Hierarchical Risk Parity
a cura di Attilio Borneo

Dic 10 2021
Hierarchical Risk Parity a cura di Attilio Borneo

Il pioniere della moderna teoria dell’Asset Allocation, primo ad aver applicato una modellistica matematica alla finanza, è stato Harry Markowitz che ha introdotto la teoria della media-varianza, stravolgendo il settore dell’Asset Management e permettendo di trovare una relazione uno a uno tra la varianza ed il rendimento di un investimento. A causa delle difficoltà nella stima dei rendimenti, la strategia di Markowitz ha mostrato spesso risultati molto distanti da quelli attesi e allocazioni di portafoglio poco diversificate.

Per superare il problema dell’instabilità della previsione dei rendimenti sono state sviluppate strategie di allocazioni di portafoglio, minimum variancerisk paritymaximum diversification, forecast free e risk-based, dipendenti solamente dai parametri di rischio degli asset in portafoglio.

La strategia Hierarchical Risk Parity è basata sulla teoria dei grafi e le tecniche di Machine Learning e ha come obiettivo la risoluzione delle inefficienze della teoria di Markowitz e delle strategie Risk Based. La strategia , costruendo una struttura gerarchica tra gli attivi rischiosi, fornisce agli investitori un approccio meno volatile e con un livello di diversificazione più elevato. 

L’algoritmo di costruzione della strategia si suddivide in tre passi:

  1. Tree Clustering

Una delle più marcate inefficienze della strategia di Markowitz è che tutti gli asset vengono considerati potenziali sostituti l’uno dell’altro senza considerare alcuna nozione gerarchica né economica. Il concetto di clusterizzazione viene introdotto per impostare un’allocazione dei pesi prima all’interno dei cluster, formati da asset che presentano una correlazione tra di loro più forte, e poi considerando il portafoglio nella sua interezza

Al termine del processo di Tree Clustering si ottiene un dendrogramma che lega gli asset maggiormente correlati mediante una struttura ad albero composta da tanti piccoli cluster come illustrato in figura 1.

Figura 1: Tree Clustering
  1. Quasi Diagonalization

Nel processo di Quasi-Diagonalization viene costruita una matrice di correlazione riordinata secondo l’informazione ottenuta dal processo di Tree-Clustering. Il risultato è una matrice che presenta attorno alla sua diagonale gli asset maggiormente correlati tra loro, come illustrato dalla figura 2.

Figura 2: Quasi-Diagonalization
  1. Recursive Bisection

Recursive Bisection è l’ultimo passaggio della strategia Hierarchical Risk Parity, utile per l’assegnazione dei pesi utilizzando l’allocazione Risk Parity. L’algoritmo di recursive bisection è implementato da una funzione iterativa che assegna i pesi agli asset del portafoglio. 

Per una migliore comprensione dell’efficacia della strategia HRP è molto utile un confronto tra la stessa e le strategie risk-based precedentemente nominate. 

Il primo confronto proposto è basato sull’analisi storica sia della strategia Hierarchical Risk Parity che della strategia Risk Parity. Le serie storiche prese in considerazione per l’analisi ricoprono un orizzonte temporale di 24 anni, dal 2007 ad oggi. L’analisi storica, condotta su base mensile, consiste nello sviluppo di un backtesting utilizzando un in-sample-period di 60 mesi. Il risultato ottenuto dall’analisi storica, in termine di rendimento cumulato, è illustrato nella figura 3:

Figura 3: Confronto tra strategia Hierarchical Risk Parity e strategia Risk Parity

Dal grafico si osserva come le due curve seguono lo stesso trend nel periodo di osservazione presentando però delle differenze in termini di rendimento e volatilità: 

  • La strategia Risk Parity (in azzurro) presenta un andamento più volatile e ripaga l’investitore con un rendimento maggiore nel tempo
  • La strategia Hierarchical Risk Parity (in arancio) presenta invece un andamento meno volatile e più stabile nel tempo, con scostamenti molto lievi. Una strategia con un andamento così poco volatile paga all’investitore un rendimento minore nel tempo.

Il confronto basato sull’analisi storica prosegue mediante il calcolo delle misure di performance. Il Portfolio Return esprime il rendimento complessivo ottenuto da ogni strategia su tutto il periodo di osservazione. Per la strategia HRPil suo valore è pari a 179,5% invece per la strategia Risk Parity il Portfolio Return è 330,7%. Il calcolo della Volatility annua conferma quanto anticipato in precedenza, ossia che un rendimento maggiore paga un livello di volatilità più alto. Infatti il valore della Volatility annua per la strategia Risk Parity è del 7,6%, valore maggiore rispetto al 4,5% della Hierarchical Risk Parity. Oltre al calcolo della volatilità e del rendimento è molto utile andare a calcolare la statistica Sharpe Ratio, la quale combina l’informazione derivante dal rendimento e dalla volatilità. Con lo Sharpe Ratio, infatti, un investitore può capire effettivamente quanto il suo investimento è compensato per il rischio che lo stesso comporta. La strategia Hierarchical Risk Parity presenta uno Sharpe Ratio maggiore rispetto alla strategia Risk Parity, rispettivamente 0,818 contro 0,804, due valori comunque molto vicini tra di loro. Un’altra statistica molto utilizzata dagli asset manager per confrontare le strategie è il Maximum Drawdown che quantifica il peggior scenario possibile di perdita che il portafoglio può avere. La strategia Hierarchical Risk Parity presenta un valore del Maximum Drawdown maggiore rispetto alla Risk Parity. I valori sono rispettivamente il -13,45% ed il -19,54%. L’ultima, non per importanza, è la statistica Calmar Ratio che considera il rendimento annuo che un portafoglio ottiene aggiustato per il Maximum Drawdown. Anche in questo caso il valore migliore lo ottiene la strategia HRP: 0,413 contro 0,409 della strategia Risk Parity.

La figura 4 riassume le statistiche calcolate per le due strategie di Asset Allocation.

Figura 4: Riassunto delle statistiche

Per valutare la robustezza della strategia Hierarchical Risk Parity rispetto alle altre strategie di asset allocation è utile condurre un test di robustezza al rischio di stima della matrice di covarianza per poi confrontarne i risultati con quelli ottenuti dallo stesso test applicato alle strategie risk based, i cui valori sono tratti dal paper “A CRITICAL ASSESSMENT OF DIVERSIFICATION METRICS FOR PORTFOLIO CONSTRUCTION” di G. Pola.

Si testa la robustezza della strategia con un esperimento Montecarlo, considerando 10 asset aventi volatilità che va dall’1% al 10% e due scenari di correlazione: forte e debole. Con questi dati è possibile costruire la matrice di covarianza corretta e calcolare i pesi degli asset all’interno del portafoglio. Il passo successivo è quello di aggiungere del noise alle serie storiche per poi stimare una nuova matrice di covarianza e una nuova combinazione dei pesi degli asset all’interno del portafoglio. L’esperimento viene ripetuto per 10000 volte e si va a calcolare il turnover medio tra il portafoglio chiamato “esatto” e i 10000 portafogli simulati. L’esperimento Montecarlo si ripete su tre diversi orizzonti temporali: 36 mesi, 60 mesi e 120 mesi. 

Per verificare la robustezza della strategia HRP al rischio di stima della matrice di covarianza rispetto alle altre strategie di Asset Allocation si confrontano i turnover medi di portafoglio delle strategie. Le strategie a confronto sono Maximum Diversification, Risk Parity ERC, Naive Risk Parity , PCA Risk Parity e Hierarchical Risk Parity. Dal confronto è possibile osservare come le strategie meno robuste in termini di estimation risk sono la Risk Parity PCA e il Maximum Diversification manifestando una forte dipendenza rispetto alla stima della matrice di covarianza e di conseguenza un livello di turnover maggiore rispetto alle altre strategie. Quelle più robuste invece sono la Risk Parity ERC e la Naive Risk Parity, in particolare quest’ultima dipende solamente dalla volatilità neutralizzando completamente l’effetto dei coefficienti di correlazione tra gli asset. La stategia HRP si interpone nel mezzo, presentando un Turnover leggermente più basso del Maximum Diversification e leggermente più alto della Risk Parity ERC. La figura 5 riassume quanto appena detto.

Figura 5: Turnover

Un altro test utile al confronto tra le differenti strategie è quello della Duplication Invariance, trattato nel paper “Entropy, Diversification and the Inefficient Frontier” di G. Pola e A.Zerrad. Con il test della Duplication Invariance vengono messe a confronto le seguenti strategie: Risk Parity ERC, Risk Parity PCA, Maximum Diversification e Hierarchical Risk Parity. Se dovesse essere rispettata la Duplication Invariance allora un portafoglio, all’interno del quale un asset viene duplicato, dovrebbe produrre lo stesso risultato in termini di Asset Allocation nonostante la duplicazione dell’asset.

Nel caso di 3 asset le differenti strategie restituiscono il portafoglio in figura 6.

Figura 6

Dalla duplicazione  dell’Asset 1 si ottiene invece il portafoglio in figura 7.

Figura 7

E’ possibile osservare come, a differenza di tutte le altre strategie analizzate, la strategia Maximum Diversification sia l’unica a rispettare il concetto di Duplication Invariance generando due portafogli identici nonostante la duplicazione dell’asset 1. Per soddisfare la duplication invariance però la strategia Maximum Diversification ha bisogno di utilizzare fortemente la correlazione tra gli asset e il prezzo da pagare è una forte sensibilità all’Estimation Risk. 

In conclusione si può constatare come la strategia Hierarchical Risk Parity non presenta risultati molto distanti da tutte le strategie risk based, bensì si pone molto vicina alla Risk Parity sia in termini di robustezza nei confronti dell’estimation risk sia in termini di coerenza al concetto di Duplication Invariance. Nei confronti della tradizionale Risk Parity però la Hierarchical Risk Parity presenta delle misure di performance di portafoglio leggermente migliori trainate soprattutto da un livello di volatilità più basso. Il miglioramento in termini di Sharpe Ratio, Maximum Drawdown e Calmar Ratio infatti costano alla strategia HRP la perdita di un rendimento annuo maggiore del 2%.

Il termometro dei mercati finanziari (3 Dicembre 2021)
a cura di Emilio Barucci e Daniele Marazzina

Dic 05 2021
Il termometro dei mercati finanziari (3 Dicembre 2021) a cura di Emilio Barucci e Daniele Marazzina

L’iniziativa di Finriskalert.it “Il termometro dei mercati finanziari” vuole presentare un indicatore settimanale sul grado di turbolenza/tensione dei mercati finanziari, con particolare attenzione all’Italia.

Significato degli indicatori

  • Rendimento borsa italiana: rendimento settimanale dell’indice della borsa italiana FTSEMIB;
  • Volatilità implicita borsa italiana: volatilità implicita calcolata considerando le opzioni at-the-money sul FTSEMIB a 3 mesi;
  • Future borsa italiana: valore del future sul FTSEMIB;
  • CDS principali banche 10Ysub: CDS medio delle obbligazioni subordinate a 10 anni delle principali banche italiane (Unicredit, Intesa San Paolo, MPS, Banco BPM);
  • Tasso di interesse ITA 2Y: tasso di interesse costruito sulla curva dei BTP con scadenza a due anni;
  • Spread ITA 10Y/2Y : differenza del tasso di interesse dei BTP a 10 anni e a 2 anni;
  • Rendimento borsa europea: rendimento settimanale dell’indice delle borse europee Eurostoxx;
  • Volatilità implicita borsa europea: volatilità implicita calcolata sulle opzioni at-the-money sull’indice Eurostoxx a scadenza 3 mesi;
  • Rendimento borsa ITA/Europa: differenza tra il rendimento settimanale della borsa italiana e quello delle borse europee, calcolato sugli indici FTSEMIB e Eurostoxx;
  • Spread ITA/GER: differenza tra i tassi di interesse italiani e tedeschi a 10 anni;
  • Spread EU/GER: differenza media tra i tassi di interesse dei principali paesi europei (Francia, Belgio, Spagna, Italia, Olanda) e quelli tedeschi a 10 anni;
  • Euro/dollaro: tasso di cambio euro/dollaro;
  • Spread US/GER 10Y: spread tra i tassi di interesse degli Stati Uniti e quelli tedeschi con scadenza 10 anni;
  • Prezzo Oro: quotazione dell’oro (in USD)
  • Spread 10Y/2Y Euro Swap Curve: differenza del tasso della curva EURO ZONE IRS 3M a 10Y e 2Y;
  • Euribor 6M: tasso euribor a 6 mesi.

I colori sono assegnati in un’ottica VaR: se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 15%, il colore utilizzato è l’arancione. Se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 5% il colore utilizzato è il rosso. La banda (verso l’alto o verso il basso) viene selezionata, a seconda dell’indicatore, nella direzione dell’instabilità del mercato. I quantili vengono ricostruiti prendendo la serie storica di un anno di osservazioni: ad esempio, un valore in una casella rossa significa che appartiene al 5% dei valori meno positivi riscontrati nell’ultimo anno. Per le prime tre voci della sezione “Politica Monetaria”, le bande per definire il colore sono simmetriche (valori in positivo e in negativo). I dati riportati provengono dal database Thomson Reuters. Infine, la tendenza mostra la dinamica in atto e viene rappresentata dalle frecce: ↑,↓, ↔  indicano rispettivamente miglioramento, peggioramento, stabilità rispetto alla rilevazione precedente.

Disclaimer: Le informazioni contenute in questa pagina sono esclusivamente a scopo informativo e per uso personale. Le informazioni possono essere modificate da finriskalert.it in qualsiasi momento e senza preavviso. Finriskalert.it non può fornire alcuna garanzia in merito all’affidabilità, completezza, esattezza ed attualità dei dati riportati e, pertanto, non assume alcuna responsabilità per qualsiasi danno legato all’uso, proprio o improprio delle informazioni contenute in questa pagina. I contenuti presenti in questa pagina non devono in alcun modo essere intesi come consigli finanziari, economici, giuridici, fiscali o di altra natura e nessuna decisione d’investimento o qualsiasi altra decisione deve essere presa unicamente sulla base di questi dati.

Indice di turbolenza dei mercati (30 Novembre 2021)
a cura di Gianni Pola e Antonello Avino

Dic 04 2021
Indice di turbolenza dei mercati (30 Novembre 2021) a cura di Gianni Pola e Antonello Avino

L’indicatore di Mahalanobis permette di evidenziare periodi di stress nei mercati finanziari. Si tratta di un indicatore che dipende dalle volatilità e dalle correlazioni di un particolare universo investimenti preso ad esame. Nello specifico ci siamo occupati dei mercati azionari europei e dei settori azionari globali.

Gli indici utilizzati sono:

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Le volatilità riportate sono storiche e calcolate sugli ultimi 30 trading days disponibili. Per ogni asset-class dunque sono prima calcolati i rendimenti logaritmici dei prezzi degli indici di riferimento, successivamente si procede col calcolo della deviazione standard dei rendimenti, ed infine si procede a moltiplicare la deviazione standard per il fattore di annualizzazione.

Per il calcolo della distanza di Mahalnobis si procede dapprima con la stima della matrice di covarianza tra le asset-class. Si considera l’approccio delle finestre mobili. Come con la volatilità, si procede prima con il calcolo dei rendimenti logaritmici e poi con la stima storica della matrice di covarianza, come riportato di seguito.

Supponendo una finestra mobile di  T periodi, viene calcolato il valore medio e la matrice varianza covarianza al tempo t come segue:

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La distanza di Mahalanobis è definita formalmente come:

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Le parametrizzazioni che sono state scelte sono:

  • Rilevazioni mensili
  • Tempo T della finestra mobile pari a 5 anni (60 osservazioni mensili)

Le statistiche percentili sono state calcolate a partire dalla distribuzione dell’indicatore di Mahalanobis dal Dicembre 1997 al Dicembre 2019 su rilevazioni mensili.

Ulteriori dettagli sono riportati in questo articolo.

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EIOPA publishes monthly technical information for Solvency II Relevant Risk Free Interest Rate Term Structures and parallel technical information

Dic 03 2021

Today, the European Insurance and Occupational Pensions Authority (EIOPA) published technical information on the relevant risk free interest rate term structures (RFR) with reference to the end of November 2021

https://www.eiopa.europa.eu/media/news/eiopa-publishes-monthly-technical-information-solvency-ii-relevant-risk-free-interest-3_en

ESMA PUBLISHES DRAFT COMMODITY DERIVATIVE TECHNICAL STANDARDS UNDER MIFID II RECOVERY PACKAGE

Dic 03 2021

The European Securities and Markets Authority (ESMA), the EU’s securities markets regulator, has today published its Final Report on draft Regulatory Technical Standards (RTS) for commodity derivatives under the MiFID II Recovery Package…

https://www.esma.europa.eu/press-news/esma-news/esma-publishes-draft-commodity-derivative-technical-standards-under-mifid-ii

Impatto dei Criteri ESG nella Costruzione di Portafoglio
a cura di Luca Serioli

Dic 02 2021
Impatto dei Criteri ESG nella Costruzione di Portafoglio a cura di Luca Serioli

L’urgenza di contenere il cambiamento climatico ha obbligato gli Stati, e in particolare l’Unione europea, a spingere sull’acceleratore per coinvolgere i capitali privati nella lotta al riscaldamento del pianeta.

Il Trattato di Parigi del 2015 è stato il vero snodo per tutte le attività di lotta al cambiamento climatico. L’Unione europea ha realizzato un set di regole sul versante della classificazione delle attività economiche per aver una politica di tassonomia che consideri l’impegno delle società nelle tematiche ESG, stabilendo quali attività sono ambientalmente sostenibili e quali no.  L’impegno europeo verso la sostenibilità ha acquisito ulteriore slancio nel 2019, con l’insediamento della nuova Commissione Europea e il lancio della agenda 2019-2024, che ha al primo punto il “Green Deal europeo”.  Obiettivo della nuova Commissione è rimuovere una serie di misure per rendere più sostenibili e meno dannosi per l’ambiente la produzione di energia e lo stile di vita dei cittadini europei entro il 2050. Il Green Deal sarà finanziato con una ingente quantità di denaro, pubblico e privato. Per il 2030 l’obiettivo sarà quello di mobilitare circa 1.000 miliardi di euro per finanziarlo, più o meno 100 miliardi all’anno con l’obiettivo principale di limitare l’aumento del riscaldamento globale, che secondo le stime del Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico (IPCC) dell’ONU deve rimanere entro gli 1,5 °C.

Questo contesto ha creato la necessità di classificare e valutare le diverse imprese in termini ESG. Il Rating ESG (o Rating di sostenibilità) infatti è un giudizio sintetico che certifica la solidità di un emittente, di un titolo o di un fondo dal punto di vista degli aspetti ambientali, sociali e di governance. Non sostituisce il Rating tradizionale ma è complementare e il suo scopo è quello di aumentare le informazioni disponibili e quindi migliorare le valutazioni e le scelte. Questa misura di ESG Rating potrebbe essere accostata ai rating creditizi, valutazioni da parte di un analista o di un team di analisti dove viene misurata l’affidabilità di un’impresa o di uno strumento finanziario, i Rating ESG nascono per sintetizzare il grado di sostenibilità dell’impresa, nelle tre dimensioni ambientali, sociali e di governance. Nonostante questa apparente analogia, i Rating ESG si differenziano da quelli creditizi per due ragioni, in primis, nel caso dei rating creditizi, esiste una misura osservabile che deve essere stimata, il default dell’impresa o dello strumento finanziario entro un orizzonte temporale definito. Viceversa, per i Rating e gli Score ESG le grandezze osservabili sono molteplici sia di natura quantitativa che qualitativa. In secondo luogo, per i Rating creditizi esiste una regolamentazione specifica e un’autorità che autorizza le agenzie di Rating a poter emettere valutazioni.

Gli indici che attualmente nel 2021 hanno la maggiore reputazione sulle tematiche ESG sono: S&P Dow Jones ESG Indices, MSCI ESG Indices, Thomson Reuters ESG. Questi indici sono gestiti da provider che raccolgono le informazioni dalle imprese e le suddividono nelle diverse voci che compongono una valutazione ESG.  La creazione di un indice affidabile richiedere di aver a disposizione diversi dati qualitativi dell’impresa. Qui possiamo già osservare un passaggio delicato, in quanto in assenza di un ente che certifica la trasparenza del dato fornito, le valutazioni ottenute non possono essere garantite. Questo è proprio il punto focale: le valutazioni ESG non sono sempre trasparenti e talvolta è difficile verificarle.

Detto ciò, il dato qualitativo viene trasformato in quantitativo. Nella maggior parte dei quesiti raccolti, viene formulata una domanda dicotomica come ad esempio “L’impresa fa report sugli investimenti per l’ambiente o L’impresa investe in armi?”, questa informazione viene trasformata in una dummy, che assume valore 0 in caso la risposta sia falso, 1 altrimenti. Ci sono alcuni quesiti che non possono essere riassunti semplicemente con un quesito dicotomico, come per le “Emissioni Totali di CO2 stimate annuali”, dove viene riportato il valore totale delle emissioni in tonnellate. Per esempio Coca-Cola, secondo il Thomson Reuter Index, ha un’emissione totale sul 2020 di 5.240.000 tonnellate di CO2. Per utilizzare questo dato per la costruzione dell’indice, viene calcolata la mediana per tutto il cluster di società a disposizione, e se il dato si trova sopra la mediana, viene attribuito il valore 1, altrimenti 0.

In questo lavoro è stato utilizzato il Thomson Reuter ESG Score, composto da 420 valutazioni differenti sul tema ESG:

  • 130 per il tema Environment
  • 145 per il Social
  • 148 per la Governance.

Il pilastro ambientale misura l’impatto di un’azienda sui sistemi naturali viventi e non viventi, inclusi aria, terra e acqua, nonché su interi ecosistemi. Il pilastro sociale misura la capacità di un’azienda di generare fiducia e lealtà nei confronti dei propri dipendenti, clienti e società, attraverso l’utilizzo delle migliori pratiche di gestione. Infine, il pilastro della corporate governance misura i sistemi e i processi di un’azienda, che assicurano che i membri del consiglio di amministrazione e i dirigenti agiscano nel migliore interesse dei suoi azionisti a lungo termine.

L’obiettivo della valutazione ESG è quello di sviluppare uno strumento quantitativo al fine di valutare le opportunità di profitto e i rischi di perdite che si verificano a causa del processo di transizione energetica. Lo sviluppo di un fattore comune per le imprese si basa sulla raccolta di una grande quantità di informazioni rilevanti per il clima e la governance fornite dalle diverse banche dati, così da poter comporre un indice sintetico. Roncalli[1] propone un indice Brown minus Green Score (BGS), con un valore che oscilla tra 0 e 1, dove 1 rappresenta un’azienda “Brown” mentre 0 un’azienda “Green” e quindi tanto più vicino si avvicina allo 0 tanto migliore è la società analizzata in termini ESG.

Per sviluppare questo fattore di rischio comune è necessario lo sviluppo di un sistema di punteggio per determinare se un’impresa è green, neutral o brown con un approccio fondamentale per valutare il carbon risk delle diverse aziende. L’algoritmo ideato da Roncalli prevede di utilizzare 4 distinti database ESG: Thomson Reuters ESG, MSCI ESG Ratings, Sustainalytics ESG ratings e il questionario sul cambiamento climatico Carbon Disclosure Project (CDP). Ogni valore raccolto dalle seguenti banche dati viene classificato in tre diverse dimensioni che potranno influire sul valore in borsa di un’impresa in caso di cambiamenti imprevisti verso un’economia a basse emissioni di carbonio, il presente lavoro permette di trarre qualche evidenza preliminare sulla relazione tra criteri ESG e performance (futura) dei titoli azionari. Le 3 classi sono le seguenti:

1. Value Chain che misura l’impatto di una politica climatica o di un sistema commerciale sulle diverse attività di un’azienda: logistica in entrata e catena di fornitori, produzione manifatturiera, vendite, ecc.;

2. Public Perception, l’immagine ambientale esterna di un’impresa: valutazioni, controversie, divulgazione di informazioni ambientali, ecc.;

3. Non Adaptability, la capacità dell’impresa di passare a una strategia a basse emissioni di carbonio senza sforzi e perdite sostanziali.

Come detto prima, più si avvicina a 1 la variabile, più “marrone” è l’azienda. Ogni variabile viene trasformata in una dummy [0-1], dove 1 corrisponde ad un valore brown e 0 corrisponde a un valore green. Quindi, vengono creati tre punteggi che corrispondono alla media aritmetica delle osservazioni contenute in ogni dimensione: la value chain VC, la public perception (PP) e la non adaptability (NA). Ne consegue che ogni punteggio ha un intervallo compreso tra 0 e 1.

Una volta inferite le 3 classi ed i relativi punteggi medi viene calcolato il Brown minus Green score, realizzato come una media pesata dei 3 valori, dove viene attribuito un peso maggiore alla variabile Value Chain ritenuta quella a maggior contenuto informativo. Il BGS score è così ottenuto:

Come possiamo osservare i valori di interesse sono dipendenti dal tempo, infatti ogni anno vengono riformulati i diversi quesiti e quindi si ottengono valutazioni su base annuale. Per costruzione dell’indicatore, possiamo affermare che maggiore è il valore BGS, più marrone è l’azienda.

Molti vantaggi possono essere attribuiti al fattore BGS ma rimangono dubbi invece nella costruzione del database ESG, poiché i punteggi BGS sono derivati da diversi database. Un ulteriore dubbio nella costruzione del database riguarda la trasformazione di variabili continue e discrete in dummy. Inoltre, il problema più importante è che nel tempo i punteggi tendono a rimanere allo stesso livello. Alcuni test eseguiti da Gorgen et al. (2019) hanno mostrato che meno del 5% delle imprese si è spostato tra i portafogli verde, neutro e marrone durante il periodo di studio. Questo fenomeno lo si osserva anche nell’esperimento proposto in seguito, infatti le società tendono a non mostrare grossi cambiamenti tra gli anni.

È stata realizzata l’analisi di un database ESG costruito ex novo. Sono state selezionate, 100 società diverse, scelte in base alla capitalizzazione di mercato e alla presenza di un rating ESG. Purtroppo essendo tematiche nuove, non tutte le società forniscono tali informazioni, ed ad oggi rimane impossibile tracciare tutto l’universo investibile in termini ESG, solo le società con una determinata struttura possono permettersi un monitoraggio ESG. Le valutazioni ESG sono state estrapolate da Eikon Reuters, è stato utilizzato il Thomson Reuters ESG, che è un format suddiviso in 4 sezioni [Envirorment, Social, Governance, Controversy]. Ognuno di questi gruppi è composto da un gran numero di quesiti ESG, circa 400 totali. Come discusso in precedenza le risposte sono poi trasformate in variabili binarie. Una volta trasformate le risposte, si è proceduto alla riclassificazione delle domande nelle 3 classi: Value Chain, Public Percepition e Non Adaptability.

Una volta attribuita la classificazione, si è calcolata la media semplice per ognuno dei 3 gruppi. Successivamente si procede con il calcolo del BGS score:

Si osserva come la Value Chain abbia un peso maggiore in quanto è la variabile più importante nel processo di transazione ecologica. Si è calcolato il BGS per tutte le società del paniere, così facendo abbiamo una valutazione quantitativa dei valori ESG per ogni impresa e questi parametri sono confrontabili tra loro. In tale modo si è costruita una misura adimensionale che ci consente uno stock picking in base ai parametri che riguardano la transizione ecologica e sociale. Riportiamo nella tabella i punteggi BGS delle prime 5 del database in ordine alfabetico:

Tabella 1 – Recap BGS prime 5 società ordine alfabetico

Nella tabella sono rappresentati i valori del parametro BGS nel periodo 2016-2020. Si osserva già a prima vista di come l’evoluzione del parametro sia contenuta nel tempo. Questo è un effetto che si osserva nella maggior parte delle società e può essere esplicato analizzando la struttura delle imprese, infatti la transazione verde richiede investimenti fissi, che producono i loro effetti non sul breve periodo ma sul medio-lungo periodo. Se prendiamo per esempio una società energetica, e consideriamo le emissioni di CO2, la diminuzione del totale delle emmissioni è un processo che richiede molto tempo. Questo vale per molti dei parametri che rientrano nella classificazione Value Chain. La bassa variazione del parametro purtroppo ci fornisce un basso contenuto informativo.

Si può osservare nel grafico in basso la suddivisione per quartili di tutto il paniere preso in considerazione.

Figura 1 – Evoluzione BGS per quarter dal 2016 al 2020

Dall’istogramma appena mostrato si osserva che, prese le 100 società, e suddivise per quartili in base al loro parametro BGS, si può osservare come la tendenza è quella di diminuzione del parametro. Ciò dimostra come il paniere utilizzato, composto dalle società con la maggior capitalizzazione di mercato, stia migliorando la propria posizione in termini ESG.

A rinforzare questa tesi possiamo osservare la correlazione cross-sectional tra il parametro BGS e il rendimento azionario year-over-year dei titoli.

Tabella 2 – Correlazione BGS e rendimento azionari titoli dal 2016 al 2020

La correlazione non assume valori significativi. Tuttavia è evidente come la correlazione scenda in modo monotono, dunque nel corso degli anni la relazione tra criteri ESG e performance muove nella direzione corretta: titoli a più alto parametro BGS riportano mediamente rendimenti più alti. Infatti oggi per una società creare esternalità negative in termini ambientali, espone la stessa a rischi sul rendimento del titolo. Per questo motivo osserviamo come la correlazione nel tempo sia diventata negativa, ad un incremento del valore azionario dell’impresa, possiamo affermare corrisponde ad un miglioramento in termini ESG.

La bassa intensità della correlazione può essere spegata dal fatto che in primis si è utilizzato un unico provider ESG, nel lavoro di Roncalli a cui ci siamo ispirati l’autore del modello ipotizzava di utilizzare 4 diversi data provider, al fine di limare i bias informativi di un singolo emittente e diversificare le fonti di informazioni. Un altro motivo può essere ricercato nella composizione del database, infatti è stata utilizzata la logica di selezionare le società a maggior capitalizzazione sul mercato equity, questa scelta è stata assunta in quanto poche società hanno un’informativa completa in termini ESG. In questo modo il settore maggiormente coperto è quello delle tecnologie.

In conclusione si può affermare come questa metodologia di scoring e riclassificazione delle società abbia un grande potenziale di applicazione, infatti con i giusti strumenti, creare e monitorare questo tipo di database è relativamnete semplice da un punto di vista computazionale, ma qui nasce il vero problema del modello. L’aggiornamento annuale delle valutazioni ESG non permette di aver abbastanza informativa per monitorare in tempo reale il posizionamento della singola impresa in termini ESG. Quindi un’impresa con un buon punteggio ESG nell’anno precendente viene acquistata in logica di comporre un portafoglio “green”, ma se nel corso dell’anno avvengono significativi cambi, questi non sono rappresentati in nessun modo nei vari parametri ESG, e saranno solo osservabili all’aggiornamento dei dati l’anno successivo. Al contrario il prezzo azionario sarà subito influenzato da queste variazioni, e quindi viene a crearsi un lag temporale tra la variazione di prezzo e la modifica del parametro ESG. Per far in modo che tale metodologia possa essere applicata, dovrebbe essere introdotto un parametro ESG più reattivo ed elastico rispetto a quello che ora abbiamo sul mercato. Infatti, nell’ipotesi di avere un parametro ESG aggiornato mensilmente o addirittura settimanalmente si avrebbe a disposizione un dato più completo.

La metodologia qui proposta per la valutazione delle imprese in termini ESG, essa ha buoni vantaggi e grande futuribilità, infatti questo consentirebbe ai vari operatori sul mercato di quantificare quanto il loro portafoglio sia esposto in termini ESG. Oltre a ciò, avendo un parametro solido e flessibile si potrebbe anche utilizzarlo in fase di ottimizzazione di portafoglio.


[1] Measuring and Managing Carbon Risk in Investment Portfolios, Thierry Roncalli, August 2020.