Possono Bitcoin, Tether, Decentralized Finance portare ad una crisi finanziaria?
a cura di Emilio Barucci

Mar 04 2022
Possono Bitcoin, Tether, Decentralized Finance portare ad una crisi finanziaria? a cura di Emilio Barucci

La possibilità che le criptovalute rappresentino una fonte di instabilità finanziaria è stata segnalata da più parti, tra loro il Presidente della Consob Savona e il vice governatore della Banca d’Inghilterra Cunliffe. La tesi è che le criptovalute potrebbero portare ad una crisi in quanto, come nel caso delle cartolarizzazioni dei mutui subprime, il loro prezzo non avrebbe solide fondamenta. Un eventuale crollo porterebbe un effetto a catena con effetti imprevedibili per tutto il sistema finanziario esattamente come è successo nel caso dei mutui subprime.

Il Financial Stability Board ha emesso un recente rapporto che analizza la questione analizzando tre aree del mondo criptovalute: un-backed crytpoassets, stablecoins, Decentralized Finance. I rischi per il momento sono limitati ma qualche segno di preoccupazione può essere individuato.

Partiamo dal mondo delle un-backed cryptoassets (Bitcon, Erther). I punti su cui riflettere sono cinque.

  1. La dimensione del mercato: a novembre del 2021 (dopo c’è stato un declino) la capitalizzazione delle criptovalute era pari a 2.6 trilioni (3.5 volte il livello ad inizio 2021), l’1% degli asset finanziari a livello globale. Anche il mercato dei derivati, seppur di dimensioni ridotte, è raddoppiato nel 2021. La materia prima per innescare una crisi è dunque ancora limitata ma non è irrilevante e sta crescendo.  
  2. Il secondo aspetto riguarda le oscillazioni del mercato. La volatilità del prezzo di Bitcoin è del 60% (per l’indice Standard&Poor è pari al 16%). Inoltre, negli ultimi due anni c’è stato quello che si chiama un break strutturale. Fino a tutto il 2019, Bitcoin correlava positivamente con il prezzo dell’oro e negativamente con l’andamento della borsa. Bitcoin era un asset rifugio, una cosa positiva per il mercato in quanto permetteva agli investitori di ridurre le fluttuazioni del loro portafoglio. Da allora le cose sono cambiate. La ragione è che è cambiato l’approccio all’investimento in Bitcoin. L’investimento potremmo dire è diventato sempre più finanziario e paragonabile a quello azionario: dalla scommessa per piccoli investitori, spesso miners o innamorati del Bitcoin, si è passati all’investitore che investe in criptovalute parte della sua ricchezza in una logica finanziaria anche grazie alla possibilità di scambiare ETF o fondi che investono in criptovalute. Si stima che il 6% degli inglesi e il 16% degli americani investano in criptovalute. 
  3. Il livello di interconnessione con il sistema finanziario è limitato. I Bitcoin sono perlopiù detenuti da investitori individuali (8.5 milioni di Bitcoin) con una forte concentrazione  (i primi mille investitori detengono 3 milioni di Bitcoin), solo un terzo del totale (5.5 milioni) è detenuto da intermediari (principalmente non bancari come gli exchanges). I mutui subprime sono stati all’origine della crisi in quanto erano perlopiù detenuti da intermediari finanziari che – a seguito della diminuzione dei prezzi delle cartolarizzazioni – hanno conosciuto problemi di liquidità e di solvibilità. Se la quota di criptovalute detenute da intermediari/fondi di investimento dovesse crescere potremmo davvero trovarci di fronte ad una crisi causata da Bitcoin alla prima diminuzione significativa del suo prezzo. Il rischio al momento è limitato.
  4. Un punto di attenzione riguarda i piccoli investitori, che potrebbe essere letale a fronte delle forti fluttuazioni, è rappresentato dalla modesta conoscenza del mondo criptovalute: il 60% degli investitori potenziali negli Stati Uniti ha una conoscenza di criptovalute molto limitata, il 40% degli investitori in criptovalute nel Regno Unito le considera una scommessa. Le ricadute in termini di ricchezza per i singoli individui potrebbero essere significative e potrebbero portare ad una area grigia di contenziosi.
  5. Sul fronte del sistema dei pagamenti la rilevanza delle criptovalute è limitata anche se potrebbero assumere un ruolo significativo in alcuni paesi in via di sviluppo caratterizzati da valute non stabili: Bitcoin potrebbe essere – più sulla carta che nella realtà – un’alternativa alla dollarizzazione.

Quello che mette al riparo il sistema finanziario dalle oscillazioni delle criptovalute è dunque il limitato grado di interconnessione con il sistema finanziario e il fatto che gli investitori perlopiù investono direttamente. Detto in altri termini, -17% di Bitcoin negli ultimi sei mesi non crea problemi se a farne le spese sono i risparmiatori direttamente, discorso completamente diverso sarebbe se a farne le spese fossero le banche.

Curiosamente, proprio il fatto che la blockchain permetta di disintermediare il sistema finanziario rappresenta un elemento stabilizzatore. Tutto ciò che amplia la platea degli investitori con particolare riferimento agli intermediari finanziari, tra cui in particolare gli hedge funds, rappresenta un elemento di attenzione. La tutela dell’investitore rappresenta invece già ora un punto di attenzione anche alla luce delle frodi che sono molto frequenti nel mondo delle criptovalute.

Sul fronte delle stablecoins (criptovalute che prevedono meccanismi di conversione con valute o assets) i principali elementi di preoccupazione derivano dai seguenti aspetti:

  1. Elevata concentrazione: il 73% della capitalizzazione fa riferimento a Tether e USD Coin. Questo aspetto – unito alla centralità di questi asset nel funzionamento del mondo delle criptovalute – rappresenta un punto di attenzione. Le stablecoins rappresentano infatti un bridge tra le monete tradizionali e critpovalute, un malfunzionamento di Tether potrebbe avere pesanti ripercussioni su tutto il mondo delle criptovalute.
  2. La dimensione del mercato è ancora limitata (157 miliardi a dicembre 2021) ma è in forte crescita (5.6 miliardi a dicembre 2020). In alcuni mercati le stablecoins svolgono una rilevanza particolare: negli Stati Uniti, la loro capitalizzazione rappresenta il 20% dei money market funds.
  3. Il rischio principale è rappresentato dalla non trasparenza/assenza di regolazione dei veicoli che dovrebbero garantire la conversione delle stablecoins. In particolare, la tipologia di asset in cui sono investite le riserve  (cash equivalent che possono includere commercial paper, certificati di deposito, corporate bonds) potrebbe essere un elemento di criticità a fronte di una fluttuazione del loro valore.
  4. Sul fronte dei pagamenti il loro utilizzo è ancora limitato a causa delle elevate commissioni.

Il mondo Decentralized Finance (DEFI) ricompreso nell’analisi del rapporto riguarda attività quali credito, investimento, pagamenti, insurance, piattaforme di scambio utilizzando una Distributed Ledger Technology e Smart Contracts. Questo mondo si presenta meno concentrato rispetto alle criptovalute e anche più eterogeneo. Questo aspetto rende il mondo DEFI meno soggetto ad essere il detonatore di una crisi finanziaria. I punti di attenzione principale riguardano:

  1. La governance decentralizzata che rende complicato individuare il soggetto da vigilare/regolare anche perché spesso non è chiaro quale giurisdizione deve essere applicata.
  2. Le verifiche sull’utente finale (Know Your Customer) sono un punto critico su cui si stanno mettendo a punto elementi di salvaguardia.
  3. Il problema principale è rappresentato dagli attacchi cyber: il 75% degli attacchi hacker che hanno coinvolto il mondo critpoassets (per un totale di 481 milioni) riguarda l’ambito DEFI. 

In ultima analisi, il quadro non segnala un rischio imminente ma rischi potenziali a breve se il mondo delle criptovalute si espandesse ai ritmi del 2021. 

Share

I commenti per questo post sono chiusi