Il punto sulle politiche monetarie non convenzionali
di Emilio Barucci, Stefano Corsaro e Carlo Milani

Apr 24 2014
Il punto sulle politiche monetarie non convenzionali     <small><small><I> di Emilio Barucci, Stefano Corsaro e Carlo Milani </I></small></small>

EXECUTIVE SUMMARY

Sull’onda della crisi economico-finanziaria, la BCE e le banche centrali dei maggiori paesi sviluppati hanno implementato politiche monetarie non convenzionali di varia natura: dall’acquisto di titoli all’iniezione di liquidità nel sistema finanziario. La valutazione in merito alla loro efficacia è controversa: da un lato queste misure sembrano avere avuto un effetto sull’andamento di alcune grandezze finanziarie, dall’altro esse non sono state in grado di invertire l’andamento dei principali indicatori economici (almeno in Europa). Tali politiche presentano inoltre delle criticità e delle controindicazioni che non possono essere sottovalutate. Nelle pagine che seguono facciamo il punto sugli effetti delle misure adottate dalle BCE, con un particolare focus sull’Italia, e valutiamo la possibilità che la BCE attui ulteriori iniziative non convenzionali.

SMP E LTRO: COSA E’ STATO FATTO SINO AD ORA

Le politiche monetarie non convenzionali messe in atto (o annunciate) sino ad adesso dalla BCE sono il Securities Markets Programme (SMP), le Longer-Term Refinancing Operations (LTRO) e le Outright Monetary Transactions (OMT). Portate avanti con convinzione in particolar modo dall’attuale presidente Mario Draghi, tali politiche hanno avuto effetti non trascurabili sulle economie europee.

Il SMP prevedeva l’acquisto sui mercati secondari dei titoli di Stato accettati dalla BCE come collaterale nelle operazioni di rifinanziamento: il programma è stato attivato nel maggio 2010 per Grecia, Irlanda e Portogallo ed è stato esteso, nell’agosto 2011, a Spagna ed Italia. Gli ultimi acquisti compiuti sotto l’ombrello del SMP risalgono al settembre 2012; in totale sono stati impiegati 218 miliardi di euro, di cui 103 per l’acquisto di titoli di Stato italiani.

L’impatto del programma sugli spread dei titoli di Stato è stato immediato e significativo: durante il primo giorno di operatività, lo spread tra titoli di Stato greci e tedeschi calò di oltre 400 punti; all’atto della riattivazione nel 2011, gli spread spagnoli e italiani calarono di oltre 100 punti. Anche l’effetto di lungo periodo sui rendimenti è significativo ed è stimato in una diminuzione compresa tra 0,1 e 7 punti base per le obbligazioni a dieci anni per ogni 100 milioni di euro di titoli acquistati (rispettivamente, per Italia e Irlanda) (Ghysels et al., 2014). Simili risultati sono stati riscontrati per le obbligazioni italiane a cinque anni (diminuzione tra 1 e 2 punti base per ogni miliardo di titoli acquistati), per gli altri paesi i valori sono compresi tra i 3 e i 21 punti base. Si stima che circa i tre quarti di tali effetti abbiano natura permanente (Eser et al., 2013). Secondo alcune analisi gli effetti del SMP potrebbero addirittura attestarsi attorno ai 200 punti base sui titoli italiani a 2 e 10 anni (Casiraghi et al., 2013). Gli acquisti della BCE sembrano avere anche ridotto in misura significativa la volatilità delle obbligazioni governative (Ghysels et al., 2014).

Tramite le LTRO, le banche dell’eurozona hanno ottenuto circa 1.000 miliardi di euro dalla BCE ad un tasso dell’1%; un quarto dei fondi è andato alle banche italiane. Le due aste a tre anni, risalenti al dicembre 2011 e al febbraio 2012, hanno immesso nel sistema un ammontare di liquidità aggiuntiva pari a circa 523 miliardi. La possibilità di early repayment della liquidità ottenuta nelle aste a tre anni è stata ampiamente utilizzata soprattutto dalle banche non italiane; solo nei primi tre mesi del 2014 sono stati restituiti fondi per oltre 60 miliardi. A fine 2013, le banche italiane detenevano ancora 232 miliardi di fondi LTRO, con un tasso di restituzione del 15%, contro una media del 39% nell’area euro. Le banche italiane stanno comunque accelerando la restituzione dei fondi (BCE, 2014a; BCE, 2014b; Banca d’Italia, 2013).

Uno degli obiettivi principali del programma era quello di porre rimedio all’impasse che si era venuta a creare nel mercato interbancario a causa della crisi di fiducia reciproca riguardo alla solidità patrimoniale e di liquidità delle controparti. E’ stato stimato che le iniezioni di liquidità delle LTRO abbiano diminuito in modo permanente i tassi di interesse sul mercato interbancario di circa 70-100 punti base. Non c’è invece evidenza riguardo ad un loro effetto significativo sui rendimenti delle obbligazioni governative (Casiraghi et al., 2013).

Buona parte dei fondi che le banche italiane hanno ottenuto nell’ambito delle LTRO è stata utilizzata per comprare titoli di debito pubblico nostrani: tra il dicembre 2011 e il settembre 2013 gli acquisti netti sono stati pari a 150 miliardi di euro, portando il totale di obbligazioni pubbliche detenute a quota 386 miliardi. La quota di attività detenute dagli istituti di credito rappresentata dai titoli di Stato è passata dal 6 al 10%. Oltre l’80% di tali acquisti ha riguardato obbligazioni di durata pari o inferiore a 5 anni; conseguentemente, la durata residua media dei titoli pubblici è calata da 5,8 a 4,3 anni.

Le banche italiane mostrano un calo della raccolta pari al 3% nel periodo settembre 2012 – settembre 2013, soprattutto a causa della restituzione dei fondi della BCE e della diminuzione della raccolta all’ingrosso, che continua a mostrare andamenti altalenanti, principalmente ricollegabili ai tassi sulle obbligazioni governative; la contemporanea diminuzione dei prestiti ha portato ad una diminuzione del funding gap che è risultato essere  al 12,2% nel settembre 2013, in diminuzione di 7 punti rispetto al 2011, su livelli oramai non lontani dalla situazione pre-crisi. In vista dei futuri stress test, le banche italiane si presentano in buone condizioni, sebbene il ruolo dei fondi delle LTRO risulti essere ancora rilevante (Banca d’Italia, 2013; Barucci, Corsaro e Milani, 2014).

I LIMITI DELLE POLITICHE MONETARIE NON CONVENZIONALI

Oltre agli effetti positivi su rendimenti e volatilità, le politiche monetarie non convenzionali della BCE hanno apportato benefici alle economie nazionali dell’eurozona. Per valutare appieno queste operazioni occorre considerare anche alcune criticità del SMP e delle LTRO (nonché dell’ancora inutilizzato OMT) e i problemi ancora aperti.

La crisi economico-finanziaria ha duramente colpito gli investimenti nell’area euro, crollati di oltre il 15% dal picco del primo trimestre del 2008 al terzo trimestre del 2013. Tra marzo e settembre del 2013 si è assistito ad un lieve recupero (0,6%) che dovrebbe rafforzarsi nel prossimo triennio. L’inversione di rotta risulta essere debole a causa di una molteplicità di fattori, tra cui l’elevata incertezza, che incide negativamente sul livello di fiducia, le difficili condizioni di accesso al credito bancario e una domanda persistentemente debole (BCE, 2014a; BCE, 2014b).

I fondi ottenuti nell’alveo delle LTRO sono stati utilizzati dagli istituti italiani principalmente per acquistare titoli di stato nazionali. Non vi è comunque evidenza che l’acquisto di obbligazioni pubbliche sia legato alla diminuzione dei prestiti all’economia: la correlazione tra le due variabili a livello di singolo intermediario è infatti nulla (Banca d’Italia, 2013). La dinamica del credito nell’eurozona rimane debole: mentre i prestiti alle famiglie sono in leggero aumento, quelli a società non finanziarie presentano una diminuzione del 3,1% su base annua. Il dato appare allarmante una volta che si consideri che nell’economia statunitense e britannica è stata riscontrata una correlazione positiva tra la crescita del PIL e i flussi di credito a privati e società non finanziarie (BCE, 2014a; BCE, 2014b).

In Italia, a fine 2013, la diminuzione del credito nei confronti delle imprese non finanziarie risulta essere pari a circa il 6% su base annua, il dato è superiore rispetto al calo dei prestiti concessi alle famiglie (-1%). Le imprese e le famiglie del nostro paese devono inoltre sopportare tassi di interesse più elevati rispetto alla media dell’eurozona; nel corso del 2013, il differenziale tra Italia ed eurozona per le nuove erogazioni di credito è ulteriormente aumentato, attestandosi rispettivamente all’1% e allo 0,6%. (Banca d’Italia, 2013).

L’acquisto di obbligazioni pubbliche e i fondi forniti all’economia tramite le LTRO hanno più che raddoppiato il bilancio della BCE tra il 2007 e il 2013 (nello stesso lasso di tempo, il bilancio della FED è raddoppiato e quello della Banca d’Inghilterra è quadruplicato); tra il 2007 e il 2012, il rapporto tra titoli detenuti dalla BCE e PIL dell’eurozona è aumentato significativamente: da meno del 15% a più del 30%. La ripresa delle quotazioni ha portato benefici ai bilanci degli istituti centrali, ma l’aumento dei tassi di interesse potrebbe portare a perdite in futuro (Santor e Suchanek, 2013).

NUOVE MISURE NON CONVENZIONALI ALL’ORIZZONTE?

Nonostante la minore turbolenza dei mercati finanziari, le criticità dell’attuale congiuntura economica non permettono di escludere la possibilità che la BCE possa ricorrere a misure non convenzionali in futuro: anche a causa della mancanza di politiche fiscali e strutturali, la politica monetaria è chiamata ancora a svolgere un ruolo da supplente. Due sono in particolare i fattori che potrebbero spingere la BCE a promuovere politiche monetarie non convenzionali: il rischio di deflazione e la sopravvalutazione dell’euro.

Lo scenario della deflazione potrebbe non essere lontano. La media dell’inflazione, pari al 2,5% nel 2012, si è infatti dimezzata nel 2013; da novembre a marzo essa è ulteriormente diminuita, passando dallo 0,9% allo 0,5%. Sebbene le prospettive di medio periodo rimangano ancorate al 2%, le previsioni indicano che solo nel 2016 la crescita dei prezzi raggiungerà valori ‘‘inferiori ma vicini’’ all’obiettivo di lungo termine del 2%.

Le prospettive di ripresa economica sono oltretutto ostacolate dalla moneta unica, troppo forte rispetto ai principali concorrenti internazionali. Negli ultimi 12 mesi, l’euro si è apprezzato del 5,3% rispetto ai 20 principali partner commerciali dell’eurozona: gli aumenti maggiori hanno riguardato il tasso di cambio nominale tra euro e renminbi, dollaro statunitense e yen (quest’ultimo deprezzatosi in termini relativi di oltre il 19%) (BCE, 2014a; BCE, 2014b).

Queste considerazioni, unite ai punti critici illustrati nel precedente paragrafo, potrebbero aprire la strada a nuove misure non convenzionali. Il ventaglio delle opzioni a disposizione della BCE comprende:

a) Tassi di interesse negativi. I tassi di interesse sulle operazioni di rifinanziamento principali, sulle operazioni di rifinanziamento marginale e sui depositi presso la banca centrale sono state recentemente confermate allo 0,25%, 0,75% e 0,00%. La strada dei tassi di interesse negativi, seguendo l’esempio danese in cui i tassi di interesse sui depositi sono negativi dalla metà del 2012, per molti analisti non porterebbe a benefici rilevanti, non riuscendo ad incidere sulle politiche creditizie in modo efficace(Banca di Danimarca, 2012 e 2013).

b) Iniezione di liquidità. Un’ulteriore tornata di LTRO potrebbe non essere la medicina giusta visto che gli istituti bancari stanno restituendo i precedenti prestiti.

c) Funding for lending. La BCE potrebbe valutare di seguire l’esperienza inglese del funding for lending, ove i prestiti della banca centrale vengono concessi agli intermediari creditizi a tassi più favorevoli se accompagnati da un aumento degli impieghi nei confronti di famiglie e imprese (Churm et al., 2012).

d) Quantitative easing. La BCE potrebbe sperimentare il programma di quantitative easing (QE) praticato assiduamente dalla FED negli ultimi anni con l’acquisto di titoli. Aperture verso questa ipotesi sono giunte da alcuni componenti del board della BCE, così come dei segni di disgelo sono giunti recentemente dalla Bundesbank, che si è detta favorevole alla mancata sterilizzazione dei 175 miliardi di euro di titoli di Stato di paesi dell’area euro acquistati dalla BCE nell’ambito del SMP. La discussione circa l’attuazione di un programma di QE da parte della BCE riguarda i criteri di ripartizione degli acquisti tra i diversi stati membri dell’area euro, onde evitare che alcuni paesi possano trarre un vantaggio superiore a quello di altri. Una delle ipotesi più accreditate è quella dell’acquisto di titoli sovrani in proporzione alle quote di capitale della BCE detenute dai vari paesi dell’area.

5) Cartolarizzazioni. Un’altra ipotesi caldeggiata è l’estensione dei tipi di cartolarizzazioni che la BCE potrebbe accettare come collaterale. Tale decisione faciliterebbe ulteriormente l’afflusso di liquidità dalla banca centrale alle banche, nella speranza che la stessa venga poi trasmessa all’economia reale. Il mercato europeo delle cartolarizzazioni sembra però di dimensioni troppo limitate affinché una tale decisione abbia effetti concreti.

 Torneremo a breve con un’analisi delle diverse misure che sono sul tavolo della BCE.

BIBLIOGRAFIA

 

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