Credito Deteriorato e nuovo Archivio delle Perdite richiesto da Banca d’Italia
di Michele Bonollo

Nov 26 2014
Credito Deteriorato e nuovo Archivio delle Perdite richiesto da Banca d’Italia <small><small><I> di Michele Bonollo </I></small></small>

Executive Summary

La Circolare 284 della Banca d’Italia richiede dal marzo 2015 l’invio di un flusso da parte delle banche, con cadenza annuale. Tale nuovo flusso è denominato Archivio delle Perdite o flusso LGD. In breve, contiene dati sui cicli di default  della banca e sui relativi dati di perdita e recupero sui crediti problematici. Il tema dei crediti deteriorati è particolarmente attuale per le banche italiane, sia perché determina importanti contributi negativi sul conto economico, sia per la recente fase di asset quality review. Al di là delle semplificazioni giornalistiche, spesso focalizzate principalmente sulla percentuale di credito deteriorato nei portafogli delle diverse banche, cercheremo in questo breve contributo di meglio chiarire la gestione del credito deteriorato nei suoi riflessi economici, patrimoniali e operativi. Inoltre forniremo alcuni maggiori dettagli sul nuovo archivio delle perdite e cercheremo di inquadrare il tutto all’interno del framework internazionale, sia nelle normative sulla solvibilità sia in quelle contabili.

1. Il credito deteriorato. Dinamiche, aspetti gestionali e operativi

L’accantonamento delle perdite presunte sui crediti è una fase tipica nell’ambito della costruzione del bilancio delle banche.

Ciò che è cambiato negli anni è le rilevanza di questa componente. Se il rapporto tra sofferenze lorde e impieghi sino a 10 anni fa in molte banche era  sotto al 2%, oggi nella grande parte della banche italiane è oltre il 10%, con casi frequenti oltre il 15%.

Oltre alle sofferenze, stato peggiore del credito deteriorato, vi sono gli incagli, posizioni con evidenti segnali di mancanza di capacità restitutoria (mancato pagamento rate, sconfini ripetuti, ..).

Il credito deteriorato comprensivo di sofferenze e incagli in molte banche italiane supera il 20% dello stock di impieghi totali.

Se nella classificazione segnaletica (base Y, Central Rischi, ..) la tassonomia del credito anomalo è costituita in ordine di gravità da sofferenze, incagli, past due e ristrutturati, in ambito gestionale le banche hanno messo a punto categorie e processi i più vari. In alcune banche si parla di pre-incagli, incagli leggeri, in altre di posizioni sotto controllo, e varie altre terminologie.

La copertura del credito deteriorato va distinta tra due diversi punti di vista. Ex-ante, prima di manifestazioni di degrado, la copertura del rischio è rappresentata dalle garanzie, personali (fidejussioni, consorzi di garanzia, ..) o reali (ipoteche, titoli in pegno e garanzia, ..). In questo senso, un indicatore importante è la quota di crediti unsecured (detti anche in bianco) rispetto al totale degli impieghi.

Ex-post, o comunque durante la manifestazione del deterioramento del credito, la “copertura” è costituita dagli importi che tempo per tempo vengono accantonati nella fase di assestamento del conto economico, incrementando (o decrementando) gli appositi fondi di perdite presunte nel passivo dello stato patrimoniale. Tali importi confluiscono nella Voce 130 del conto economico.

A questo proposito, il coverage ratio, cioè la quota già accantonata, è un indicatore della prudenza (o rigore) della banca nella previsione di possibili perdite. Negli anni i benchmark si sono alzati verso coverage ratio sempre più prudenti, su richiesta delle autorità di vigilanza, delle normative e delle best practices.

Oggi pertanto, quantomeno sulle sofferenze, i coverage ratio di molte banche, compresa la più grande banca italiana, sono vicino al 60%, quando alcuni anni fa erano sotto il 50%. Per gli incagli molte banche esprimono coverage ratio superiori al 40%. Ovviamente tali coefficienti devono essere correlati con il set di garanzie di cui la banca dispone verso le controparti. Si usa infine il termine di Crediti Deteriorati Netti per indicare il credito deteriroato lordo meno gli accantonamenti, in termini percentuali (1 – Coverageratio).

A tale riguardo, un indicatore molto utilizzato da analisti, agenzie di rating, società di revisione, e anche in sede di AQR, è il rapporto DeterioratiNetti/Patrimonio.

Se tale rapporto è maggiore di 1, significa che nello scenario worst case, in cui tutte le perdite potenziali si materializzano, la banca non è in grado di assorbire le perdite con il proprio patrimonio, misurato ai diversi livelli.

Dati gli stock di credito deteriorato delle banche italiane, l’indicatore in questione supera l’unità, o comunque un valore di alert del  90%,  per una quota non marginale di banche italiane.

Il rilevante incremento osservato purtroppo nella consistenza dei crediti deteriorati ha avuto rilevanti impatti gestionali sulla organizzazione interna delle banche. Un primo elemento strategico riguarda la gestione interna/esterna delle attività vere e proprie di recupero del credito, o le soglie (di materialità, di qualità) oltre le quali affidarsi a strutture specializzate. Una alternativa più estrema è la cessione tout court dei crediti non performing ad altre entità, spesso esse stesse banche o promanate da banche. La cessione, anche per pochi punti percentuali, dei crediti NPL (non perfoming loans) può essere conveniente, tenendo conto degli importanti costi diretti e indiretti (soprattutto del personale) per le attività di recupero.

A prescindere dalla fase operativa di recupero, tutte le banche hanno dovuto creare o irrobustire delle strutture dedicate al controllo andamentale e al credit management.

Il primo dipartimento ha in carico la tempestiva classificazione dei credit da bonis verso altre categorie. Il credit management, quantomeno negli stati precedenti alla sofferenza conclamata, deve attivare con la clientela tentatiti di recupero o riscadenziamento.

Infine il 15° aggiornamento della circolare 263 richiede al Risk Management un controllo di II livello sulla qualità delle classificazioni e degli accantonamenti. Più precisamente “(Risk Mgt)verifica il corretto svolgimento del monitoraggio andamentale sulle singole esposizioni creditizie”.

Si veda in proposito [7].

2. Il credito deteriorato. Profili di vigilanza e segnaletici

Anche nella stampa specializzata viene talvolta trasmessa la percezione che la Vigilanza Europea in capo alla BCE abbia azzerato le discrezionalità o le specificità nazionali.

In realtà, nonostante siano entrati nell’uso i flussi di reporting di vigilanza e finanziari internazionali (cosiddetti COREP e FINREP), è tuttora in vigore un importante apparato di segnalazioni di vigilanza da parte della banche italiane verso la Banca d’Italia. Tali segnalazioni sono riportate in una sorta di testo unico, la circolare 154, si veda [2], distinguendo tra quelle standard europee, dette armonizzate, e quelle non armonizzate. La circolare si applica non solo alle banche ma a tutti gli enti vigilati (SGR,. SIM, ..).

Le segnalazioni, dette anche basi segnaletiche, sono molto più numerose di quanto non si ritenga, in quanto coprono, talora con ridondanza, tutti gli ambiti di operatività, tipi di transazione, e scopi del regulator nazionale stratificatisi negli anni.

Si va pertanto dalle basi statistiche, dette anche matrici (basi A1,A2,A3,A4), alle basi sui requisiti patrimoniali del framework di Basilea; base Y per le banche, base 1 per i gruppi, nuove basi LY e L1 per il rischio di liquidità (indicatori LCR e NSFR). Fino a baso molto più ad hoc, come la base EP sul rischio paese e le basi “Mx” e “W” su dati di bilancio e rischio tasso del banking book.

Rispetto a tali pluralità, il portafoglio dei crediti deteriorati è oggetto di analisi e scomposizione in numerosi flussi segnaletici. Ricordiamo i principali:

  • A livello statistico, i crediti deteriorati sono rappresentati nelle matrici statistiche di classe Ax, con una seria ampia di segmentazioni
  • Sopra una soglia di materialità, tutti i crediti, con lo status (bonis vs. sofferenza), sono segnalati anche in Centrale dei Rischi. Come flusso di ritorno, le banche esposte con una determinata controparte possono ottenere analisi sulla posizione globale nel sistema bancario del cliente, informazioni su sconfini (cioè un importo utilizzato maggiore di quello accordato), esistenza di altri istituti segnalanti a sofferenza, l’esposizione del cliente a sistema per macro forme tecniche.
  • Infine, gli impieghi segmentati per portafogli regolamentari sono segnalati anche mediante la base Y per il calcolo degli RWA. Qui particolarmente rilevante è la individuazione delle tipologie segnaletiche di “esposizioni con ponderazioni particolari”, cioè le esposizioni per le quali il calcolo dell’RWA viene effettuato con ponderazioni più elevate. Si distinguono in questo ambito con diverse voci le sofferenze, gli incagli, le esposizioni ristrutturate e i past due.

Tutte queste basi segnaletiche sono fruibili in modalità aggregata, ad uso di banche e studiosi, nella base dati statistica di Banca d’Italia (BDS), che consente di ottenere diverse analisi multidimensionali sui rischi di credito: analisi di composizione del credito deteriorato, tassi di decadimento (cioè nuovi flussi di sofferenze sul portafoglio), concentrazione del credito e molte altre, su cluster geografici, settoriali, dimensionali.

La presenza di possibili differenze semantiche tra le diverse basi segnaletiche, o normali problemi di data quality (anche da parte delle banche “mittenti”) non sempre permettono una facile “quadratura” tra gli aggregati statistici ottenuti secondo diversi percorsi di ricerca e navigazione. Questa problematica sarà oggetto di un prossimo paper.

All’impianto brevemente sintetizzato sopra si aggiunge dal 2015 l‘archivio delle perdite, base LD, descritto nel seguito.

2. Il nuovo Archivio delle Perdite.

2.1 A cosa serve e cosa cambia?

La nuova segnalazione ha (almeno) due obiettivi dichiarati anche nelle sue premesse:

  • Controllo di vigilanza per le banche che utilizzano modelli interni per il calcolo del requisito patrimoniale sul rischio di credito nella componente LGD.
  • Supporto, anche a livello internazionale, per il passaggio da un modello di accantonamenti di tipo “incurred losses” (cioè perdite accadute, osservate) ad un modello ex-ante di “expected losses” (di questo daremo qualche cenno nel paragrafo successivo).

Prima di illustrare nel dettaglio motivazioni e scopo, qualche elemento in più sul nuovo flusso:

  • Frequenza e time line. Invio entro 25 marzo di ogni anno, con riferimento all’anno precedente. Su base volontaria (cui le grandi banche in genere aderiscono) recupero anche di dati pregressi.
  • Perimetro. Vanno inviati i dati afferenti i cicli di default chiusi nell’anno precedente, dove default in senso lato comprende default e tutte le categorie più gravi di credito deteriorato ai sensi della matrice dei conti.  “Chiusi” va inteso nel senso di completamento della procedura di recupero. A questi si aggiungono i casi di incomplete workout, cioè quelli in cui la sofferenza è aperta da oltre 10 anni. Chiariamo meglio alcune fattispecie. Vanno segnalati quindi:
    • Tutti i casi di cancellazione della posizione (write off) per mancata prosecuzione dei tentativi di recupero. A livello contabile si è pertanto registrato un movimento di passaggio a perdite.
    • Tutti i casi di integrale recupero in funzione delle garanzie disponibili. Tali posizioni pertanto concorreranno ad abbassare, in quanto nulla, la LDG desumibile dai dati.
    • I casi di transizione verso il bonis sono alimentati mediante la riduzione della esposizione e in tale modo convenzionalmente catturati e gestiti dalla Banca d’Italia.
    • Tipi di dati. Nel flusso segnaletico debbono essere trasmessi secondo i formati previsti dati di diversa natura, quali:
      • Dati di controparte, con chiave il codice Centrale dei Rischi
      • Dati sulle esposizioni, tra cui le date di inizio-fine status con le variazioni della EAD occorse rispetto a ultima segnalazione
      • Dati sulle garanzie
      • Dati sui recuperi
      • Dati sui costi, diretti, indiretti, e quelli non ripartibili.
      • Per le sole banche con i modelli AIRB validati, le banche debbono anche provvedere a determinare delle grandezze di output intermedie, quindi applicare i tasso di attualizzazione ai diversi vettori di flussi (EAD, recuperi, costi) per fornire una propria LGD.

Ricordiamo infine che esiste una soglia di EAD, 1.500 euro, sotto la quale le posizioni non devono essere segnalate (100 euro per credito al consumo).

A che cosa serve questa segnalazione e quali punti di attenzione per le banche?

Per le banche con i modelli interni validati, il modello statistico di LGD, e la conseguente griglia di coefficienti, spesso segmentati per tipo controparte, tipo garanzia, tipo prodotto, ecc., consentiranno alla Banca d’Italia un monitoraggio e un benchmarking tra i coefficienti validati in fase di istruttoria del modello interno e quelli desumibili da fonti più prettamente contabili e ufficiali.

In questo ambito, le banche di dimensioni maggiori non hanno impatti operativi in termini di “produzione” della base LD, ma dovranno esse stesse sorvegliare l’evoluzione del processo di recupero del credito e la qualità dei propri modelli statistici, così da asseverare una adeguata convergenza tra esse.

Non solo. Le stesse banche hanno in generale già adottato un modello di accantonamenti sul credito di tipo expected losses, determinato cioè dalla coppia (PD,LGD) su cliente-esposizione. Le evidenze ricavabili dal flusso LGD vs. il modello interno validato consentiranno ulteriori verifiche sulla qualità/robustezza del conto economico.

Anche per le banche di dimensione minore ci sono effetti rilevanti. Spesso queste banche non hanno o non hanno ancora sviluppato propri modelli di LGD, principalmente a causa dell’impegno per il recupero dei dati, per l’imputazione dei costi, o la sensibilità al rischio non ancora del tutto formata.

Una volta messi a punto i nuovi flussi, dopo un normale periodo di fine tuning, gli accantonamenti di tipo collettivo, cioè quelli effettuati sulle posizioni in bonis, potranno con maggiore precisione essere effettuati sulla effettiva efficienza del recupero del credito della singola banca, invece di ricorrere a percentuali LGD di benchmarking, di letteratura, o suggerite da advisors e revisori.

Anzi, crediamo che per le banche con i modelli standard vi siano le maggiori opportunità. Anche se il calcolo di RWA prevede modelli standard ben più semplici, crediamo che la crescita di una cultura del rischio su LGD, insieme all’impulso per i modelli gestionali di calcolo del rischio richiesti nel RAF, infine la diffusione dei modelli di rating e PD anche nella filiera gestionale (pricing del credito, controllo di gestione, ..) possa per le banche medio piccole determinare un importante e utile salto culturale.

2.2 Integrazione tra normative

La premessa della circ.284 illustra come l’archivio delle perdite sia di supporto a una transizione dei principi internazionali di calcolo degli accantonamenti.

Lo IAS 39 “Financial Instruments: Recognition and Measurement” , noto documento sulla valutazione degli strumenti finanziari, è in corso di sostituzione in favore dello IFRS9 “Financial Instruments”.

Tale IFRS9 è un vero e proprio progetto articolato in più componenti/fasi, gestito da IASB (International Accounting Standard Board). Si veda [8].

La piena operatività di IFRS 9 è prevista dal 2018. Oltre al già citato passaggio da incurred losses a expected losses, con ruolo cardine dei modelli statistici di PD e LGD nella determinazione degli accantonamenti, un altro punto saliente è costituito dall’orizzonte temporale lungo il quale effettuare gli accantonamenti.

Rispetto ud una prassi generalizzata di accantonamenti su 12 mesi (e quindi sostanzialmente l’accantonamento è pari a EAD × PD × LGD), IFRS9 prevede una serie di criteri per discriminare tra 12 mesi e  “full life time credit expected losses”.

In relazione alla convergenza o coerenza tra normative sui rischi (Basilea) e contabili (IASB), va segnalato infine il documento di consultazione di Banca d’Italia di settembre 2014.

Esso tra spunto dagli ITS (Implementing technical standards) di EBA in riferimento alla segnalazioni di vigilanza consolidate armonizzate FINREP, alle definizioni di NPE (Non Performing Exposures) e di forbearance (esposizioni ristrutturate o oggetto di concessioni) introdotte in tali ITS.

Lo scopo ulteriore della consultazione della banca centrale è di estendere poi anche a banche non gruppi e SIM tali nozioni.

Nel documento viene puntualizzato che:

  • Sofferenze. Mantenute le attuali definizioni.
  • Incagli. Distinzione tra incaglio oggettivo e soggettivo (“unlikely to pay”). Soglie di materialità da definire
  • Default. Mantenuta la definizione e confermato, per le sole esposizioni al dettaglio, il possibile approccio di default per rapporto invece che per controparte.

Soprattutto, Banca d’Italia ribadisce a livello nazionale l’assoluta convergenza tra non performing loans e impairment della normativa contabile IAS/IFRS con le nozioni di NPE e default della CRR. In una epoca di ingente e forse eccessiva produzione di nuova regolamentazione, questo chiarimento di Banca d’Italia permette di evitare, nei processi e nei sistemi informativi, costosi e rischiosi “doppi binari”. Elemento questo auspicato anche da ESMA.

Riferimenti

[1] C. Brescia Morra e G. Mele (2014),  “Le nuove fonti della vigilanza prudenziale”,

[2] Banca d’Italia (2014), “Segnalazioni di vigilanza delle istituzioni creditizie e finanziarie”, Circ.154 55° aggiornamento.

[3] Banca d’Italia  (2013), “La nuova Vigilanza Prudenziale per le Banche”, Circ.263 15^ Aggiornamento.

[4] Banca d’Italia  (2013), “Disposizioni di vigilanza per le banche”, Circ.285.

[5] Banca ‘Italia (2013), “Istruzioni per la compilazione delle segnalazioni delle perdite storicamente registrate sulle posizioni in default”, Circ.284.

[6] Banca d’Italia (2014), “Aggiornamento delle definizione di attività deteriorate”, documento di consultazione.

[7] M.Bonollo e N.Andreis (2014), “Il sistema dei Controlli Interni nella nuova Circolare 263. Sintesi e Aspetti Critici”.

[8] IASB (2014), “IFRS 9 Financial Instruments

[9] Unione Europea (2013), “CRR – Capital Requirement Regulation”

Il punto sul credito bancario nell’eurozona
di Stefano Corsaro

Nov 26 2014
Il punto sul credito bancario nell’eurozona <small><small><I> di Stefano Corsaro </I></small></small>

137 banche della zona euro hanno partecipato all’indagine sul credito bancario nel terzo trimestre 2014. Le loro risposte confermano alcuni dei segnali positivi riscontrati tra aprile e giugno, i miglioramenti non appaiono comunque essere stabili.

1.      L’offerta di credito

I criteri di offerta di credito in Italia sono rimasti sostanzialmente invariati. I prestiti, soprattutto alle famiglie, hanno beneficiato di una maggiore concorrenza tra banche; invece, il peggioramento delle prospettive di particolari settori produttivi o imprese e del mercato degli immobili residenziali (per i privati) hanno irrigidito le condizioni di offerta. Le prospettive sull’attività economica, che dal 2010 al 2013 ha conosciuto una dinamica negativa, non hanno portato effetti significativi. E’ interessante notare l’andamento dei margini sui prestiti alle imprese: una piccola diminuzione si registra sul complesso dei prestiti, per i prestiti più rischiosi si osserva invece un irrigidimento. I margini dei prestiti alle famiglie hanno invece proseguito la dinamica discendente iniziata a fine 2013. Le aspettative per gli ultimi tre mesi dell’anno sono di un lieve miglioramento per i prestiti alle imprese e di un allentamento abbastanza marcato per il credito alle famiglie (Banca d’Italia, 2014).

Passando al mercato dell’area euro, gli standard per l’offerta di credito presentano dei limitati segnali di miglioramento, coerentemente con l’andamento del secondo trimestre. Allentamenti sono visibili sia nei confronti delle imprese che delle famiglie, in particolare per i prestiti non immobiliari. Tra i paesi più rilevanti dell’eurozona, spicca l’allentamento francese, mentre le condizioni per le imprese olandesi e i mutui tedeschi sono peggiorate (grafico 1). Diminuiscono le disparità tra i paesi dell’area, sia per i prestiti a privati che, in misura minore, alle imprese: ciò potrebbe avere potenzialmente risvolti positivi per la neonata unione bancaria e dovrebbe ridurre la segmentazione in mercati nazionali.

Criteri per l’offerta di credito
 Corsaro 1
Fonte: dati BCE. Valori compresi tra -100 e 100. Valori negativi indicano un allentamento delle condizioni.

Accresciuta liquidità delle imprese, maggiore competizione tra istituti di credito, accesso facilitato ai mercati del credito. Questi sono i fattori che spiegano la positiva evoluzione evidenziata. La Francia presenta miglioramenti (significativamente) superiori rispetto alla media, ponendosi, con una sola eccezione, al di sopra dei maggiori paesi europei. Dopo il miglioramento dello scorso trimestre, la percezione del rischio da parte delle imprese e le prospettive macroeconomiche sono però tornate in territorio negativo. Gli indicatori della Spagna, grazie a dati macroeconomici incoraggianti e al processo di riforme avviato, sono in miglioramento.
L’analisi dei margini dei prestiti presenta un dato interessante: quanto alla media dei prestiti il calo italiano è confermato in tutta l’Eurozona, Spagna e Francia presentano un miglioramento ben più marcato rispetto a quello italiana; invece l’irrigidimento per i prestiti più rischiosi pone l’Italia in controtendenza rispetto alla media europea (BCE, 2014).

Tra le variabili che potrebbero allentare le difficoltà nell’offerta del credito, un posto di rilievo spetta alle nuove iniezioni di liquidità della Banca Centrale Europea (TLTROs): lanciate a settembre, esse verranno ripetute con cadenza trimestrale almeno sino a marzo 2016.
Quasi i due terzi delle banche che hanno partecipato alla prima asta intende utilizzare i fondi ricevuti per fornire nuovi prestiti, soprattutto alle imprese, circa un quarto li utilizzerà per rifinanziarsi (sostituendo primariamente i fondi dell’Eurosistema), solo il 10% prevede di acquistare titoli. E’ significativo notare che un quinto delle banche, percentuale bassa ma non trascurabile, abbia segnalato tra i motivi della mancata partecipazione all’asta la mancanza di domanda di credito.
Le TLTROs non sembrano poter giocare un ruolo decisivo nell’aumento dell’offerta del credito. Meno del 10% dei rispondenti aumenterà infatti la propria offerta e l’allentamento avverrà quasi unicamente su termini e condizioni dei prestiti a imprese e privati (per consumi diversi dai mutui) (BCE, 2014).

2.      La domanda di credito

L’analisi della domanda di prestiti da parte di famiglie e imprese italiane restituisce un’immagine con luci ed ombre. Desta preoccupazione il calo della domanda da parte delle imprese, in territorio negativo dopo un trimestre di sostanziale stabilità. L’indagine dei motivi di tale risultato porta ad ulteriori motivi di preoccupazione: all’aumento della domanda per ristrutturazione del debito si sono infatti accompagnate variazioni nulle di domanda per scorte e, soprattutto, la decrescita della domanda per investimenti fissi. Non certo un buon viatico per la ripresa economica. All’opposto, la domanda di credito da parte delle famiglie per mutui è in aumento, sospinta da positive prospettive del mercato immobiliare e dal, pur limitato, aumento di fiducia. Nell’ultimo trimestre dell’anno in corso le richieste di credito da parte di imprese e famiglie dovrebbero aumentare, sebbene nel secondo caso l’aumento sarà molto più contenuto rispetto ai trimestri precedenti (Banca d’Italia, 2014).

Il quadro europeo presenta marcate differenze rispetto alla situazione italiana. La domanda di imprese e privati per credito al consumo è un aumento. La richiesta di fondi da parte delle imprese dell’eurozona è altresì in crescita, con punte al rialzo per le imprese francesi e spagnole; per il credito al consumo, le famiglie olandesi e spagnole hanno accresciuto in misura significativa le proprie richieste agli istituti bancari. La variazione positiva delle domande per mutui in Italia si accorda con l’andamento del resto dell’area euro: l’aumento italiano e quello olandese sono i più consistenti tra i paesi più importanti dell’area (grafico 2).

Criteri per la domanda di credito
Corsaro 2
Fonte: dati BCE. Valori compresi tra -100 e 100. Valori positivi indicano un’espansione della domanda.

Fusioni e ristrutturazione del debito contribuiscono all’aumento della domanda delle imprese; la domanda di credito per investimenti fissi, dopo un primo trimestre di limitato aumento, è in calo nella maggioranza dei paesi, tra cui Spagna, Italia e Olanda. Sebbene i valori siano ancora limitati, l’uso di strumenti di finanziamento alternativo contribuisce al calo delle richieste. In Italia e Francia, tali strumenti si concretizzano soprattutto in emissioni di titoli di debito (sul tema dei finanziamenti alternativi, si veda Corsaro, 2014). L’aumento delle richieste dei privati è invece guidato dalle prospettive sul mercato immobiliare (mutui) e, in misura minore, dall’aumento della fiducia dei consumatori (credito al consumo). Nel prossimo trimestre, la domanda di fondi da parte di tutti gli operatori dovrebbe crescere ulteriormente (BCE, 2014).

Bibliografia

Banca Centrale Europea. The Euro Area bank lending survey. 3rd quarter 2014. October. Euro area bank lending survey. 2014.

Banca d’Italia. Indagine sul credito bancario. Risultati per l’Italia. 2014.

Corsaro, Stefano. Banche, obbligazioni, assicurazioni. Quale futuro per i finanziamenti alle imprese? FinRiskAlert.it. 2014.

 

BCE: iniziati acquisti di ABS

Nov 22 2014

A seguito alle decisioni di settembre, la BCE ha iniziato ieri gli acquisti di ABS. Gli importi acquistati saranno resi noti settimanalmente.

Per ulteriori informazioni, leggere qui.
Per un’analisi degli acquisti di ABS e Covered Bonds della BCE, leggere qui.

La network analysis e il rischio sistemico
di Giulia Simonetti

Nov 20 2014
La network analysis e il rischio sistemico <small><small><I>di Giulia Simonetti </I></small></small>

A seguito della recente crisi finanziaria e della conseguente nuova regolamentazione, il rischio sistemico è divenuto un tema di grande interesse che  ha motivato numerose analisi e studi. Le definizioni più popolari di rischio sistemico sono:

  • il rischio che non può essere mitigato attraverso una se pur corretta diversificazione di portafoglio,
  • un rischio di disordine del sistema finanziario che può avere gravi conseguenze negative per il sistema finanziario e l’economia reale” – CRD IV[1]
  • “il rischio che il fallimento di un partecipante nell’adempiere ai suoi obblighi contrattuali possa a sua volta causare il fallimento di altri partecipanti” – BIS

Queste definizioni catturano il fenomeno e lo descrivono sotto diversi punti di vista. La definizione non è dunque univoca, il concetto è però molto semplice:

Il rischio sistemico è il propagarsi, in maniera amplificata o meno, di uno shock iniziale, causato da un trigger come un default o un’insolvenza, agli altri partecipanti al mercato attraverso canali di contagio, creando o alimentando una situazione di instabilità.

Il rischio sistemico è dunque legato alle connessioni tra gli operatori finanziari. Le interconnessioni tra le entità finanziarie agiscono come veicolo di risk sharing in periodi di quiete, mentre in periodi di crisi rappresentano il principale veicolo di propagazione degli shocks finanziari. Questo porta a definire il rischio sistemico proprio come un effetto domino (cascade default) che si innesca a seguito di uno o più default di entità finanziarie.

  1. 1.      Normativa e regolamentazione in Europa

La normativa e la regolamentazione europee introdotte negli ultimi due anni, le recommendations e i warnings dell’ESRB e più in generale gli sforzi recenti dei regolatori europei hanno portato ad una vera e propria rivoluzione nel trattamento del rischio sistemico, rischio che si materializza in periodi di stress o per shocks di liquidità o per shocks di default che tendono a propagarsi lungo tutta la rete finanziaria con un effetto domino.

L’approccio delle autorità nell’assessing e nel monitoring del rischio sistemico sta passando da uno micro-prudenziale ad uno macro-prudenziale. Le misure adottate sono sostanzialmente due:

  • un approccio più quantitativo con l’EMIR. Attraverso gli obblighi di clearing e di collateralizzazione e con l’istituzione delle CCPs, si modifica totalmente la struttura della rete finanziaria che passa dall’essere una struttura sparsa, omogenea con interconnessioni prevalentemente bilaterali OTC, ad una struttura più accentrata tipo hub and spoke  con delle milestones connettive ad un primo livello, le CCPs, entità altamente connesse ad un secondo e terzo livello, le G-SIFIs  e le O-SIFIs ed infine, le rimanenti entità finanziarie.
  • un approccio più qualitativo, di tipo “capital requirements” con Basilea III, CRR, CRD IV attraverso obblighi di detenzione di buffers di capitale sia per prevenire eventuali carenze di liquidità sia per evitare i fenomeni prociclici che scattano in momenti di crisi portando ad un aumento dell’ampiezza e dell’intensità della crisi stessa.

Negli ultimi tempi il dibattito si è concentrato sul cercare di capire quale tipologia di network sia più resiliente/elastica e capace di assorbire gli shocks dovuti a un default. Si è passati da un approccio microprudenziale limitato al perimetro di una singola banca ad un approccio macroprudenziale che invece abbraccia un perimetro molto più vasto e, attraverso la network theory, cerca di studiare non il rischio associato ad una singola banca, ma le concentrazioni di rischio sistemico nel network globale finanziario. Con il passaggio ad una struttura di rete finanziaria concentrata attorno alle CCPs, che diventano dei poli di rilevanza sistemica, si cambia la distribuzione del rischio nella rete stessa. Il rischio è collocato principalmente in queste entità. E’ per questo che l’EMIR richiede alle CCPs di mettere a punto delle procedure per il salvataggio e di risk management. A questo fine, i capisaldi sono essenzialmente tre:

  • la CCP richiede ai suoi membri di postare del collateral in forma di margine per coprire eventuali perdite future,
  • la CCP richiede ai suoi membri di postare risorse finanziarie addizionali per eventuali default di altri membri,
  • le CCPs devono  monitorare e misurare frequentemente i rischi includendo stress tests in modo da verificare l’adeguatezza patrimoniale nei vari scenari estremi di mercato.

La più recente normativa, con l’istituzione di alcuni requisiti di capitale ad hoc (anticiclici, di conservazione e per rischio sistemico) cerca di creare un cuscinetto che può essere attivato in situazioni di effetto domino o cascade default cercando di interrompere il flusso di esposizione o di default. L’EMIR va invece a modificare la rete, rendendola più accentrata e sicuramente più facile da monitorare.

  1. 2.      La letteratura su reti finanziarie e rischio sistemico

La letteratura sulle reti finanziarie è ancora agli inizi. Si distinguono principalmente tre approcci al tema delle reti finanziarie e del rischio sistemico. Alcuni papers analizzano una rete e si concentrano sui possibili effetti di propagazione e sui meccanismi di amplificazione. In alcuni casi si analizza la diffusione dello shock per effetto domino, mentre altri papers si concentrano più sull’amplificazione degli shock via prezzi o per fenomeni tipo corsa agli sportelli. Vi è poi un filone emergente nella letteratura che si concentra sullo studio della formazione di reti finanziarie con l’obiettivo di capire se una rete formatasi endogenamente sia efficiente o troppo connessa/complicata. Accanto a questi approcci teorici vi è un approccio simulativo che cerca di  valutare il fenomeno del contagio all’interno di una rete finanziaria.

Ciò che accomuna tutti gli studi di cui sopra è la modellazione dell’effetto di propagazione dello shock iniziale, e conseguente spread della crisi, attraverso la network theory.

Il rischio sistemico può essere interpretato come il materializzarsi della propagazione di uno shock attraverso i link di una rete finanziaria. Il sistema finanziario/interbancario può essere considerato come una rete (o grafo) i cui nodi sono le entità finanziarie e i link pesati tra i nodi rappresentano il flusso finanziario tra i due nodi/entità [2].

La propagazione delle perdite nella rete finanziaria avviene in primo luogo attraverso link diretti tra i balance sheets delle entità finanziarie della rete. Nel momento in cui un nodo della rete viene a mancare per via del suo default, i link che lascia scoperti possono essere di credito o di debito. I creditori, primi vicini, del nodo defaultato potranno recuperare solo parte delle somme dovute. In base alla LGD si può calcolare la perdita e computare la probabilità di default del nodo/creditore che si è trovato con un link scoperto. Questo calcolo si ripete per i secondi vicini e così via. Eisenberg e Noe (2001) [3] hanno costruito un modello statico che modella la direct network dependence (o anche knock on effect) tramite un fictitious default algorithm. L’analisi si concentra sulla possibilità di garantire il normale svolgimento dei pagamenti da parte delle entità finanziarie di una rete, dato un default iniziale di un nodo della stessa. Nel caso di default dei nodi successivi si procede algoritmicamente con lo stesso metodo senza variare le condizioni del sistema.

A onor del vero, la maggior parte degli studi in materia utilizza l’algoritmo di contagio proposto in [4] che, a differenza di Eisenberg e Noe non è istantaneo, ma è composto da più round di contagio; il che non deve dare l’impressione di una dimensione dinamica. E’ comunque un algoritmo statico, in quanto le variabili di interesse sono costanti e indipendenti dal numero di entità defaultanti o dal round in corso.

Il fenomeno del contagio attraverso la network theory è stato analizzato da numerosi studi con un approccio simulativo. Studi come quelli di Allen e Gale (2000) [5] e Freixas et al. (2000) [6] analizzano il fenomeno del contagio a partire da una data struttura del mercato interbancario. [5] studiano le quattro possibili strutture basiche di network che si possono formare tra quattro banche che hanno esposizioni reciproche. A parità di shock, gli autori dimostrano che alcune strutture sono più resistenti al contagio: in particolare un grafo completo, ovvero una struttura completa di esposizioni in cui tutte le banche hanno un’esposizione simmetrica a tutte le rimanenti banche, è molto più stabile di una incompleta, in cui ogni banca ha, ad esempio, un’esposizione solo con un’altra banca. Gli autori analizzano anche una struttura sconnessa, in cui si possono individuare degli insiemi di banche collegate fra loro all’interno della sottostruttura, ma senza alcun collegamento tra i diversi gruppi. Questa struttura è più incline al contagio, ma allo stesso tempo, evita lo shock si propaghi alle componenti non connesse. [4] invece analizza una struttura in cui c’è una banca che è collegata con tutte le altre banche, ma le banche minori non sono collegate fra loro. La robustezza di questa struttura dipende dai parametri del modello.

Alcuni autori hanno esteso l’algoritmo di contagio incorporando altri fattori che impattano su di un balance sheet: alcuni ad esempio simulano il contagio usando la net exposure invece che la gross exposure analizzando così l’impatto positivo del netting nella riduzione del fenomeno di contagio; altri inseriscono dei costi di bancarotta, che tipicamente hanno un impatto negativo sul contagio.

Indipendentemente dalle ipotesi di partenza usate nei modelli teorici e simulativi e dal tipo di dati considerati (popolando artificialmente matrici di esposizione interbancaria bilaterale o utilizzando un database reale come ad esempio Upper e Worms (2004) [7] per il mercato interbancario tedesco), il risultato che si ottiene è che il solo contagio attraverso esposizione diretta non è sufficiente a scatenare una crisi di rilevanti dimensioni: solo una piccola porzione (5-7%) dei nodi della rete risente del default da contagio. In questo contesto solo uno shock iniziale di elevata intensità può scatenare un contagio significativo. Questo tipo di conclusione non permette di spiegare quanto accaduto durante la recente crisi del 2007 allorché una crisi sistemica è stata innescata dal non corretto funzionamento del mercato subprime che costituiva solo il 4% dell’intero mortgage market.

Questo risultato può essere spiegato dal fatto i modelli direct network dependence di cui sopra non tengono conto di alcuni fattori fondamentali che concorrono all’amplificazione del contagio in caso di shock. Essi sono nella sostanza modelli statici: il contagio e la diffusione dello shock avvengono in maniera istantanea, dunque lasciando congelati i portafogli e i prezzi degli asset che li costituiscono. Di conseguenza questi modelli implicano la passività delle istituzioni finanziarie nei confronti del contagio. Ad una più approfondita analisi delle crisi finanziarie, si può notare che, oltre al canale di propagazione dello shock via esposizione diretta, vi sono numerosi effetti a catena secondari e concatenati tra loro che portano ad un’amplificazione dello shock raggiungendo i livelli di criticità osservati nella recente crisi.

L’amplificazione di uno shock è data da effetti diretti, ben modellati con la direct network dependence e da effetti indiretti come la risposta dei partecipanti all’andamento del mercato. La loro azione porta a fenomeni ben conosciuti negli ultimi anni: flight to quality, aumento di volatilità, crisi di funding e mancanza di liquidità, depressione dei prezzi, aumento della correlazione tra le asset classes. L’esposizione agli stessi fattori di rischio può portare a perdite/default simultanei in partecipanti al mercato sebbene questi non siano legati da nessuna esposizione.

La mancanza di liquidità e le crisi di funding fanno sì che i partecipanti al mercato si trovino costretti ad una vendita massiva di assets o a diminuire il livello di leverage e di esposizione al fine di essere solvibili nel breve termine. La conseguente depressione dei prezzi di assets, che si trovano ad essere quasi svenduti, e la diminuzione del valore dei portafogli che sono valutati mark to market porta ad una spirale di liquidità. Questo fenomeno comporta una maggiore fragilità della rete finanziaria in quanto il sistema bancario, al fine di soddisfare esigenze di solvibilità nel breve termine, si trova a dover liquidare posizioni a lungo termine ad un prezzo molto basso vista l’urgenza e le condizioni di mercato sfavorevoli.

Questa dinamica di mercato porta ad una notevole amplificazione dello shock che si propaga nella rete finanziaria, non solo tra entità collegate da un’effettiva esposizione, ma anche tra entità che possiedono portafogli esposti agli stessi fattori di rischio e che subiscono gli stessi effetti nocivi di una depressione dei prezzi.

Cifuentes, Ferrucci, and Shin (2005) [8] hanno indagato il fenomeno analizzando il liquidity risk in un sistema di istituzioni finanziarie interconnesse, sottoposte a vincoli di solvibilità normativi. Gli autori tengono conto sia del canale di contagio diretto che di quello indiretto dato dalle variazioni dei prezzi delle attività finanziarie, evidenziando come anche riserve di capitale abbondanti possano non essere insufficienti a prevenire il contagio. Bech e Soramaki (2001) [9] studiano il funzionamento del sistema dei pagamenti nel caso di una crisi di liquidità ovvero la possibilità di uno stallo nei pagamenti. In condizioni di crisi di liquidità le entità finanziarie possono non essere inclini a inoltrare pagamenti vista la non certezza di riceverne, questo può tradursi in una immobilità di pagamenti e il conseguente acuirsi della spirale di illiquidità.

Questa impostazione ha portato a costruire degli indicatori di rischio sistemico. Adrian e Brunnermeier (2008) [10] propongono il CoVaR come misura di rischio sistemico dove “Co” sta per “condizionale”, “contagio” e “comovimento”. Definiscono il contributo di un’entità al rischio sistemico con il deltaCoVaR ovvero la differenza tra il CoVaR calcolato in periodi di stress e il CoVaR medio dell’entità finanziaria, dove il CoVaR è il VaR dell’istituzione in esame rispetto al default di un’altra entità. Gli autori forniscono una misura predittiva del contributo al rischio sistemico con il forward deltaCoVaR: tale indicatore è costruito proiettando il deltaCoVaR sulle caratteristiche dell’impresa ritardate come la dimensione e la leva finanziaria.  Acharya et al 2010[11] propongono una misura simile:  il SES – Systemic Expected Shortfall- che viene calcolato come combinazione lineare di Expected Shortfall marginale e livello di leva. Huang, Zhou, e Zhu (2010) [12] presentano il DIP– Distress Insurance Premium come misura di rischio sistemico: esso è un ipotetico premio assicurativo contro le perdite catastrofiche (ovvero perdite in eccesso al VaR o in eccesso ad una soglia fissata) in un dato portafoglio. L’importanza sistemica di una singola istituzione è definita dal suo contributo marginale al premio assicurativo complessivo nel caso di stress. Segoviano e GoodHart (2009) [13] stimano una distribuzione congiunta multivariata di probabilità di default usando un metodo non parametrico che cattura, al contrario della correlazione, dipendenze non lineari nella struttura finanziaria. Cont (2003) [14] propone il Contagion Index che combina sia fattori di credito (le esposizioni) sia fattori di mercato (i prezzi). Esso è calcolato dal default impact atteso in uno scenario di stress del mercato come il default contemporaneo di un gruppo di istituzioni. Il default impact è il totale della perdita generata dall’effetto domino dovuto a questo default.

I lavori di cui sopra possono sicuramente essere adottati come punto di partenza per un avanzamento teorico in direzione di misure più quantitative, di indici che tengano conto di tutte le componenti del contagio in caso di stress, in modo da poter assicurare provvedimenti a livello normativo  mirati e specifici.

  1. 3.      Considerazioni conclusive

In conclusione, una rete omogenea e a densità non accentrata, come prima delle CCP, può essere un ottimo veicolo di distribuzione del rischio, ed è caratterizzata dal contagio del default a shocks comuni solo per livelli di LGD molto alti, sempre nell’ipotesi di non tenere conto dei fattori di amplificazione dello shock di cui sopra. L’entità del contagio aumenta in modo non lineare con l’entità dello shock.

Una rete accentrata, invece, come nella prospettiva EMIR sicuramente rende più robusta la struttura finanziaria, proprio per i requisiti richiesti alle CCPs e per il meccanismo di clearing che riduce l’LGD. Riguardo a questa struttura, sono in molti ad avere dubbi circa la diminuzione di liquidità e di collateral che i requisiti di capitale delle recenti normative possono comportare per le entità della rete finanziaria. Ovvero si teme che queste normative non tengano abbastanza conto del trade-off che c’è tra il ridurre il rischio sistemico e l’assicurare sufficiente liquidità al sistema. I capital requirements prudenziali istituiti per mitigare il rischio di controparte e sistemico possono allo stesso tempo condizionare la quantità di collateral disponibile nell’intero sistema finanziario.

 

Riferimenti

[1] Direttiva 2013/36/EU (CRD IV)

[2]  Giulia Simonetti (2014) “Il punto sulle risposte al rischio sistemico

[3] Eisenberg and Noe (2001)  “Systemic Risk in Financial Systems

[4]  Furfine (2003)  “Interbank exposures: quantifying the risk of contagion

[5] Allen e Gale (2000) ”Financial Contagion

[6] Freixas et al. (2000) “Systemic Risk, Interbank Relations and Liquidity Provision by the Central Bank

[7] Upper and Worms (2004) “Contagion in the German interbank market

[8] Cifuentes, Ferrucci, and Shin (2005) “Liquidity risk and contagion

[9] Bech ,Soramaki(2001) ”Gridlock Resolution in Interbank Payment Systems

[10] Adrian and Brunnermeier (2008) “CoVar

[10] Adrian and Brunnermeier (2008) “CoVar

[11] Acharya, Pedersen, Philippon, and Richardson (2010) “Measuring Systemic Risk

[12]  Xin Huang, Hao Zhou, Haibin Zhu (2011)  “Systemic Risk Contributions

[13] Segoviano and Goodhart (2009) “Banking Stability Measures

[14] Cont (2012) “Contagion and Systemic risk in Interbank Networks

 

 

Come le banche pagheranno i (loro) futuri salvataggi?
di Emilio Barucci

Nov 20 2014
Come le banche pagheranno i (loro) futuri salvataggi? <small><small><I>di Emilio Barucci </I></small></small>

La direttiva 2014/59 prevede che le banche contribuiscano ad un national resolution fund al fine di  costituire le risorse necessarie per fronteggiare il bail-in di istituti in crisi senza gravare sulle finanze pubbliche. Nel caso dei paesi appartenenti alla banking union, questi fondi saranno progressivamente uniti. In ottobre la Commissione Europea ha stabilito i criteri dettagliati per i contributi che le banche dovranno versare a partire dal 2015.

Occorre fare una piccola premessa in merito al ruolo che questi fondi dovrebbero svolgere. Guardando al caso dell’area euro, ci si accorge che questi fondi non dovrebbero permettere una copertura rispetto all’insorgere di una crisi sistemica quanto piuttosto facilitare il bail-in di una (singola) banca in difficoltà (quindi tra claim holders della banca) senza ricorrere a fondi pubblici. Nel caso del fondo previsto dalla banking union questo dato emerge riflettendo su tre aspetti: la portata del fondo è assai limitata (pari a 55 miliardi di euro, l’1% dei covered deposits), il coinvolgimento del fondo nel salvataggio di una banca non può eccedere il 5% delle liabilities della banca, l’impiego del fondo è soggetto a numerosi vincoli.

La fee che le banche saranno chiamate a versare a partire dal 2015 si compone di due parti: una proporzionale alle liabilities, che potrebbero essere oggetto di bail-in, e una componente aggiustata per il rischio. A parità di dimensione, le banche più rischiose sarebbero chiamate a versare un contributo maggiorato del 50%, quelle meno rischiose a versare un contributo ridotto del 20%.

Secondo le stime della Commissione, adottando i criteri proposti, le banche di dimensione maggiore nell’area euro (quelle che rappresentano l’85% degli assets complessivi) contribuiranno per circa il 90% del totale. Le banche di elevata dimensione (con più di 500 miliardi di liabilities) avranno un contributo medio di 300 milioni.

Il criterio di proporzionalità (alleviare i costi di questa nuova regolamentazione sulle banche piccole) ha portato ad introdurre un trattamento differenziato per le piccole banche piccole (meno di 300 milioni di liabilities esclusi gli own funds e i depositi garantiti, meno di un miliardo di total assets). Queste banche, che nell’area Euro rappresentano il 56% del totale, l’1.7% degli assets e l’1% delle liabilities, avranno una fee costante a seconda della dimensione che sarà compresa tra 1.000 e 50.000 euro (con sei scaglioni) beneficiando di una riduzione in media del 70% rispetto all’applicazione delle regole che valgono per le altre banche. Il loro contributo sarà pari allo 0.3% del totale. Lo sconto in capo alle piccole banche porterà ad un aggravio minimo per le altre banche (+0.7% per l’area euro).

I punti di attenzione appaiono essere i seguenti: indicatore di dimensione utilizzato, trattamento differenziato per le piccole banche, indicatori per la componente risk adjusted, aggiustamento per il rischio, ripartizione del contributo per dimensione delle banche. Vediamo di comprendere le ragioni e  le criticità delle scelte della Commissione.

  1. L’indicatore rispetto a cui calcolare la componente proporzionale è rappresentato dai fondi totali esclusi i depositi garantiti e gli own funds. L’idea è di mettere in relazione la fee pagata da ciascuna banca con i fondi della stessa che potrebbero essere oggetto di bail-in (depositi non garantiti, obbligazioni, esposizioni sul mercato interbancario). Sulla carta la proposta è convincente in quanto la fee è calcolata sulla massa totale dell’eventuale salvataggio. Un problema potrebbe sorgere riguardo all’incentivo per le banche ad espandere la quota di raccolta garantita. La cosa di per sé sarebbe positiva in quanto questa forma di raccolta ha il pregio di essere più stabile rispetto a quella che proviene dal mercato. Il problema è rappresentato dal fatto che un vero sistema di garanzia dei depositi (costituito ex ante) nazionale o a livello dia area euro non si intravede ancora. Si rammenta che ad oggi questa è la parte dalla banking union ancora da costruire.
  2. Trattamento differenziato per le piccole banche piccole. Il motivo per avere un trattamento differenziato per le banche piccole è duplice. Da un lato queste banche sono meno rischiose, almeno in chiave sistemica, e quindi sono meno suscettibili di intervento da parte del fondo a causa dell’assenza di interesse pubblico nel salvataggio, in secondo luogo il costo per il computo della componente aggiustata per il rischio potrebbe essere troppo elevato per queste banche. Il meccanismo appare adeguato, le cifre coinvolte sono limitate, si può solo osservare che lo sconto concesso a queste banche appare essere molto significativo: queste banche rappresentano l’1,7% degli assets e verseranno contributi pari allo 0,3% del totale. Inoltre lo sconto potrebbe indurre le banche piccole ad intraprendere strategie/modelli di business rischiosi, il monitoraggio che dovrebbe essere intrapreso su questo punto appare di difficile implementazione.
  3. Misura di rischiosità delle imprese. Il risk adjustment della fee si basa su quattro pilastri (tra parentesi indichiamo il relativo peso): risk exposure (50%), funding (20%), institution’s importance (10%), additional risk factors lasciati alla discrezione della national resolution authority (20%). Al momento il quarto indicatore non è stato definito in quanto le autorità nazionali non hanno ancora adempiuto alle loro prerogative e quindi le simulazioni sono state svolte con i pesi per i primi tre pilastri ricalibrati (62.5%, 25%, 12,5%). La risk exposure si basa su quattro indicatori equipesati: RWA/total assets, leverage ratio, common equity tier 1 capial ratio, own funds e liabilities in eccesso dell’8% disponibili per il bail-in della banca (indicatore ancora non operativo); l’indicatore di funding a regime dovrebbe essere articolato su LCR e NSFR al momento la proxy utilizzata è il loan to deposit ratio; l’indicatore sull’importanza della banca è fornito dalla quota delle esposizioni complessive verso altre banche. Gli ulteriori fattori di rischio dovrebbero riguardare le trading activities, off balance sheet exposures, esposizione in derivati e complessità della banca, public finance support. Gli indicatori considerati sono sicuramente capaci di catturare la rischiosità delle attività di una banca. Positivo è il riferimento ad una molteplicità di indicatori di bilancio che dovrebbe evitare esercizi di manipolazione. Da valutare se l’esposizione verso le altre banche offra una corretta rappresentazione dell’importanza della banca nel sistema.
  4. L’aggiustamento per il rischio rispetto alla fee calcolata sulla base della dimensione dovrebbe essere in un range pari a 0,8-1,5. Questo aggiustamento sembra essere significativo ma forse non del tutto aderente alla variabilità della rischiosità riscontrata nei bilanci delle banche. A conferma del punto 2 si osserva che il coefficiente implicito di risk adjustment per le banche piccole sarebbe pari a 0,3. Dalle simulazioni si evince che le banche di maggiori dimensione hanno un aggiustamento per il rischio di portata comunque limitata.
  5. Alla luce della necessità di fronteggiare soprattutto il rischio sistemico, è doveroso domandarsi se il rapporto 85% degli assets-90% dei contributi per le banche dell’area euro sia adeguato o se le banche maggiori non dovrebbero coprire una quota superiore. Questo 5% aggiuntivo è dovuto alla quota proporzionale (3%) e all’aggiustamento per il rischio (2%), questa seconda componente appare limitata. L’introduzione del quarto pilastro nell’aggiustamento per il rischio dovrebbe comunque aumentare questa componente.