ESMA: pubblicati i programmi 2017 in materia di convergenza dell’attività di vigilanza e di valutazione del rischio

Feb 16 2017

L’ESMA ha pubblicato il “2017 Supervisory Convergence Work Programme”. Il documento delinea le attività e le mansioni che l’ESMA svolgerà nel 2016 per promuovere una vigilanza efficace ed armonizzata all’interno dell’Unione Europea. L’Autorità Europea ha individuato le seguenti priorità su cui concentrare il lavoro di convergenza:

  • attuazione della direttiva MiFID II / MiFIR e MAR, con particolare attenzione agli aspetti informatici;
  • miglioramento della qualità dei dati raccolti dalle autorità nazionali;
  • protezione degli investitori nel contesto della prestazione transfrontaliera di servizi;
  • convergenza nella supervisione delle controparti centrali all’interno dell’Unione europea.

Queste priorità sono state sviluppate tenendo conto di diversi fattori, tra cui il contesto di mercato, novità legislative e regolamentari, e le priorità di vigilanza garanti della concorrenza.

Parallelamente, l’ESMA ha pubblicato il documento “2017 Risk Assessment Work Programme” che fornisce una panoramica delle analisi e delle attività statistiche programmate da parte dell’ESMA per un’attenta valutazione dei rischi sui mercati finanziari europei. Tra gli obiettivi principali rientrano:

  • completamento dell’infrastruttura tecnica necessaria per l’elaborazione dei dati nel quadro dei mandati AIFMD, MiFID e EMIR;
  • rafforzamento delle capacità di monitoraggio dei rischi dell’ESMA, tramite la formulazione di statistiche descrittive del mercato, nonché di indicatori di rischio sofisticati e metriche basate sui nuovi dati proprietari;
  • svolgimento di attività di ricerca approfondita su temi (quali liquidità, fund leverage e l’impatto dell’innovazione nelle aree di infrastrutture di mercato e di consulenza per gli investimenti) ritenuti di importanza strategica;
  • rafforzamento dell’attività di valutazione dei rischi e ulteriore miglioramento del lavoro in tema di stress test, al fine di definire esercizi di stress test sempre più sofisticati sulle controparti centrali europee e sviluppare l’impianto di stress test sui fondi di investimento.

ESMA 2017 Supervisory Convergence Work Programme
ESMA 2017 Risk Assessment Work Programme

L’Italia è terra di conquista? Perché mancano i manager
di Emilio Barucci

Feb 03 2017
L’Italia è terra di conquista? Perché mancano i manager  di Emilio Barucci

Articolo pubblicato su Avvenire in data 1 febbraio 2017

Il Made in Italy è vitale, in crisi è la classe dirigente. Le acquisizioni straniere e le fragilità del sistema.

«Arrivano i francesi e (forse) anche i tedeschi». Potrebbe essere il titolo di un film sugli ultimi anni del capitalismo italiano. I casi recenti sono noti: le Generali nel mirino di Axa e Allianz, l’acquisizione dei fondi comuni di investimento Pioneer da parte della francese Amundi, la fusione tra Luxottica e Essilor che sembra sempre più un’acquisizione posticipata da parte dei francesi, Vivendi che controlla Telecom e insidia l’impero Berlusconi. In realtà ci si sveglia in ritardo: il problema non è nuovo e data almeno all’inizio della crisi finanziaria.

Prima del 2007 le operazioni di fusione/acquisizione tra Francia e Italia erano più o meno equilibrate, da allora abbiamo avuto operazioni di acquisizione dalla Francia all’Italia per 52 miliardi e operazioni di segno opposto per soli 8 miliardi di euro. Negli ultimi dieci anni, aziende francesi in Italia si sono comprate banche (Cariparma e Bnl), il latte di Parmalat, lo zucchero di Eridania, i gioielli di Bulgari e Pomellato, marchi della moda come Loro Piana e Bottega Veneta, pezzi del mondo dell’energia (Edison e Acea) e delle infrastrutture (Grandi Stazioni e Ntv).

Se guardiamo ai fondamentali del nostro Paese le cose non tornano: è vero che l’economia italiana cresce meno di quella francese, e che in particolare abbiamo una minore crescita della produttività, ma possiamo contare comunque su un peso della manifattura rispetto al Pil superiore a quello transalpino e abbiamo un tessuto produttivo capace di esportare, mentre la Francia importa più di quanto esporta. La nostra industria è in difficoltà, ma resta vitale: dopo la crisi finanziaria le aziende presenti sui mercati internazionali hanno continuato a guadagnare quote. Allora perché questo lungo elenco di acquisizioni? Molte ricostruzioni liquidano i mali del capitalismo italiano riducendoli a un binomio: ‘nanismo’ delle imprese e influenza del ‘salotto buono’.

C’è del vero, ma è solo una parte della storia. Il nanismo ha a che vedere con il fatto che in Italia abbiamo un numero assai elevato di aziende di piccola dimensione, molto più che in altri Paesi europei. Questo aspetto può rappresentare un punto debole in quanto l’apertura dei mercati richiede aziende di grandi dimensioni capaci di competere su più fronti. Il capitalismo italiano ha mostrato tutti i suoi limiti nell’accompagnare le aziende nel processo di crescita: modesto ricorso al mercato dei capitali (obbligazionario e azionario), eccessivo ricorso al credito bancario.

Nel glorioso dopoguerra le aziende delle famiglie storiche del capitalismo italiano si sono affacciate alla Borsa, ma i proprietari hanno continuato a tenere ben salda la barra del timone. Per puntellare posizioni sempre più deboli (banalmente non avevano i denari per investire o per ricoprire le perdite), hanno utilizzato tutta una serie di strumenti difensivi (patti di sindacato, scatole cinesi…) che permettevano loro di controllare le aziende anche con una quota molto limitata di azioni. Era il mondo del cosiddetto ‘salotto buono’, che ha retto fino a quando le barriere nazionali sono scomparse. Di fatto dagli anni 90 in poi difendere l’italianità di un’azienda è diventata una missione praticamente impossibile.

Ma facciamo un passo indietro: è giusto difendere l’italianità di un’azienda? La risposta è sì, ma bisogna vedere come farlo. Sì, perché la localizzazione dell’azienda è importante in termini di competenze e di strutture organizzative che costituiscono il nerbo dell’economia di un Paese. Facciamo un esempio: nel comprensorio di Firenze si produce larga parte delle borse di alta gamma al femminile, le maestranze (costituite in buona parte da cinesi) sono ancora eccellenti e quindi tutti i grandi marchi producono nella valle dell’Arno. Quasi tutti questi grandi marchi non sono però basati in Italia, le loro funzioni a più alto valore aggiunto sono allocate a Londra o a Parigi: marketing, ideazione, creatività, logistica, finanza. Questo fa sì che il mondo della moda italiano abbia perso via via competenze ad alto valore aggiunto, organizzazioni complesse e in ultima analisi manager che riversano il loro reddito in altri Paesi, senza contare che i dividendi di queste aziende vanno a beneficio di investitori che solo in piccola parte sono italiani.

Per tale ragione è bene che la ‘testa’ di una impresa rimanga in Italia. Ma per garantire questo risultato si deve essere in gradi di esercitare il controllo sull’azienda. Questo può avvenire in due modi. Tramite un azionista forte, o tramite un management forte. Se si escludono rarissime eccezioni, non abbiamo multinazionali italiane importanti con un azionista forte privato. Lo Stato è ancora in grado di esercitare il controllo su alcune multinazionali, ma il suo raggio di azione si è ridotto per i ben noti vincoli di finanza pubblica. Oramai è chiaro che la stagione del ‘nocciolo duro’ di azionisti riuniti attorno a un patto di sindacato è terminata. Il motivo è semplice: i noccioli duri non funzionano in quanto non si sa davvero chi comanda e al momento del bisogno gli azionisti non tirano fuori le risorse. Rimane il modello public company, in cui un management forte è in grado di governare le aziende avendo la fiducia degli azionisti. In questo caso non conta il blasone, contano soltanto la visione sul futuro e la capacità di remunerare il capitale nel medio-lungo periodo. È qui che il sistema Italia ha fallito. Il processo di crescita di un’azienda doveva passare tramite una separazione virtuosa tra proprietà e controllo che portasse alla nascita di una classe di manager capaci di farsi rispettare dagli azionisti e di garantire loro un ritorno economico adeguato. Il sistema Italia per anni ha invece giocato in difesa con il ‘salotto buono’ e il credito bancario facile. Il primo è scomparso negli anni 90, il secondo con la recente crisi finanziaria.

Sono sostanzialmente queste le ragioni della maggiore vulnerabilità dell’economia italiana post crisi finanziaria, testimoniata dalla valanga di acquisizioni: imprese fortemente indebitate o dall’assetto azionario debole sono state incapaci di giocare un ruolo attivo nei processi di acquisizioni e sono diventate ‘preda’. Per ovviare a questi problemi serve a poco erigere barriere: se lo facciamo le nostre aziende moriranno di asfissia. Serve piuttosto favorire il rafforzamento patrimoniale delle imprese anche tramite incentivi fiscali, favorire lo sviluppo dei mercati e degli investitori istituzionali e, soprattutto, serve un progetto a lungo termine che rafforzi la nostra classe di manager. Il Paese ha ancora un tessuto imprenditoriale vivo con imprenditori che sanno fare il loro mestiere, quello che manca è una classe dirigente capace di guidare il passaggio generazionale di un’azienda e garantirne lo sviluppo. Non è un caso che Del Vecchio porti Luxottica a Parigi e individui nell’amministratore delegato di Essilor il futuro capo azienda e che Generali e Unicredit nel momento del bisogno si siano rivolte a due amministratori delegati francesi. Questi difetti non si risolvono con gli annunci, occorre un progetto a lungo termine e una visione che fino ad ora è mancata alla nostra classe dirigente.

Cause e implicazioni di una raccolta bancaria più focalizzata sul breve termine
di Antonio Forte

Feb 03 2017
Cause e implicazioni di una raccolta bancaria più focalizzata sul breve termine  di Antonio Forte

Nel corso degli ultimi anni le banche italiane hanno rimodulato in modo consistente la composizione della raccolta da clientela. La quota delle forme di tecniche di raccolta a breve termine è cresciuta in modo costante segnando nel 2016 livelli massimi in prospettiva storica. Questa preferenza per la raccolta a breve termine potrebbe esporre le banche a problemi di funding, in caso di problemi di stabilità di un singolo istituto o sistemici, e di costi, non appena i tassi di interesse ritorneranno a crescere. in questo intervento si analizza tale fenomeno e si evidenziano le criticità ad esso collegate.

Tale cambiamento strutturale della raccolta può essere esaminato attraverso alcune elaborazioni.

Il grafico 1 mostra la quota della raccolta a breve termine, entro i 2 anni, sul totale della raccolta da clientela. Per il calcolo di questa percentuale sono state considerate tutte le forme di deposito, le obbligazioni e i pronti contro termine. Dal grafico si evince, come segnalato in precedenza, che la quota della raccolta a breve termine è in costante crescita. Da inizio 2008 a fine 2016 l’incremento ha superato i 10 punti percentuali, con una accelerazione a partire dalla seconda metà del 2014. Gli ultimi dati disponibili evidenziano che la raccolta con durata inferiore ai 2 anni è pari all’82% del totale.

Questo comportamento delle banche può trovare giustificazione nel mutato contesto economico e finanziario. La preferenza per la raccolta a breve termine, infatti, trova un fondamento economico nella necessità di ridurre l’ammontare degli interessi passivi in uno scenario di tassi di interesse in costante riduzione. Le banche, in altre parole, per cercare di preservare il margine di interesse, hanno deciso di ridurre l’importanza delle forme tecniche più costose, quelle a medio lungo termine, a favore di quelle più economiche, cioè quelle a breve termine. Il grafico 2 mostra questa evoluzione elaborando i dati di gennaio 2008 e di novembre 2016. Dal confronto dei dati si nota come negli ultimi anni vi sia stato un marcato calo del peso delle obbligazioni, riduzione di oltre 10 punti percentuali, a favore delle varie forme di deposito, soprattutto dei depositi in conto corrente. Quindi, la prevalenza di raccolta a breve termine ha comportato anche un cambiamento nel peso relativo delle varie forme tecniche.

Anche questo passaggio da una forma tecnica più stabile nel tempo, le obbligazioni, verso la forma tecnica meno stabile per eccellenza, i depositi in conto corrente, trova giustificazione in un differente contesto economico. Infatti, le obbligazioni hanno perso appeal nel corso degli ultimi anni a causa di una serie di novità succedutesi nel tempo: in primo luogo è importante ricordare la maggiore tassazione delle obbligazioni corporate rispetto ai titoli di stato (26% vs 12,5%); in secondo luogo vi è stata una riduzione dei tassi di interesse offerti sulle obbligazioni con conseguente minor interesse da parte dei risparmiatori; più recentemente, a questi due fattori economici si è aggiunto un fattore psicologico, legato alle conseguenze della risoluzione delle quattro banche popolari nel novembre 2015 e all’introduzione del bail in a inizio 2016. Il timore che le obbligazioni bancarie vengano coinvolte in processi di ristrutturazione ha ulteriormente allontanato i risparmiatori dalle obbligazioni; infine, è necessario ricordare che le operazioni di rifinanziamento a lungo termine della BCE hanno assunto un’importanza crescente nel corso degli ultimi anni e avendo un costo nullo, o addirittura negativo, spiazzano completamente le obbligazioni. A tal proposito, il grafico 3 riporta l’andamento nel tempo del rifinanziamento delle banche italiane e mostra in modo lampante l’accresciuta importanza delle LTRO (Long term refinancing operations) rispetto alle MRO (Main refinancing operations). Per tutti questi motivi le obbligazioni bancarie hanno gradualmente perso la loro funzione cardine a favore dei depositi.

Quali implicazioni comporta questo ribilanciamento della raccolta a favore di forme tecniche di breve termine? Come si ricordava all’inizio, sono sostanzialmente due le conseguenze più evidenti: da un lato le banche sono più esposte al rischio tasso di interesse; dall’altro lato potrebbero sorgere problemi di stabilità, di una singola banca o sistemica, in caso di crisi di fiducia.

In merito alla prima conseguenza, affidandosi oggi a forme tecniche di raccolta a breve termine, le banche potrebbero incorrere in un prossimo futuro in un aggravio di costi nel momento in cui la politica monetaria cambierà impostazione e i tassi cominceranno a risalire. Dato che la raccolta a breve termine deve essere rinnovata con maggior frequenza ciò potrebbe avere un impatto negativo sul margine di interesse. È pur vero che le banche hanno una maggior forza contrattuale, e ciò potrebbe dar loro il tempo di adeguare i tassi e la composizione della raccolta, ma se alcune banche decidessero di seguire la risalita dei tassi e cominciassero ad offrire depositi con tassi più allettanti, potrebbe avviarsi un rialzo generalizzato degli interessi passivi pagati sulla raccolta al fine di scongiurare spostamenti dei depositi tra banche.

L’altro aspetto che può destare preoccupazione è il possibile legame tra crisi di fiducia ed eccesso di raccolta a breve termine. Negli ultimi anni abbiamo assistito a diverse crisi bancarie, anche in Italia, con conseguenti problemi di liquidità causati dal ritiro dei depositi. I depositi in conto corrente, infatti, rappresentano la forma di raccolta più facilmente smobilizzabile da parte dei clienti e la prima ad essere aggredita in caso di crisi di fiducia. L’incremento del peso della raccolta a breve termine descritto in questo intervento potrebbe aumentare i rischi di una crisi di liquidità per alcuni istituti o per il sistema nel suo complesso. Si pensi, in modo particolare, al caso in cui i depositanti decidessero di ritirare i risparmi in risposta ad eventi eccezionali che vadano a minare la credibilità e la percezione di solidità degli stessi istituti. Le banche si troverebbero in breve tempo con una parte importante della raccolta che viene meno.

Date queste considerazioni sarebbe auspicabile che le banche e le autorità di vigilanza comincino a valutare con attenzione questo cambiamento strutturale al fine di evitare che la necessità attuale di preservare il margine di interesse possa trasformarsi in futuro in un problema di stabilità dell’intero sistema bancario.

ESMA annuncia i dettagli per lo stess test 2017 sulle CCP europee

Feb 03 2017

L’ESMA ha pubblicato il quadro di riferimento per l’esercizio di stress test che verrà condotto nel 2017 sulle Controparti Centrali (CCP) europee. L’esercizio coinvolge 17 CCP dell’Unione Europea, per valutare la resilienza e la sicurezza del sistema di CCP europee dal punto di vista del rischio sistemico.

I risultati dell’esercizio forniranno informazioni utili sulla resilienza delle CCP europee a diversi shock di mercato. L’esercizio di stress test aiuterà anche a identificare eventuali carenze nella capacità di recupero delle CCP.

Per quanto riguarda la tempistica dell’esercizio, nel mese di marzo 2017, le controparti centrali coinvolte dovranno fornire i dati per lo stress test, che verranno validati dall’ESMA e dalle Autorità nazionali competenti nel secondo trimestre dell’anno. L’ESMA completerà l’analisi dei dati nel terzo trimestre e pubblicherà i risultati dell’esercizio trimestre successivo.

Comunicato stampa
Framework ESMA per lo stress test 2017 delle CCP europee

Comitato di Basilea: pubblicate FAQ sui requisiti patrimoniali minimi per il rischio di mercato

Feb 03 2017

Il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha pubblicato un documento contenente le risposte alle FAQ (Frequently Asked Questions) in materia di requisiti patrimoniali minimi per il rischio di mercato.

Le domande e le risposte comprendono chiarimenti sia per l’approccio standardizzato che per l’approccio basato su modelli interni.

Al fine di promuovere l’attuazione coerente globale di tali requisiti, il Comitato ha deciso di rivedere periodicamente domande frequenti e pubblicare le risposte insieme a qualsiasi elaborazione tecnica del testo standard e orientamenti interpretativi che può essere necessario.

FAQ del Comitato di Basilea sui requisiti minimi per il rischio di mercato

Avviata consultazione FSB su linee guida per risoluzione CCP

Feb 03 2017

Il Financial Stability Board (FSB) ha pubblicato un documento di consultazione riguardante gli orientamenti in materia di risoluzione delle Controparti Centrali (CCP).

La proposta di linee guida oggetto della consultazione trae spunto dalle risposte ricevute alla nota di discussione pubblicata dal FSB nel mese di agosto 2016. Obiettivo delle linee guida è di supportare le autorità competenti i) nello sviluppo di lo sviluppo di strategie di risoluzione credibili e ii) nell’attuare sistemi efficaci di risoluzione per le CCP.

La consultazione avrà termine il 13 marzo 2017.

Comunicato stampa
Documento di consultazione

EIOPA: formulato parere tecnico sull’implementazione della direttiva in materia di Distribuzione Assicurativa

Feb 03 2017

L’EIOPA ha pubblicato oggi il Parere tecnico indirizzato alla Commissione europea su possibili atti delegati relativi alla direttiva sulla distribuzione dei prodotti assicurativi (e Insurance Distribution Directive o IDD), che rappresenta un’importante strumento per promuovere ulteriormente la tutela sistematica dei consumatori in tutta l’Europa.

L’EIOPA considera della massima importanza che gli interessi dei consumatori siano presi in considerazione per tutto il ciclo di vita del prodotto, che i pagamenti di terze parti – quali ad esempio le commissioni –  non abbiano un impatto negativo sulla qualità dei servizi reso ai clienti e che i prodotti venduti siano adatti e appropriati per il singolo cliente.

Nel documento, inoltre, l’Autorità propone delle misure di intervento concrete per quanto riguarda le seguenti aree: governance di prodotto, conflitti di interesse, impatto degli incentivi e l’appropriatezza dei prodotti di investimento assicurativi.

In seguito alla ricezione del Parere tecnico da parte dell’EIOPA, la Commissione Europea pubblicherà una versione preliminare degli Atti delegati da adottare prima della fine del 2017.

Comunicato stampa
Parere Tecnico EIOPA su IDD

FSB: presentati due nuovi Report sul riutilizzo del collateral

Feb 03 2017

Il Financial Stability Board (FSB) ha pubblicato 2 nuovi Report riguardanti il riutilizzo delle attività finanziarie usate come garanzia (collateral):

– “Re-hypothecation and Collateral Re-use: Potential Financial Stability Issues, Market Evolution and Regulatory Approaches”. Il documento descrive i potenziali problemi di stabilità finanziaria associati al riutilizzo del collateral (proprio o ricevuto dai clienti), e spiega l’evoluzione delle pratiche di mercato e gli approcci normativi vigenti.  Lo studio, inoltre, esamina i possibili benefici e le sfide di armonizzazione normativa legati alle tecniche di re-hypothecation, descrivendone anche eventuali rischi residuali per la stabilità finanziaria.

 – “Non-Cash Collateral Re-use: Measure and Metrics” che incorpora i commenti alla consultazione tenuta sul tema nella prima metà del 2016. La relazione finalizza la misura e metriche per il riutilizzo di attività postate come garanzia diverse dal contante in operazioni di finanziamento tramite titoli che le autorità controlleranno per garantire la stabilità finanziaria.

Comunicato stampa

Pubblicate le risposte a 3 consultazioni regolamentari IVASS

Feb 03 2017

L’Autorità di vigilanza italiana sul settore assicurativo (IVASS) ha pubblicato le risposte fornite dagli operatori di mercato alle consultazioni relative ai seguenti Regolamenti:

– Regolamento IVASS N. 26/2016 concernente l’applicazione delle misure per le garanzie di lungo termine e delle misure transitorie sui tassi di interesse privi di rischio e sulle riserve tecniche;

– Regolamento IVASS N. 27/2016 concernente l’applicazione del sottomodulo di rischio di catastrofe per l’assicurazione malattia per determinare il requisito patrimoniale di solvibilità calcolato con formula standard, dopo implementazione EIOPA;

– Regolamento IVASS N. 28/2016 concernente l’applicazione del metodo look-through ai fini della determinazione del requisito patrimoniale di solvibilità calcolato con la formula standard, conseguente all’implementazione EIOPA.

Esito della consultazione Regolamento IVASS N. 26/2016
Esito della consultazione Regolamento IVASS N. 27/2016
Esito della consultazione Regolamento IVASS N. 28/2016