Executive summary
Nel libro “Alle radici della crisi finanziaria. Origine, effetti e risposte”, edito da Egea (Milani, 2015), ho cercato di offrire al lettore una visione ampia dei fenomeni succedutesi negli ultimi 7/8 anni. In questa nota la sintesi dei principali temi affrontati.
La portata della recente crisi è così estesa che per comprenderla pienamente è necessario analizzarla attraverso diversi punti di vista, non solo quello finanziario. Molteplici sono, infatti, i fattori che hanno concorso tanto alla generazione delle bolle speculative, quanto al loro virulento scoppio.
Un po’ di storia
Un breve excursus storico, che copre circa un secolo, ci permette di individuare in alcune risposte di politica economica date alla Grande Depressione del 1929 i primi germi della crisi del 2007/2008. In particolare, le imperfezioni del sistema di cambi fissi stabilito con Bretton Woods ha portato al suo collasso negli anni ’70, con conseguenze fortemente negative per l’economia mondiale, tra le quali anche le prime crisi petrolifere. Ancor più negative sono stati gli effetti prodotti dalle ricette offerte in quell’epoca, tra le quali la deregolamentazione finanziaria. A partire dagli anni ’80, infatti, è iniziato un lungo processo di rimozione dei vincoli all’operatività bancaria che nemmeno i successivi accordi internazionali di Basilea sono riusciti ad arginare. L’utilizzo di strumenti finanziari complessi, quali i titoli cartolarizzati e i derivati, senza un efficiente impianto di regole ha consentito di poter aggirare i controlli effettuati dalle autorità di vigilanza. Tutto ciò ha determinato una delle crisi finanziarie più grandi della storia moderna. Dal sistema bancario questa si è poi rapidamente estesa anche agli Stati sovrani che più avevano favorito la crescita delle industrie bancarie nazionali, come ad esempio l’Islanda e l’Irlanda.
Gli squilibri globali
Tali eventi hanno colto l’Area euro completamente impreparata. La creazione della moneta unica e l’imposizione di vincoli sulla politica fiscale con il Patto di Stabilità, senza la contemporanea adozione di meccanismi che permettessero ai singoli paesi aderenti di assorbire gli shock asimmetrici, si sono rivelate scelte fortemente errate. Le conseguenze si vedono ancora oggi sull’asfittica crescita europea, soprattutto se paragonata a quella degli Stati Uniti. Inoltre, l’euforia legata alla più facile circolazione dei capitali, in un’area in cui il rischio di cambio era stato eliminato, ha generato un eccesso di disponibilità di finanziamenti che in Spagna e Irlanda si sono riversati sul mercato immobiliare, mentre in Grecia, Portogallo e Italia hanno sostenuto un settore pubblico inefficiente.
Anche gli squilibri esistenti nei rapporti tra Stati Uniti e Cina, e più in generale con i paesi emergenti, hanno gettato benzina sul fuoco della speculazione finanziaria. La scelta degli emergenti di puntare, alla fine degli anni ’90, su un modello di crescita basato sulle esportazioni, ha messo in moto un processo di svalutazione dei cambi e un conseguente afflusso dei capitali verso i paesi industrializzati, in primis Stati Uniti. Questi capitali hanno alimentato prima la generazione della bolla speculativa sui titoli della New Economy agli inizi degli anni 2000, e poi, con la colpevole partecipazione della Federal Reserve guidata da Alan Greenspan, quella sui mutui immobiliari concessi alle famiglie statunitensi per lo più prive di reddito e garanzie (cosiddetti mutui subprime).
Chi doveva vigilare sulle banche, evitando l’assunzione di eccessivi rischi, non l’ha fatto e per la maggior parte dei casi non si è reso conto di quello che stava accadendo, subendo in molti casi anche ingenti perdite. La finanza comportamentale ci aiuta a spiegare questo fenomeno, legato essenzialmente al processo psicologico connesso con l’eccessiva confidenza sulle proprie capacità di riuscire a “battere” i mercati.
Alcuni paesi, quali ad esempio il Canada, hanno in ogni modo messo in evidenza come sia possibile, attraverso un’adeguata regolamentazione finanziaria, sviluppare quegli anticorpi in grado di evitare il contagio. Per altri, come l’Italia, le deficienze regolamentari e l’inefficienza dell’industria bancaria, troppo frammentata e sottocapitalizzata, si sono palesate per tutta evidenza, determinando nel nostro paese un’intensa restrizione creditizia che ha contribuito a provocare la recessione economica più profonda dei suoi 150 anni di storia.
Le risposte di politica economica e regolamentari
Se il periodo pre-crisi è un coacervo di errori di valutazione, imprudenza e imperizia, anche le risposte presentate per fronteggiare e prevenire il verificarsi di nuove crisi sono criticabili sotto molti punti di vista. Tra le politiche economiche si è privilegiato il ricorso a quella monetaria, sia nella forma convenzionale del taglio dei tassi d’interesse sia in quella non convenzionale, tipicamente rappresentata dal quantitative easing (QE). Gli effetti di queste politiche sono però controversi e possono aver contribuito alla generazione di altre bolle speculative, come ad esempio quella immobiliare e azionaria in Cina. La politica fiscale, che più avrebbe dovuto riportare l’economia mondiale lungo un sentiero di crescita duratura, è stata invece relegata a strumento secondario. In Europa, con il Fiscal Compact e i piani di austerità, si è addirittura puntato al consolidamento fiscale nonostante la recessione in corso, aggravando ulteriormente la situazione.
Anche le nuove regole finanziarie non sono scevre da critiche. Sul fronte europeo si è fatto un passo avanti per la creazione di un mercato bancario unico. Gli egoismi nazionali stanno però impedendo di definire completamente il progetto in tutte le sue componenti e, soprattutto, di prevedere quei necessari meccanismi di condivisione degli oneri, necessari nel caso in cui si verifichino nuovamente crisi bancarie sistemiche. Modesti sono anche i tentativi di dotarsi di un adeguato sistema europeo che vigili sugli squilibri macroeconomici e li prevenga.
Per quanto attiene a Basilea III, il nuovo impianto di regole è ancora più complesso rispetto al precedente accordo. Inoltre, continua ad essere fondato, per la parte relativa ai coefficienti di patrimonializzazione, sull’attivo ponderato per il rischio, grandezza che proprio in occasione della crisi ha messo in evidenza tutti i suoi limiti.
Su molti fronti siamo invece in attesa di risposte. A livello globale, appare necessario rivedere il ruolo del Fondo Monetario Internazionale, recuperando la sua originaria missione, pensata da John Maynard Keynes, di prestatore internazionale di ultima istanza. Sul fronte europeo, bisognerebbe finalmente mettere in campo una delle numerose proposte di condivisione del debito, quale ad esempio gli eurobond. In Italia, nel breve termine, andrebbe quanto prima costituita la bad bank per la gestione dei crediti dubbi, mentre in un’ottica di più ampio respiro andrebbero ripensati i rapporti tra banche e piccole e medie imprese, rivedendo, tra l’altro, il paradigma del “piccolo è bello”.
Bibliografia
Milani Carlo, 2015, “Alle radici della crisi finanziaria. Origine, effetti e risposte”, Egea Editore.