La lunga ricerca della quantificazione dei rischi e dualità tra modelli interni e modelli standard. Sintesi e riflessioni
a cura di Michele Bonollo

Feb 07 2020
La lunga ricerca della quantificazione dei rischi e dualità tra modelli interni e modelli standard. Sintesi e riflessioni a cura di Michele Bonollo

ABSTRACT: Anche  se le funzioni di risk management nelle banche e la normativa di riferimento sono in una fase che possiamo definire matura del loro sviluppo, non si può affermare che questo ambito sia cristallizzato e risolto in modo del tutto soddisfacente. Lo testimonia la continua e sempre più frequente aggiornamento delle normative. Nel paper, senza pretesa di esaustività, una sintesi comparativa con alcuni spunti di riflessione.

1 La ricerca del rischio e l’evoluzione del framework “Basilea”

Molti termini nel linguagggio comune sono usati (talvolta usabili) in modo sovrapposto, con varie declinazioni dal linguaggio comune e quello tecnico e varie evoluzioni nel tempo: sorte, alea, incertezza, rischio, pericolo.

E come sottolinea brillantemente Ivar Ekelend nel suo saggio del 1987 “A Caso” (cfr [13]), il confine tra il caso, la causa determinsitica, il caos, è spesso indefinito, legato a percezioni soggettive e più ampie evoluzioni culturali.

Perché il gioco dei dadi è ritenuto un gioco d’azzardo, di sola alea, mentre il gioco del biliardo è uno sport?

La traiettoria e la posizione di arresto di un dado, così come per una palla da biliardo, sono perfettamente determinate dalle leggi della meccanica. Leggi non facili perché bisogna tenere conto anche di aspetti fenomenologici specifici come il materiale su cui si gioca e conseguente attrito, radente o viscoso, ma pur sempre leggi perfettamente note.

In fondo, è più difficile gettare il dado in modo che esca il “6” dopo i rimbalzi o colpire nel biliardo in modo da  mettere la palla in buca dopo 7 carambole sulle sponde del tavolo? Forse la forma sferica contro quella con spigoli alternao il nostro giudizio.

E in fondo, pensando che i giocatori di dadi prendano una piccola rincorsa prima del lancio, in cosa il lancio d’azzardo del dado è diverso dal gioco (sport) delle bocce? A un approccio oggettivo e rigoroso, si capisce come entrambe le atttività non abbiano gradi così diversi di alea, o quantomeno debbano essere qualificati in una stessa omogenea categoria, per esempio “gioco di abilità”.

Perché questa premessa? Per motivare come sia di difficile o forse impossibile una definizione in qualche modo assoluta di termini come incertezza, rischio. E quindi come sia ancora più sfidante il tentativo di quantificare il rischio, di ottenere cioè una utile misura, o stima, dello stesso.

La regulation bancaria, sin dal primo accordo di Basilea del 1988, ha come caposaldo la necessità per le banche di un capitale adeguato rispetto ai rischi. Quindi la misura di tali rischi è elemento essenziale della ratio normativa.

Negli anni fino all’accordo di Basilea 3, divenuto efficace nel 2014 ([14]), le autohorities hanno spinto verso l’adozione dei modelli interni, cioè modelli statistici di misura dei rischi sviluppati dalle banche stesse, ovviamente all’interno del framework (quali misure di rischio, vincoli di qualità del modello o sui parametri) normativo.

Al contrario, all’interno del complesso corpo normativo noto come Basilea 4, che in estrema sintesi sarà in vigore da inizio 2022, lo stesso comitato di Basilea è andato nella direzione opposta, cioè rimozione o sempre maggiori vincoli sui modelli interni, in favore di nuove versioni dei modelli standard. Modelli cioè in cui l’algoritmo di calcolo della misura dei rischi e relativi parametri e pesi sono totalmente prescritti nella normativa.

Queste nuove versioni si caratterizzano per una marcata maggiore complessità rispetto ai modelli standard correnti, con l’ambizione di essere più risk sensitive, accurati quindi nella capacità di rappresentare i fattori di rischio. Nelle prossime sezioni cercheremo di dare una review di tali evoluzioni, con alcune riflessioni finali.

2 I nuovi modelli standard

2.1 Le innovazioni

Già partire dal 2013, quando Basilea 3 era ai suoi primi passi, sono inziati tramite vari gruppi di lavoro attività di ulteriore revisione e finalizzazione dei modelli. Va qui ricordato che se ci soffermiamo sulla componente core del framework di Basilea, non sull’introduzione dei nuovi vincoli di liquidità, l’unico elemento realmente nuovo di discontinuità in Basilea 3 è stato l’introduzione di un nuovo requisito di capitale, il noto CVA capital charge, cioè il rischio di perdite inattese dovute al deterioramento del merito di credito delle controparti di posizioni in derivati OTC.

Tutte le ulteriori finalizzazioni successive, in un primo tempo spesso citate come “Basilea 4”, sono state raccolte in un tentativo di corpo unico, si veda [2].

Vediamo la lista completa degli interventi previsti:

  • Rischio Operativo. Rimozione dei modelli interni (AMA), in favore di un unico apprccio standardizzato (SMA), si veda [15]
  • Rischio di Credito e Controparte
    • rimozione dei modelli interni per controparti finanziarie e large corporate
    • evoluzione dei modelli standard ([11]).
    • vincoli sui parametri e misure di RWA dei modelli interni IRB ([12])
    • nuovo modello standard calcolo esposizione (EAD) su derivati, detto SA-CCR, si veda [6], [7].
  • Rischio di mercato. Totale revisione con la riforma FRTB (cfr. [3], [4] e [5]), in breve:
    • Modelli interni. Passaggio da misure di tipo VaR a misure di Expercted Shortfall per capital charge
    • Evoluzione delle procedure di backtesting e introduzione di ulteriore test di qualità del modello, noto come PLA (P&L Attribution)
    • significativa evoluzione dei modelli standard (SBA, sensitvity based approach)
  • CVA capital charge. Abbandono del modello interno in favore di un nuovo modello standard, si veda [8], [9], [16]

2.2 Il razionale comune dei nuovo modelli standard

Motivi di spazio non consentono una disanima comparativa di tutti i “nuovi” modelli standard, ma ci sofferiamo su alcuni di essi per le caratteristiche comuni che li caraterizzano e alcune considerazioni che possiamo trarne. In particolare ci focalizziamo su:

  • rischio di mercato, cioè rischio di perdite derivanti da variazioni inattese negative del valore (mark to market)
  • rischio di controparte, inteso come rischio di crescita inattesa delle esposizioni (EAD) sui derivati OTC, dovute in questo caso a variazioni positive del mark to market
  • CVA risk, dovuto alla posibilità di perdite inattese (unrealized, però registrate in conto economico) per variazioni improvvise del CVA “contabile”, cioè della rettifica del MtM legata al merito di credito delle controparti.

Si può dire che per la loro natura la genesi dei rischi è la stessa, cioè il MtM e le sue variazioni.

Vediamo le interessanti analogie (con qualche distinguo che omettiamo per brevità)  in relazione alla misura dei rischi:

  • Tassonomie e Fattori di rischio. Per tutti questi rischi è specificata una tassonomia dei fattori di rischio molto più granulare che per i modelli standard correnti, che si può riassumere nella seguente gerarchia partendo dall’alto: A) Risk types B) buckets o hedging sets C) Tenors D) fattore di rischio elementare. Risk types è riferito alla asset classe, quindi tassi di interesse, tassi di cambio, equity, commodity, posizioni di credito. Il bucket/heding set può essere come nel caso delle posizioni in tassi di interesse dato da ciascuna currency, per equity vi può essere un unico bucket o più bucket in base a geografia, settore, size, le commodity sono scomposte in gruppi omogenei, per i tassi di cambio ogni currency costituisce un bucket. I tenors, cioè le scadenze, sono significative solo per le posizioni in tassi di interesse. Infine abbiamo i fattori di rischio elementari. Si ribadisce che questo dettaglio sui fattori di rischio da identificare e mappare è molto più elevato che in precedenza.
  • Struttura del requisito di capitale e aggregazione tra posizioni. Anche qui significative novità, nel senso che la gerarchia anarafica vista prima ha lo scopo di gestire correlazioni tra fattori di rischio o tra gruppi di essi prima non previsti. Più in generale 1) sono fornite matrici di correlazione tra fattori di rischio all’interno del bucket 2) sono fornite matrici di correlazione tra buckets all’interno di una asset class 3) per market risk e cva risk si usano matrici di correlazione in 3 scenari per tenere conto di possibile stress. Lo “step zero” del calcolo è la determinazione per ogni posizione della sensitivity (per market risk e cva capital charge) o di esposizione (per counterparty risk), su cui si applicano i risk weight e si procede poi con le aggregazioni mediante matric di correlazione sopra dette.

Mostriamo a titolo esemplificativo alcuni parametri riferiti alla asset class azionaria, in cui abbiamo un bucket per ogni emittente:

  • Market risk FRTB. Il fattore di rischio è dato da ogni single name o indice. I bucket sono 12 per cluster di settore, dimensione, geografia. Il risk weight applicato varia da un minimo del 15% per indici di mercati evoluti al 70% di azioni small cap dei mercati emergenti. Le correlazioni nel bucket e tra bucket assumono valori molto diversificati (mai comunque negativi) in relazione ai casi, per esempio 15% tra due azioni large cap dei mercati europei, 80% tra due indici di mercati europei.
  • Rischio di controparte. Per determinare l’add-on rispetto al mark to market, da cui discende l’esposizione soggetta a rischio, si hanno due risk weights: 32% per le azioni e 20% per gli indici, con correlazione del 50% tra azioni e 80% tra indici.
  • CVA Risk. I bucket come nel rischio di mercato, anche se non è previsto un CVA risk azionario per posizioni su indici. Risk weights tra 35% e 70%. Correlazioni tra bucket pari al 15%.

Riproduciamo anche il contributo al requisito di capitale per ogni bucket Kb e la sua aggregazione per ogni asset class

Market risk FRTB

Si può notare come, al netto di lievi differenze di notazione, tutte le formle in qualche modo mimano la volatilità di un portafoglio ben nota dalle teorie dell’asset allocation e del modello CAPM. Anzi, a essere più precisi, il senso di queste formule è quello di un VaR, cioè un percentile, sulle grandezze soggette a rischio (perdite di mark to market, espansioni di mark to market, incrementi di CVA), in quanto i risk wieght usati come mattone di base sono calibrati su eventi estremi. Se riprendiamo i dati sopra forniti e tenendo conto che l’orizzonte tradizionale per il market risk è 10 giorni lavorativi, un risk weight del 15% per posizioni su indici implica considerare questa come possibile perdita estrema di un indice di mercati evoluti, scenario molto prudente, in linea con gli obiettivi di Basilea, e non certo la sua normale volatilità.

3 Alcune riflessioni

Modelli interni in fase di estinzione, modelli standard sempre più evoluti verso un approcio di portafoglio che era prerogativa dei modelli interni, con la complessa algebra delle matrici a supporto, e molto dettagliata definizione delle tassonomie. Possiamo dare un giusdizio su questo trend, molto significativo e irreversibile? E’ un fallimento del risk management bancario dopo che Basilea 2 aveva al contrario introdotto i modelli interni sul rischio di credito e sui rischi operativi?

Nel framework di Basilea 2 vi erano già dei “puntelli” ai gradi di libertà dei modelli interni. Uno ovvio, cioè la richiesta di documentare in modo formale la capacità predittiva dei modelli di misura del rischio tramite tecniche di baktesting specifiche per i vari tipi di rischio. Il secondo e più interessante puntello è costituito dal fatto che per i modelli sul rischio di credito le banche possono limitarsi ad avere modelli di stima dei parametri (PD,LGD,EAD), mentre per il calcolo del capital charge devono applicare la formula prevista per i modelli IRB, a differenza del rischio di mercato e operativo dove anche il modello di perdita, dati i fattori di rischio, è costruito dalla banca.

Non è bastato. Troppi i margini di discrezionalità e le difficoltà di omogeneizzazione nei rischi operativi, eccessivo l’uso di modelli “aggressivi” per minimizzare il capitale richiesto, sui modelli per la PD e (soprattutto) LGD, come dimostrato in vari benchmarking internazionali.

Ma la strada intrapresa è corretta? A giudizio di chi scrive , con tutte le possibili migliorie nel tempo. Da un lato finalmente anche banche medie o medio piccole applicheranno metodi più risk sensitive con una maggiore consapevolezza del legame tra rischi e buffer di capitale. Dall’altro, in queste stesse banche ma anche in quelle maggiori finalmente la struttura di Risk Management potrà diventare in modo più incisivo owner del processo segnaletico di I pilastro, che è oggi tradizionalmente allocato nelle banche nella “Direzione Amministrazione”, dove però, specialmente sui rischi di mercato, difficilmente vi sono competenze sufficienti per il controllo delle misure finali. Infine nulla impedirà alle banche, in ambito di II pilastro e processi RAF, di continare a utilizzare modelli interni più sofisticati, se confidenti sulle loro performance e se questi sono realmente utilizzati nei processi gestionali di delega e controllo dei rischi.

Riferimenti

[1] Basel Committee on Banking Supervision (2011), “Basel III: A global regulatory framework for more resilient banks and banking systems – revised version June 2011”

[2] Basel Committee on Banking Supervision (2017), “Basel III: Finalising post-crisis reforms”

[3] Basel Committee on Banking Supervision (2019), “Minimum capital requirements for market risk”, paper 457.

[4] Basel Committee on Banking Supervision (2017), “Simplified alternative to the standardised approach to market risk capital requirements”, paper 408.

[5] Basel Committee on Banking Supervision (2014), “Fundamental review of the trading book: outstanding issues”, paper 305.

[6] Basel Committee on Banking Supervision (2014), “The standardised approach for measuring counterparty credit risk exposures”, paper

[7] Palombini E. Zottarel M. (2016) Il nuovo Standardised Approach for Counterparty Credit Risk (SA-CCR)

[8] Basel Committee on Banking Supervision (2015), “Review of the Credit Valuation Adjustment Risk Framework “, paper 325.

[9] Axis Alternative (2019), “New CVA capital framework: FRTB-CV”.

[10] ISDA (2019), “ISDA SIMMTM,1 Methodology, version 2.2 “.

[11] Basel Committee on Banking Supervision (2015), “Revisions to the Standardised Approach for credit risk“.

[12] Basel Committee on Banking Supervision (2016), “Reducing variation in credit risk-weighted assets – constraints on the use of internal model approaches”.

[13] Ekeland I.(1987), A Caso (Mathematics and the Unexpected), Bollati Boringhieri

[14] EU (2013), “Capital Requirement Regulation (CRR)”, Regulation 575/2013 (Basilea 3).

[15] Basel Committee on Banking Supervision (2016), “Standardised Measurement Approach for operational risk”

[16] Basel Committee on Banking Supervision (2019), “Credit Valuation Adjustment risk: targeted final revisions”, consultation paper.

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