La risoluzione delle crisi e il meccanismo di risoluzione unico per l’Area dell’Euro
di Sergio Lugaresi

Apr 03 2014
La risoluzione delle crisi e il meccanismo di risoluzione unico per l’Area dell’Euro  <small><small><I> di Sergio Lugaresi </I></small></small>

Il fulcro dell’Unione Bancaria è il modo in cui  gestire le crisi. Commissione, Parlamento e Consiglio Europei (il trilogo), hanno raggiunto un accordo sulla Direttiva sulla Gestione e Risoluzione delle  Crisi Bancarie (BRRD) e sul Regolamento per l’istituzione di un Meccanismo Unico di Risoluzione; a integrazione del regolamento  un Accordo Intergovernativo regolerà il funzionamento del Fondo Unico di Risoluzione (SRF). La Direttiva e l’Accordo intergovernativo dovranno essere recepiti dai Parlamenti nazionali (della UE la prima, dell’Unione Monetaria il secondo); il Regolamento no ed entrerà in vigore il 1° gennaio 2015. Sono state così  smentite le previsioni più pessimistiche che mettevano in dubbio il completamento dell’Unione bancaria (avviata con la costituzione di un Meccanismo Unico di Vigilanza incentrato sulla Banca Centrale Europea). Ma l’impianto che si andrà a costruire lascia alcuni dubbi sulla sua efficacia.

La crisi ha mostrato che la società e i governi non possono accettare  di  lasciare fallire le banche, così come si lasciano fallire altre imprese (non tutte in verità, vedi le aziende automobilistiche o le linee aeree). L’ingente impegno di risorse pubbliche durante l’ultima crisi ha reso però socialmente e politicamente odioso  ciò che era stato  ritenuto  normale precedentemente (Levitin 2011). Inoltre ha svelato ciò che era stato  implicito sino ad allora: investire nelle banche è meno  rischioso che investire in altre aziende, e ciò genera moral hazard.

Era perciò necessario inventarsi qualcosa.  Una strada, tentata negli USA (regola di Volker) e poi nel Regno Unito (Rapporto Vickers), e recentemente riproposta nell’Unione Europea dal rapporto Liikanen (e riproposto dal Commissario Barnier troppo tardi per questa legislatura europea), è quella di separare le funzioni socialmente essenziali delle banche da quelle più speculative e quindi rischiose.  Tale soluzione risulta molto difficile, perchè alcune delle attività speculative posso essere complementari ad alcune funzioni essenziali (per esempio la copertura dei rischi di cambio). Inoltre nulla assicura che permangano le interconessioni tra le due classi di attività, sicchè non si può escludere che in futuro il governo debba intervenire per salvare una banca speculativa al fine di evitare che il suo fallimento trascini con sè quello di banche “essenziali”. Infine, per attuare tali riforme ci vuole molto coraggio: esse aggrediscono colossi transfontralieri ora impopolari, ma sempre assai potenti.

Rinunciando a definire ex ante cosa sia essenziale (cioè salvabile) e cosa no, rimanevano dunque due possibilità: 1) lasciare alle autorità di decidere in punto di crisi cosa salvare e cosa no; 2) introdurre un sistema di ripartizione delle perdite tra azionisti e creditori in modo da ridurre i rischi per i contribuenti (il cosidetto bail-in)[1].

La BRRD introduce teoricamente entrambe le possibilità.  Ma, come vedremo, in realtà non è così.

La BRRD imporrà, infatti, agli stati membri di introdurre, qualora non lo avessero ancora fatto, tre strumenti: 1) ampi poteri di intervento  preventivo (inclusa la sostituzione del top management) quando la  banca è  in crisi ma non è ancora fallita; 2) la possibilità, nella gestione della risoluzione della banca fallita, di separare le funzioni socialmente essenziali (da salvare) da quelle che non lo sono (quindi liquidabili); 3) la possibilità di infliggere perdite immediate ai creditori o di trasformare parte dei  crediti in azioni al fine di coprire i “buchi” della banca e riportarla “frankesteinamente” in vita (bail-in).[2]

Il  bail-in è un istituto giurico nuovo e poco sperimentato. Ne esistono due versioni: una contrattuale e una imposta per autorità. Quella contrattuale può essere ex-ante (titoli di che includono clausole di perdita o conversione in caso del verificarsi di determinati eventi) o ex-post (accordi di ristrutturazione tra creditori). Quella imposta può essere solo ex-post.

La scelta è stata per il bail-in imposto, che entrarà in vigore il 1° gennaio 2016. Esso può avere un impatto significativo sul costo del finanziamento bancario: tale impatto è dato non solo dalla desiderata rimozione del cosidetto moral hazard, ma anche dall’incertezza sulla sua effettiva applicazione. Per esempio la BRRD prevede che si vada in risoluzione ogni volta che vi è sostegno pubblico, tranne che questo sia richiesto qualora vi siano difficoltà di ricapitalizzazione a seguito di soli risultati negativi degli stress test, ossia in situazione di rispetto dei requisiti minimi di capitalizzazione.  Più in generale il bail-in è concepito per intervenire in situazioni di cosidetto going concern. Se la probabilità di bail-in è magggiore della probabilità teorica di default, l’effeto sarà quello di aumentare il costo del credito bailinable al di sopra della semplice rimozione del moral hazard.

Poichè nella Direttiva non sono posti limiti al bail-in, è questo che presumibilmente le autorità userano quasi esclusivamente, in quanto più semplice da utilizzare.[3]  Però i creditori delle banche sono tanti, votano e hanno potenti organizzazioni di pressione: ecco dunque fiorire le esenzioni dal bail-in, i trattamenti preferenziali e le discrezionalità nazionali. La Direttiva esclude, oltre ai depositi coperti da garanzia (cioè sino a 100 mila euro  per persona), anche i debiti garantiti o collateralizzati (sino al valore della garanzia),  i debiti verso i lavoratori e il fisco, i debiti commericali per la fornitura di beni essernziali al funzionamento quotidiano, i debiti verso i fondi pensionistici e i debiti inferiori a sette giorni. Inoltre stabilisce una gerarchia di creditori, in modo da ridurre la probabilità di bail-in per i depositi delle persone in eccedenza dei minimi garantiti e dei depositi delle piccole e medie  imprese.

Notevoli sono inoltre i casi di discrezionalità lasciate alle autorità nazionali per proteggere certe categorie di crediti: 1) se sono troppo complessi da calcolarne in tempi brevi la perdita da infliggere (in pratica quasi tutti i  contratti derivati); 2) se sono necessari per assicurare la continuità delle funzioni critiche; 3) per evitare il contagio, in particolare ad altre banche, PMI e infrastrutture finanziarie; 4) per evitare distruzione di  valore che aumenterebbe le perdite di altri creditori. [4] Queste discrezionalità introducono molta incertezza e rischiano di mantenere il vantaggio sui mercati dei capitali delle banche dei paesi con finanza pubblica più robusta.

Le esenzioni e l’uso di queste discrezionalità[5] avrebbe l’effetto di aumentare le perdite ai danni degli altri  creditori, infrangendo il criterio della par conditio creditorum.[6]  Quindi le autorità nazionali dovranno intervenire per compensare parzialmente questi  creditori. Anche per questo la Direttiva prevede la creazione di Resolution Financial Arrangment (RFA, usualmente un fondo di risoluzione finanziato dalle banche pari all’1 percento dei depositi garantiti), che dovrebbe anche essere in grado di fornire prestiti e garanzie alle banche “resuscitate”. La Direttiva pone anche dei vincoli alla possibilità di utilizzare i RFA: essi possono essere utilizzati solo quando le perdite superano  l’8% del totale delle passività della  banca, e non possono comunque eccedere il 5% delle stesse. Gli RFA dovranno mutualizzare le risorse in caso di risoluzione di banche transfrontaliere in base ad accordi di ripartizione dei costi (burden sharing) stabiliti ex-ante, oppure ex post ma seguendo semplici criteri stabiliti nella Direttiva (in sostanza distribuzione degli asset, delle perdite e dei beneficiari dei RFA).

Rimanendo il finanziamento della risoluzione di una banca a carico dei governi nazionali, è chiaro che un sistema così congegnato non consente di spezzare il circolo vizioso tra debiti sovrani e quelli delle banche. Si è pertanto cercato di porre un rimedio a questa situazione con un Meccanismo Unico di Risoluzione (SRM) per le sole banche vigilate direttamente dalla Banca Centrale Europea (BCE).

Il Regolamento prevede che una volta che la BCE abbia dichiarato lo stato di crisi irreversibile di una banca, un Single Resolution Board (SRB, composto da un Presidente, un Direttore esecutivo e altri tre membri a tempo pieno nominati dal Consiglio,  con la Commissione e la BCE come osservatori permanenti), dotato di poteri ispettivi e sanzionatori, proponga un piano di risoluzione della banca fallita sulla base di un preesistente Resolution Plan i cui criteri generali sono stabiliti nella BRRD. Il piano di risoluzione deve essere approvato dalla Commissione (in base al principio stabilito dalla Corte di Giustizia europea che i poteri delle istituzioni europee non possono essere delegati) entro 24 ore. In pratica la Commissione, che partecipa a tutte le riunioni come osservatore, può dettare delle modifiche alle decisioni del Board se d’accordo con il Consiglio, che può esprimersi nelle 12 ore successive, e sulla base di considerazioni relative all’ interesse pubblico e all’utilizzo dell’SRF (vedi sotto),

Eventuali costi di risoluzione, incluso l’indennizzo di alcune categorie di creditori, dovranno essere finanziati da un Single Resolution Fund (SRF), l’RFA dell’area Euro, costituito con trasferimento di risorse nazionali con l’obiettivo di raggiungere lo 0,8 percento dei depositi garantiti entro 8 anni. In base all’Accordo intergovernativo nella fase transitoria L’SFR sarà utilizzato in base a “compartimenti” nazionali.[7] In ogni caso, gli interventi dell’SFR, così come eventuali finanziamenti pubblici, dovranno essere autorizzati dalla Commissione.

Potrà un tale meccanismo funzionare davero? L’esperienza dei Resolution Plan per gruppi cross-border è stata per ora limitata e insoddisfacente: le gelosie e i contrasti tra le autorità nazionali rendono difficile lo scambio di informazioni delicate come quelle sulle possibili dismissioni di asset e sulla possibile ripartizione delle perdite tra i creditori. Sarà l’SRB sufficientemente indipendente dalle pressioni politiche, soprattutto dei creditori nazionali? Sarà sufficiente l’SRF (a regime circa 55 miliardi di Euro a valori attuali) a compensare i tanti creditori che le autorità nazionali vorranno esentare dal bail-in di una grande banca cross-border? Avrà l’SRB la capacità e gli strumenti per agire tempestivamente? Se l’esatta entità della crisi di una banca non è comunicata ai mercati insieme a precise e credibili modalità di risoluzione, le conseguenze per la banca potrebbero essere devastanti.

A ben vedere tutte queste perplessità derivano dall’eccessivo ruolo che la Commissione e poi il Governo tedesco hanno dato al “bail-in imposto”. L’alternativa invece poteva essere quella di dare priorità alla separazione degli asset e alla costituzione di una bridge bank in attesa di trovare un acquirente privato, lasciando il bail-in imposto come strumento residuale e complementare. Dei 490 casi di fallimento bancario gestiti dall’FDIC americana dal 2008, 450 sono stati risolti con la vendita di parte della banche ad altre banche, spesso di stati diversi (Asmussen 2013). In caso di crisi idiosincratica gli strumenti privatistici sono possibili rendendo il bail-in potenzialmente inutile; in caso di crisi sistemica il bail-in è  invece inutilizzabile poichè contribuisce al contagio sistemico.

D’altra parte l’eccessivo ruolo dato al “bail-in imposto” deriva dal fatto che l’Unione Bancaria dovrebbe supplire alla mancanza di una vera e propria Unione Fiscale, sicchè l’esercizio eminentemente politico della ripartizione delle perdite tra creditori e contribuenti, al fine di tutelare l’interesse superiore dei depositanti e del sistema dei pagamenti, viene ridotto ad un esercizio di ripartizione tra categorie di creditori, con l’illusione che esso possa essere puramente tecnico, se non addirittura automatico. [8]

Non si può quindi non concordare con l’analisi di Deutsche Bank (2013): l’Unione Bancaria è un passo avanti nell’integrazione europea; essa però servirà solo ad allentare, non a spezzare, il legame tra debito bancario e debito sovrano.

Sinchè non si discuterà concretamente di Unione Fiscale (per fare cosa?), l’Unione Bancaria avrà bisogno anche di un po’ di fortuna, quella che non sempre ha avuto l’Unione Monetaria. La crisi di una banca transanazionale ne rivelerebbe tutte le debolezze, così come la crisi greca ha rivelato le debolezze dell’Unione Monetaria.

Riferimenti

Asmussen, Jörg, “Banking Union – essential for the ins, desirable for the outs!”, speech at the Danske Bank Financial Forum 2013, Stockholm, November 2013

Boccuzzi, Giuseppe, “Towards a new Framework for Banking Crisis Management. The International Debate and the Italian Model”, Banca d’Italia, Quaderni di Ricerca Giuridica, ottobre 2011.

Calello, Paul – Wilson, Ervin, “From bail-out to bail-in”, The Economist, Jan 28th 2010.

Deutsche Bank – Market Research, “EU Banking Union. Right Idea, Poor Execution”, Frankfurt, September 2013

Goyal, Rishi – Brooks, Petya Koeva – Pradhan, Mahmood – Tressel, Thierry – Dell’Ariccia, Giovanni – Leckow, Ross – Pazarbasioglu – IMF Staff Team, “A Banking Union for the Euro Area”, IMF Staff Discussion Note, February 2013.

Levitin, Adam J., “In Defence of Bailouts”, Georgetown Law Journal, 2011.

Mersch, Yves, “The Single Market and Banking Union”, speech at the European Forum Alpbach, August 2013.

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