Riot Blockchain is planning to launch a regulated crypto exchange in the U.S.
The publicly traded U.S. company that has faced regulatory issues for a sudden pivot to blockchain, revealed in a filing with the U.S. Securities and Exchange Commission (SEC) Friday that the new entity will be called called RiotX and will develop three main services: banking, trading and a digital wallet.
The departure of the UK is particularly important for us in the Central Bank of Ireland given:
The significant trade and investment links with the UK mean that the Irish economy is more exposed to the risks from the UK’s departure than any others, apart from the UK;
The largest domestic Irish banks have very substantial UK exposures and any deterioration in the UK economy could impact on their asset quality;
Dublin is one of the small number of European capitals that is likely to see considerable inward investment of financial sector firms, which will significantly affect the size and complexity of the financial system here;
In policy fora, Ireland will lose a close ally on certain issues; and
UK firms passport into Ireland across a range of sectors including insurance and payments services, for example, and for consumers there will be implications when this is no longer possible.
The Joint Board of Appeal (BoA) of the European Supervisory Authorities (ESAs – ESMA, EIOPA and EBA) issued decisionsregarding four appeals it received by Svenska Handelsbanken AB, Skandinaviska Enskilda Banken (SEB) AB, Swedbank AB, and Nordea Bank Abp against decisions by the European Securities and Markets Authority (ESMA) regarding infringements of the Credit Rating Agencies Regulation (CRAR).
“I dati sono il petrolio
del terzo millennio”: è una frase così frequente che rivaleggia con “Non ci
sono più le mezze stagioni” nella Top 5 delle banalità (oltre a non essere
vero, ma è un lungo discorso). Non parliamo poi del proliferare di dipartimenti
di “data science” e “data analytics”, “data innovation” e
via dicendo, che spuntano ovunque all’interno di banche e assicurazioni. L’uso
di dati e data science rappresenta in effetti uno dei pochi scorci di vitalità
e innovazione del mondo finanziario. Almeno in teoria.
Perché poi in pratica il potere decisionale è talvolta limitato, e così pure i budget. E i dati, di per sè, sono materia digitale inerte, ammassi di bit che si accumulano nei server. Affinché i dati scarichino a terra il loro potenziale – a mio parere fondamentale perché una banca o un’assicurazione sopravviva diventando un’azienda data driven – e non siano considerati dei “fuffa-departments” (come qualche maligno crede), basta avere una data strategy semplice e concreta. Che si può riassumere in 5 punti chiave.
5 punti chiave di una data strategy
(1) Un buon questionario
La normativa obbliga gli
intermediari finanziari, siano essi banche, assicurazioni, SGR o SIM, a
interrogare i clienti attraverso svariati questionari e moduli. Lo richiede
Mifid, IDD (di fatto una “Mifid assicurativa”, da questo punto di
vista). Lo richiedono le norme anti-riciclaggio e quelle destinate a
individuare le persone politicamente esposte.
Il mondo finanziario ha
vissuto l’introduzione di queste norme come l’ennesima seccatura, in alcuni
casi una vera iattura, un appesantimento di costi e rischi operativi, in un
vortice di uffici compliance e studi legali che dopo anni di lavoro ha generato
spesso questionari orrendi nei toni e nella forma, meno sexy di un referto di
medicina legale. Questionari finalizzati a svangare gli aspetti normativi. E
basta.
Che errore madornale. La
realtà è che la normativa ha alzato una favolosa palla al sistema finanziario,
dandogli l’opportunità di raccogliere informazioni di enorme valore, che
Facebook (per dire) si sogna. Per schiacciare la palla e segnare il punto servono
però questionari creati scientificamente, utilizzando tutti gli strumenti messi
a disposizione dalla psicologia cognitiva, l’economia e la finanza
comportamentale, la statistica per le indagini campionarie, senza dimenticare
la capacità di scrivere testi accattivanti, utilizzando le basi del copywriting.
In questo modo si raccoglie un patrimonio informativo che consente di conoscere
perfettamente i propri clienti. A partire da questi dati, è possibile
agganciare banche dati esterne, pubbliche e private che siano, e arricchire
ulteriormente la base informativa sulla quale lavorare.
(2) Motore di data analysis
I dati raccolti, insieme
a quelli già presenti in azienda e a quelli di eventuali banche dati esterne sono
materia grezza: vanno elaborati, utilizzando tutti gli strumenti messi a
disposizione dalla data science.
Ma non basta scaraventare
acriticamente palate di dati dentro un algoritmo di deep learning: forse si
otterranno buoni risultati in apparenza, ma gli spettri del data snooping e
dell’overfitting sono lì che aleggiano. Occorre saper selezionare e trattare
gli input, individuando poi oculatamente i modelli da utilizzare avendo ben
compreso il dominio di business. Su casi concreti dei quali mi sono occupato,
la differenza tra usare in modo acritico le informazione buttandole in pasto ad
un algoritmo di machine learning, oppure effettuare prima un certosino lavoro
di preparazione, combinazione, riduzione della dimensionalità basato sulla
conoscenza di dominio aumenta l’accuracy da valori intorno a 65%-70% a 90% e
passa.
È quindi l’uso del machine
learning unito alla business intelligence e a una profonda conoscenza del
settore finanziario-assicurativo che consente di spremere i dati e ottenere
informazioni utili. Utili a fare business, non report colorati. Ma, ribadisco,
serve un motore di calcolo che sappia masticare opportunamente i dati e cercare
le giuste informazioni con i giusti algoritmi.
(3) Individuare bisogni/obiettivi dei clienti
Le prime
“giuste” informazioni che il motore di data analytics dovrebbe
cercare sono quelle relative ai bisogni e agli obiettivi finanziari e/o
assicurativi. È la prima cosa da fare perché è addirittura la normativa a
chiederlo, con il product targeting – al motto di “Know Your Clients”.
Ma è anche e soprattutto il buonsenso: per servire meglio il cliente, per poter
passare da una logica di prodotto a una logica di servizio occorre capire di
che cosa hanno realmente bisogno le persone: investimenti a lungo termine per i
figli, protezione relativa alla salute propria o altrui, previdenza
integrativa, e via dicendo.
È perciò qui, nella
customer intelligence, che la data science mostra la sua forza muscolare.
(4) Prodotti
“Prodotti”
significa essenzialmente due cose:
una gamma
prodotti in grado di soddisfare realmente i bisogni dei clienti – idealmente
costituita da semplici blocchi base standardizzati, da combinare in modo
personalizzato per ogni cliente, possibilmente senza rapinarlo (anche se questa
è un’antica tradizione dell’industria finanziaria);
la conoscenza
dei propri prodotti.
Il secondo punto sembra
una suprema banalità, ma invece è la sostanza del principio “Know Your Products”
che anima la normativa finanziaria. E in effetti, se si hanno (come spesso
accade) a catalogo centinaia e a volte migliaia di prodotti finanziari (d’investimento,
di protezione, associati a finanziamenti, ecc) accumulatisi negli anni, non
resta che affidarsi a text analytics e machine learning per capire che
bisogni/obiettivi ciascuno di essi soddisfa. E questo è altro lavoro muscolare,
adatto al motore di data analytics. Queste sono altre “giuste”
informazioni da cercare.
Conoscendo i bisogni dei
clienti e sapendo quali prodotti soddisfano tali bisogni, è relativamente
semplice creare l’associazione cliente-soluzione. E così – bingo! – si serve al
meglio il cliente.
(5) Comunicazione
Interna ed esterna:
interna – per
informare, condividere la strategia e formare la propria rete di consulenti,
private banker, collocatori, tipicamente poco avvezza all’uso pervasivo del
dato e del digitale (facendo capire loro che non è un nemico, non è l’occhio di
Mordor che li osserva, bensì un alleato);
esterna – per
ingaggiare, informare e stuzzicare i clienti sui loro bisogni, magari nemmeno
percepiti, vista la (meravigliosamente) pessima cultura economico-finanziaria
degli italiani, facendo “nurturing”.
Senza questa componente
soft, il resto dell’impianto della strategia basata sui dati rischia di essere
un’algida cattedrale nel deserto. Perché le macchine possono sì aiutarci, ma
occorre prima convincere l’Homo sapiens a farsi aiutare.
Sono cinque punti che
consentono a un intermediario finanziario di:
essere
un’azienda data-driven;
di essere
competitiva e fare business mettendo al centro il cliente;
alzare la
qualità del servizio sia per chi ha la relazione con il cliente che per il
cliente stesso;
gestire al
meglio aspetti di compliance legati alla profilazione dei clienti e alla
product governance.
Non è poco. Anzi, è proprio
ciò che può fare la differenza.
L’iniziativa di Finriskalert.it “Il termometro dei mercati finanziari” vuole presentare un indicatore settimanale sul grado di turbolenza/tensione dei mercati finanziari, con particolare attenzione all’Italia.
Significato degli indicatori
Rendimento borsa italiana: rendimento settimanale dell’indice della borsa italiana FTSEMIB;
Volatilità implicita borsa italiana: volatilità implicita calcolata considerando le opzioni at-the-money sul FTSEMIB a 3 mesi;
Future borsa italiana: valore del future sul FTSEMIB;
CDS principali banche 10Ysub: CDS medio delle obbligazioni subordinate a 10 anni delle principali banche italiane (Unicredit, Intesa San Paolo, MPS, Banco BPM);
Tasso di interesse ITA 2Y: tasso di interesse costruito sulla curva dei BTP con scadenza a due anni;
Spread ITA 10Y/2Y : differenza del tasso di interesse dei BTP a 10 anni e a 2 anni;
Rendimento borsa europea: rendimento settimanale dell’indice delle borse europee Eurostoxx;
Volatilità implicita borsa europea: volatilità implicita calcolata sulle opzioni at-the-money sull’indice Eurostoxx a scadenza 3 mesi;
Rendimento borsa ITA/Europa: differenza tra il rendimento settimanale della borsa italiana e quello delle borse europee, calcolato sugli indici FTSEMIB e Eurostoxx;
Spread ITA/GER: differenza tra i tassi di interesse italiani e tedeschi a 10 anni;
Spread EU/GER: differenza media tra i tassi di interesse dei principali paesi europei (Francia, Belgio, Spagna, Italia, Olanda) e quelli tedeschi a 10 anni;
Euro/dollaro: tasso di cambio euro/dollaro;
Spread US/GER 10Y: spread tra i tassi di interesse degli Stati Uniti e quelli tedeschi con scadenza 10 anni;
Prezzo Oro: quotazione dell’oro (in USD)
Spread 10Y/2Y Euro Swap Curve: differenza del tasso della curva EURO ZONE IRS 3M a 10Y e 2Y;
Euribor 6M: tasso euribor a 6 mesi.
I colori sono assegnati in un’ottica VaR: se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 15%, il colore utilizzato è l’arancione. Se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 5% il colore utilizzato è il rosso. La banda (verso l’alto o verso il basso) viene selezionata, a seconda dell’indicatore, nella direzione dell’instabilità del mercato. I quantili vengono ricostruiti prendendo la serie storica di un anno di osservazioni: ad esempio, un valore in una casella rossa significa che appartiene al 5% dei valori meno positivi riscontrati nell’ultimo anno. Per le prime tre voci della sezione “Politica Monetaria”, le bande per definire il colore sono simmetriche (valori in positivo e in negativo). I dati riportati provengono dal database Thomson Reuters. Infine, la tendenza mostra la dinamica in atto e viene rappresentata dalle frecce: ↑,↓, ↔ indicano rispettivamente miglioramento, peggioramento, stabilità rispetto alla rilevazione precedente.
Disclaimer: Le informazioni contenute in questa pagina sono esclusivamente a scopo informativo e per uso personale. Le informazioni possono essere modificate da finriskalert.it in qualsiasi momento e senza preavviso. Finriskalert.it non può fornire alcuna garanzia in merito all’affidabilità, completezza, esattezza ed attualità dei dati riportati e, pertanto, non assume alcuna responsabilità per qualsiasi danno legato all’uso, proprio o improprio delle informazioni contenute in questa pagina. I contenuti presenti in questa pagina non devono in alcun modo essere intesi come consigli finanziari, economici, giuridici, fiscali o di altra natura e nessuna decisione d’investimento o qualsiasi altra decisione deve essere presa unicamente sulla base di questi dati.
L’iniziativa di Finriskalert.it “Il termometro dei mercati finanziari” vuole presentare un indicatore settimanale sul grado di turbolenza/tensione dei mercati finanziari, con particolare attenzione all’Italia.
Significato degli indicatori
Rendimento borsa italiana: rendimento settimanale dell’indice della borsa italiana FTSEMIB;
Volatilità implicita borsa italiana: volatilità implicita calcolata considerando le opzioni at-the-money sul FTSEMIB a 3 mesi;
Future borsa italiana: valore del future sul FTSEMIB;
CDS principali banche 10Ysub: CDS medio delle obbligazioni subordinate a 10 anni delle principali banche italiane (Unicredit, Intesa San Paolo, MPS, Banco BPM);
Tasso di interesse ITA 2Y: tasso di interesse costruito sulla curva dei BTP con scadenza a due anni;
Spread ITA 10Y/2Y : differenza del tasso di interesse dei BTP a 10 anni e a 2 anni;
Rendimento borsa europea: rendimento settimanale dell’indice delle borse europee Eurostoxx;
Volatilità implicita borsa europea: volatilità implicita calcolata sulle opzioni at-the-money sull’indice Eurostoxx a scadenza 3 mesi;
Rendimento borsa ITA/Europa: differenza tra il rendimento settimanale della borsa italiana e quello delle borse europee, calcolato sugli indici FTSEMIB e Eurostoxx;
Spread ITA/GER: differenza tra i tassi di interesse italiani e tedeschi a 10 anni;
Spread EU/GER: differenza media tra i tassi di interesse dei principali paesi europei (Francia, Belgio, Spagna, Italia, Olanda) e quelli tedeschi a 10 anni;
Euro/dollaro: tasso di cambio euro/dollaro;
Spread US/GER 10Y: spread tra i tassi di interesse degli Stati Uniti e quelli tedeschi con scadenza 10 anni;
Prezzo Oro: quotazione dell’oro (in USD)
Spread 10Y/2Y Euro Swap Curve: differenza del tasso della curva EURO ZONE IRS 3M a 10Y e 2Y;
Euribor 6M: tasso euribor a 6 mesi.
I colori sono assegnati in un’ottica VaR: se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 15%, il colore utilizzato è l’arancione. Se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 5% il colore utilizzato è il rosso. La banda (verso l’alto o verso il basso) viene selezionata, a seconda dell’indicatore, nella direzione dell’instabilità del mercato. I quantili vengono ricostruiti prendendo la serie storica di un anno di osservazioni: ad esempio, un valore in una casella rossa significa che appartiene al 5% dei valori meno positivi riscontrati nell’ultimo anno. Per le prime tre voci della sezione “Politica Monetaria”, le bande per definire il colore sono simmetriche (valori in positivo e in negativo). I dati riportati provengono dal database Thomson Reuters. Infine, la tendenza mostra la dinamica in atto e viene rappresentata dalle frecce: ↑,↓, ↔ indicano rispettivamente miglioramento, peggioramento, stabilità rispetto alla rilevazione precedente.
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Anche nel 2018 l’industria
italiana dei mini-bond ha confermato e rafforzato lo sviluppo evidenziato negli
anni precedenti. è cresciuto il
numero delle emissioni mentre si è ridotto il controvalore totale raccolto, a
causa della riduzione del valore medio dei collocamenti.
I mini-bond, ovvero le
obbligazioni e cambiali finanziarie di ‘piccola taglia’ si confermano quale
fonte di finanziamento alternativa e complementare al credito bancario
soprattutto in preparazione (come se fosse un ‘allenamento’) a successive
operazioni con investitori istituzionali più complesse come possono essere il private
equity o la quotazione in Borsa.
Le imprese emittenti
Secondo le statistiche
pubblicate nel recente 5° Report Italiano sui Mini-bond, a cura dell’Osservatorio
Mini-Bond della School of Management del Politecnico di Milano, sono ben 260 le
PMI italiane che dal 2012 al 2018 avevano collocato mini-bond. Nel 2018 sono
più che raddoppiate le Srl emittenti rispetto al 2017 (da 21 a 45).
Il volume dei ricavi delle
imprese emittenti è molto variabile: nel 2018 ben 42 emittenti fatturavano meno
di € 10 milioni prima del collocamento.
Per quanto riguarda il
settore di attività, si conferma la netta supremazia del comparto
manifatturiero; nel 2018 si è però assistito ad una maggiore varietà rispetto
al passato. La collocazione geografica evidenzia come sempre una prevalenza
delle regioni del Nord; il 2018 ha visto un ruolo dominante della Lombardia.
Crescono il Piemonte e le regioni del Sud, scende il Trentino-Alto Adige.
Rispetto alle motivazioni
del collocamento, si conferma come maggioritario l’obiettivo di finanziare la
crescita interna dell’azienda (nel 60% delle PMI emittenti). Al secondo posto
emerge l’obiettivo di ristrutturare le passività dell’impresa (soprattutto per
le grandi imprese). Seguono le strategie di crescita esterna tramite
acquisizioni e il fabbisogno di alimentare il ciclo di cassa del capitale
circolante.
L’analisi dei bilanci
consolidati focalizzata sulle PMI non finanziarie mostra situazioni abbastanza
diversificate rispetto alla marginalità operativa all’emissione. La redditività
appare contenuta ma in leggero miglioramento appena prima del collocamento del
mini-bond. In media si riscontra comunque un buon aumento del fatturato già
prima dell’emissione. Per circa un quarto delle imprese non si registrano però
variazioni significative.
Non vi è riscontro quindi
di un rapporto di causa-effetto fra emissione del mini-bond e crescita
successiva del volume d’affari. Piuttosto, emerge che per un buon numero di PMI
il mini-bond rappresenti una tappa in un percorso di crescita che inizia ben
prima e che prevede una serie di altre tappe importanti, già predefinite.
Le emissioni
Il database
dell’Osservatorio può annoverare ormai 636 emissioni di mini-bond di importo
inferiore a € 50 milioni a partire da novembre 2012 (in alcuni casi le imprese
hanno condotto più emissioni). Il 2018 ha contribuito con ben 179 emissioni,
per un controvalore di € 1,3 miliardi, stabile rispetto al 2017.
Si tratta in gran parte di
obbligazioni, ma compaiono anche alcune cambiali finanziarie (titoli che però
sembrano perdere popolarità). Il valore nominale totale dei mini-bond nel
campione supera € 4,9 miliardi considerando solo le emissioni fino a € 50
milioni.
Il valore medio delle
emissioni è al minimo storico (€ 22,40 milioni nel secondo semestre, € 20,85
milioni nel primo semestre). Nel 2018 ben il 60% delle emissioni ha importo
inferiore a € 5 milioni.
La maggioranza dei titoli
emessi nel 2018 non prevede un rating
da parte di un’agenzia autorizzata e non viene quotata in Borsa, nonostante
esista un mercato dedicato (ExtraMOT PRO); ciò è dovuto anche agli adempimenti
e alle responsabilità introdotte dalla MAR (market
abuse regulation).
Per quanto riguarda la
scadenza, la distribuzione continua ad essere molto variegata, con una serie di
titoli short term con maturity pochi mesi ed emissioni a più
lunga scadenza. Il valore medio del 2018 è 5,2 anni (in leggero aumento
rispetto al valore di 4,9 anni del 2017). Una lieve maggioranza dei titoli nel
campione complessivo (il 50,5%) prevede il rimborso del titolo alla scadenza (bullet).
Per quanto riguarda la
cedola, nella maggioranza dei casi è fissa ma nel 2018 è aumentata la frequenza
della cedola variabile. Il valore medio della cedola fissa per l’intero
campione è pari a 5,10%, quello mediano è il 5,00%. Per la prima volta si
riscontra nel 2018 un lieve aumento del tasso di interesse (la media è 5,00%
rispetto a 4,83% dell’anno prima).
Figura 1: La cedola dei mini-bond: confronto fra emissioni del 2017 e del 2018 (emissioni fino a € 500 milioni).
Vale la pena sottolinare
che la presenza di una garanzia sul rimborso del capitale, a dare maggiore
sicurezza agli investitori (quale può essere un pegno o una copertura offerta
da soggetti esterni come i Confidi), è sensibilmente aumentata nel 2018
(riguarda il 38% dei casi).
Per quanto riguarda gli
investitori che hanno sottoscritto i mini-bond di taglia inferiore a € 50
milioni, il 2018 ha visto confermato il ruolo importante sia dei fondi chiusi
di private debt (con investimenti pari al 26% del totale rispetto al
campione coperto) sia degli investitori esteri (con una quota del 25%). Ancora
in aumento risulta il ruolo delle banche nazionali (21%); salgono anche le
assicurazioni (9%) che però sottoscrivono poche operazioni di maggiore
dimensione. Si segnalano infine le finanziarie regionali (4%) e i Confidi (3%).
Figura 2: La ‘mappa’ degli investitori nei mini-bond nel 2018 (emissioni fino a € 50 milioni): copertura del campione 82%.
Le prospettive future
Per il 2019 le aspettative
dell’Osservatorio sono più conservative rispetto al passato, a causa dei primi
segnali negativi che provengono dal ciclo economico, dell’incertezza sulle
politiche di sviluppo interne e della possibile concorrenza delle operazioni di
direct lending, che si vanno diffondendo sul mercato.
Pensiamo dunque che i
volumi del 2019 saranno abbastanza simili a quelli del 2018. Grande speranza si
nutre verso i nuovi ELTIF (European Long Term Investment Funds) nel canalizzare
risorse verso le PMI non quotate e verso i mini-bond.
Per il 2019 sono infine da
registrare alcune novità nella normativa di riferimento, che riguardano: (i) la
disciplina sulle cartolarizzazioni, (ii) i PIR, (iii) la possibilità per i
portali autorizzati di equity crowdfunding di collocare mini-bond.
Potenzialmente, si tratta di novità che potranno generare vantaggi per
l’industria dei mini-bond. Alcune sperimentazioni di cartolarizzazioni sono avvenute
in passato, come ad esempio i basket bond
promossi da ELITE; si tratta di operazioni di sistema che consentono di
raggiungere una scala dimensionale interessante per gli investitori esteri.
L’obbligo per i fondi PIR di allocare risorse nei titoli quotati su mercati non
regolamentati (come ExtraMOT PRO) potrebbe favorire i mini-bond ma si è ancora
in attesa delle indicazioni operative. Infine, alcune piattaforme di equity crowdfunding si stanno attrezzando
per aprire le loro piattaforme anche ai mini-bond, sebbene con collocamenti
riservati a investitori professionali in apposite sezioni.
Real GDP growth remained unexpectedly sluggish in the fourth quarter of 2018, and recent indicators point to substantially weaker than previously expected activity also in the first half of 2019.
The European Banking Authority (EBA) issued today a revised list of validation rules in its Implementing Technical Standards (ITS) on supervisory reporting, highlighting those which have been deactivated either for incorrectness or for triggering IT problems. Competent Authorities throughout the EU are informed that data submitted in accordance with these ITS should not be formally validated against the set of deactivated rules.
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