BASILEA IV: la fine dei modelli interni? – seconda parte
di Marco Pavoni

Set 27 2016
BASILEA IV: la fine dei modelli interni? – seconda parte   di Marco Pavoni

Nella prima parte è stato evidenziato come specie nel 2016 l’azione del Comitato di Basilea abbia inteso accrescere il ruolo dei modelli c.d. standardizzati allo scopo di ridurre la variabilità osservata degli Attivi Ponderati per il Rischio (Risk Weighted Assets o RWAs), ciò a scapito dei Modelli Interni.

In linea generale è comune la valutazione che i Modelli Interni, in primis quelli per i rischi di credito e di mercato sviluppati negli ultimi 7/8 anni dalle istituzioni finanziarie soprattutto bancarie, con ingenti investimenti in risorse umane e tecnologici, abbiano consentito sia alle stesse che alle autorità responsabili della loro supervisione di acquisire una decisamente più approfondita conoscenza della articolazione dei portafogli così come delle loro dinamiche nelle diverse congiunture di mercato.

La crescente rilevanza assunta ad esempio dagli esercizi di Stress Test quali strumento essenziale (a dire il vero più in USA che nella UE) di monitoraggio e governo del sistema bancario, non sarebbe stata possibile senza il determinante sforzo sostenuto dalle banche per dotarsi delle capacità professionali e delle infrastrutture IT necessarie per applicare molteplici scenari di mercato alle grandezze finanziarie che qualificano gli strumenti detenuti e comprenderne i risultati.

In tale senso si osservi ad esempio che il nuovo SA per i rischi di mercato, sviluppato dal BCBS con l’obiettivo di accrescerne la sensitività ai rischi stessi, prevede come ordine di grandezza il ricorso a circa 5.000 fattori di rischio, laddove normalmente il livello di granularità dei modelli interni ne comporta l’applicazione di diverse decine di migliaia (cfr. J.P. Laurent). E’ quindi evidente quanto sia diversa la capacità dei due approcci di descrivere con accuratezza i profili di rischio degli strumenti finanziari, quegli stessi profili che spesso sono ancor più articolati a livello dei sistemi di pricing di Front-Office (FO).

E’ da sottolineare peraltro che il Comitato di Basilea ha definito tre criteri per la valutazione dei modelli di rischio:

  1. capacità di misurare efficacemente i rischi
  2. semplicità
  3. comparabilità.

Se il nuovo SA, per espressa valutazione del BCBS, è inteso a garantire la comparabilità a motivo di una “relativa” semplicità, è però indubitabile, date le considerazioni sopra fatte, che solo un ben articolato IMA può soddisfare il primo criterio. E comunque lo stesso SA richiede l’utilizzo di sensitivities ai fattori di rischio (Delta, Vega e Curvatura) che non possono che rivenire dai sistemi e modelli di pricing adottati dai desk operativi richiedendo pertanto un non trascurabile investimento in tecnologia per garantire il maggior allineamento tra sistemi di RM e di FO.

Lo sviluppo davvero importante della funzione di Risk Management (RM) nelle banche negli ultimi anni, sulla scorta della spinta delle autorità regolamentari ad accrescere la capacità e la qualità del controllo nonchè il ruolo di governo (steering) dello stesso, è stato il risultato di un sostanziale upgrade dell’infrastruttura necessario per supportare la costante evoluzione delle metodologie sottostanti i modelli interni nella direzione appunto di avvicinare sempre più i sistemi di RM a quelli di FO.

In alcuni casi la scelta è stata addirittura quella di adottare sia per i sistemi di RM che per quelli di FO le medesime librerie di pricing, se non addirittura di fondare entrambi sulla medesima architettura tecnologica con indubbie sinergie in particolare in sede di c.d. P&L explanation/attribution.

L’evoluzione dei modelli interni nel corso degli ultimi anni ha determinato anche una radicale mutazione della governance laddove il controllo degli RWA da parte della funzione di RM ha consentito a questa di porsi come efficace interlocutore del business e più in generale del top management in fase di valutazione dei modelli operativi (business model e trading strategies) e di allocazione delle risorse per aree di business.

La FRTB con riguardo all’IMA in ultima analisi va nella giusta direzione laddove, in considerazione dei requisiti sia qualitativi che quantitativi da soddisfare a livello dei singoli desk operativi, richiede sia alla funzione di RM che all’autorità di supervisione di esercitare una considerevole capacità di analisi e valutazione dei modelli di business e strategie operative nonché dei profili di rischio e delle posizioni stesse (appunto a fini di P&L attribution); l’obiettivo essendo quello di catturare al meglio tutte le specificità operative e dei portafogli e definire conseguentemente il requisito patrimoniale in modo da riflettere queste peculiarità.

Ciò detto lo SA può comunque svolgere un utile compito segnaletico nella misura in cui il costante monitoraggio del requisito associato ad esso rispetto a quello riveniente dall’IMA può talora evidenziare scostamenti significativi potenzialmente indizio di dinamiche di rischio e/o di mercato meritevoli di approfondimento.

I due approcci possono quindi utilmente integrarsi e qualificare un “armamentario” efficace rispetto all’obiettivo principe dell’azione di supervisione a patto però che siano al più presto rimossi i seguenti elementi di incertezza:

  • la definizione finale dei c.d. Fattori di Rischio non Modellabili o Non Modellable Risk Factors (NMRF) in ambito IMA. Diverse iniziative a livello di industria, segnatamente da parte di alcuni dei principali Info Providers (quali Bloomberg, Reuters e MarkIT), sono state avviate con l’obiettivo di ridurre per quanto possibile il novero dei NMRF, mettendo a fattor comune tutte le informazioni di prezzo disponibili in relazione ad essi sotto forma di archivi (c.d. repositories). Si consideri che l’impatto dei NMRF sul requisito di capitale sotto IMA è stato stimato in sede di QIS intorno al 30%;
  • la definizione degli strumenti assoggettati a Requisito Addizionale per Rischi Residuali o Residual Risk Add-On (RRAO) in ambito SA, genericamente riferito a prodotti esotici;
  • infine ma probabilmente più importante rimane la definizione finale dell’ambito di applicazione (consolidato, desk o asset class) percentuale del requisito calcolato sotto SA che stabilisce la soglia minima (floor) sotto la quale il requisito sotto IMA non può scendere. Questo elemento costituirà la discriminante in funzione della quale taluni business saranno abbandonati o saranno mantenuti dall’industria bancaria. Stime effettuate dall’ISDA indicano una soglia non superiore al 20% come quella massima che non “spiazzerebbe” l’approccio IMA (cfr. Obitz e Theis).

Alla fine le decisioni delle autorità di supervisione non saranno senza conseguenze sui mercati finanziari; un significativo incremento del capitale allocato a fronte di questi rischi potrà determinare tra l’altro la riduzione del numero di attori di mercato (minore competizione) unitamente ad una minore liquidità degli strumenti finanziari per effetto della contrazione dell’attività di market making delle banche, la conseguente possibile migrazione di questi business presso operatori soggetti a minore regolamentazione (assicurazioni, fondi) con potenziali rischi sulla stabilità finanziaria sistemica, e infine una inappropriata allocazione delle risorse (una perversa spinta ad assumere maggiori rischi laddove talune esposizioni assorbono meno capitale perché misurate con parametri non idonei in termini di rappresentazione di rischi, come ad esempio il nominale).

Un significativo ridimensionamento dei Modelli Interni sembra perciò non raccomandabile date le possibili variegate conseguenze individuate, ma è da ritenere che anche a seguito di ulteriori analisi e approfondimenti, i possibili impatti saranno attentamente valutati dalle autorità e le più appropriate decisioni assunte nei tempi più brevi per escludere comportamenti distorsivi consentendo alle banche di effettuare una solida programmazione, garantire la stabilità sistemica, ma allo stesso tempo metterle in condizione di conseguire adeguati obiettivi di redditività di lungo periodo.

Se infatti la solvibilità (il rispetto dei requisiti patrimoniali) è una garanzia di stabilità di breve periodo, solo la profittabilità di lungo termine delle attività bancarie garantisce la sostenibilità del sistema e la sua capacità di assolvere ai molteplici compiti, anche rispetto al tessuto delle imprese e delle famiglie, che esso deve continuare a svolgere.

Bibliografia:

“The Knowns and the Known Unknowns of Capital Requirements for Market Risk” – Jean-Paul Laurent, Ecole de Management de la Sorbonne – 20 Giu’16

“The regulatory framework: balancing risk sensitivity, simplicity and comparability”- Discussion Paper – Basel Committee on Banking Supervision – Lug’13

“Supervisory Guidance on Model Risk Management” –  Federal Reserve Board of Governors – Apr’11

“Getting in shape for the FRTB has to start now” – Thomas Obitz e Jochen Theis – 28 Apr’16

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