Pubblicato il bollettino mensile della BCE (marzo 2014)

Mar 13 2014

La BCE ha pubblicato oggi il bollettino mensile di marzo. L’istituto guidato da Mario Draghi ha compiuto le sue usuali previsioni sull’andamento del PIL e dell’inflazione nell’eurozona; quest’ultima, in particolare, rimane debole e non raggiungerà livelli prossimi al 2% sino alla fine del 2016. Oggetto di analisi sono stati anche gli sviluppi nella bilancia dei pagamenti e l’implementazione del semestre europeo.

Qui il documento ufficiale.

Una vera rivoluzione: il Single Resolution Mechanism
di Concetta Brescia Morra e Giulia Mele

Mar 12 2014
Una vera rivoluzione: il Single Resolution Mechanism <small><small><I>di Concetta Brescia Morra e Giulia Mele</I></small></small>

Le autorità europee hanno proposto di recente la creazione di un sistema accentrato per la gestione delle crisi bancarie nei paesi aderenti all’area euro: il Single Resolution Mechanism (SRM).

L’obiettivo del SRM è triplice:

  • ridurre il “costo sociale” delle crisi bancarie,
  • porre un freno al moral hazard delle banche che è stato alimentato anche dai salvataggi pubblici,
  • rompere il circolo vizioso tra crisi del debito sovrano e crisi degli intermediari.

Questi obiettivi sono perseguiti cercando di creare un terreno comune tra i diversi paesi dell’area euro e/o dell’unione.

Il SRM rappresenta il secondo pilastro del progetto di Unione Bancaria. Un progetto che si compone di altri due pilastri: il Single Supervisory Mechanism (SSM), il sistema unico di assicurazione dei depositi. L’implementazione dei tre pilastri procede a velocità diverse. Il primo è in fase di costruzione avanzata dal momento che in ottobre è stato approvato il Regolamento n.1024/2013 che attribuisce alla Banca Centrale Europea (BCE) compiti di vigilanza prudenziale sulle banche “di rilevanza significativa” degli Stati dell’euro-zona o di quelle che, pur non facendone parte, decidano di aderirvi. Sul secondo pilastro, esistono sia una proposta di regolamento [1] – applicabile agli stati dell’euro-zona e a quelli che decidano di aderirvi – sia una proposta di direttiva [2], applicabile a tutti gli Stati membri. Il terzo pilastro, quello dei sistemi di garanzia dei depositi, è stato al momento accantonato.

Le novità principali della proposta sono:

  • un sistema di “mutualizzazione delle perdite” fra gli intermediari bancari europei.
  • il costo del salvataggio delle banche in difficoltà sarà a carico degli azionisti, ma anche dei creditori, compresi i depositanti
  • grazie al meccanismo di bail in e il sistema di mutualizzazione delle perdite, l’onere a carico dei contribuenti dovrebbe essere residuale.

1.       Il funzionamento

Il meccanismo di risoluzione ha l’obiettivo di traghettare le banche fuori dalla crisi salvaguardando la stabilità del sistema finanziario e riducendo al minimo l’impatto negativo sui depositanti e sui contribuenti. A tutela dei creditori è previsto che nessun creditore riceva, da questa procedura, meno di quello che avrebbe ricevuto applicando le tradizionali procedure di insolvenza nazionali (no creditor worse off, NCWO) e che tutte le decisioni assunte nell’ambito della procedura, saranno ricorribili davanti alla Corte di giustizia. La base giuridica per la proposta è l’art. 114 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) che consente l’adozione di misure di ravvicinamento delle disposizioni nazionali che hanno per oggetto l’instaurazione e il funzionamento del mercato interno.

La proposta di regolamento istituisce un’autorità per la risoluzione delle crisi, il Single Resolution Board, composto da un direttore esecutivo, da un componente nominato dalla Commissione e da uno nominato dalla BCE e infine da un membro nominato da ciascuno stato partecipante al meccanismo. Il Board si riunisce in due formazioni: sessione esecutiva e sessione plenaria. In sessione plenaria il Board adotta decisioni di carattere generale, in sessione esecutiva vengono assunte tutte le decisioni relative alla gestione della risoluzione; in alcuni casi, tuttavia, tale potere viene attribuito alla sessione plenaria la quale, ad esempio, deve autorizzare le decisioni che comportano un sostegno di liquidità superiore al 20% del capitale del fondo unico di risoluzione. Il Board in sessione esecutiva è composto dal direttore esecutivo, dal vicedirettore esecutivo e da quattro rappresentati nominati dal Consiglio su proposta della Commissione. Il numero ridotto di membri presenti nella fase decisionale dovrebbe accelerare il procedimento rendendolo più efficace. La costituzione di questo nuovo organo mira accentrare in un unico soggetto il potere decisionale durante la fase di risoluzione. Obiettivo questo che, invece, non potrà essere centrato per gli stati non facenti parte dell’euro per i quali la proposta di direttiva rimanda alle decisioni delle autorità nazionali.

La coesistenza di fonti normative diverse, la direttiva e il regolamento sulla “risoluzione delle crisi bancarie”, potrà creare problemi applicativi. Il rischio è parzialmente risolto dal fatto che i meccanismi di risoluzione proposti hanno caratteristiche pressoché coincidenti. A garantire una certa omogeneità nell’applicazione del meccanismo unico di risoluzione contribuisce anche l’art. 5 della proposta di regolamento che stabilisce che i poteri che la proposta di direttiva attribuisce alle autorità nazionali spettano al Board per i paesi che aderiscono al SRM.

2.      Le tre fasi

Il SRM dota le autorità competenti (a seconda dei casi la Commissione/Consiglio/Board o le autorità nazionali) di strumenti idonei a prevenire le crisi bancarie, intervenendo quando le condizioni della banca si siano “deteriorate” e quando la crisi sia ormai manifesta. Le fasi sono così suddivise:

  • Pianificazione del risanamento (preparation and prevention);
  • Intervento precoce (early intervention);
  • Risoluzione delle crisi.

La fase della pianificazione del risanamento è quella in cui sono adottate misure preparatorie e piani volti a prevenire e a risolvere tempestivamente le crisi bancarie. In particolare ci si riferisce ai piani di risoluzione (resolution plans) e ai piani di risanamento (recovery plans). Tanto la proposta di direttiva che quella di regolamento attribuiscono la redazione dei primi all’autorità preposta alla gestione della crisi, mentre i secondi verranno predisposti dalle banche.

La fase dell’intervento precoce riguarda un momento in cui la situazione di una banca comincia a deteriorarsi, ovvero quando questa non è ancora insolvente ma versa in una situazione economica di difficoltà che potrebbe condurre allo stato di insolvenza. Sia la proposta di direttiva che quella di regolamento individuano analiticamente le modalità di intervento che possono arrivare alla sostituzione del C.d.A. con un amministratore straordinario. Le autorità coinvolte in questa fase sono quelle nazionali, per quanto riguarda i Paesi che non adottano la moneta unica, e il Board e la BCE per gli stati dell’euro-zona. Poteri di early intervention, infatti, sono attribuiti sia al Board dalla proposta di regolamento sia alla BCE dal regolamento che ha istituito il SSM.

La terza ed ultima fase è quella della risoluzione in senso stretto. La scelta del legislatore europeo di utilizzare il termine “resolution” non è di semplice interpretazione. Resolution  non è un termine con un significato preciso nelle legislazioni dei principali paesi europei in materia di gestione delle crisi. La vaghezza del termine ha contribuito a identificare la “risoluzione” con il “fallimento”. Ma si tratta di una conclusione errata dato che la “resolution” si riferisce a una fase in cui la banca versa in uno stato di crisi che è sì endemico ma che non coincide con lo stato di insolvenza. Gli strumenti di “resolution”  anzi servono proprio per il superamento dello stato di crisi.

La disciplina e gli strumenti della “resolution” risultano particolarmente invasivi soprattutto per gli interessi degli azionisti e per questo possono trovare applicazione solo se il dissesto è così grave da escludere l’esistenza di soluzioni alternative capaci di risanare le finanze della banca entro limiti di tempo accettabili. Due sono le condizioni per la sua applicabilità: la banca deve essere “failing or likely to fail”, deve sussistere un interesse pubblico da salvaguardare. La valutazione circa l’esistenza di entrambi i requisiti è rimessa alla BCE la quale deve attenersi a parametri individuati dall’art.16. 3 del regolamento.

Le autorità coinvolte in questa fase sono le autorità nazionali per gli stati che non aderiscono alla moneta unica, per quanto riguarda i Paesi dell’euro-zona il regolamento individua ben quattro autorità competenti: la Commissione, il Consiglio, il Board e la BCE. Il meccanismo di risoluzione è assai complesso con una non chiara demarcazione tra i poteri delle diverse autorità. Il processo decisionale che caratterizza il procedimento è il seguente:

  • la BCE comunica la situazione di dissesto alla Commissione e al Board;
  • il Board in sessione esecutiva valuta se si ponga una minaccia sistemica e se non esistano soluzioni basate sul settore privato;
  • se tale è la situazione il Board in sessione esecutiva redige un piano di risoluzione del quale vengono indicati gli strumenti di risoluzione adottabili (quelli contemplati all’art.19 del regolamento) e le modalità di utilizzo del Fondo unico di risoluzione;
  • una volta elaborato il piano il Consiglio, su proposta della Commissione, può chiedere al Board, entro 36 ore, di modificare il piano di risoluzione; trascorso questo lasso di tempo il piano di risoluzione verrà attuato dalle autorità nazionali competenti.

La criticità della procedura riguarda la possibilità che il Consiglio decida di chiedere una modifica del piano di risoluzione; in questo caso, infatti, si innesca un meccanismo caratterizzato da un numero rilevante di passaggi tra il Consiglio, la Commissione e il Board che procrastinano l’adozione del piano per un periodo ben superiore alle 36 ore inizialmente previste. Si tratta di un’eventualità forse recondita, ma non da escludere, che porterebbe ad una dispersione di tempo assolutamente incompatibile con le esigenze di rapidità e di risolutezza che deve caratterizzare la gestione di una crisi bancaria. Nell’eventualità di contrasto tra le autorità competenti, è difficile che una crisi venga risolta nel tempo di un weekend e nel più assoluto riserbo come avviene oggi da parte dalle autorità nazionali.

3.         Gli strumenti

Per quanto riguarda la tipologia di strumenti utilizzabili per il superamento della crisi, tanto la proposta di direttiva quanto quella di regolamento prevedono quattro possibilità:

a)                  vendita dell’attività d’impresa;

b)                  bridge institution (ente ponte);

c)                  separazione delle attività;

d)                  bail in.

Si tratta di strumenti che potranno essere utilizzati singolarmente o combinati da parte delle autorità preposte. Quanto alle perdite degli azionisti e dei creditori della banca, tanto la proposta di direttiva che quella di regolamento stabiliscono alcuni principi che dovranno essere rispettati indipendentemente da quanto stabilito  dai singoli regimi di insolvenza nazionali e dagli strumenti utilizzati. Tali principi sono i seguenti: a) le perdite devono essere prima assegnate in toto agli azionisti e poi ai creditori e b) i creditori della stessa categoria possono essere trattati in maniera diversa solo se ciò sia giustificabile da ragioni di interesse generale, ad esempio la stabilità finanziaria. Per quanto riguarda lo strumento del bail in, il quadro stabilisce una gerarchia dei crediti più dettagliata.

Lo strumento della vendita dell’attività d’impresa consente di procedere alla vendita dell’ente nella sua totalità, o di una parte della sua attività, a condizioni di mercato, senza dover richiedere il consenso degli azionisti o soddisfare requisiti procedurali altrimenti applicabili.

La bridge institution permette di trasferire la totalità o parte dell’attività di un ente a un’entità controllata da poteri pubblici. La bridge institution deve rispettare la direttiva sui requisiti patrimoniali e sarà gestita come un’impresa commerciale, entro i limiti fissati dal quadro degli aiuti di Stato. L’operatività di un ente-ponte è temporanea: il suo scopo è di vendere l’attività al settore privato quando le condizioni di mercato siano adeguate.

Lo strumento della separazione delle attività ha come fine quello di trasferire attività compromesse o problematiche a un veicolo di gestione dove tali attività verranno gestite e le loro problematicità risolte nel tempo. Le attività dovrebbero essere trasferite al valore di mercato o al valore economico a lungo termine. Al fine di ridurre al minimo le distorsioni della concorrenza e il rischio di azzardo morale, questo strumento dovrebbe essere utilizzato solo congiuntamente a un altro strumento di risoluzione.

Lo strumento del bail in, infine, consentirà alle autorità di risoluzione di ridurre i diritti dei creditori, secondo un preciso ordine di priorità, prima della dichiarazione di fallimento. I creditori potrebbero veder ridotte o cancellate le cedole, ridotto il valore nominale del credito, oppure potrebbero subire la conversione forzata dei loro titoli in azioni. Tra l’altro è previsto, tanto nella proposta di direttiva che in quella di regolamento, che non tutti i crediti della banca siano soggetti al bail in; fra le esenzioni principali vi sono i “depositi garantiti” (ovvero quelli di importo inferiore ai 100.000 euro coperti dal sistema di assicurazione dei depositi già vigente in tutti i paesi europei), ma anche altre passività garantite, ivi compresi i covered bonds. Inoltre all’art. 42 delle linee guida è prevista una escape clause che sancisce la non applicabilità del bail in nell’ipotesi in cui il suo utilizzo possa compromettere la stabilità finanziaria del sistema.

Il principio del bail in si fonda sull’idea che il costo della crisi di una banca debba ricadere in primo luogo su azionisti e creditori della stessa, prima di pesare sulle finanze pubbliche. Lo strumento è immaginato in funzione di un’equa ripartizione dei costi del dissesto e per prevenire il fallimento. Il mancato pagamento delle cedole o il mancato rimborso dei creditori potrebbe attenuare le esigenze di liquidità di una banca in difficoltà, facendo guadagnare tempo per cercare soluzioni che ne evitino l’insolvenza. Il disegno legislativo prevede che, se il bail in è ben disegnato, i creditori non debbano sopportare perdite più elevate di quelle in cui sarebbero incorsi nel caso in cui la banca fallisca e si apra una formale procedura di insolvenza. Vale la pena di osservare che il giudizio ex ante, ossia prima che sia dichiarata l’insolvenza, peraltro è molto difficile ed ex post (ossia in caso di insuccesso delle misure di risoluzione e apertura di una procedura di insolvenza) potrebbe dar luogo a lunghi contenziosi giudiziari.

4.          Il Fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie

La proposta di regolamento prevede, anche, l’istituzione di un Fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie. L’obiettivo primo del fondo è quello di assicurare la stabilità finanziaria dell’ente dopo la sua ristrutturazione. Il fondo, infatti, è stato pensato come uno strumento di intervento finalizzato a facilitare la risoluzione e non a coprire le perdite le quali dovranno essere finanziato prevalentemente dai claim holders delle banche. Questo non esclude che in casi eccezionali, ovvero quando le risorse interne siano insufficienti a risanare l’ente (purché siano state impiegate almeno l’8% delle passività totali, fondi propri compresi, dell’ente soggetto a risoluzione), il fondo possa essere impiegato per assorbire le perdite o fornire capitali. Il fondo, in ogni caso, potrà coprire solo fino al 5% delle passività della banca.

Perché siano assicurati finanziamenti sufficienti a garantire il buon funzionamento del fondo, il regolamento stabilisce che dovrà essere costituito da contributi obbligatori, versati ex ante, dalle banche europee e in dieci anni dovrà arrivare a coprire lo 0,8% dei depositi di tutte le banche degli stati membri. Tale livello viene considerato sufficiente ad assicurare una risoluzione ordinata delle crisi future a condizione che i creditori e gli azionisti si facciano carico del salvataggio interno per almeno l’8% delle passività totali e dei fondi propri dell’ente soggetto a risoluzione. In base ad una stima effettuata il fondo, tra dieci anni, dovrebbe ammontare a circa 55 miliardi di euro; valore destinato ad aumentare in funzione della crescita del settore bancario. Dato che il fondo sarà operativo, presumibilmente, solo nel 2018 durante la fase di transizione si prevede un meccanismo di “back stop” attuato innanzitutto dai fondi nazionali (che potranno essere sia fondi “privati” eventualmente esistenti nei paesi aderenti, sia fondi “pubblici”, nei limiti in cui possibile secondo la disciplina degli aiuti di Stato) e, solo nel caso in cui questi siano insufficienti, dall’European Stability Mechanism (ESM), istituito nel 2012 con un Trattato fra i paesi dell’area dell’euro per sostenere i paesi aderenti in difficoltà (l’ESM potrà contribuire nella misura massima di 60 miliardi di euro).

Nell’ultima versione della proposta di regolamento, è stato previsto di disciplinare il funzionamento del fondo unico in un apposito accordo intergovernativo che dovrebbe essere stipulato a giorni (1 marzo 2014). Da un lato, la sottoscrizione dell’accordo rappresenta la condizione per partecipare al SRM, dall’altro l’accordo potrà entrare in vigore solo se ratificato da tanti Stati che rappresentino l’80% dei contributi al fondo unico di risoluzione.

Conviene, infine, sottolineare che la proposta di regolamento stabilisce la data del 1 gennaio 2015 per l’entrata in vigore del SRM mentre posticipa l’utilizzabilità dello strumento del bail-in al 1 gennaio 2016. Nella prima fase del suo funzionamento, quindi, il legislatore europeo ha preferito privare il SRM dello strumento più innovativo del nuovo meccanismo di risoluzione. Una scelta che evidenzia la preoccupazione per l’adozione di uno strumento rivoluzionario, ma non privo, come si dirà, di aspetti problematici.

5.      I punti critici

I punti critici del nuovo meccanismo unico di risoluzione sono più di uno.

Il primo problema è quello della possibile sovrapposizione di competenze tra le diverse autorità che, come si è visto, interessano tanto la fase dell’”early intervention” che quella della risoluzione in senso stretto. Quest’aspetto può intralciare la procedura di risoluzione determinando un allungamento del processo decisionale che potrebbe risultare fatale alla banca in difficoltà.

Vale la pena di osservare che la scelta di concentrare il potere decisionale nelle mani del Board è stata oggetto di discussioni perché considerata non compatibile con la posizione assunta dalla Corte di Giustizia in un noto caso giudiziario (decisione del 13 giugno 1958, Case 9-56,), secondo cui  non è legittima la delega di funzioni discrezionali a organi o autorità non previsti dal Trattato (“dottrina Meroni”). L’argomento contro l’accentramento dei poteri in capo al Board ha perso forza a seguito di una recente sentenza della stessa Corte di Giustizia, in merito alla legittimità di un regolamento dell’European Securities Market Autority (ESMA). La Corte [3] ha escluso l’incompatibilità con la “dottrina Meroni” dell’operatività di organi non previsti dal trattato a condizione che i loro poteri siano analiticamente determinati e circoscritti ex ante.

Il secondo profilo problematico è quello relativo all’applicazione delle misure di bail in. Le norme sul bail in presentano tre punti deboli. In primo luogo, è difficile individuare, ex ante, un tasso di conversione dei crediti che assicuri il rispetto del NCWO e che rifletta la gerarchia delle pretese dei creditori. In secondo luogo con questo meccanismo le obbligazioni bancarie diventano più rischiose con inevitabili ripercussioni sul loro “prezzo” rendendo più difficile il finanziamento delle banche. La componente opzionale implicita nelle obbligazioni bancarie rischia di rendere assai complessa la loro valutazione. Ciò è particolarmente pericoloso per le banche italiane a causa delle difficili condizioni del mercato interbancario e per lo strutturale “funding gap” che le caratterizza nel confronto europeo. In terzo luogo, è piuttosto dubbio che un’operazione di “write-off” dei diritti di azionisti e creditori possa essere sufficiente a ridurre significativamente i problemi dell’intermediario e il possibile contagio. Una banca in difficoltà ha in effetti bisogno di un immediato sostegno di liquidità per evitare che la situazione si trasformi in crisi conclamata (bank run). Il bail in non fornisce nuova liquidità, permette soltanto di abbattere gli obblighi finanziari che non portano necessariamente ad un sollievo sul fronte della liquidità. Ne consegue che il bail in non possa rappresentare l’unica soluzione per ridurre il rischio dell’aggravarsi della crisi o quello del contagio, ma deve essere necessariamente utilizzato in un pacchetto di interventi combinati, fra cui in primo luogo quello di “lender of last resort” da parte della Banca centrale, l’unico strumento in grado di superare problemi gravi di illiquidità dell’intermediario in difficoltà.

Infine, l’ultimo aspetto che può dare adito a perplessità è quello legato al trattamento dei depositanti i quali dalla grande crisi degli anni Trenta del secolo scorso ad oggi mai sono stati coinvolti nel “salvataggio” di una banca. Impiegare anche le risorse dei depositanti nel salvataggio di una banca potrebbe spingerli a una corsa agli sportelli che avrebbe come conseguenza la realizzazione dell’evento temuto ovvero il fallimento della banca. Prova ne sia il caso Cipro dove i paesi europei, per evitare di finanziare con soldi dei loro cittadini il salvataggio degli intermediari ciprioti, hanno spinto per una soluzione della crisi che ha imposto rilevanti perdite in capo a tutti i creditori di queste banche, ivi compresi i depositanti. Di fronte a questa decisione si è assistito ad una fuga dei capitali stranieri, con il conseguente indebolimento del sistema finanziario. La misura dei bail in, quindi, è uno strumento che le autorità per la risoluzione di banche europee dovranno usare in maniera molto prudente per evitare di produrre indesiderate conseguenze sul piano della fiducia che i risparmiatori ripongono nella solidità di un sistema finanziario e nella capacità degli Stati sovrani di sostenere i loro sistemi finanziari. In altri termini, misure come queste potrebbero accentuare il pericoloso circolo vizioso fra tensioni nei mercati del debito pubblico degli Stati e difficoltà dei sistemi finanziari, piuttosto che spezzarlo come dichiarato nei documenti Europei alla base anche delle proposte per la risoluzione delle crisi di banche.

Riferimenti

[1] Proposta di Regolamento (2013) (SRM n. 17742/2013) in      (http://register.consilium.europa.eu/doc/srv?l=EN&t=PDF&gc=true&sc=false&f=ST%2017742%202013%20INIT) ;

[2] Proposta di Direttiva (2013) (BRR 11148/1/13 REV 1 COR 1 ) in (http://register.consilium.europa.eu/doc/srv?l=EN&t=PDF&gc=true&sc=false&f=ST%2011148%202013%20REV%201%20COR%201) ;

[3] Corte di Giustizia, (2014) causa C-270/12 Regno Unito c/ Parlamento Europeo, in (http://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf;jsessionid=9ea7d2dc30dc85e0f3f189bd41b78023c7e4e87b638b.e34KaxiLc3qMb40Rch0SaxuMchf0?text=&docid=148827&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=260906)  ;

[4] A. Capizzi, S. Cappiello, (2014) Prime considerazioni sullo strumento del bail-in: la conversione   forzosa di debito in capitale, in Atti del convegno orizzonti del Diritto commerciale 2014, in (http://www.orizzontideldirittocommerciale.it/atti-dei-convegni-associativi/2014) ;

[5] S. Micossi, G. Bruzzone, J. Carmassi, (2013) The new european frame work for managing bank crises, in CEPS, (http://www.ceps.be/book/new-european-framework-managing-bank-crises);

[6] G.A. Ferrarini, L. Chiarella, (2013) Common banking Supervision in the Eurozone: Strengths and Weaknesses, ECGI,  (http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2309897) ;

[7] Clifford Chance, (2011) Legal aspects of bank bail ins, (http://www.cliffordchance.com/briefings/2011/05/legal_aspects_ofbankbail-ins.html#.Ux8wXT95PbM );

Il rischio di liquidità e Basilea III: LCR e NSFR

Mar 12 2014
Il rischio di liquidità e Basilea III: LCR e NSFR <small><small><I>di Roberto Ottolini e Enrico Ubaldi</I> </small></small>

In risposta alla recente crisi finanziaria che ha rivelato l’importanza della gestione della liquidità per il corretto funzionamento di un intermediario finanziario, il Comitato di Basilea ha introdotto due nuovi standard di liquidità che dovranno essere soddisfatti dagli intermediari creditizi: Liquidity Coverage Ratio (LCR) e Net Stable Funding Ratio (NSFR).

Mentre l’LCR (standard di liquidità di breve periodo) è stato più volte rivisto e affinato, l’NSFR (orizzonte temporale annuale) verrà introdotto in un secondo momento e le sue caratteristiche sono ancora oggetto di analisi. Secondo Banca d’Italia, le banche italiane non incontreranno ostacoli per uniformarsi agli standard richiesti dalla nuova normativa. Alcuni studi condotti da BIS ed EBA, che monitorano periodicamente il processo di convergenza verso gli standard richiesti, mostrano come la maggior parte delle banche a livello internazionale soddisfi già oggi i requisiti.

Le problematiche aperte sono principalmente tre:

  • effetti sul ruolo delle banche in merito alla trasformazione delle scadenze,
  • possibili distorsioni sul mercato conseguenti alla concentrazione da parte degli intermediari su alcune asset classes,
  • calibrazione dell’NSFR.

Entro la fine dell’anno si completerà il processo di definizione dell’NSFR, che entrerà in vigore nel 2018. L’LCR verrà invece introdotto dal 1° gennaio 2015 con una soglia minima richiesta del 60%, che verrà innalzata del 10% annuo fino a raggiungere il 100%.

1.      Motivazioni e definizioni

Durante la prima fase della crisi finanziaria cominciata nel 2007 molte banche, sebbene avessero adeguati livelli patrimoniali, hanno riscontrato delle difficoltà nella gestione della propria posizione di liquidità. Ad esempio, sono stati frequenti i casi di fire sales (vendite di asset a prezzi estremamente scontati) per soddisfare un bisogno imminente di liquidità. Non sono mancati esempi di bank runs sia da parte di depositanti (Northern Rock) che di investitori istituzionali (Bear Stearns). La crisi ha evidenziato l’importanza di una corretta gestione della liquidità da parte degli intermediari finanziari al fine di garantire la loro solidità e la stabilità finanziaria a livello di sistema. Per questo motivo il Comitato di Basilea nel 2008 ha pubblicato, come schema per la regolamentazione dei principi di liquidità, il documento “Principles for Sound Liquidity Risk Management and Supervision (“Sound Principles”)”, a seguito del quale sono stati sviluppati due standard minimi.

Il primo è il Liquidity Coverage Ratio (LCR) che ha come obiettivo il rafforzamento della resilienza a breve termine del profilo di liquidità della banca. L’obiettivo è quello di assicurare che la banca abbia sufficienti assets altamente liquidi al fine di fronteggiare gli impegni dal lato delle uscite in uno scenario di stress su un orizzonte temporale di un mese. La versione definitiva dell’indicatore è stata pubblicata a Gennaio 2013. L’LCR si rifà alle metodologie tradizionali di “indice di copertura” della liquidità utilizzate internamente dalle banche per valutare l’esposizione a eventi aleatori di liquidità, e viene calcolato come rapporto tra lo stock dei cosiddetti HQLA (High Quality Liquid Assets) – composti da contanti e attività che possano essere convertite in contanti con una perdita modesta o nulla – e il totale dei deflussi di cassa netti (deflussi di cassa attesi al netto degli afflussi di cassa attesi nell’arco di 30 giorni) in uno scenario di stress, che considera eventi quali prelievi dai depositi al dettaglio, aumento delle volatilità del mercato e deflussi contrattuali. Per essere classificato come HQLA, un asset deve essere facilmente liquidabile sul mercato anche in periodi di tensione e deve essere possibile utilizzarlo come collaterale presso la banca centrale. Deve inoltre presentare un’elevata affidabilità creditizia (bassissimo rischio di default) con una bassa volatilità e una scarsa correlazione rispetto alle attività rischiose come le obbligazioni bancarie.

Il totale dei deflussi di cassa attesi è determinato moltiplicando i saldi delle varie tipologie di passività/raccolta e “impegni fuori bilancio” per dei moltiplicatori che dovrebbero descrivere il saggio di prelievo. Il totale degli afflussi di cassa attesi è ottenuto moltiplicando i saldi delle diverse tipologie di crediti/impieghi per i relativi moltiplicatori ai quali ci si attende che essi affluiscano. Il totale degli afflussi di cassa è soggetto ad un massimale aggregato pari al 75% dei deflussi di cassa attesi.

Il requisito prevede che il valore del rapporto non sia inferiore al 100%.

Il secondo indice è il Net Stable Funding Ratio (NSFR), che punta a rafforzare invece la resilienza su un più lungo orizzonte temporale (un anno). L’NSFR è definito come il rapporto tra l’ammontare disponibile di provvista stabile (Available Amount of Stable Funding, ASF) e l’ammontare obbligatorio di provvista stabile (Required Amount of Stable Funding, RSF). Anche qui, il requisito imposto è che tale rapporto sia maggiore del 100%. L’orizzonte temporale considerato per valutare la provvista stabile è di un anno:

Per provvista stabile si intendono “i tipi e gli importi di capitale di rischio e di debito che si ritiene costituiscano fonti affidabili di fondi su un orizzonte temporale di un anno in condizioni di stress prolungato”. L’ammontare disponibile (ASF) di tale provvista è quella parte di patrimonio e di passività che è ritenuta essere ‘‘affidabile’’ entro l’anno: capitale, azioni privilegiate con scadenza uguale o superiore all’anno, passività con scadenza pari o superiore l’anno; la porzione dei depositi a vista fonte di funding per un periodo di tempo esteso, la quota di funding wholesale per un periodo di tempo esteso.

L’ammontare obbligatorio (RSF) è invece l’ammontare di provvista richiesto all’intermediario. Tale ammontare è calcolato in funzione di alcune caratteristiche delle attività detenute e delle esposizioni fuori bilancio, quali ad esempio la vita residua o altre caratteristiche di liquidità. Esso è composto dagli investimenti in “attività meno liquide” che approssimano la necessità di funding stabile, quali azioni e obbligazioni, prestiti, immobili, partecipazioni e operazioni fuori bilancio. I valori contabili a bilancio vengono attribuiti a una delle categorie stabilite dal documento del Comitato di Basilea, a cui sono associati dei fattori di haircut per l’ASF e per il RSF, coefficienti di ponderazione che vengono applicati alle rispettive voci. Le due somme ponderate di tali valori vanno a costituire rispettivamente il numeratore e il denominatore dell’NSFR.

2.      Criticità e benefici

Tra le problematiche riguardanti gli indicatori di liquidità introdotti dal Comitato di Basilea ci sono alcune questioni aperte sulla calibrazione dell’NSFR. Rispetto alla definizione iniziale sono stati aggiustati alcuni fattori di haircut della provvista stabile (ASF) e richiesta (RSF) per rispondere a una triplice esigenza: un maggiore allineamento con l’LCR, maggiore attenzione alla provvista a breve termine (con fonti di finanziamento più volatili), riduzione del cliff effect (rischio derivante da variazioni improvvise) nella misurazione della stabilità dei finanziamenti. Le principali modifiche dei fattori ASF e RSF sono esposte nel paragrafo 4.

Uno dei punti critici principali dell’NSFR riguarda il fatto che l’attuazione di tale indicatore potrebbe portare a distorsioni con un impatto negativo circa il ruolo tradizionale svolto dalle banche in merito alla trasformazione delle scadenze. L’attività bancaria trae profitto da investimenti a medio-lungo termine a fronte di una raccolta a breve termine che solitamente avviene ad un tasso contenuto; così facendo gli intermediari svolgono un ruolo positivo per l’economia facendo ‘‘incontrare’’ i risparmiatori, che desiderano detenere attività a breve termine, e le imprese che invece hanno bisogno di finanziarsi a medio-lungo termine. L’NSFR rischia di impattare pesantemente questo modello in quanto il rapporto punta ad allineare le scadenze e a coprire investimenti a medio-lungo termine con finanziamenti di pari durata che risultano essere più costosi rispetto al funding a breve. Come conseguenza dell’introduzione di tale indicatore, potremmo osservare una diminuzione dei prestiti erogati dalle banche, che verrebbero sostituiti con investimenti finanziari più sicuri. Il NSFR potrebbe dunque portare ad una disintermediazione bancaria con le imprese che dovrebbero finanziarsi direttamente sui mercati, o tramite altri canali quali il sistema bancario ombra (shadow banking) e le cartolarizzazioni ([9]).

Un altro punto critico in merito alla definizione dell’NSFR riguarda il comportamento di investitori e risparmiatori in condizioni di stress di liquidità. Si pensi ad esempio ai depositi, con il rischio di corse agli sportelli, o ad asset classes in cui potrebbero esserci vendite o acquisti in massa, a discapito di altre. Sembra quindi difficile determinare quali voci di bilancio possano essere considerate come “stabili” o “instabili”, e costituire quindi la provvista stabile con cui calcolare l’NSFR. Ancora più complicata è la calibrazione di fattori di haircut che dovrebbero tenere conto di tali comportamenti. [8] giungono addirittura a dubitare dell’efficacia dell’introduzione di requisiti di liquidità, quali LCR e NSFR, per quelle banche che hanno dimostrato in passato di non avere problemi di insolvenza e di capitale.

Essendo stato sviluppato prima dell’NSFR e più volte rivisto, non si registrano particolari criticità per quanto riguarda l’LCR se non il timore per gli effetti che deriverebbero dalla (indotta) concentrazione in particolari asset classes da parte dei principali gruppi bancari. Si potrebbe innescare un meccanismo di “corsa ai titoli più liquidi” (quelli con fattori di penalizzazione minori), con annessa diminuzione dei loro rendimenti e loro immobilizzazione nei portafogli bancari al fine di soddisfare i vincoli di liquidità richiesti. D’altro canto le banche, alla ricerca di rendimenti elevati, sarebbero portate ad operare in modo più aggressivo sulle asset classes non vincolate al soddisfacimento degli indicatori. Questo potrebbe portare all’assunzione di rischi eccessivi. La segmentazione dei titoli ai fini regolamentari porta con sé distorsioni nel mercato finanziario che debbono essere valutate con attenzione: diminuzione dei rendimenti dei titoli liquidi, aumento di rendimenti dei titoli meno liquidi. Questa considerazione si applica anche al NSFR.

Secondo gli studi di Banca d’Italia, la maggior parte delle banche italiane (tra cui le prime cinque) non avranno problemi a soddisfare gli standard richiesti da Basilea III sul fronte della liquidità, avendo ottenuto, a Giugno 2012, un LCR medio superiore al 140% e un NSFR superiore al 100%. Per maggiori dettagli si rimanda a “Looking ahead to Basel III: Italian banks on the move” ([7]). I risultati di quantitative impact study globale sugli effetti dei nuovi standard di liquidità condotto dal Comitato di Basilea si trovano in “Results of comprehensive quantitative impact study” (Dicembre 2010) ([2]).

3.      Monitoring Report del 6 marzo

Il 6 marzo 2014 il Comitato di Basilea ha pubblicato ([11]) i risultati del monitoraggio di un insieme di banche che hanno fornito i propri dati volontariamente e confidenzialmente ai rispettivi supervisori nazionali. I dati si riferiscono al 30 giugno 2013. Le banche sono state suddivise in due gruppi:

  • Gruppo 1, che raccoglie le 102 banche che mostrano un Tier1 in eccesso di almeno 3 miliardi di euro e sono internazionalmente attive
  • Gruppo 2, costituito dalle restanti 124 banche.

Gli LCR medi dei due gruppi risultano essere, rispettivamente, 114% e 132%, comparabili con i valori calcolati a Dicembre 2012, che erano 119% per il Gruppo 1 e 126% per il Gruppo 2. È invece aumentato il numero delle Banche che soddisfa il requisito definitivo dell’LCR (dal 68% di Dicembre 2012 al 72%) e di quelle che soddisfano almeno il requisito minimo del 60% richiesto per il 2015 (dal 90% al 91%).

Nel campione si osserva la seguente composizione degli HQLA: in media, il 51.8% dei titoli è di Livello 1, a rischio zero, mentre il 31.9% è costituito da contanti e da riserve fruibili presso le banche centrali. Il restante 16.3% è costituito da asset di livello 1 ma a rischio non nullo e da titoli di livello 2A (14.3%) e 2B (2%).

Risultati simili sono stati riportati dall’EBA [12] per le banche europee. Qui il Gruppo 1 è costituito da 41 banche, il cui LCR medio è 104% (decresce di un 5% da Dicembre 2012), di queste 24 soddisfano il requisito del 100% e solo una è sotto il requisito del 60%. L’LCR medio del Gruppo 2, costituito da 127 banche, passa dal 127% di Dicembre 2012 al 133%. Tra queste, 88 (69.3%) raggiungono la soglia del 100%, mentre 23 sono ancora sotto la soglia del 60%. Rispettivamente l’86% e il 84% degli HQLA dei due gruppi è costituito da titoli di Livello 1.

4.      Ultime novità e prossimi passi

Il NSFR è stato definito per la prima volta dal Comitato di Basilea nel dicembre 2010 ([1]), con l’intenzione di sottoporlo a un periodo di osservazione per valutarne l’impatto e le eventuali criticità. Nel gennaio 2014 è uscito un nuovo documento del Comitato ([4]), in consultazione fino all’11 aprile 2014, in cui vengono proposte alcune modifiche riguardo soprattutto ai seguenti punti di attenzione: l’impatto sul business retail (attività al dettaglio) delle banche, la richiesta di provvista stabile a fronte di attività e passività a breve termine pareggiate, l’analisi delle fasce di scadenza inferiori a un anno per le attività e passività con scadenza. Rispetto alla definizione iniziale sono stati aggiustati i fattori di haircut di alcune voci della provvista stabile disponibile (ASF) e richiesta (RSF). Per quanto riguarda la provvista stabile disponibile i principali cambiamenti riguardano: ammissibilità dei depositi operativi (fattore ASF aumentato da 0% a 50%), precisazione del trattamento della provvista garantita (fattore ASF 50%), aumento dei fattori ASF (da 90% a 95%) per depositi stabili senza scadenza e a termine, classificazione più dettagliata delle passività con scadenza inferiore a un anno (ad alcune voci di passività con scadenza tra sei mesi e un anno si applica ora un fattore ASF del 50%, invece che lo 0% iniziale). Tra le modifiche della provvista stabile richiesta segnaliamo: maggiore coerenza con le definizioni di HQLA contenute nell’LCR, classificazione più dettagliata e riduzione dei fattori RSF per alcune attività diverse dagli HQLA, aumento dei fattori RSF (da 0% a 50%) per i prestiti interbancari con vita residua tra sei mesi e un anno. Per una visione più completa delle modifiche rimandiamo all’appendice del documento del Comitato di Basilea sull’NSFR ([4]), ricordando che queste sono tuttora sottoposte a consultazione e che non si esclude un successivo cambiamento nella versione definitiva dell’indicatore, attesa entro fine 2014.

L’NSFR entrerà in vigore nel gennaio 2018. Tale indicatore dovrà essere fornito dalle istituzioni bancarie alle rispettive autorità di vigilanza con frequenza trimestrale. L’LCR verrà invece introdotto il 1° gennaio 2015, ma il requisito minimo sarà fissato inizialmente al 60% e innalzato gradualmente ogni anno del 10% fino a raggiungere il 100% il 1° gennaio 2019. Questo approccio progressivo intende assicurare che l’introduzione dell’LCR non arrechi turbamenti di rilievo all’ordinato processo di rafforzamento dei sistemi bancari e al finanziamento corrente dell’economia reale. L’LCR deve essere segnalato alle autorità di vigilanza con cadenza almeno mensile, frequenza che può essere intensificata in particolari periodi di stress.

Nel gennaio 2014 il Comitato di Basilea ([6]) ha analizzato le particolari situazioni di alcuni Stati che non permettono strutturalmente alle banche domestiche di adeguarsi agli standard richiesti dall’LCR. Si tratta di paesi come Australia e Sud Africa le cui giurisdizioni non hanno sufficienti HQLA, avendo un debito sovrano contenuto e poche altre “qualifying securities”. In tali circostanze, e solo in queste, la regolamentazione permette alle banche centrali di fornire linee di liquidità vincolate alle banche domestiche dietro il pagamento di un tasso di interesse. Questo tipo di strumenti (Committed Liquidity Facilities, CLF) rappresenta un’innovazione interessante nel panorama del sistema bancario centrale e pone interessanti questioni, quali ad esempio il loro pricing. Nel paper viene presentato un modello che può essere usato per analizzare gli effetti di questa modifica all’LCR. Sebbene l’introduzione di questi strumenti non sembra essere necessaria se non in Australia, Sud Africa e in pochi altri paesi, è possibile che essi possano essere utilizzati anche in altre situazioni. I CLF potrebbero essere infatti di grande beneficio anche in paesi in cui c’è abbondanza di HQLA in quanto consentono alle banche centrali di porre un upper bound ai costi della regolamentazione della liquidità.

Sempre nel gennaio 2014 il Comitato di Basilea ha dato indicazioni sui criteri che gli organi di vigilanza dovrebbero utilizzare per monitorare l’LCR delle banche. In particolare, tali linee guida permettono di escludere, inserire o spostare un asset dal calcolo dell’HQLA e aumentarne gli scarti di garanzia. Le caratteristiche e i criteri che il paper suggerisce di prendere in considerazione durante il processo di classificazione degli asset sono sia caratteristiche proprie del titolo che del mercato. Vengono inoltre definiti gli approcci che possono essere seguiti dagli organi di vigilanza per definire tali caratteristiche: viene contemplato un approccio storico, un metodo predittivo ed un cosiddetto metodo “checklist”, nel quale i supervisors concepiscono un insieme di criteri che un titolo deve soddisfare per poter essere inserito in una particolare classe all’interno dell’HQLA. In particolare, questi criteri si riassumono in tre macrocategorie: caratteristiche dell’asset (probabilità di default, performance, volatilità), caratteristiche del mercato (grandezza e sede) e liquidità del mercato (profondità, ampiezza e immediacy).

Riferimenti

[1] Basel Committee of Banking Supervision (2010).  Basel III: International framework for liquidity risk measurement, standards and monitoring. (http://www.bis.org/publ/bcbs188.pdf)

[2] Basel Committee of Banking Supervision (2010).  Results of comprehensive quantitative impact study. (https://www.bis.org/publ/bcbs186.pdf)

[3] Basel Committee of Banking Supervision (2013).  The Liquidity Coverage Ratio and liquidity risk monitoring tools. (http://www.bis.org/publ/bcbs238.pdf)

[4] Basel Committee of Banking Supervision (2014).  Basel III: the Net Stable Funding Ratio – consultative document.(http://www.bis.org/publ/bcbs271.pdf)

[5] Basel Committee of Banking Supervision (2014).  Guidance for Supervisors on Market-Based Indicators of Liquidity. (http://www.bis.org/publ/bcbs273.pdf)

[6] Basel Committee of Banking Supervision (2014).  On the economics of committed liquidity facilities. (http://www.bis.org/publ/work439.pdf)

[7] Banca d’Italia (Francesco Cannata, Marco Bevilacqua, Simone Casellina, Luca Serafini e Gianluca Trevisan) (2013). Looking ahead to Basel III: Italian banks on the move. (http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/econo/quest_ecofin_2/qef157/QEF_157.pdf)

[8] Adrian Blundell-Wignall and Paul Atkinson (2010).Thinking beyond Basel III: necessary solutions for capital and liquidity. (http://www.oecd.org/finance/financial-markets/45314422.pdf)

[9] Finance & Strategy, The Financial Services blog of Sia Partners (2013).  The Net Stable Funding Ratio: Definition and impacts on the financial sector. (http://en.finance.sia-partners.com/20131204/the-net-stable-funding-ratio-definition-and-impacts-on-the-financial-sector/)

[10] A.Shleifer, R.Vishny (2010). Fire Sales in Finance and Macroeconomics. (http://www.nber.org/papers/w16642.pdf)

[11] Basel Committee of Banking Supervision (2014).  Basel III monitoring report. (http://www.bis.org/publ/bcbs278.pdf)

 [12] European Banking Authority (2014). Basel III monitoring exercise. (http://www.eba.europa.eu/documents/10180/534414/Basel+III+Monitoring+Exercise+Report+%28as+of+30+June+2013%29.pdf)

Cosa porta con sé l’EMIR
di Michele Bonollo e Giulia Simonetti

Mar 12 2014
Cosa porta con sé l’EMIR <small><small><I>di Michele Bonollo e Giulia Simonetti</I></small></small>

La crisi finanziaria del 2008, il crollo di Lehman Brothers, AIG e Bear Stearns  hanno messo in evidenza le significative debolezze nella regolamentazione del mercato dei derivati OTC (Over The Counter

In questo contesto si inserisce la European Market Infrastructure Regulation (EMIR) che propone un quadro normativo di riferimento per i contratti derivati OTC con l’obiettivo di aumentare la trasparenza, ridurre il rischio sistemico e garantire maggiore protezione dagli abusi di mercato.  Entro la fine del 2014 tutti i contratti derivati eligibili (standardizzati) saranno compensati attraverso delle CCPs (Central Counterparties) e le operazioni saranno segnalate ai repertori di dati TR (Trade Repository). L’EMIR introduce nuove procedure di compensazione, di comunicazione delle operazioni e di gestione dei rischi. Le modifiche apportate dalla normativa sono da considerarsi una vera e propria rivoluzione nel mondo finanziario sia dal punto di vista strutturale che gestionale. La stessa architettura dei collegamenti tra entità finanziare cambia e viene ad addensarsi sulle CCPs. Gli obblighi informativi e di gestione del rischio divengono più stringenti.

In molti, tra studiosi e professionisti, si stanno impegnando per fare chiarezza sulle conseguenze di tali modifiche. Due sono gli aspetti principali sui quali si cerca di avere una comprensione più chiara: l’introduzione delle CCPs in relazione alla diminuzione del rischio di controparte e l’obbligo del Repository per alcuni tipi di derivati nonché le modalità di un Repository double-sided.

  1. 1.      Il contenuto dell’EMIR

La crisi finanziaria del 2008, il crollo di Lehman Brothers, AIG e Bear Stearns  hanno messo in evidenza le significative debolezze nella regolamentazione del mercato dei derivati OTC (Over The Counter). Un mercato che in quell’anno riguardava operazioni per un nozionale di circa 650.000 miliardi di dollari. I principali problemi emersi sono due:

  • assenza di trasparenza
  • non conoscenza dell’esposizione indiretta al rischio sistemico.

Sin dalla sua nascita negli anni ’80, il mercato dei derivati OTC è cresciuto costantemente fino alla prima metà del 2008, nella seconda metà di quell’anno il mercato si è contratto per poi tornare a crescere negli anni successivi [1]. Nel 2013 è stato un anno da record: nei primi sei mesi dell’anno i contratti OTC hanno toccato il valore nozionale complessivo di 692.908 miliardi di dollari con una crescita del 10% rispetto a fine 2012 (633.000 miliardi), un valore pari a 10 volte quello dei contratti scambiati in Borsa. Una crescita dei volumi che è dovuta essenzialmente al mercato dei derivati sui tassi di interesse (che compongono circa l’80% del totale) e sulle valute. Per contro, si assiste al declino dei contratti di credit default swap (CDS) [2][3].

Nel 2009, il G20 di Pittsburgh ha proposto un’ampia gamma di riforme volte al rafforzamento delle fondamenta del sistema finanziario globale con lo scopo di migliorare il funzionamento dei mercati ed aumentare la trasparenza e le tutele per gli investitori. Si veda MAD I, MIFID I, Basilea 2 (CRD II) e 2.5 (CRDIII) e 3 (CRR/CRD IV) attive in Europa, la Dodd Frank attiva negli Stati Uniti e le MAD II / MAR , MIFID II / MIFIR in fase di definizione in Europa. In questo contesto si inserisce la European Market Infrastructure Regulation (EMIR) che propone un quadro normativo di riferimento per i contratti derivati OTC e per i derivati che hanno questi derivati come sottostanti con gli obiettivi di

  • aumentare la trasparenza,
  • ridurre il rischio sistemico
  • garantire maggiore protezione dagli abusi di mercato.

L’EMIR è entrata in vigore per fasi a partire dal 16 Agosto del 2012 ed è tuttora in via di applicazione. Essa si basa su tre pilastri fondamentali:

  • obbligo di clearing per tutti i derivati eligibili (derivati plain) che dovranno essere compensati attraverso una Controparte Centrale (CCP)
  • obbligo di collateral per tutti i derivati dichiarati non eligibili con margini di collateral standard imposti dalla normativa
  • obbligo, in entrambi i casi, di comunicare i contratti scambiati sia in borsa che in mercati OTC ad un Trade Repository (TR).

L’EMIR è indirizzata alla maggior parte delle imprese finanziarie e non finanziarie incorporate in Europa che sono controparti nei contratti derivati:

  • Controparti finanziarie (FC): banche, assicurazioni, società di investimento, gestori di fondi (OICR, SGR, alternative), broker e fondi pensioni.
  • Controparti non finanziarie con soglie di operatività rilevanti (NFC+): qualsiasi controparte stabilita in Europa che non sia definita come controparte finanziaria o come CCP e che superi le soglie di nozionale in derivati stabilite dall’articolo 11 del Regolamento Delegato UE 149/2013 (gross notional value maggiore di un miliardo per contratti di derivati di credito OTC, o contratti derivati OTC di equity,  la soglia diviene di tre miliardi per derivati OTC su tassi di interesse o forex exchange).
  • Controparti non finanziarie con soglie di operatività non rilevanti (NFC-): solo  obbligo di comunicazione ad un TR.

Entro la fine del 2014 tutti i contratti derivati eligibili saranno compensati attraverso delle CCPs e saranno segnalati ai repertori di dati TR. L’EMIR introduce nuove procedure di compensazione, di comunicazione delle operazioni e di gestione dei rischi. Tutti i contratti derivati considerati eligibili verranno regolati mediante le CCPs, i cui requisiti e autorizzazioni sono discussi negli articoli 14-50 del Regolamento UE 648/2012 del 04 Luglio 2012. Tutti gli altri derivati subiranno l’obbligo di collateralizzazione bilaterale tramite i Credit Support Annex (CSA). Con questi due provvedimenti l’EMIR mira a ridurre il rischio di credito di controparte e il rischio sistemico.

Tutti i contratti derivati stipulati dovranno essere segnalati da entrambe le controparti, anche in caso di controparti non finanziarie (NFC+ e NFC-), ai TR. Quest’ultima disposizione garantirà una maggiore trasparenza del mercato OTC e la possibilità per gli enti regolatori di monitorare il rischio sistemico. Inoltre nel regolamento Delegato 149/2013 l’EMIR prevede delle tecniche di mitigazione del rischio per derivati OTC non compensati mediante CCPs. Sono procedure volte a misurare, monitorare ed attenuare il rischio di controparte ed i connessi rischi operativi. Tecniche che si riflettono in ulteriori obblighi informativi come:

  • conferme tempestive delle negoziazioni: diversa tempistica per le comunicazioni assegnata alle NFC- e alle FC/NFC+, maggiore della tempestività a partire dal 31 Agosto 2014
  • riconciliazione dei portafogli con una frequenza diversificata per NFC-, FC/NFC+ e in base al numero dei contratti
  • dispute resolution: Le controparti hanno l’obbligo di pattuire per iscritto procedure che permettano di risolvere in maniera veloce ed amichevole eventuali dispute che possano insorgere in merito alla valutazione del valore delle operazioni ed allo scambio di collateral. Le controversie tra le parti che siano sorte da più di 15 giorni e che abbiano come oggetto operazioni di valore nominale superiore a 15 milioni devono essere segnalate alla CONSOB.
  • compressione dei portafogli: le controparti che hanno più di 500 posizioni aperte non oggetto di compensazione in una CCP devono predisporre procedure per vagliare periodicamente (almeno due volte l’anno) l’ipotesi di ricorrere alla compressione del portafoglio per ridurre il rischio di controparte.

2. Il ruolo delle CCPs: bilateral v.s. multilateral netting

Una CCP è un’entità legale indipendente che si interpone tra le parti contraenti di un contratto derivato. Quando la CCP subentra nel trading, il singolo contratto stipulato tra le due parti lascia il posto a due nuovi contratti tra la CCP e ciascuna delle due controparti. Dunque il buyer e il seller non sono più controparti fra loro, ma sono entrambe controparte della CCP, con la quale adempiono all’obbligo di clearing. Questo processo ha l’obiettivo di aumentare la trasparenza e ridurre il rischio di controparte.

L’introduzione delle CCPs muta la struttura del mercato che passa da un OTC bilaterale, eterogeneo per quanto riguarda i soggetti e al contempo omogeneo per quanto riguarda la rete, ad un modello più simile ad un hub and spoke in cui si accentrano gli scambi nelle CCPs. Questa modifica riduce il rischio sistemico in quanto si riduce l’effetto domino che si viene a creare in una rete bilaterale quando un’entità cade in default, default che va a riversarsi sui primi vicini e, se questi non riescono ad assorbire lo shock, sui secondi vicini e così via. Le CCPs hanno dei requisiti talmente stringenti per cui, almeno in teoria, non dovrebbero andare in default: ciascun aderente alla CCP è tenuto a versare del collateral a copertura dell’eventuale fallimento degli altri membri, questo sistema di garanzie dovrebbe evitare il collasso della stessa.

Il punto da chiarire è se l’architettura fortemente accentrata introdotta dall’EMIR riduca effettivamente il rischio di controparte. Da un lato con le CCPs è possibile sfruttare il multilateral netting tra le esposizioni e i pagamenti, con conseguente diminuzione del rischio di controparte per ogni soggetto coinvolto; in qualche misura il rischio controparte di una specifica operazione viene ad essere diversificato e assorbito dalle  altre operazioni e dal sistema di garanzie che gli aderenti alla CCP sono chiamati a fornire[1]. D’altro canto in alcuni scenari un sistema di multilateral netting risulta essere addirittura dominato (nel senso di maggiore esposizione media al rischio controparte) dal bilateral netting anche nel caso in cui il fallimento di una CCP sia escluso. In particolare si può dimostrare che aggiungere una CCP per lo scambio di un’unica classe di derivati riduca la netting efficiency portando ad un incremento dell’esposizione media al default di controparte[7]. Fare clearing di due o più classi di derivati in due CCPs distinte comporta un’esposizione di controparte sempre superiore rispetto a fare clearing per tutti i derivati nella stessa CCP.

Il fenomeno può essere spiegato considerando il trade-off tra le due diverse opportunità di netting:

  • bilateral netting che agisce su coppie di operatori ma su molteplici classi di prodotti/contratti
  • multilateral netting che agisce su più entità partecipanti ma su un sottoinsieme di prodotti (quella trattati dalla CCP).

L’introduzione di una CCP per una particolare classe di derivati è efficiente se e solo se l’opportunità del multilateral netting per questa classe domina – in termini di riduzione dell’effetto contagio – l’opportunità di bilateral netting degli altri derivati non cleared. Questo si verifica quando il numero clearing partecipants è sufficientemente più elevato rispetto alle esposizioni sui derivati che continuano ad essere bilaterally netted. Si può dimostrare che il numero delle classi di derivati uncleared dalla CCP deve essere minore di circa un quarto del numero dei partecipants.

In conclusione: tanto maggiore è il numero delle classi di derivati trattate dalla CCP e tanto maggiore è il numero di clearing partecipants tanto maggiore è la riduzione del rischio di controparte che si ottiene passando da un sistema bilaterale ad uno multilaterale di clearing.

Questo risultato implica che una molteplicità di CCPs non sia una soluzione efficiente in termini di esposizione media al rischio di controparte

 

3. Trade Repository

Il terzo pilastro dell’EMIR prevede la comunicazione al TR dei contratti scambiati sia in OTC (regalati o meno presso una CCP) che in borsa, dunque di derivati quotati e non. Questo è senza dubbio un passo da giganti nel campo della trasparenza. I TR saranno in possesso di una enorme quantità di dati che aiuteranno a monitorare il rischio sistemico e a verificare che non si concentri in specifici mercati/operatori.

I dati, in forma più o meno aggregata, saranno accessibili ad altri fruitori o autorità. Sono stati definiti tre livelli di accesso ai dati:

  • transaction level è l’informazione più granulare alla quale avranno accesso solo i regolatori.
  • position level con informazioni sulle controparti e sul sottostante. A questo livello avranno accesso alcune autorità (in base al loro mandato).
  • aggregate data con informazione sul sottostante ma non sulle controparti. A questo livello potranno accedere autorità e market players.

In molti hanno sollevato il dubbio sulla reale necessità della comunicazione al TR della stipula di contratti ETD (Exchange Traded Derivatives) nonostante siano, proprio perché quotati, già trasparenti e regolati dagli organi interni dei mercati borsistici.

Facendo un confronto tra l’EMIR e la Dodd Frank introdotta nel 2012 negli Stati Uniti, emergono differenze sostanziali in merito alle modalità di comunicazione ai TR. Negli Stati Uniti ci sono tre TR incaricate di collezionare i dati sui derivati OTC: le Swap Data Repository (SDR). Esse si occupano dei derivati di credito, tassi, forex exchange, equity commodity. Secondo la Dodd Frank una sola delle controparti deve fare comunicazione alla SDR del contratto stipulato. L’obbligo di comunicazione non riguarda i derivati quotati, nel caso di un contratto tra una finanziaria e una non finanziaria, la seconda è esentata dalla comunicazione [8]. In ogni caso non si ha una doppia comunicazione sullo stesso contratto come invece avviene con l’EMIR. Un aspetto che può causare problemi di mismatching nel caso in cui le due controparti usino modelli diversi di valutazione o procedano alla valutazione in istanti differenti. Senza tener conto di errori materiali che possono sorgere nel mapping dei dati anche a causa della grande quantità di campi richiesti nelle comunicazioni (85 tracciati per ESMA ma i TR ne richiedono anche di più). Un esempio che mostra tutta la complessità della comunicazione sui contratti derivati è fornito dal caso asiatico [9] laddove abbiamo più di una TR per giurisdizione, ognuna dei quali è regolata dal regolatore locale con differenti requisiti e caratteristiche per le comunicazioni. Anche in questo caso il reporting è double-sided. I problemi di armonizzazione tra i dati sono significativi.

4. News dall’ESMA

L’ESMA in data 14/02/2014 ha inviato un lettera (ref 2014/184) alla Commissione Europea chiedendo di fare chiarezza riguardo alla definizione di derivato all’interno della normativa EMIR. Questo perché, al momento, non vi è una definizione di derivato armonizzata per tutti i Paesi dell’Unione Europea, il che potrebbe complicare la corretta applicazione della normativa. La definizione di derivato fornita dall’EMIR rimanda alla lista degli strumenti finanziari menzionata nella MIFID I. Il problema sorge in quanto le trasposizioni della MIFID nei diversi Stati membri evidenziano più di una diversità.

L’ESMA si concentra sui Foreign Exchange Forwards e i Commodity Forward consegnati fisicamente. L’Esma richiede maggior chiarezza riguardo a:

  • definizione di derivati di cambio in relazione a:

-linea di confine tra uno spot e un forward: in alcuni Paesi dell’Unione i contratti forward con delivery date entro 7 giorni non sono considerati derivati ma spot, requisito che nella norma viene riconosciuto per i contratti con scadenza entro i 2 giorni. Di conseguenza per regolazioni da 3 a 7 giorni un contratto è considerato derivato o meno in base al Paese d’appartenenza.

-conclusione a scopi commerciali: nella lista della MIFID I Annex I section B(4) è specificato che un forex exchange è considerato derivato qualora connesso al provvedimento di servizi di investimento, dunque quando è usato come uno strumento ausiliario e non commerciale. Quindi non è chiaro se i forex exchange forward con conclusione a scopi commerciali debbano essere considerati derivati o meno.

  • definizione di commodity forward che possono essere consegnati fisicamente: nei punti 6,7 sezione C dell’Annex I della MIFID vengono menzionati i contratti consegnati fisicamente ma “consegnati fisicamente” non è un termine oggetto della MIFID.

Finché la Commissione Europea non avrà provveduto a chiarificazioni in merito, tenendo anche conto delle leggi nazionali, le autorità competenti nazionali non dovranno implementare le disposizioni EMIR su contratti non chiaramente identificati come contratti derivati nell’Unione. In particolare: FX forwards con delivery date a 7 giorni, FX forwards a scopi commerciali e commodity forwards consegnati fisicamente.

5. Informazioni pratiche

La regolamentazione si articola in 3 livelli

–         Regolamento UE 648/2012 del 4 luglio 2012

–         Regolamenti e delegati e di esecuzione

–         Linee guida ESMA – EBA – EIOPA

Il Regolamento UE 648/2012 del 4luglio 2012 è composto di nove parti e 91 articoli:

1) Oggetto, ambito  di applicazione (Artt 1-3)

2) Compensazione, segnalazione e attenuazione dei rischi (Artt 4-13)

3) Autorizzazione e vigilanza delle CCP (Artt 14-25)

4) Requisiti delle CCP (Artt. 26-50)

5) Accordi di interoperabilità(Artt 51-54)

6) Registrazione e supervisione dei repertori di dati (Artt 55-77)

7) Requisiti dei repertori di dati (Artt 78-82)

8) Disposizioni comuni (Artt 83-84)

9 )Disposizioni transitorie e finali (Artt 85-91)

Regolamenti Delegati:

–         Regolamento Delegato UE 148/2013: informazioni minime da segnalare al Trade Repository

–         Regolamento Delegato UE 149/2013: accordi indiretti, compensazione, controparti non finanziarie e tecniche di mitigazione dei rischi

–         Regolamento Delegato UE 150/2013: domanda di registrazione al Trade Repository

–         Regolamento Delegato UE 151/2013: Informazioni da pubblicare nei Trade Repository e standard operativi

–         Regolamento Delegato UE 152/2013: requisiti patrimoniali delle CCP

–         Regolamento Delegato UE 153/2013: requisiti per le CCP

Regolamenti di Esecuzione:

–         Regolamento di Esecuzione UE 1247/2012: formato e frequenza delle segnalazioni al Trade Repository

–         Regolamento di Esecuzione UE 1248/2012: formato della domanda di registrazione del Trade Repository

–         Regolamento di Esecuzione Ue 1249/2013; formato dei dati che le CCP sono tenute a conservare

Michele Bonollo e Giulia Simonetti

Riferimenti

[1] S.G.Cecchetti, J.Gyntelberg, M.Hollanders, BIS Quarterly Review (2009) “Central Counterparties for Over The Counter derivatives”

[2] G. Giudici (2013) “Nuovi record mondiali per i contratti derivati OTC nel 2013”  (www.borsaitaliana.it)

[3] Monetary and Economic Department, Bank of International Settlement (2013) “Statistical release – OTC derivatives statistics at end-June 2013”

[4] Banca dei Regolamenti Internazionali (BRI), 79° Relazione Annuale, cap. VII (2009) “I rischi e le opportunità: verso un sistema finanziario a prova di crisi”

[5] McMillan, W. W. Norton (2002) “Reinventing the bazaar: a natural history of markets”, 2002

[6] Duffie-Li-Lubke,  Federal Reserve Bank of New York staff reports, Research Paper no. 2046. “Policy perspective on OTC derivatives market infrastructure

[7] D.Duffie, H.Zhu, Graduate School of Business Stanford University (2009) “Does a Central Clearing Counterparty reduce counterparty risk?”

[8] Andrew Green (2013) “Trade Reporting Requirements: EMIR vs. Dodd-Frank and Making Sense of Your Global Obligations”( http://derivsource.com/articles/trade-reporting-requirements-emir-vs-dodd-frank-and-making-sense-your-global-obligations)

[9] J. Kan, Asia Risk  (2013) “Multiple Trade Repositories cause reporting headache in Asia”

La BCE pubblica il manuale per l’esame della qualità degli attivi

Mar 11 2014

La Banca Centrale Europea ha pubblicato oggi, nell’ambito del processo di Asset Quality Review, un manuale in cui vengono fornite maggiori informazioni circa il processo di revisione degli attivi in corso. Tra i temi affrontati, le procedure per la validazione dei dati e le modalità necessarie per garantire la qualità e tempestività dei dati forniti.

 

Premere qui per leggere il comunicato stampa, qui per accedere direttamente al manuale.

Banca d’Italia: prestiti alle imprese ancora in diminuzione

Mar 11 2014

La Banca d’Italia ha pubblicato una nota in cui analizza i dati sino al gennaio di quest’anno dei principali indicatori bancari. I prestiti alle imprese risultano ancora in diminuzione, sebbene a un tasso minore rispetto al passato, le sofferenze bancarie sono in lieve diminuzione, mentre la raccolta da privati rimane in aumento.

 

Per ulteriori informazioni, premere qui.

Report OCSE: rischio deflazione, la BCE aumenti gli stimoli monetari

Mar 11 2014

L’organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) ha pubblicato oggi un Interim Economic Assessment, in cui analizza le prospettive dei principali indicatori macroeconomici. L’organizzazione con sede a Parigi ha evidenziato i persistenti rischi di deflazione nell’area euro e la necessità che la BCE mantenga o aumenti gli stimoli monetari in vigore.

Premere qui per visualizzare il report.

Report dell’EBA sulle definizioni di indice di leva finanziaria

Mar 09 2014

L’autorità bancaria europea (EBA) ha pubblicato un report per analizzare le definizioni di leverage ratio della Capital Requirements Regulation (CRR) e del Comitato di Basilea, quest’ultima pubblicata il 12 gennaio 2014 (qui).

I risultati, ottenuti su un campione di 173 banche di 18 stati membri, evidenziano che l’indice di leva finanziaria ottenuto con la nuova definizione è sostanzialmente in linea con la definizione della CRR. L’EBA consiglia quindi l’adozione da parte della Commissione Europea della nuova descrizione, in quanto più accurata.

 

Qui il report dell’EBA.

Basilea 3: analisi sullo stato dell’arte

Mar 09 2014

Il Comitato di Basilea ha pubblicato i risultati dell’esercizio di monitoraggio di Basilea 3. 227 banche hanno partecipato allo studio, di cui 102 appartenenti al Gruppo 1 (Tier 1 superiore ai 3 miliardi) e 125 al Gruppo 2.

Tutti i principali indicatori (CET 1, leverage ratio, Liquidity Coverage Ratio) sono stati monitorati supponendo che la normativa fosse già pienamente in vigore. I dati sono aggiornati al 30 giugno 2013.

 

Qui i risultati dell’analisi a livello aggregato e qui i risultati a livello europeo (analisi condotta dall’EBA).

Intervento del governatore della Banca d’Italia al congresso ASSIOM FOREX

Feb 11 2014

Il Governatore Ignazio Visco è intervenuto al 20° Congresso degli operatori finanziari, organizzato a Roma da ASSIOM FOREX (The Financial Markets Association of Italy – Associazione degli Operatori Finanziari).

Tra i temi trattati da Visco, di particolare importanza per il settore finanziario sono le variazioni degli indici patrimoniali, l’azione di vigilanza e l’avanzamento del progetto di unione bancaria.

 

http://www.bancaditalia.it/interventi/integov/2014/forex-08022014/Visco_08022014.pdf