Il Comitato di Basilea ha pubblicato un documento di consultazione contenente indicazioni sulla contabilizzazione delle perdite attese.
La consultazione rimarrà aperta fino al 30 aprile 2015.
Il Comitato di Basilea ha pubblicato un documento di consultazione contenente indicazioni sulla contabilizzazione delle perdite attese.
La consultazione rimarrà aperta fino al 30 aprile 2015.
Il Patrimonio di Vigilanza è stato uno degli ambiti che ha subito le maggiori variazioni a seguito dell’introduzione delle nuove regole di Basilea III. Le novità hanno riguardato diversi aspetti, relativi sia alle percentuali di requisiti patrimoniali fissate dal regulator, sia alle modalità di calcolo delle singole poste, sia alla computabilità degli strumenti nel calcolo.
L’obiettivo del seguente articolo è di:
– Analizzare una delle novità più impattanti dal punto di vista gestionale, il trattamento delle c.d. “minorities’’;
– Valutare i possibili effetti gestionali di tali novità.
1. Trattamento delle quote dei terzi (c.d. “Minorities”)
Nell’ambito delle disposizioni normative di Basilea 3, viene definito un nuovo approccio relativamente all’inclusione del patrimonio di pertinenza di terzi (“minority interest”), con riferimento agli strumenti emessi dalle società controllate, all’interno del Patrimonio di Vigilanza consolidato.
Basilea 2 prevedeva infatti l’inclusione integrale del patrimonio di terzi all’interno del Patrimonio di Vigilanza consolidato, mentre Basilea 3 richiede di computare nel patrimonio di vigilanza consolidato il patrimonio di pertinenza di terzi non più integralmente, ma soltanto pro-quota, in relazione alla parte effettivamente deputata alla copertura dei rischi sopportati dalla banca controllata.
La ratio della nuova norma è di non utilizzare, a livello consolidato, surplus di capitale (sottoscritto da terzi) di una controllata “A” rispetto ai suoi rischi per coprire i rischi della controllata “B”. Infatti, l’investitore terzo che acquista strumenti di capitale della società “A” effettua tale l’investimento sulla base delle condizioni di rischio della società “A”, e non del Gruppo anche in considerazione del fatto che ciascuna società controllata del Gruppo Bancario è responsabile individualmente per la sua posizione patrimoniale.
Un’ulteriore novità introdotta da Basilea 3 riguarda l’applicazione di tale metodologia di calcolo anche alla quota di pertinenza di terzi relativa a strumenti di capitale di AT1/T2. Per semplicità espositiva, limiteremo la nostra analisi al solo CET 1 ed alle conseguenze sulla struttura del Gruppo; tuttavia esempi simili possono essere traslati, mutatis mutandis, anche su AT1 e T2.
1.1. Modalità di calcolo
Per le i società rientranti nel perimetro di un gruppo, l’ammontare di patrimonio di terzi computabile nel CET1 consolidato è determinato in base alla formula:
Nello specifico, si può computare nel patrimonio consolidato l’interesse di minoranza totale (MI) meno l’importo del surplus di Common Equity Tier 1 della filiazione di pertinenza degli azionisti di minoranza (ovvero il “capitale disponibile” della filiazione di pertinenza di terzi). Tale surpuls di capitale è determinato come differenza tra il Common Equity Tier 1 della filiazione (CET1) ed il minimo tra:
Il surplus di capitale così calcolato deve quindi essere moltiplicato per la quota di patrimonio di pertinenza di terzi espressa come percentuale di tutti gli strumenti di CET1 della filiazione (% terzi). Di seguito si riporta un esempio numerico di calcolo della quota di terzi di CET 1:
Calcolo della quota computabile:
1) patrimonio di pertinenza di terzi: 400
2) % terzi: 400/1000 = 40%
3) Requisito Patrimoniale Individuale A: 2000 * 7% = 140
4) Requisito Patrimoniale Consolidato A: 1500 * 7% = 105
5) Minimo Requisito Patrimoniale = Min (step 3, step 4): 105
6) Surplus di terzi: (CET1 di A – punto 5) * % terzi = (1000 – 105)*40% = 895*40% = 358
7) MI computabile in CET1 consolidato: MI – Surplus = 400 – 358= 42.
L’esempio sopra riportato mostra chiaramente quanto sia penalizzante, a livello consolidato, avere surplus patrimoniale su una società controllata.
1.2. Effetti operativi sulla struttura di Gruppo
Per analizzare i potenziali effetti che questa misura può avere sulla scelta di come organizzare il Gruppo, vediamo due differenti esempi:
Esempio 1
Struttura del Gruppo:
– Holding non operativa
– una società controllata “A” che ha accentrato le funzioni finanza e tesoreria e che fa credito a clientela corporate
– una società controllata “B” che fa sostanzialmente credito a clientela retail e small business
Esempio 2
Struttura del Gruppo:
– Capogruppo operativa, con accentramento delle funzioni finanza e tesoreria
– una società controllata “A” che fa credito a clientela corporate
– una società controllata “B” che fa sostanzialmente credito a clientela retail e small business
Graficamente:
Esempio 1 Esempio 2
Come si evince dai due esempi, a parità di importi, si osserva una “penalizzazione” nel caso di una struttura di gruppo con una Holding non operativa rispetto ad una capogruppo (e peggiorativa al crescere dei surplus patrimoniali).
Esistono numerosi position paper sul tema (a titolo esemplificativo una risposta di Santander al draft Regulatory technical standard on own funds); in una precedente versione del Q&A pubblicato sul sito dell’EBA (al momento non più accessibile), vi era, tra le rejected questions, proprio una domanda sulla penalizzazione che avrebbero subito Gruppi organizzati attraverso Holding non operative. E’ ragionevole pensare che i Gruppi ancora organizzati attraverso Holding, se non operative, dovranno riorganizzare la composizione del Gruppo per non avere eccessive penalizzazioni nel calcolo del Patrimonio di Vigilanza Consolidato.
2. Conclusioni
La possibilità di includere soltanto la quota parte di interessi di terzi a copertura degli effettivi rischi della Banca ha un impatto sull’organizzazione del Gruppo. Infatti, diventerà meno conveniente un’organizzazione strutturata sulla base di una Holding non operativa, privilegiando invece la struttura con Capogruppo, che accentri anche le attività di emissione di strumenti sul mercato.
Vista la portata delle variazioni che sono intervenute nel calcolo del Patrimonio di Vigilanza, è presumibile ipotizzare che non tutti gli effetti delle nuove norme siano stati completamente dispiegati ad oggi, comportando la necessità di un costante monitoraggio delle singole poste del PDV e delle sue variazioni, interpretandone approfonditamente le cause, studiandone contromosse, possibilmente anticipandone gli effetti.
Concretizzando le aspettative di larga parte del mondo finanziario, e superando non poche difficoltà di tipo tecnico e politico, lo scorso 22 gennaio la BCE ha approvato l’avvio dell’Expanded Asset Purchase Programme (EAPP).
La risoluzione della BCE prevede acquisti mensili di titoli per 60 miliardi di euro da marzo 2015 a settembre 2016, in ogni caso estendibili fin quando l’obiettivo della stabilità dei prezzi (inflazione al di sotto ma vicino al 2%) non sarà raggiunto (BCE, 2015a). Il programma prevede l’acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario (cosiddetto Quantitative Easing, QE; si veda Barucci, Corsaro e Milani, 2014), di ABS e Covered Bonds (CB) – inglobando così il programma gli acquisti partito qualche mese fa, ma mai effettivamente decollato – e i titoli di agenzie e istituzioni europee con sede nell’eurozona, quali la Banca Europea degli Investimenti (BEI) e il cosiddetto fondo salva-Stati (EFSF/ESM). L’ammontare totale dell’EAPP, pari a 1.140 miliardi di euro, secondo le attese degli analisti dovrebbe concentrarsi per 700 miliardi su titoli di Stato, per 300 miliardi circa in ABS e CB e per i restanti 140 miliardi su titoli di BEI e EFSF/ESM (12% del totale).
Le caratteristiche del QE
Con specifico riguardo ai titoli di Stato, i bond acquistati non potranno superare il 33% del debito totale dell’emittente, né il 25% per singola emissione. In tal modo si cercherà di evitare che i prezzi dei titoli scambiati sui mercati perdano la loro valenza segnaletica. Gli acquisti saranno suddivisi tra gli Stati membri in proporzione al capitale della BCE detenuto. Nel piano non è però specificato se nel calcolo di questa quota siano inclusi o meno i paesi che non fanno parte dell’Area euro, come ad esempio il Regno Unito, la Svezia e la Danimarca, che complessivamente hanno sottoscritto circa il 30% del capitale della BCE. Posto che paesi non aderenti all’eurozona hanno versato solo una minima quota del capitale sottoscritto (il 3,75%), essenzialmente con la finalità di contribuire ai costi operativi della BCE connessi alla partecipazione al Sistema europeo di banche centrali (per maggiori dettagli si veda BCE, 2015b), è molto più probabile che nel calcolo delle quote si tenga esclusivamente conto dei soli paesi aderenti all’Area euro (De Grauwe e Ji, 2015). Inoltre, le Banche Centrali dei paesi non appartenenti all’eurozona non partecipano né alla distribuzione degli utili né alla copertura di eventuali perdite della BCE. Considerando quindi solo i paesi dell’Area euro, dalla tabella 1 si riscontra come in Germania gli acquisti di titoli di Stato sarebbero pari circa 190 a miliardi, 142 in Francia e 125 in Italia.
Tabella 1. Potenziale ripartizione del quantitative easing
Paese |
Capitale BCE detenuto (in %) |
Acquisti di titoli di Stato (in mld€) |
Germania |
27,1 |
189,7 |
Francia |
20,3 |
142,1 |
Italia |
17,9 |
125,3 |
Spagna |
11,9 |
83,3 |
Olanda |
5,7 |
39,9 |
Belgio |
3,5 |
24,5 |
Grecia |
2,8 |
19,6 |
Austria |
2,8 |
19,6 |
Portogallo |
2,5 |
17,5 |
Finlandia |
1,8 |
12,6 |
Irlanda |
1,6 |
11,2 |
Altri |
2,3 |
16,1 |
Totale |
100 |
700 |
Relativamente alle caratteristiche dei titoli acquistati, nel piano è specificato che la durata residua sarà compresa tra i 2 e i 30 anni. Il rating minimo delle obbligazioni statali sarà CQS3, dunque investment grade (rating compreso tra AAA e BBB-), ma saranno possibili eccezioni per i paesi sottoposti a programmi di assistenza finanziaria concordati con l’UE, come nel caso di Grecia (a meno che il nuovo governo non decida di dare seguito alle sue promesse e rinunciare al programma concordato con la Troika), Irlanda, Portogallo e Cipro.
Altro aspetto rilevante è quello riguardante la modalità attraverso cui verranno acquistati i titoli. Il programma verrà infatti prevalentemente implementato in modo decentralizzato, ma sotto il coordinamento della BCE. Più nello specifico, il 92% degli acquisti saranno effettuati direttamente dalle singole Banche Centrali nazionali, mentre solo l’8% sarà sottoscritto dalla BCE. Ciò implica che la condivisione delle potenziali perdite sui titoli governativi sarà limitata all’8%. La condivisione sulle obbligazioni di agenzie e istituzioni europee sarà invece totale, ovvero sul complesso del 12% degli acquisti. In definitiva, nell’estensione degli acquisti previsti dall’EAPP, rispetto ai precedenti piani già varati su ABS e CB, la condivisione dei rischi sarà pari solo al 20% (8% + 12%), mentre il restante 80% rimarrà a carico delle banche centrali nazionali (le quali non sono peraltro legalmente tenute ad acquisire solo debito pubblico del proprio paese, sebbene altri scenari siano del tutto teorici). Inoltre, a differenza del Security Market Programme (SMP), che ha previsto acquisti di titoli di Stato dei paesi periferici nel 2010 e 2011garantendo alla BCE lo status di creditore privilegiato, gli acquisti che verranno effettuati nell’ambito dell’EAPP saranno trattati alla stessa stregua degli altri investitori privati (cosiddetta clausola di pari passu). Ciò implica che in caso di ristrutturazione del debito, come avvenuta ad esempio in Grecia, anche le Banche Centrali subiranno la riduzione del valore nominale dei titoli posseduti, registrando quindi delle perdite in conto capitale.
I potenziali effetti del QE
Al fine di comprendere i possibili risultati del QE europeo può essere utile analizzare il caso statunitense. Gli acquisti della FED hanno ottenuto importanti risultati sui mercati monetari, con un significativo calo dei rendimenti e aumento dei prezzi di azioni e MBS, oltre ad aver fornito liquidità e migliorato il funzionamento dei mercati. Sebbene vi siano pareri discordi, gli esiti per l’economia reale paiono positivi: la produzione industriale e l’occupazione sono infatti rispettivamente aumentati dell’1% e dello 0,4% (Corsaro, 2014).
Tornando al caso europeo, l’impalcatura del QE può potenzialmente avere effetti benefici sul sistema bancario. Le banche italiane hanno utilizzato la maggior parte dei fondi ottenuti nell’ambito delle LTRO triennali del 2011 e del 2012 per acquistare titoli di Stato domestici: attualmente ne detengono oltre 400 miliardi. L’aumento dei prezzi delle obbligazioni, collegato alla riduzione dei rendimenti avvenuta dal 2011 a oggi, ha rafforzato la posizione degli istituti nazionali, che potranno adesso rivendere i titoli, con durata superiore a 2 anni, per capitalizzare il guadagno ottenuto. Gli istituti saranno inoltre favoriti dal calo del differenziale tra titoli pubblici, che, come già accaduto con le precedenti decisioni della BCE, potrebbe portare a un calo del tasso sulla raccolta (secondo dati ABI, il tasso si è dimezzato dall’inizio della crisi, attestandosi a dicembre all’1,49%).
Entrambi questi sviluppi possono rafforzare la posizione patrimoniale delle banche e aprire nuove possibilità di credito per famiglie e imprese.
Sin dall’annuncio del 22 gennaio, la necessità di ricercare investimenti più remunerativi sta spingendo gli operatori finanziari ad acquistare azioni e corporate bond, i cui rendimenti sono conseguentemente in diminuzione. Emblematico al proposito è il caso di Terna, il cui corporate bond settennale, emesso con l’obiettivo di raccogliere 500 milioni di euro, ha ricevuto domanda per 3,75 miliardi, con una raccolta finale di un miliardo di euro per quasi tre quarti proveniente da Austria, Francia, Germania e Regno Unito. Ancor più interessante è il dato sul rendimento offerto, lo 0,96%: mai un corporate bond emesso da un’impresa italiana aveva registrato un tasso d’interesse inferiore all’1%.
La possibilità di acquistare titoli con scadenze lunghe dovrebbe determinare, in particolare, un appiattimento della curva dei tassi. Come si rileva dal grafico 1 tale effetto è stato già scontato dai mercati, tant’è che a partire dalla fine del 2014 si osserva la riduzione del differenziale tra i rendimenti a 30 e a 2 anni dei titoli di Stato emessi dalle due economie periferiche più grandi, ovvero Italia e Spagna, ma anche di Germania e Francia. Con l’annuncio del QE l’appiattimento della curva si è comunque ulteriormente accentuato. Come già osservato negli USA, minori tassi d’interesse per le scadenze più lunghe possono avere effetti benefici sui finanziamenti a medio-lungo termine verso imprese e famiglie, favorendo così investimenti e acquisto di abitazioni.
Grafico 1. Differenziale dei rendimenti dei titoli di Stato a 30 e a 2 anni
Fonte: elaborazioni su dati Thomson-Reuters Datastream.
I vantaggi per le imprese includono anche la svalutazione dell’euro, il cui rapporto col dollaro è calato del 18% dall’inizio del 2015, in attesa del lancio del piano di acquisto titoli, e la possibilità che parte dei fondi liberatisi vengano utilizzati per fornire prestiti alle imprese di piccola e media dimensione (PMI), ponendo fine al credit crunch che secondo dati di CER-Confcommercio è stato pari, tra il 2011 e il 2014, a oltre 90 miliardi di euro.
Benefici ci saranno ovviamente anche per i conti pubblici. I paesi più indebitati, come l’Italia, godranno di un risparmio sulla spesa per interesse di diversi miliardi di euro, sia per la riduzione dei rendimenti sui mercati secondari, che avrà comunque riflessi anche sui mercati all’emissione, sia per il fatto che le cedole staccate sui titoli in possesso della Banche Centrali nazionali saranno poi retrocesse ai singoli Governi. Ciò darà più spazio di manovra affinché vengano adottate manovre fiscali più espansive.
I punti deboli dell’operazione
Nonostante la decisione della BCE vada nella giusta direzione, essa presenta diversi limiti. I vantaggi che le banche otterranno potrebbero non riverberarsi all’economia reale: gli istituti di credito non presentano infatti particolari restrizione sulla liquidità disponibile, dati i tassi di interesse già estremamente bassi e vista la scarsa partecipazione alle prime due finestre del TLTRO (Milani, 2014a). Il loro principale vincolo riguarda il capitale, in conseguenza dell’applicazione di Basilea 3 e del Comprehensive Assessment (Barucci e Milani, 2014), che l’ulteriore liquidità non contribuirà ad aumentare, e dall’alto livello delle sofferenze bancarie (Milani, 2014b).
La mutualizzazione del debito al 20%, sebbene un passo avanti simbolicamente molto importante, è stato il ‘prezzo da pagare’ al fine di limitare l’opposizione dei paesi core. Le opinioni degli economisti sono discordanti: Giavazzi e Tabellini (2015) preferiscono un passo indietro sulla condivisione del rischio, piuttosto che sulla dimensione ed estensione del programma. Gros e Kopf (2015) avvertono dei rischi della mancata mutualizzazione, tra cui la possibilità che gli stati dichiarino default in modo ‘strategico’, senza uscire dall’Area euro, scenario che con una piena condivisone non sarebbe attuabile. È innegabile che la decisione dell’istituto di Francoforte paventi il rischio di un nuovo aumento della frammentazione finanziaria. Inoltre, il potenziale segnale che si offre ai mercati non è del tutto rassicurante, posto che tra gli stessi paesi dell’Area euro c’è la reciproca sfiducia circa la sostenibilità del debito sovrano.
Altro aspetto da considerare è che la decisione di suddividere gli acquisti in base alle quote di capitale detenute farà abbassare i rendimenti dei titoli tedeschi, già estremamente bassi e negativi sino ai titoli a 5 anni, più di quelli degli altri paesi, in particolare più dei rendimenti dei paesi periferici dell’Eurozona, che avrebbero maggiormente bisogno di un miglioramento delle condizioni di credito, anche per diminuire il gap di competitività attualmente presente.
Bisogna, infine, evitare di considerare il QE come la panacea dei problemi europei. L’obiettivo è di agire su molteplici piani sul lato dell’offerta, nonché – indirettamente – su quello della domanda, ma senza un piano di riforme strutturali e soprattutto una diversa politica fiscale, che possa assieme al QE modificare le aspettative dei cittadini e aumentare la domanda aggregata, la mossa dell’istituto guidato da Mario Draghi non risolleverà le sorti dell’eurozona.
Bibliografia
Barucci E., S. Corsaro e C. Milani, 2014, Il punto sulle politiche monetarie non convenzionali, FinRiskAlert.it.
Barucci E. e C. Milani, 2014, La brutta pagella del comprehensive assessment, FinRiskAlert.it.
BCE, 2015a, ECB announces expanded asset purchase programme.
BCE, 2015b, Sottoscrizione del capitale.
Corsaro S, 2014. Un bilancio del Quantitative Easing della Fed. FinRiskAlert.it
De Grauwe P. e Y. Ji, 2015, Quantitative easing in the Eurozone: It’s possible without fiscal transfers, voxeu.org.
Giavazzi F. e G. Tabellini, 2015. Per un Quantitative easing efficace, lavoce.info.
Gros D. e C. Kopf. 2015, Quantitative easing in euro zone requires shared risk, ceps.eu
Milani C., 2014a, Tassi negativi: quando la liquidità diventa un problema, FinRiskAlert.it.
Milani C., 2014b, Aspettando la bad bank, FinRiskAlert.it.
Il Financial Stability Report ha pubblicato il primo report annuale, che copre il periodo tra gennaio 2013 e marzo 2014 e un quadro sulle riforme in atto sino a settembre 2014.
La banca centrale danese ha abbassato, per la terza volta in dieci giorni, i tassi di riferimento, al fine di mantenere il tasso di cambio fisso con l’euro.
Per ulteriori informazioni, leggere qui.
L’IOSCO ha pubblicato un report sulla mitigazione del rischio per i derivati OTC non compensati a livello centrale, presentando nove nuovi standard.
Sono stati rivisti gli standard per le richieste di informativa del Terzo Pilastro. Tali modifiche entreranno in vigore a fine 2016.
Il Comitato di Basilea ha pubblicato il secondo report sull’implementazione delle norme per la raccolta dati e il reporting sul rischio. Le G-SIBs dovranno implementare le nuove norme entro il 2016.
1. La crisi e l’imposizione del cambio fisso
Una delle classiche conseguenze delle crisi economiche è la fuga dagli investimenti ‘rischiosi’ in direzione dei safe havens, paradisi sicuri in cui depositare la propria liquidità in attesa della fine delle incertezze sui mercati finanziari e nell’economia reale. La crisi del 2007-09 non ha rappresentato un’eccezione: il ripiegamento degli investitori si è tradotto in massicci investimenti in oro, la cui valutazione è aumentata dai 484 dollari/oncia di giugno 2007 a circa 1300 a settembre 2011[1], e in valute rifugio, quali il dollaro statunitense e il franco svizzero (di seguito, semplicemente franco). Gli acquisti di valuta elvetica, in particolare, hanno portato a un deciso apprezzamento del franco, il cui cambio con l’euro è diminuito da 1,65 CHF/EUR (gennaio 2008) a 1,48 (gennaio 2010), sino alla quasi parità ad agosto 2011 (grafico 1).
I chiari rischi di deflazione e di recessione, questi ultimi ancora più significativi se si considera che l’economia svizzera aveva superato quasi senza problemi la crisi e che il PIL, sebbene rallentato, aveva avuto crescita negativa solo nel 2009, hanno dunque spinto la banca nazionale svizzera (BNS) a fissare nel mese di settembre 2011 il tasso di cambio a 1,20 CHF/EUR, con possibilità di azioni per svalutare ulteriormente la moneta nazionale. Tale obiettivo veniva perseguito secondo la consolidata tecnica di stampa di moneta e vendita di attività in franchi e acquisto potenzialmente illimitato di attività in valuta straniera (BNS, 2011a; BNS, 2011b; BNS, 2014a; Monacelli, 2015).
La strategia della BNS ha garantito che il tasso di cambio non superasse al ribasso la soglia prevista, fluttuando nel periodo settembre 2011 – novembre 2014 tra 1,20 e 1,25 CHF/EUR (grafico 1). A dicembre, alle operazioni di mercato aperto è stata aggiunta l’imposizione di un tasso di interesse negativo sui depositi pari allo 0,25%, in vigore dal 22 gennaio di quest’anno; l’obiettivo è il mantenimento del LIBOR in una fascia compresa tra -0,75% e 0,25%. È prevista una soglia di esonero per l’applicazione del tasso negativo pari a 10 milioni di franchi, inoltre la soglia per le banche obbligate a detenere riserve presso la BNS è di 20 volte i requisiti minimi (Monacelli, 2015; BNS, 2014b).
Grafico 1
Fonte: Banca d’Italia
2. L’interruzione del cambio fisso: motivazioni e conseguenze
Il 15 gennaio la BNS ha deciso di sospendere la fissazione del tasso di cambio minimo; al fine di limitare l’apprezzamento del franco e il peggioramento delle condizioni di credito, i tassi di interesse sui depositi sono stati abbassati di mezzo punto, così come gli obiettivi del LIBOR (BNS, 2015).
Tre sono le motivazioni principali che possono spiegare la decisione della banca centrale. Innanzitutto, come evidenziato dai vertici della stessa istituzione, il brusco calo del tasso di cambio euro-dollaro ha reso il franco troppo debole nei confronti della valuta statunitense. Ben più importanti, però, sono i restanti due motivi.
Nel corso del 2014 ulteriori incertezze economiche e geopolitiche, tra cui la caduta del prezzo del petrolio e la fuga di capitali dal rublo per la crisi russa, hanno contribuito a rafforzare il ruolo del franco come bene rifugio. La politica della BNS, come detto, prevedeva operazioni di acquisto di attività in valuta diversa dal franco: ciò ha enormemente ampliato il suo bilancio, sino agli attuali 525 miliardi di franchi (vedi grafico 2). A seguito di ciò sono emerse difficoltà sul controllo del bilancio stesso, nonché valutazioni politiche circa il ruolo della BNS; inoltre le buone condizioni dell’economia (con tassi di crescita attorno al 2%) non giustificavano misure eccezionali a difesa del cambio (verso possibili apprezzamenti).
La mossa dell’istituto elvetico ha rappresentato un ulteriore indizio circa l’imminenza dell’approvazione del QE da parte della BCE. Le nuove misura di politica monetaria non convenzionale dell’istituto di Francoforte avrebbero infatti portato incontrollabili movimenti di mercato con un’ingente immissione di euro in circolazione, flussi di capitale in uscita dall’euro, ulteriore svalutazione dell’euro e delle attività detenute dalla BNS (BNS, 2014c; BNS, 2015, Monacelli, 2015).
Grafico 2
Fonte: Banca Nazionale Svizzera, Monthly Bullettin.
Gli esiti dell’abbandono del cambio fisso non sono del tutto chiari. Il rafforzamento della moneta colpirà duramente l’economia nazionale: si stima un calo di 5 miliardi dell’export e una diminuzione dello 0,7% del PIL. La nuova, inattesa, ventata di instabilità proveniente dal paese elvetico ha ulteriormente spinto gli investitori verso impieghi sicuri, come l’oro, le cui valutazioni sono aumentate a seguito della scelta della BNS (si veda la nota 1), e la corona danese. L’autorità danese, pur trovandosi di fronte a rischi simili a quella svizzera, non ha abbandonato il tasso fisso, bensì ha abbassato tutti i tassi di interesse di riferimento di 15 punti base, riportando il tasso sui depositi a -0.2% (sul tema si veda Corsaro, 2014).
Ulteriori mosse da parte della BNS non sono facilmente prevedibili, molto dipenderà dall’andamento dell’economia nazionale e dai volumi di acquisti e modalità operative del QE europeo. Date le modeste dimensioni dell’economia svizzera, non vi saranno invece reazioni rilevanti per l’euro e l’eurozona.
Bibliografia
Banca Nazionale Svizzera (BNS ). Short statement by Philipp Hildebrand on 6 September 2011 with regard to the introduction of a minimum Swiss franc exchange rate against the euro. Discorso. 2011b.
http://www.snb.ch/en/mmr/speeches/id/ref_20110906_pmh/source/ref_20110906_pmh.en.pdf
Banca Nazionale Svizzera (BNS). SNB balance sheet items end of November 2014. 2014c.
http://www.snb.ch/ext/stats/balsnb/pdf/deen/Bilanz_der_SNB.book.pdf
Banca Nazionale Svizzera (BNS). Swiss National Bank discontinues minimum exchange rate and lowers interest rate to –0.75%. Comunicato stampa. 2015.
http://www.snb.ch/en/mmr/reference/pre_20150115/source/pre_20150115.en.pdf
Banca Nazionale Svizzera (BNS). Swiss National Bank introduces negative interest rates. Comunicato. 2014b.http://www.snb.ch/en/mmr/reference/pre_20141218/source/pre_20141218.en.pdf
Banca Nazionale Svizzera (BNS). Swiss National Bank sets minimum exchange rate at CHF 1.20 per euro. Comunicazione. 2011a.
http://www.snb.ch/en/mmr/reference/pre_20110906/source/pre_20110906.en.pdf
Banca Nazionale Svizzera (BNS). Monthly statistical bulletin. Dicembre. 2014a.
http://www.snb.ch/ext/stats/statmon/pdf/deen/Stat_Monatsheft.pdf
http://www.snb.ch/ext/stats/statmon/pdf/deen/Stat_Monatsheft.pdf
Corsaro Stefano. I tassi negativi funzionano davvero? L’esempio danese. FinRiskAlert.it. 2014.
Monacelli, Tommaso. Perchè la Svizzera si sgancia dal tasso fisso con l’euro. lavoce.info. 16 gennaio 2015
http://www.lavoce.info/archives/32388/perche-svizzera-si-sgancia-dal-cambio-fisso-leuro/
[1] Per i dati dal 2004 ad oggi, fare riferimento al seguente link: https://oro.bullionvault.it/Prezzo-Oro.do
In our previous column on this site (Barucci, Baviera and Milani, 2015), we reported some evidence on the determinants of capital shortfalls (SF) of the Comprehensive Assessment (CA) performed by the European Central Bank (ECB) and the European Banking Authority (EBA).
In this second column, we focus on four main results.
Core versus non-core euro area countries
The first one, already mentioned in Barucci, Baviera and Milani (2015), refers to the possibility that the ECB and the EBA adopted different approaches with respect to banks depending on their origin country. To address this point, we classify banks/holdings among core countries if they are incorporated in Austria, Belgium, Germany, Finland, France, Luxembourgand the Netherlands (otherwise they are considered among peripheral countries). A different message arises from the AQR and the ST.
With respect to non-performing exposures, in the AQR the effect is positive and significant for peripheral countries, while it is negative and significant for core countries. This outcome can be interpreted in two different ways: either the ECB during CA was benevolent (tough) towards banks incorporated in core (non-core) countries or previously National Competent Authorities of core (non-core) countries adopted a more severe (lighter) control towards domestic banks: in any case we observe a change of pace. Confirming this evaluation, the effect of the coverage ratio in core countries is negative and significant, while in peripheral countries it is not significant. Overall these results suggest that the ECB considered the balance sheets of banks operating in core markets to be cleaner than those of other countries. Finally, the systemic risk associated with a large bank implies a milder impact for banks operating in core countries than for those located in peripheral ones.
Considering the Stress Test (ST) SF, the only difference between the coefficients for core and non-core countries that is significant is the one referring to the systemic risk associated with a bank. This result seems to show that systemic banks operating in core countries are riskier, taking also into account their larger size with respect to the peripheral countries (in average they have a total asset more than two times larger). We may interpret this outcome as an evidence that the ST adverse scenario has not penalized peripheral countries, while the reverse holds true for the AQR.
Role of state aids
The second topic refers to the role of state aids. During the financial crisis, in front of the financial distress of a bank, the states reacted in a very different ways. The European Commission supervises and approves state interventions, but it is difficult to say that the approach was homogeneous as they were mainly approved before strict rules were introduced in 2013. As a matter of fact, state interventions crucially depended on the public finance status of a country (the impact of state aids is estimated to be €250 bln in Germany, €60 bln in Spain, €50 bln in Ireland and the Netherlands, €40 bln in Greece). The debate on the press concentrated on the fact that the CA results may differ because of the amount of state aids in different countries. In particular in some countries (like Italy), it was argued that the financial system did not pass the exam brilliantly because it received a small state support during the crisis. Using different measures of state aids, Barucci, Baviera and Milani (2014) find that state support does not affect the AQR SF. Only direct capital injections have a negative effect on the shortfall. The latter result agrees with the fact that state capital injection increased the CET1 ratio yielding a smaller SF. Instead, the SF of the ST is positively affected by state intervention. This evidence seems to confirm that state aids induced a moral hazard effect with a riskier balance sheet (Dam and Koetter, 2012, Gropp et al., 2010, Mariathasan et al., 2014). However, it is difficult to interpret these results, as they can be the outcome of the deliberate endogenous decision of the bank (moral hazard), or of the state aids pack that often include prescription to the bank to lend money to the private sector.
Regulatory environment
Another point involves the regulatory environment, which may have played a role on the outcome of the AQR and ST exercises. On this issue one can consider four World Bank indicators of the regulatory environment: i) the fraction of banking system’s assets that are under foreign control; ii) an indicator of capital requirement stringency; iii) an indicator of financial conglomerates restrictions; iv) an indicator of the independence of the supervisory authority. The results show that an independent supervisory authority is associated with a smaller AQR SF, instead a stringent capital regulation and restrictions on financial conglomerates lead to a higher SF. The former outcome is expected, instead it is difficult to interpret the latter results, probably at least in part they are related to the fact that with a stringent regulation national discretions did not apply. Results on the ST exercises show that strict rules on capital regulations and restrictions on the activity of financial conglomerates (including shareholding participation in non-financial companies) are associated with a lower SF.
National discretion
One of the main topic in the discussion of the AQR and ST results concerns the role of country specific discretionary measures in the transition to Basel III (Visco, 2014). They are measured, from the capital point of view, considering the difference between the fully loaded CET1 ratio, i.e., the ratio obtained on the basis of the fully applied rules of Basel III, and the CET1 ratio in the transitional period, i.e. based on the national exceptions allowed by CRR/CRD (Capital Requirement Regulation/Directive), as result of the adverse scenario in 2016. Again we observe a different story in the AQR and in the ST.
The analysis shows that national discretion helped to pass the AQR. However, the results show that the ECB has considered banks taking advantage both of national discretions and of an IRB model as more risky, because of the tendency to use the IRB approach in order to reduce the capital absorption in line with the existing literature (see e.g. Beltratti and Paladino, 2013, Mariathasan and Merrouche, 2014, Benh et al., 2014). Moreover, national discretions have a different effect in the AQR depending on the country. The overall negative effect of the national discretion in the AQR is mainly associated with core countries: while in peripheral countries the effect is not significant, the effect is negative and significant for core countries. The average value of the national discretion measures considered, in the two group of countries, is quite similar (33 bps in terms of CET1 ratio for core countries, 36 for the others), and therefore the different effect should not be attributed to the attitude of national supervisors. This result seems to show that the ECB has allowed only the core countries to mitigate the effect of the AQR shortfall thanks to national discretions.
Taking into account the ST SF, different results show up: banks located in countries with a higher freedom to set rules that allow for a smaller capital absorption are also more risky. This outcome is mainly driven by peripheral countries, in opposition to what is observed in the AQR. As a consequence, the national discretions have implied a higher SF in the ST only for banks in countries in bad macroeconomic shape, while banks operating in core countries have not been affected by the possibility to use national discretions.
Conclusions
These results, combined with those of Barucci, Baviera and Milani (2015), shed a grey light on the CA exercise because of some pitfalls in the methodology. The puzzling point is that the AQR and the ST provide so different results.
But is it really strange? How is this fact related to CA ability in capturing banks’ risk?
An answer to these key questions will be provided in a forthcoming column in FinRiskAlert.
References
– Barucci, Emilio, Baviera, Roberto and Milani, Carlo (2014) Is the Comprehensive Assessment really comprehensive?, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2541043
– Barucci, Emilio, Baviera, Roberto and Milani, Carlo (2015) What are the lessons of the Comprehensive Assessment? A first evidence, FinRiskAlert.it
– Behn, Markus, Haselmann, Rainer and Vig, Vikrant (2014) The limits of model-based regulation, mimeo.
– Beltratti, Andrea and Paladino, Giovanna (2013) Why do banks optimize risk weights? The relevance of the cost of equity capital, mimeo.
– Dam, Lammertjan and Koetter, Michael (2012) Bank bailouts and moral hazard: evidence from Germamy, Review of Financial Studies, 25: 2343-2380.
– Gropp, Reint, Hakenes, Hendrik and Schnabel Isabel (2011) Competition, risk-shifting, and public bail-out policies, Review of Financial Studies, 24: 2084-2120
– Mariathasan, Mike and Merrouche Ourada (2014) The manipulation of Basel risk-weights, Journal of Financial Intermediation, 23: 300-321.
– Mariathasan, Mike, Merrouche, Ouarda and Werger Charlotte (2014) Bailouts and moral hazard: how implicit government Guarantees affect financial stability, mimeo.
– Visco, Ignazio (2014) L’attuazione dell’Unione bancaria europea e il credito all’economia, Audizione del Governatore della Banca d’Italia, Camera dei Deputati, dicembre 2014.