L’EIOPA ha aperto una consultazione sul potere di proibire i prodotti di investimento basati su assicurazioni. Le messe al bando devono essere temporanee e motivate da obiettivi di protezione dell’investitore, funzionamento e integrità dei mercati finanziari e stabilità del sistema finanziario.
La consultazione si chiuderà il 27 febbraio.
L’ESMA ha aperto una consultazione sulla segregazione dei titoli nell’ambito dell’ Alternative Investment Fund Managers Directive (AIFMD). La consultazione evidenzia tra le altre cose che i conti, in cui i titoli dei fondi di investimento alternativi vengono depositati, possono comprendere solo asset dei fondi stessi, non di altre entità.
La consultazione si chiuderà il 30 gennaio.
L’EBA ha pubblicato un parere indirizzato alla Commissione ai fini dell’interpretazione della locuzione “ente creditizio” nel regolamento sui requisiti patrimoniali.
La PRA (prudential regulation authority) ha pubblicato un docuemnto di consultaizone avente ad oggetto l’aggiornamento del suo regime di liquidità.
L’ESMA ha pubblicato un parere finale sulla richiesta provvisoria della Commissione europea avente ad oggetto la richiesta di una consulenza tecnica sul contenuto dei due atti delegati richiesti dalla UCITS V.
ESMA collaborerà strettamente con la Commissione europea in vista della trasformazione della consulenza tecnica in atti formali delegati.
Comunicato stampa
L’EBA ha lanciato una consultazione pubblica sui progetti di norme tecniche di regolamentazione che specifichino i criteri di impostazione del requisito minimo per i fondi propri e le passività ammissibili previsti dalla Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD).
La consultazione si chiuderà il 27 febbraio 2015.
Il Parlamento Europeo ed il Consiglio hanno raggiunto un accordo sugli European Long-Term Investment Funds (ELTIFs). Questi fondi intendono incentivare il finanziamento di progetti in materia di infrastrutture e proprietà intellettuale. L’accordo deve ancora essere approvato dalla Commissione e dagli Stati membri.

Nei primi tre anni di vita EIOPA ha fatto concreti passi in avanti per diventare una solida e credibile autorità di vigilanza, volta alla protezione degli assicurati e la sfida principale che sta affrontando riguarda l’implementazione del nuovo regime di regolamentazione Solvency II. Una volta definite univocamente le regole, sarà necessario verificare che esse siano applicate in modo consistente negli stati membri dell’Unione Europea e a tal proposito EIOPA intende promuovere qualità e consistenza delle supervisioni nazionali e transnazionali. Un primo passo verso il raggiungimento di questi obiettivi è stata la pubblicazione dei Technical Standards e delle Linee Guida: i primi definiscono modelli e procedure per aree specifiche sotto Solvency II, le seconde stabiliscono metodi di supervisione efficienti volti ad assicurare una uniforme e consistente applicazione del regime.
Nel corso del mese precedente EIOPA ha sottoposto alla Commissione Europea il primo insieme dei Technical Standards e ha completato la consultazione pubblica del primo insieme di Linee Guida, il mese prossimo darà il via alla pubblica consultazione sul secondo insieme di Techical Standards e Linee Guida. Lo scorso 21 Novembre è terminata la pubblica consultazione sulle regole di determinazione della struttura a termine del tasso privo di rischio da utilizzare per il computo delle passività; come stabilito dalla direttiva 2009/138/EC, articolo 77e, EIOPA ha il compito di definirla e pubblicarla. Essa sarà resa disponibile da Febbraio 2015: EIOPA intende lasciare alle compagnie il tempo necessario per effettuare le dovute valutazioni onde evitare che il tempo stabilito tra la pubblicazione del tasso e l’obbligo di calcolare il bilancio possa determinare forti ondate di movimentazione sugli attivi.
Il punto di partenza di Solvency II è la valutazione economica dell’intero bilancio con attività e passività a valore di mercato, queste ultime calcolate sulla base di una struttura a termine di tassi privi di rischio. Generalmente il tasso privo di rischio è derivato dai tassi swap, ma qualora non ci siano mercati di scambio o l’informazione non sia sufficientemente trasparente, esso viene calcolato a partire dai bond governativi del paese di appartenenza. I tassi privi di rischio sono:
- definiti per ampi orizzonti temporali (essendo le riserve di contratti assicurativi e ri-assicurativi a lunga durata)
- calcolati nelle valute di maggior importanza per il mercato assicurativo dell’Unione Europea
- modificati per essere depurati dal rischio di default della controparte implicitamente incluso nei contratti swap e nei bond governativi (Credit Risk Adjustment)
- basati sui dati resi disponibili dai mercati finanziari; data la necessità di definire strutture a termine con ampi orizzonti temporali ma la disponibilità di contratti swap con durate inferiori, i tassi sono estrapolati dall’ultimo punto disponibile (Last Liquid Point) nel futuro in modo da convergere ad un tasso macroeconomico di equilibrio di lungo termine (Ultimate Forward Rate).Per evitare possibili “disallineamenti” con il calcolo degli attivi in contesti di spread di rendimento di titoli obbligazionari corporate e governativi anomali, il tasso di sconto privo di rischio utilizzato nella valutazione delle riserve tecniche è corretto secondo alcuni algoritmi:
- il volatility adjustments introduce una correzione allo scopo di ridurre l’impatto della volatilità di breve termine
- il matching adjustment introduce una correzione nei casi in cui le riserve siano prevedibili e coperte da attivi con flussi di cassa certi e detenuti fino a scadenza.
Ad EIOPA è affidato il compito di:
- valutare l’entità del volatility adjustment (per diverse nazione e valute)
- quantificare la porzione di spread degli attivi a copertura che riflette alcuni rischi in cui la compagnia non può incorrere detenendo gli attivi fino a scadenza.
La normativa vigente fissa molte caratteristiche dei tassi privi di rischio, tuttavia ne rimangono ancora alcune da definire; e regole già fissate hanno lo scopo di garantire il raggiungimento dei seguenti obiettivi:
- replicabilità: il calcolo del tasso risk free definito da EIOPA deve essere replicabile dalle compagnie e da qualsiasi parte interessata, senza discrezionalità (riduzione dell’expert judgement);
- consistenza con il mercato: quando possibile, i tassi privi di rischio devono essere calcolati a partire da dati di mercati finanziari trasparenti, liquidi e caratterizzati da un volume di scambi elevato;
- reportistica: i tassi privi di rischio saranno pubblicati mensilmente, tale frequenza permetterà alle compagnie di avere una base comune per valutare le informazioni finanziarie richieste dai supervisori con cadenza trimestrale o annuale;
- stabilità: EIOPA intende mantenere quanto più stabile la definizione della struttura dei tassi privi di rischio, pur sapendo che nel tempo potrebbe essere necessario introdurre modifiche o revisioni di modello (soprattutto in corrispondenza delle revisioni dei requisiti di capitale previste da Solvency II).
Anche lato attivi l’implementazione di Solvency II si confronta con uno contesto economico sfidante: lo scenario di bassi tassi di interesse continua ad essere in testa ai rischi cui è esposto il settore assicurativo e ne è un chiaro segnale la prospettiva di mantenimento/rinforzamento di una politica monetaria accomodante, come confermato dalle parole di Mario Draghi dello scorso 27 Novembre (“assicureremo il giusto grado di politica monetaria accomodante e contribuiremo a un graduale ritorno dell’inflazione vicino al 2%”). Le Compagnie di assicurazione stanno iniziando a fare propria questa nuova realtà di bassi tassi di interesse rivisitando i prodotti a catalogo e diversificando le scelte di investimento; la diversificazione di portafoglio gioverebbe fra l’altro all’eccessiva esposizione verso titoli governativi e bancari, diminuendo il rischio di concentrazione. Fino ad ora non ci sono stati cambiamenti significativi a livello di portafoglio complessivo e le scelte di investimento continuano a mostrare per lo più il medesimo orientamento, tuttavia si possono notare alcuni trend, come ad esempio l’aumento di investimenti nelle infrastrutture, l’aumento delle attività creditizie dirette, la diversa asset allocation fra bond governativi e corporate e l’aumento di esposizione sia verso bond di rating più basso, sia verso titoli emerging markets e private equity. Essendo uno dei principali investitori istituzionali, le Compagnie di assicurazione possono senza dubbio giocare un ruolo fondamentale nella promozione di una crescita economica sostenibile dell’Unione Europea perché possono investire in diverse tipologie di titoli, utilizzando quelli meno liquidi e a più lunga durata per essere in linea con le passività. Investimenti nelle infrastrutture e nel private equity sono da considerarsi attraenti anche in ottica Solvency II: l’assorbimento di capitale “stand alone” può apparire troppo alto, ma è necessario tenere considerazione gli effetti di diversificazione (una misura di capitale stand alone non è significativa) e comparare il rendimento all’assorbimento di capitale marginale.

Le banche italiane sono state oggettivamente quelle più colpite dagli stress test. Molte sono state “rimandate a settembre”, ovvero hanno superato gli esami solo dopo le iniezioni di capitale intervenute fino a settembre 2014, mentre MPS e Carige non sono riuscite a evitare la bocciatura. Questo risultato non brillante dipende molto dalla misura di capitale adottata nei test, ovvero il Common Equity Tier1.
Come già evidenziato in un precedente intervento su questo sito (Barucci e Milani, 2014), i risultati della valutazione approfondita sui bilanci bancari (cosiddetto Comprehensive Assessment, CA), non sono stati particolarmente positivi per le banche italiane. Sono ben 9 i gruppi bancari che, secondo i dati del 2013, hanno fallito i test. Considerando i successivi aumenti di capitale, rimangono solo due banche in uno stato di difficoltà più seria, ossia Monte dei Paschi di Siena e Carige, con un’esigenza di ulteriori iniezioni di capitali che sfiora i 3 miliardi di euro, pari a circa un terzo del totale degli ammanchi di capitale rilevati dal CA per l’intera area euro.
A contribuire in modo determinante alla brutta pagella delle banche italiane è stato soprattutto il basso livello del CET1 ratio, ovvero del capitale di migliore qualità, formato essenzialmente dalle azioni e dagli utili non distribuiti, espresso in rapporto al totale attivo ponderato per il rischio (RWA). Va ricordato che questo indice di patrimonializzazione è quello preso a riferimento dall’intero impianto del CA, che a sua volta si richiama ai vincoli imposti da Basilea 3. Nello specifico, una banca ha superato l’AQR solo se alla fine degli aggiustamenti sulle poste di bilancio relative al 2013 disponeva dell’8 per cento di CET1 ratio; la stessa soglia, ma riferita al 2016, è stata necessaria per superare lo scenario di base, mentre per lo scenario avverso la soglia è stata pari al 5,5 per cento.
Grafico 1. CET1 ratio post AQR e inclusi le variazioni sul capitale intervenute fino a set.2014
Nel contesto europeo si può osservare come il sistema bancario italiano sia tra quelli meno patrimonializzati sulla base del CET1 ratio (un’analisi più dettagliata sull’argomento sarà presentata nel prossimo Rapporto Banche CER). Pur considerando le iniezioni di capitale osservate durante il 2014, le banche italiane si posizionano al terz’ultimo posto, con un livello medio del 10,9 per cento. Fanno peggio del nostro paese solo Cipro e Malta. Non molto distante risulta essere il livello del CET1 ratio della Spagna (11,1 per cento), mentre il divario rispetto a Germania (14 per cento) e Francia (17,9 per cento) è particolarmente elevato, così come alto è il gap con la media dei paesi dell’area euro (15 per cento circa). Il non brillante risultato dell’Italia in termini di CET1 ratio peggiora ulteriormente se si considera tale grandezza al lordo degli aumenti di capitale intervenuti durante la prima parte del 2014 e al netto dell’effetto di aggiustamento richiesto dall’AQR. In questo caso l’industria bancaria nazionale si posiziona all’ultimo posto, con un divario rispetto a Spagna, Germania e Francia in ulteriore ampliamento (grafico 1).
Va posto in evidenza, però, che il livello del CET1 ratio è influenzato da due importanti fattori. Un primo fattore è costituito dalle cosiddette national discretion, ovvero dalle eccezioni ammesse dalle autorità di vigilanza nazionali nel calcolo del capitale e dell’RWA nella fase di transizione verso la piena implementazione di Basilea 3, prevista per il 2019. La BCE valuta in diversi punti di RWA il peso di queste eccezioni, che hanno permesso in particolare a paesi come Grecia, Irlanda e Portogallo di presentare livelli di CET1 ratio ben più elevati rispetto a quelli che sarebbero potuti emergere da un’applicazione più rapida delle regole di Basilea 3 (grafico 2). Importante è in ogni caso il peso di queste eccezioni anche in Germania, Spagna e Italia. Per le banche italiane, in particolare, le national discretion ammesse dalla Banca d’Italia hanno permesso di evidenziare un livello più elevato di CET1 per oltre 15 miliardi di euro (circa un punto di Pil).
Grafico 2. Total transitional adjustments by country of participating banks as of 1 January 2014
Fonte: BCE (2014).
Un altro fattore che influenza il risultato sul CET1 ratio è strettamente legato all’RWA, ovvero il denominatore del ratio in questione. Se si considera un indicatore di patrimonializzazione non influenzato dalle ponderazioni per il rischio applicate agli asset bancari, ovvero il levarage ratio (LR), pari al rapporto tra il common equity e il totale attivo (quest’ultimo aumentato delle poste fuori bilancio), il quadro italiano migliora nettamente. Il LR italiano, al lordo degli aumenti di capitale e al netto degli aggiustamenti richiesti dall’AQR, è infatti pari al 5,4 per cento, non molto distante dalla media europea (5,7 per cento). Sulla base di questo indice l’Italia fa meglio di Francia (5,3 per cento), Spagna (5,1 per cento) e Germania (4,6 per cento – grafico 3).
Grafico 3. Leverage ratio post AQR, incluse le variazioni sul capitale intervenute fino a set.2014
Fonte: elaborazioni CER su dati BCE.
In definitiva, il risultato non brillante dell’industria bancaria italiana, soprattutto se messa a confronto con quella tedesca, francese e spagnola, deve essere in un buona parte attribuito alla centralità dei coefficienti di patrimonializzazione basati sull’attivo ponderato per il rischio. Se il CA avesse preso a riferimento l’indice basato sul totale attivo, che non risente dell’autovalutazione dei rischi ottenuta tramite l’utilizzo dei modelli di rating interni (IRB) e del modello di business (credito verso finanza), il quadro sarebbe stato probabilmente diverso. Ad influenzare le scelte di BCE ed EBA sono state però proprio le regole sulla vigilanza bancaria imposte da Basilea 3 che, continuando nel solco di Basilea 1 e 2, affidano alla ponderazione per il rischio un ruolo centrale.
Bibliografia
– Barucci E. e C. Milani, 2014, La brutta pagella del comprehensive assessment, FinRiskAlert.it
– BCE (2014), Aggregate Report on the Comprehensive Assessment.