentazione dei titoli ai fini regolamentari porta con sé distorsioni nel mercato finanziario che debbono essere valutate con attenzione: diminuzione dei rendimenti dei titoli liquidi, aumento di rendimenti dei titoli meno liquidi. Questa considerazione si applica anche al NSFR.

Secondo gli studi di Banca d’Italia, la maggior parte delle banche italiane (tra cui le prime cinque) non avranno problemi a soddisfare gli standard richiesti da Basilea III sul fronte della liquidità, avendo ottenuto, a Giugno 2012, un LCR medio superiore al 140% e un NSFR superiore al 100%. Per maggiori dettagli si rimanda a “Looking ahead to Basel III: Italian banks on the move” ([7]). I risultati di quantitative impact study globale sugli effetti dei nuovi standard di liquidità condotto dal Comitato di Basilea si trovano in “Results of comprehensive quantitative impact study” (Dicembre 2010) ([2]).

3.      Monitoring Report del 6 marzo

Il 6 marzo 2014 il Comitato di Basilea ha pubblicato ([11]) i risultati del monitoraggio di un insieme di banche che hanno fornito i propri dati volontariamente e confidenzialmente ai rispettivi supervisori nazionali. I dati si riferiscono al 30 giugno 2013. Le banche sono state suddivise in due gruppi:

  • Gruppo 1, che raccoglie le 102 banche che mostrano un Tier1 in eccesso di almeno 3 miliardi di euro e sono internazionalmente attive
  • Gruppo 2, costituito dalle restanti 124 banche.

Gli LCR medi dei due gruppi risultano essere, rispettivamente, 114% e 132%, comparabili con i valori calcolati a Dicembre 2012, che erano 119% per il Gruppo 1 e 126% per il Gruppo 2. È invece aumentato il numero delle Banche che soddisfa il requisito definitivo dell’LCR (dal 68% di Dicembre 2012 al 72%) e di quelle che soddisfano almeno il requisito minimo del 60% richiesto per il 2015 (dal 90% al 91%).

Nel campione si osserva la seguente composizione degli HQLA: in media, il 51.8% dei titoli è di Livello 1, a rischio zero, mentre il 31.9% è costituito da contanti e da riserve fruibili presso le banche centrali. Il restante 16.3% è costituito da asset di livello 1 ma a rischio non nullo e da titoli di livello 2A (14.3%) e 2B (2%).

Risultati simili sono stati riportati dall’EBA [12] per le banche europee. Qui il Gruppo 1 è costituito da 41 banche, il cui LCR medio è 104% (decresce di un 5% da Dicembre 2012), di queste 24 soddisfano il requisito del 100% e solo una è sotto il requisito del 60%. L’LCR medio del Gruppo 2, costituito da 127 banche, passa dal 127% di Dicembre 2012 al 133%. Tra queste, 88 (69.3%) raggiungono la soglia del 100%, mentre 23 sono ancora sotto la soglia del 60%. Rispettivamente l’86% e il 84% degli HQLA dei due gruppi è costituito da titoli di Livello 1.

4.      Ultime novità e prossimi passi

Il NSFR è stato definito per la prima volta dal Comitato di Basilea nel dicembre 2010 ([1]), con l’intenzione di sottoporlo a un periodo di osservazione per valutarne l’impatto e le eventuali criticità. Nel gennaio 2014 è uscito un nuovo documento del Comitato ([4]), in consultazione fino all’11 aprile 2014, in cui vengono proposte alcune modifiche riguardo soprattutto ai seguenti punti di attenzione: l’impatto sul business retail (attività al dettaglio) delle banche, la richiesta di provvista stabile a fronte di attività e passività a breve termine pareggiate, l’analisi delle fasce di scadenza inferiori a un anno per le attività e passività con scadenza. Rispetto alla definizione iniziale sono stati aggiustati i fattori di haircut di alcune voci della provvista stabile disponibile (ASF) e richiesta (RSF). Per quanto riguarda la provvista stabile disponibile i principali cambiamenti riguardano: ammissibilità dei depositi operativi (fattore ASF aumentato da 0% a 50%), precisazione del trattamento della provvista garantita (fattore ASF 50%), aumento dei fattori ASF (da 90% a 95%) per depositi stabili senza scadenza e a termine, classificazione più dettagliata delle passività con scadenza inferiore a un anno (ad alcune voci di passività con scadenza tra sei mesi e un anno si applica ora un fattore ASF del 50%, invece che lo 0% iniziale). Tra le modifiche della provvista stabile richiesta segnaliamo: maggiore coerenza con le definizioni di HQLA contenute nell’LCR, classificazione più dettagliata e riduzione dei fattori RSF per alcune attività diverse dagli HQLA, aumento dei fattori RSF (da 0% a 50%) per i prestiti interbancari con vita residua tra sei mesi e un anno. Per una visione più completa delle modifiche rimandiamo all’appendice del documento del Comitato di Basilea sull’NSFR ([4]), ricordando che queste sono tuttora sottoposte a consultazione e che non si esclude un successivo cambiamento nella versione definitiva dell’indicatore, attesa entro fine 2014.

L’NSFR entrerà in vigore nel gennaio 2018. Tale indicatore dovrà essere fornito dalle istituzioni bancarie alle rispettive autorità di vigilanza con frequenza trimestrale. L’LCR verrà invece introdotto il 1° gennaio 2015, ma il requisito minimo sarà fissato inizialmente al 60% e innalzato gradualmente ogni anno del 10% fino a raggiungere il 100% il 1° gennaio 2019. Questo approccio progressivo intende assicurare che l’introduzione dell’LCR non arrechi turbamenti di rilievo all’ordinato processo di rafforzamento dei sistemi bancari e al finanziamento corrente dell’economia reale. L’LCR deve essere segnalato alle autorità di vigilanza con cadenza almeno mensile, frequenza che può essere intensificata in particolari periodi di stress.

Nel gennaio 2014 il Comitato di Basilea ([6]) ha analizzato le particolari situazioni di alcuni Stati che non permettono strutturalmente alle banche domestiche di adeguarsi agli standard richiesti dall’LCR. Si tratta di paesi come Australia e Sud Africa le cui giurisdizioni non hanno sufficienti HQLA, avendo un debito sovrano contenuto e poche altre “qualifying securities”. In tali circostanze, e solo in queste, la regolamentazione permette alle banche centrali di fornire linee di liquidità vincolate alle banche domestiche dietro il pagamento di un tasso di interesse. Questo tipo di strumenti (Committed Liquidity Facilities, CLF) rappresenta un’innovazione interessante nel panorama del sistema bancario centrale e pone interessanti questioni, quali ad esempio il loro pricing. Nel paper viene presentato un modello che può essere usato per analizzare gli effetti di questa modifica all’LCR. Sebbene l’introduzione di questi strumenti non sembra essere necessaria se non in Australia, Sud Africa e in pochi altri paesi, è possibile che essi possano essere utilizzati anche in altre situazioni. I CLF potrebbero essere infatti di grande beneficio anche in paesi in cui c’è abbondanza di HQLA in quanto consentono alle banche centrali di porre un upper bound ai costi della regolamentazione della liquidità.

Sempre nel gennaio 2014 il Comitato di Basilea ha dato indicazioni sui criteri che gli organi di vigilanza dovrebbero utilizzare per monitorare l’LCR delle banche. In particolare, tali linee guida permettono di escludere, inserire o spostare un asset dal calcolo dell’HQLA e aumentarne gli scarti di garanzia. Le caratteristiche e i criteri che il paper suggerisce di prendere in considerazione durante il processo di classificazione degli asset sono sia caratteristiche proprie del titolo che del mercato. Vengono inoltre definiti gli approcci che possono essere seguiti dagli organi di vigilanza per definire tali caratteristiche: viene contemplato un approccio storico, un metodo predittivo ed un cosiddetto metodo “checklist”, nel quale i supervisors concepiscono un insieme di criteri che un titolo deve soddisfare per poter essere inserito in una particolare classe all’interno dell’HQLA. In particolare, questi criteri si riassumono in tre macrocategorie: caratteristiche dell’asset (probabilità di default, performance, volatilità), caratteristiche del mercato (grandezza e sede) e liquidità del mercato (profondità, ampiezza e immediacy).

Riferimenti

[1] Basel Committee of Banking Supervision (2010).  Basel III: International framework for liquidity risk measurement, standards and monitoring. (http://www.bis.org/publ/bcbs188.pdf)

[2] Basel Committee of Banking Supervision (2010).  Results of comprehensive quantitative impact study. (https://www.bis.org/publ/bcbs186.pdf)

[3] Basel Committee of Banking Supervision (2013).  The Liquidity Coverage Ratio and liquidity risk monitoring tools. (http://www.bis.org/publ/bcbs238.pdf)

[4] Basel Committee of Banking Supervision (2014).  Basel III: the Net Stable Funding Ratio – consultative document.(http://www.bis.org/publ/bcbs271.pdf)

[5] Basel Committee of Banking Supervision (2014).  Guidance for Supervisors on Market-Based Indicators of Liquidity. (http://www.bis.org/publ/bcbs273.pdf)

[6] Basel Committee of Banking Supervision (2014).  On the economics of committed liquidity facilities. (http://www.bis.org/publ/work439.pdf)

[7] Banca d’Italia (Francesco Cannata, Marco Bevilacqua, Simone Casellina, Luca Serafini e Gianluca Trevisan) (2013). Looking ahead to Basel III: Italian banks on the move. (http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2/qef157/QEF_157.pdf)

[8] Adrian Blundell-Wignall and Paul Atkinson (2010).Thinking beyond Basel III: necessary solutions for capital and liquidity. (http://www.oecd.org/finance/financial-markets/45314422.pdf)

[9] Finance & Strategy, The Financial Services blog of Sia Partners (2013).  The Net Stable Funding Ratio: Definition and impacts on the financial sector. (http://en.finance.sia-partners.com/20131204/the-net-stable-funding-ratio-definition-and-impacts-on-the-financial-sector/)

[10] A.Shleifer, R.Vishny (2010). Fire Sales in Finance and Macroeconomics. (http://www.nber.org/papers/w16642.pdf)

[11] Basel Committee of Banking Supervision (2014).  Basel III monitoring report. (http://www.bis.org/publ/bcbs278.pdf)

 [12] European Banking Authority (2014). Basel III monitoring exercise. (http://www.eba.europa.eu/documents/10180/534414/Basel+III+Monitoring+Exercise+Report+%28as+of+30+June+2013%29.pdf)

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