La richiesta di attivazione del systemic risk board da parte di Banca d’Italia*
a cura di E. Barucci

Mar 21 2024
La richiesta di attivazione del systemic risk board da parte di Banca d’Italia*a cura di E. Barucci

*articolo uscito anche per il sito internet www.huffingtonpost.it

Là dove non arrivò il governo ci pensa la Banca d’Italia. Stiamo parlando delle banche, dei loro utili elevati a seguito del rialzo dei tassi di interesse e della intenzione della Banca d’Italia di chiedere loro di attivare, entro giugno 2025, una riserva di capitale a fronte del rischio sistemico (systemic risk buffer). Una riserva pari all’1% delle esposizioni domestiche ponderate per il rischio di credito e di controparte. Tradotto: più capitale per fronteggiare eventuali rischi futuri e meno utili da distribuire oggi. Per adesso si tratta di una consultazione (Banca d’Italia chiede osservazioni e commenti), ma ci sono tutte le condizioni affinché dalle parole si passi ai fatti.

Partiamo dallo stato di salute delle banche e dal ‘‘fallimento’’ del governo. Il rialzo dei tassi di interesse ha fatto crescere a dismisura il margine di interesse, il guadagno che gli intermediari ottengono raccogliendo fondi tramite depositi e obbligazioni e erogando credito alle imprese e alle famiglie. Da giugno 2022 a giugno 2023 il rialzo per le banche è stato del 45%, questo ha portato a profitti senza precedenti: la redditività del capitale delle banche (ROE) è passata dal 9 al 13%. Lo stato di salute delle banche italiane è dunque molto buono, come non lo è mai stato dai tempi della crisi finanziaria.

E’ difficile distinguere il profitto buono da quello cattivo (frutto di posizione dominante). La decisione del governo di imporre una tassa straordinaria sulle banche è stata motivata dalla volontà di ottenere risorse per far quadrare i conti ma ha almeno due fondamenti su cui occorre riflettere senza fare gli struzzi mettendo la testa sotto la sabbia. In primo luogo le banche hanno fatto profitti elevati grazie al fatto che, mentre i tassi dei prestiti si muovono all’unisono con quelli del mercato monetario, quelli dal lato della raccolta (depositi) sono meno reattivi e sono rimasti bassi. Non è tanto questione di potere di mercato delle banche, che a dire il vero si fanno concorrenza sul fronte della raccolta, ma dell’inerzia dei risparmiatori nel cambiare banca. Pensiamo alla nostra esperienza: quando è l’ultima volta che abbiamo cambiato banca? Una persona in media nella vita lo fa una volta sola se non è costretto dalla banca stessa a farlo. La concorrenza non funziona a dovere nei servizi bancari, bisogna prenderne atto e introdurre dei rimedi. La seconda ragione è che è suonato strano registrare utili mai visti, che vengono perlopiù rilasciati agli azionisti sotto forma di dividendi, dopo anni in cui le banche sono state una spina nel fianco per il paese con miliardi di soldi pubblici destinati al loro sostegno.

L’iniziativa del governo, mal congegnata sin da subito, è naufragata così come fallì il tentativo dei governi precedenti di tassare gli extra profitti delle aziende energetiche. In alternativa al pagamento del tributo, gli intermediari possono istituire al momento dell’approvazione del bilancio sul 2023 una

riserva patrimoniale non distribuibile per un importo non inferiore a 2,5 volte l’ammontare del tributo. Quindi, non più soldi allo Stato ma a rafforzare le banche. Le banche sembrano orientate a battere questa seconda strada: gli utili sono talmente elevati che possono agevolmente soddisfare la richiesta, che va poi a loro vantaggio permettendogli di raccogliere fondi a condizioni meno onerose.

La Banca d’Italia batte un colpo su questo fronte. Lo fa con ritardo ma, come si dice, meglio tardi che mai. Nell’ambito della normativa di Basilea ed Europea le banche centrali nazionali, su raccomandazione dell’European Systemic Risk Board, che vigila sui rischi globali, possono richiedere alle banche di mettere da parte più capitale. La richiesta viene avanzata in periodi di vacche grasse prevenendo periodi di difficoltà finanziaria e può passare tramite due strumenti: il counter cyclical capital buffer e il systemic risk buffer. Il primo tende a mitigare la pro-ciclicità del sistema finanziario attraverso l’accumulazione, in periodi di crescita eccessiva del credito, di una riserva supplementare di capitale da rilasciare al manifestarsi di una crisi. Lo strumento serve per raffreddare un’economia surriscaldata da troppo credito che potrebbe portare a una crisi finanziaria, serve quindi per ‘‘smussare’’ il ciclo dell’economia e del credito. Il secondo strumento invece è concepito per fronteggiare rischi sistemici di natura non ciclica: vulnerabilità e rischi di natura sistemica anche non originati all’interno del sistema finanziario. L’esperienza del COVID e della guerra in Ucraina ci ha mostrato come questo sia possibile e che sia necessario non arrivare ad un surriscaldamento conclamato dell’economia per dotarsi di una riserva macroprudenziale. Ambedue gli strumenti permetterebbero un ammorbidimento del vincolo sul capitale (con il rilascio delle riserve) in situazione di crisi con un effetto benefico per l’economia. Secondo un recente studio del Comitato di Basilea, il rilascio di 1% di capitale durante la crisi del COVID ha permesso ai prestiti di crescere del 2,7% e la stessa Banca d’Italia in una simulazione mostra che con la misura richiesta si raggiungerebbe una maggiore crescita economica dello 0,4%.

Non ci sono segni di surriscaldamento dell’economia ma una regola del pollice ci dice che un ROE a due cifre porta con sé rischi per il sistema finanziario e, soprattutto, solo quattro paesi (e l’Italia tra questi) dei trenta nello spazio economico europeo non hanno ad oggi adottato né il primo né il secondo strumento. Passo dovuto dunque per Banca d’Italia che sarà assorbito dal sistema senza particolari problemi: il capitale libero delle banche (non assorbito da requisiti regolamentari) è pari a 47 miliardi, gli utili nel 2023 sono stati ben 32 miliardi, la nuova riserva dovrebbe ammontare a circa 7,4 miliardi. Un livello che è più del doppio di quanto dovrebbe raggiungere l’intervento del governo.

Quindi, senza fare tanto clamore, senza fare campagne contro le banche, utilizzando gli strumenti messi a disposizione dalla normativa, si giungerà a mettere fieno in cascina per tempi difficili. Forse è tardivo, l’intervento di fatto si spalma sugli utili del 2023 e del 2024, ma è pur sempre una mossa nella giusta direzione che non risolve però il problema degli extra profitti originati dai bassi tassi di

interesse sui depositi. I cittadini prima o poi impareranno a tenere meno denari sul conto corrente ma fino a quando ciò accadrà è bene che le autorità di vigilanza pongano attenzione al problema.

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