Il Comitato di Basilea ha pubblicato i risultati della sua ultima attività di monitoraggio di Basilea III. Lo studio si basa sul rigoroso processo di reporting istituito dal Comitato con l’obiettivo di rivedere periodicamente le implicazioni delle norme di Basilea III per le banche.
Un totale di 227 banche hanno partecipato allo studio corrente. in particolare, si tratta di 102 banche appartenenti al Gruppo 1 (ovvero le banche attive a livello internazionale che hanno Tier 1 capital di oltre € 3 miliardi) e di 125 banche appartenenti al Gruppo 2 banche (ovvero tutte le altre banche).
The Over-the-Counter (OTC) Derivatives Regulators Group (ODRG) ha pubblicato un report che fornisce un aggiornamento del G20 sui progressi nella risoluzione di derivati OTC.
Il ODRG ha comunicato che il prossimo report verrà pubblicato in vista del prossimo G20 previsto nel novembre 2014

Executive summary
Uno degli argomenti che spinge a ritardare l’implementazione nell’Area euro del Quantitative Easing (QE) è legato alla mancata conclusione del processo di revisione dello stato di salute delle principali banche europee, e alla conseguente fase di ristrutturazione necessaria a porre in atto i rimedi a situazioni più o meno patologiche. Con opportuni accorgimenti si può evitare che il QE diventi un “regalo” per le banche in questa difficile fase di transizione verso la Vigilanza Bancaria Unica.
Il discorso del Presidente della BCE, Mario Draghi (2014), al consueto appuntamento estivo di Jackson Hole organizzato dalla Federal Reserve Bank of Kansas City ha riacceso il dibattito sull’esigenza o meno di mettere in atto anche nell’Area euro il QE, ovvero l’acquisto da parte della Banca Centrale di titoli (prevalentemente di Stato) con l’intento di immettere liquidità nel sistema economico (si veda per il caso statunitense Corsaro, 2014).
Più recentemente, Draghi ha esplicitamente dichiarato che nella riunione del 4 settembre 2014 si è discusso di QE, ma i contrasti interni al board, soprattutto con il governatore della Bundesbank, Jens Weidmann, hanno indotto il Comitato Esecutivo della BCE a prendere una decisione di compromesso, con il taglio del tasso di riferimento di 10 punti base e l’avvio dell’acquisto sul mercato di ABS (Asset Backed Securities) e di covered bonds (cosiddetto Credit Easing, CE), ma non di titoli governativi.
Un ostacolo ad un rapido lancio del QE, che da molti è considerato lo strumento cardine per la lotta alla deflazione (si veda al riguardo Roubini, 2014), è però costituito dai test in corso sullo stato di salute delle principali banche europee che dal prossimo novembre saranno sottoposte alla vigilanza della BCE. Il QE, infatti, potrebbe fornire un importante sollievo per i bilanci bancari, soprattutto per quelle banche operanti nei paesi periferici, come Italia e Spagna, che negli ultimi 2/3 anni hanno notevolmente incrementato il loro portafoglio di titoli di Stato (Milani, 2014). Presentandosi sul mercato un compratore disponibile a rilevare un’ingente quota di titoli governativi, le banche potrebbero liberarsi di questi bond (oltretutto non proprio privi di rischio) incassando delle rilevanti plusvalenze legate al differenziale di rendimento rispetto ai livelli dei tassi registrati negli anni passati (grafico 1). Così facendo, però, la BCE tenderebbe ad inficiare la valenza segnaletica dell’asset quality review e degli stress test (cosiddetto comprehensive assessment): con una mano si toglierebbero risorse alle banche imponendo una maggiore rigorosità nella tenuta dei conti e nella dotazione di capitale, con l’altra si offrirebbe un importante aiuto finanziario, soprattutto agli istituti di credito che non sono stati particolarmente prudenti nell’allocazione dei propri portafogli titoli.
Grafico 1
Ciò che emerge da tale contesto è quindi una chiara situazione di contrasto di interessi nelle funzioni della BCE, legato alla contemporanea gestione della politica monetaria e, a partire dall’anno in corso, della vigilanza sul sistema bancario dell’Eurozona. Un modo per superare questa impasse potrebbe essere quello di imporre, mediante una raccomandazione dell’European Systemic Risk Board (ESRB), alle banche che beneficeranno direttamente del QE, in quanto potranno cedere buona parte dei titoli di Stato in loro possesso alla BCE senza condizionarne il rendimento, di accantonare interamente le plusvalenze ottenute. I più alti buffer di capitale ottenuti non dovrebbero però essere computati ai fini del raggiungimento degli obiettivi imposti dal comprehensive assessment, la cui valenza segnaletica sarebbe in tal modo preservata. In altri termini, le plusvalenze ottenute con la vendita dei titoli governativi andrebbero a formare un cuscinetto di capitale aggiuntivo rispetto a quello che verrà richiesto dopo gli stress test, irrobustendo quindi ulteriormente il patrimonio delle banche e rendendo meno probabile l’esigenza di futuri bailout.
I vantaggi di una simile azione sarebbero particolarmente rilevanti: i) gli azionisti bancari non sarebbe premiati, attraverso maggiori dividendi, per aver avallato la scelta dei manager di incrementare l’esposizione in titoli di Stato in una fase in cui il rischio sovrano era molto elevato; ii) il contemporaneo aumento della liquidità, grazie alla vendita dei bond governativi, e dei buffer di capitale offrirebbe quello spazio di manovra necessario per tornare ad accrescere l’erogazione di credito, canale fondamentale per aumentare la moneta in circolazione e contrastare i rischi di deflazione; iii) l’accesso al credito, soprattutto quello a medio-lungo termine necessario per il rilancio delle politiche di investimento, sarebbe poi facilitato dal più basso profilo dei tassi d’interesse sui titoli di Stato, che fungono da guida anche per i tassi bancari.
Per valutare quali potrebbero essere gli effetti sulle banche di un QE applicato in larga scala nell’Area euro si può fare riferimento al caso giapponese. L’evoluzione del portafoglio dei titoli di Stato delle banche nipponiche è stato molto simile a quello degli istituti di credito dei paesi periferici dell’Eurozona: dall’inizio della crisi del 2007-08 la tendenza è stata infatti quella di aumentare consistentemente l’investimento in titoli di Stato domestici. Per le banche giapponesi di portata nazionale l’incidenza sul totale attivo dei bond governativi è passata dall’11% circa della fine del 2008 al 24% del 2012 (grafico 2). Con l’avvento dell’Abenomics agli inizi del 2013, che ha previsto tra l’altro un massiccio acquisto di titoli di Stato da parte della Bank of Japan, le banche giapponesi sono riuscite a ridurre consistentemente il loro carico di titoli di Stato, portandosi al 14,7% del totale attivo nel luglio dell’anno in corso. Nell’arco di poco più di un anno il peso dei titoli di Stato nei bilanci degli istituti nipponici si è quindi ridotto per più di un terzo. Applicato al caso italiano, in cui le banche detengono circa 400 miliardi di euro di titoli di Stato, cioè equivarrebbe a liberare risorse per quasi 150 miliardi, pari a oltre 9 punti di Pil, liquidità senza dubbio utile a rivitalizzare una domanda interna asfittica e ad allontanare il rischio di una duratura permanenza della deflazione.
Grafico 2
Riferimenti
Corsaro Stefano, 2014, Un bilancio del Quantitative Easing della Fed, FinRiskAlert.it.
Draghi Mario, 2014, Speech at annual central bank symposium in Jackson Hole.
Milani Carlo, 2014, Titoli di Stato: eppur son rischiosi, lavoce.info.
Roubini Nouriel, 2014, Abenomics, European-Style, Project Syndacate.

Lo scorso 30 aprile l’EIOPA (European Insurance and Occupational Pensions Authority) ha avviato uno stress test per valutare la resilienza del settore assicurativo Europeo.I risultati permetteranno una prima valutazione concreta dell’impatto del nuovo regime sulle imprese: l’esercizio è volto anzitutto a valutazioni di stabilità, ma basandosi sulla metrica Solvency II (SII) consentirà di avere una misura dell’impatto del complesso delle nuove norme nella loro versione definitiva (l’ultima misura di questo tipo risale a più di 3 anni fa). Lo stress test, infatti, è basato sulla più recente definizione del framework SII, incluse le misure Long Term Guarantees (LTG) su cui il Trilogo Europeo (Parlamento Europeo, Consiglio Europeo e Commissione Europea) si è accordato il 19 Novembre 2013. Lo studio ha impegnato le imprese per 5 settimane: i dati, consegnati a livello nazionale l’11 Luglio, sono stati validati dalle autorità di vigilanza dei diversi Paesiil 31 Luglio e sonoora in fase di validazione EIOPA fino a metà Settembre; i risultati degli stress saranno pubblicati a Novembre 2014. Metodologie e parametri sono stati definiti con la collaborazione dello European Sistemic Risk Board (ESRB) e sono mirati a verificare la robustezza del settore assicurativo sotto particolari condizioni avverse. Questo esercizio dovrebbe permettere di individuare eventuali punti deboli per trarre indicazioni al fine di rafforzare la stabilità del sistema finanziario europeo. Il Regulator ha richiesto di effettuare lo stress test alla data del 31/12/2013;nell’esecuzione dello studio le misure LTG sono opzionali (è comunque necessario fornire i risultati senza la loro applicazione) edallineate al più recente framework SII,inoltre: – i risultati devono provenire dall’applicazione della Standard Formula (e non dal modello interno) – i cash flow futuri non devono essere alimentati dal new business, in linea con l’approccio di going concern (come da SF) – le analisi per il “low yield module” (vedi sotto) devono essere portate a termineconsiderando un orizzonte temporale di 60 anni, laddove significativo L’EIOPA ha richiesto di valutarel’impatto di 2 diversi moduli di stress: “core module” e “low yield module” Il “core module” testa la robustezza delle compagnie in due scenari di mercato sfavorevoli (adverse1 and adverse2), dove stress su tassi di interesse, azioni, titoli governativi/corporate e su prezzi del mercato immobiliare si affiancano asituazioni critiche di rischi specifici del settore (mortalità, longevità, riserve insufficienti e rischi catastrofali). Differentemente dai precedenti esercizi, gli stress finanziari sono supposti istantanei e simultanei: gli impatti che ne derivano sono perciò da considerarsi additivi e non vanno aggregati tramite matrice di correlazione; i rischi underwriting sono considerati indipendenti fra loro e da quelli di mercato, non necessitano quindi di assunzioni preliminari sulla correlazione e permettono in ogni caso analisi ex post su effetti combinati (per riprodurli è sufficiente ipotizzare l’accadimento simultaneo di due o più shock).Con gli scenari adverse1 e adverse2, EIOPA vuole riprodurre dinamiche non favorevoli del mercato finanziario a livello globale (per entrambi gli scenari viene identificata una fonte di stress) ed al contempo focalizzare l’attenzione sull’impatto che i singoli stress hanno in termini di solvibilità. Per quanto concerne i rischi assicurativi, le compagnie sono tenute a riportare i risultati lordi e netti riassicurazione: in questo modo EIOPA, collezionando tutti i dati europei, può verificare il possibile fallimento di un riassicuratore in un determinato scenario di stress. I grafici di seguito riportati mostrano un confronto fra la curva base e le relative up/dw per il cacolo dell’SCR ed un confronto fra i livelli di curva base e adv1 e adv2.
– In adv1 la fonte di stress di mercato è l’equity, il cui shock produce importanti ripercussioni su titoli governativi e corporate.
Comparando gli stress a quelli della SF possiamo dire che
- l’equity è praticamente in linea (-41% vs -39%(quotati in mercati regolamentati OECD o EEA)/-49%(altro))
- il property è più severo(-49%(commerciale)/-17.10%(residenziale) vs -25%)
- la longevità non è distante (incremento 10% vita attesa calibrato su età 65/75 vs circa 13%,che corrisponde approssimativamente al decremento del 20% dei tassi di decesso della SF)
- la mortalità catastrofale non è distante (+0.6d_x/1000l_x vs +0.45, che corrisponde approssimativamente allo +0.15% da sommare ai q_x nella standard formula)
- i riscatti massivi è significativamente meno severo (20% vs 40%).
– In adv2 la fonte di stress di mercato è dovuta ai non-financial corporate bonds (questo evento può essere interpretato come la correzione all’attuale livello basso di spread che si osserva sui corporate bond).
Comparando gli stress a quelli della SF possiamo dire che
- l’equity è meno severo (-21% vs -39%/-49%)
- il property è meno severo (-18%/-15.70%vs -25%)
- la longevità non è distante (incremento 18% vita attesa vs circa 13%)
- la mortalità catastrofale è più severo (+2d_x/1000l_x vs circa +0.45)
- i riscatti massivi è meno severo (35% vs 40%)
Il “low yield module” è un esercizio dedicato all’approfondimento degli effetti di una prolungata fase di bassi tassi di interesse sulla solvibilità delle assicurazioni, in linea con il documento pubblicato da EIOPA il 28 febbraio 2013“Opinion on a ProlongedLowInterest Rate Enviroment”.Con l’obiettivo di far ripartire l’economia, la Banca Centrale Europea si è infattiposta come impegno principe quello di abbassare i tassi di interesse e di mantenerli tali: tale scenario potrebbe creare problemi alle compagnie di assicurazione che operano nel ramo vita con molte polizze in gestione separata (dove il cliente ha diritto ad una rivalutazione minima garantita). L’EIOPA vuole testare la robustezza del settore assicurativo sotto tali condizioni, per evitare il ripetersi di quanto già accaduto in Giappone negli anni 90, dove diverse compagnie non furono in grado di far fronte ai rendimenti garantiti agli assicurati. Il modulo si articola in due scenari, che differiscono solo per la struttura a termine dei tassi di interesse:
– low yield 1 utilizza come base di calcolo la curva di tassi giapponese di dicembre 2011 e analizza un contesto in cui tassi bassi per tutte le maturities perdurano nel tempo
– low yield 2 utilizza come base di calcolo la curva si tassi euro di giugno 2012 e analizza un contesto in cui si vede uno shock atipico inverso sui tassi di interesse: incremento nel breve e decremento nel medio-lungo termine (nella curva adottata incremento fino a 7 anni e poi decremento)
Nella prima fase, detta “bottom up” le compagnie sono tenute a calcolare gli impatti che tali strutture a termine producono sui valori di attivi, passivi e bilancio; nella seconda fase, detta “top down” EIOPA utilizza tali informazioni per condurre ulteriori analisi e sensitivities.
E’ utile sottolineare che in Italia le polizze con gestioni separate rappresentano una porzione molto rilevante del mercato Vita ed è bene ricordare che IVASS, già con la lettera al mercato del30 Maggio 2013, aveva richiesto a tutte le compagnie italiane di valutare, per contratti di tipo rivalutabile collegati a gestioni separate interne, l’impatto di una perdurante situazione di bassi tassi di interesse sulla loro capacità di adempiere agli impegni assunti, commissionandosimulazioni sulla loro esposizione al rischio di tasso basate su tre scenari differenti di stress:in particolare era stato chiesto alle compagnie di ipotizzare rispetto al caso base della curva swap in euro una variazione istantaneaparallela di+/-100bpse di misurare l’eventuale impatto sul fabbisogno di riserva aggiuntiva per rischio di tasso di interesse garantito di cui al regolamento IVASS n.21. In quell’occasione i risultati erano stati buoni(dal momento che la maggior parte delle riserve accantonate si riferisce a prodotti con rendimento minimo garantito inferiore a quello offerto dai titoli di stato su cui sono investiti gli attivi a copertura), ma l’esercizio con situazione perdurante di tassi bassi è ora eseguito seguendo le regole di SII.
EIOPA si è posta come obiettivo a livello europeo l’analisi del 50% del mercato Vita e Danni; in Italia, come da prassi per gli stress test, IVASS ha richiesto la partecipazione di quasi tutto il settore, inviando alle compagnie coinvolte una lettera con l’indicazione dei moduli da considerare (tipicamente “low yield module” per le sole compagnie vita, “core module” per vita e danni)
Nella riunione mensile del Consiglio della BCE sono stati approvati il calo dei tassi di riferimento e il via libera all’acquisto di Asset-Backed Securities.
Il tasso di rifinanziamento principale cala allo 0,05% (dallo 0,15%), il tasso marginale allo 0,30% (dallo 0,40%), il tasso sui depositi della BCE al -0,2% (dal -0,1%). Non sono previsti ulteriori aggiustamenti verso il basso dei tassi.
L’acqusito di titoli ABS partirà invece ad ottobre.
Per ulteriori informazioni, leggere qui.
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1. Introduzione
Come di recente sottolineato dall’EBA, l’autorità di vigilanza per la valutazione e supervisione dei rischi del sistema bancario europeo, nell’attuale contesto economico anche la redditività delle banche dell’Unione si è notevolmente ridotta.
Tale aspetto pone alcuni importanti interrogativi circa la sostenibilità del modello di business adottato oggi dagli intermediari finanziari ed appare ancor più critico in prospettiva delle sempre più attuali e frequenti prove di stress testing, che sono state recentemente rifocalizzate attribuendo una maggiore importanza alla componente reddituale e, in particolare, ai costi delle fonti di raccolta e all’impatto di un relativo deterioramento sulla performance economica della banca.
Un quadro, dunque, nel quale la configurazione di un adeguato sistema di Funding Transfer Pricing (FTP) può consentire alle banche di superare con successo queste nuove problematiche grazie all’ottimizzazione della gestione dei rischi di tasso e di liquidità.
1.1. Il sistema di Fund Trasfer Pricing
Per la profittabilità di ogni azienda è fondamentale che i costi, i benefici e i rischi identificati siano attribuiti, in modo chiaro e preciso, alle business line che li originano.
Nel caso specifico della banca questa funzione è assolta dal sistema di FTP che, per l’appunto, rappresenta un insieme articolato e complesso di meccanismi che prevedono il trasferimento dei costi, e dei relativi rischi, dalla Tesoreria centrale alle linee di business/prodotto che li generano.
Si tratta, quindi, di uno strumento fondamentale sia per una corretta gestione della struttura di bilancio sia per la produzione di misure di performance che tengano appropriatamente conto del rischio di liquidità e di quello di tasso generati dall’attività di Maturity Transformation.
Quello di FTP è, dunque, un sistema interno della Banca per mezzo del quale la Tesoreria centrale addebita e accredita un certo prezzo alle unità che rispettivamente impiegano e raccolgono risorse finanziarie. Tale prezzo, noto come fund transfer pricing (tasso interno di trasferimento), viene determinato sulla base di una serie di componenti di seguito riportate:
dove è possibile individuare tre componenti principali:
a) componente di tasso: prezza il rischio di tasso di interesse originato dall’attività di trasformazione delle scadenze ed include il base rate e l’impatto dei relativi behavioural adjustements (i.e. sight stickiness);
b) componente di term funding: prezza il rischio di liquidità generato dalla maturity transformation ed è composta dal maturity premium e dai behavioural adjustments (i.e. prepayment adjustment);
c) componente di buffer di liquidità: misura il costo associato alla detenzione di asset prontamente liquidabili per supportare l’attività di business della Banca in condizioni di stress (idiosincratiche o sistemiche). Il meccanismo di allocazione di questo costo è diverso a seconda della tipologia di posta: nel caso delle passività è attribuito in funzione del potenziale assorbimento di liquidità (e.g. linee di credito irrevocabili) mentre per le attività è assegnato proporzionalmente al loro livello di liquidabilità (minore è il livello di liquidità della posta maggiore sarà il costo caricato).
Pertanto, ai fini del pricing del rischio di tasso e di quello di liquidità è necessario che la Banca ricorra a modelli comportamentali per tutte quelle posizioni la cui durata non è prestabilita contrattualmente o comunque è de facto diversa rispetto a quella indicata nel contratto (a titolo esemplificativo i mutui con opzione di rimborso anticipato e i depositi a vista).
Il c.d. behavioural modelling deve essere adeguatamente gestito e strutturato per fornire vantaggi efficaci e tangibili ai calcoli dei tassi interni di trasferimento. Una stima corretta e robusta dell’effettivo comportamento di re-pricing richiede:
— la disponibilità di serie storiche di dati per categoria di prodotto che siano sufficientemente ampie;
— un regolare scambio di informazioni con la funzione commerciale/marketing, poiché per alcuni prodotti il comportamento futuro di repricing può risultare diverso rispetto a quello passato.
La corretta identificazione delle varie componenti del tasso interno di trasferimento e la sua accurata attribuzione alle diverse esposizioni on/off balance-sheet consente all’intermediario bancario di intraprendere una politica di bilancio appropriata:
- assicurando che agli impieghi di capitale siano caricati tutti i costi sostenuti nel passivo per il loro finanziamento. Questi costi di funding riflettono anche il risk appetite della Banca rispetto alla processo di trasformazione delle scadenze.
- creando una condizione di parità di confronto tra le varie tipologie di funding, volta a una migliore comprensione dell’effettivo contributivo in termini di profitto di ciascuna di esse. In altre parole, il costo negativo attribuito alle passività dovrebbe riflettere il loro livello di stabilità, l’assorbimento di risorse liquide e il rischio associato al behavioural repricing.
E’ bene comunque sottolineare che i vantaggi associati alle finalità di un sistema di FTP sono strettamente connessi con la sua integrazione nel modello organizzativo della Banca, dato che i tassi interni di trasferimento stanno alla base delle relazioni tra le diverse unità operative dell’intermediario.
2. Analisi Benchmark
Come evidenziato dal Fund Transfer Pricing Survey 2014, recentemente condotto da Deloitte a livello EMEA su un pool di 15 gruppi bancari internazionali appartenenti a 6 differenti Paesi UE, ad oggi il grado di sofisticazione del sistema di FTP risulta essere adeguato solo per i maggiori player di mercato, sebbene anche per questi ultimi si riscontrino difficoltà attinenti alla gestione dei processi organizzativi ad esso inerenti e dei relativi sistemi di supporto IT.
Dalla ricerca condotta si è anche rilevato come attualmente non tutti gli istituti risultino compliant alle nuove disposizioni normative in materia di FTP, in particolare sia per quanto riguarda le metodologie adottate per il trattamento di alcune particolari tipologie di poste sia per quanto attiene il rispetto delle nuove regole che disciplinano l’indipendenza delle funzioni di validazione e controllo.
L’indagine svolta non ha mostrato un significativo scostamento dei gruppi bancari italiani rispetto alla media europea, sebbene siano comunque stati identificati alcuni importanti punti di miglioramento, quali il livello di sofisticazione metodologica, che appare inadeguato per le realtà di piccole dimensioni, e la razionalizzazione di sistemi e processi, che potrebbe apportare rilevanti vantaggi per i gruppi medio-grandi.
2.1. Razionalizzazione dei sistemi IT: una necessità
Ben il 75% degli istituti bancari di medio-piccole dimensioni non dispone di una struttura di alimentazione automatizzata del sistema FTP, mentre il 33% delle banche di grandi dimensioni riporta che il proprio sistema IT di FTP non garantisce un’adeguata trasmissione e disponibilità dei dati ai sistemi e funzioni a valle del processo (i.e. tesoreria, sistemi di position keeping e front office). Nel complesso, dunque, la maggior parte dei gruppi bancari presenta problematiche connesse ai propri sistemi IT, che si rivelano inadatti per una corretta gestione del dato lungo la sua filiera di produzione e a valle della stessa (i.e. problemi di inconsistenza o scarsa disponibilità dei dati per finalità di rendicontazione e misurazione della performance).
Data la crucialità dei sistemi di FTP per l’indirizzo delle strategie commerciali e per la gestione dei rischi, oltre che per la misurazione della performance delle divisioni ed unità di business, si prospetta come necessario l’allineamento con i principali player italiani ed europei che hanno già avviato programmi di Finance & Risk Transformation, rivolti ad ottimizzare l’integrazione dei propri sistemi IT e creare un framework comune di data quality.
2.2. L’innovazione metodologica per la strutturazione di un sistema incentivante
L’assetto metodologico utilizzato dagli istituiti intervistati risulta coerente, almeno per quanto riguarda le componenti principali (i.e. tasso base, spread di liquidità), con le modalità di pricing della rete commerciale e l’andamento dei tassi di mercato. Tuttavia importanti innovazioni metodologiche, come la componente di costo per la detenzione del buffer di liquidità imposto da Basilea 3 e gli adjustment derivanti dall’utilizzo di modelli comportamentali, risultano essere state implementate da poche banche come evidenziato dalla figura 1 sotto riportata:
Figura 1: Valorizzazione delle Componenti FTP
La sofisticazione metodologica attualmente adottata si mostra quindi nel complesso migliorabile, soprattutto in quanto permetterebbe di avviare un processo di comunicazione e sensibilizzazione della rete commerciale sul costo implicito dei rischi finanziari e del relativo trade-off tra rischio e guadagno atteso. Un aspetto, quest’ultimo, che presenta un maggior potenziale nell’attuale scenario economico dove la forbice dei tassi è uno dei principali strumenti con cui le banche cercano di massimizzare la propria redditività, utilizzando la leva del FTP sul costo della raccolta.
Dal survey condotto da Deloitte emerge anche una prospettiva fin ora non considerata nella costruzione dei sistemi di FTP, ovvero la possibilità di introdurvi elementi non propriamente finanziari come la valutazione del merito di credito della controparte che consentirebbe l’attivazione di un meccanismo interno di incentivo alla rete a selezionare la clientela “migliore” e lasciare quella “peggiore” alla concorrenza.
In ultimo, investire in un sistema avanzato di prezzi interni di trasferimento ha un altro vantaggio strategico poiché facilitando la stima dei modelli di pass-through del costo della raccolta sui tassi attivi di impiego metterebbe le banche nella posizione di arrivare preparate ai prossimi stress test dell’Eba.
3. Nuove disposizioni regolamentari e compliance
Oltre alla disciplina ad hoc già esistente, un’altra importante fonte normativa per i sistemi di FTP proviene dall’introduzione di nuovi requisiti di liquidità da parte di Basilea III.
In particolare, il Nuovo Accordo sul Capitale delle Banche attribuisce una particolare attenzione a specifiche tematiche finora trascurate, come il contingent liquidity risk associato alle poste a tiraggio incerto (e.g. linee di credito e liquidità) per le quali ad oggi solo il 34% degli istituti risulta in grado di prezzarle in conformità a quanto richiesto dalla nuova normativa (vedi fig. 2).
Tali poste, su cui le banche hanno spesso fatto leva in modo massiccio in funzione del loro basso costo e come strumento attraverso cui commercializzare altri prodotti, risultano ora essere uno dei principali elementi su cui la regolamentazione si è focalizzata e, in funzione dei nuovi vincoli di Basilea 3, saranno verosimilmente oggetto di revisione nelle loro modalità di pricing esterno (verso la clientela) ed interno (i.e. FTP). A titolo illustrativo, nella figura che segue si riportano le principali best practice di pricing di tali tipologie di linee.
Figura 2: Pricing del Contingent Liquidity Risk
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L’adeguamento alle nuove disposizioni rappresenta dunque un vincolo ma anche un’opportunità per sviluppare un sistema di prezzi interni di trasferimento che consenta di tener conto in modo appropriato del costo della liquidità associato alle poste a vista.
La nuova regolamentazione dettata da Basilea III ha prodotto inoltre due principali effetti di ricarico nel processo di formazione del prezzo interno di trasferimento e della profittabilità della banca (vedi fig. 3):
- il primo (con impatti diretti sul FTP) attribuibile all’introduzione del buffer di liquidità che, prevedendo lo stoccaggio di strumenti finanziari prontamente liquidabili in funzione della tipologia di attività/passività contrattata, rappresenta un costo-opportunità nella misura in cui i capitali utilizzati per la formazione del “cuscinetto” potrebbero essere alternativamente impiegati in forme di investimento maggiormente remunerative;
- il secondo (con impatti indiretti sul FTP, i.e. equity rebate) riconducibile all’introduzione di ratio patrimoniali maggiormente stringenti che hanno determinato la necessità di incrementare l’equity (risorsa costosa) in proporzione agli impieghi in portafoglio.
Figura 3: Impatto atteso di Basilea 3 sul Fund Transfer Pricing
Ulteriore aspetto normativo, spesso trascurato dalle banche, risulta essere quello in materia governance per la gestione del processo di FTP. Infatti, ben il 40% degli istituti intervistati non dispone di una funzione indipendente dedicata alla validazione e al controllo dei sistemi di FTP. Questa problematica, già sull’agenda dei principali Regulator, potrebbe diventare oggetto rilevante nelle prossime prescrizioni regolamentari e, pertanto, un allineamento in anticipo al principio di indipendenza potrà consentire agli istituti finanziari di ritrovarsi già preparati alle nuove evoluzioni normative.

La possibilità per le imprese di emettere mini-bond e l’apertura alle assicurazioni quali prestatrici di fondi alle imprese sono importanti decisioni per limitare il credit crunch del tessuto produttivo italiano. Il rischio di azzardo morale e di scarsa domanda (nel primo caso) e le scarse competenze delle compagnie assicurative (nel secondo) sono però considerevoli ostacoli al pieno funzionamento di tali strumenti.
CREDITO ALLE IMPRESE: ITALIA E UE
Le difficoltà che le imprese italiane incontrano nell’accesso al credito rappresentano uno dei maggiori ostacoli per la ripresa economica del paese. Il calo dei prestiti nel 2013 è stato del 5% su base annua, nei primi mesi del 2014 si è assistito a una ulteriore, sebbene inferiore, diminuzione del 4,2%; questi dati sono finanche peggiori di quelli riscontrati durante la recessione del 2009. Dal picco pre-crisi, i finanziamenti alle imprese italiane si sono ridotti del 21%; sebbene altri paesi abbiano accusato cali superiori (ad esempio, del 37% e 66% in, rispettivamente, Francia e Spagna), la situazione delle imprese nostrane resta grave. Il 9% delle imprese ha subito nel 2013 razionamenti nella concessione del credito: il valore, sebbene in diminuzione di tre punti sul 2012, è triplo rispetto alla media 2005 – 2007. La percentuale di aziende richiedenti finanziamenti che sono state razionate (oltre il 25%) è superiore di circa 5 punti rispetto alla Spagna, più che doppia rispetto alla Francia e quadrupla rispetto alla Germania (grafico 1).
I tassi bancari sono stabili da quasi due anni e mezzo attorno al 3,5%, valore simile alla Spagna ma di circa 120 punti base maggiore rispetto al duo franco-tedesco.
Grafico 1. Imprese e razionamenti credito
I motivi della ritrosia da parte delle banche a concedere prestiti, oltre che nella difficile situazione macroeconomica e negli imminenti risultati di Asset Quality Review e Stress Test (si veda Barucci, Corsaro, Milani, 2014), sono da ricercarsi nella fragilità di molte aziende. Il margine operativo lordo (MOL) nel 2013 era di 10 punti inferiore rispetto al 2007; nello stesso anno, il rapporto tra oneri finanziari e MOL si è attestato al 21,4%, valore superiore a quelli registrati nel primo decennio del secolo scorso. I finanziamenti deteriorati continuano a crescere, arrivando a marzo a quota 239 miliardi, pari al 25,9% del totale. Sebbene permangano grandi difficoltà, si intravedono segnali di miglioramento: nel primo trimestre del 2014 le nuove sofferenze rettificate sono state pari al 4,1% dei prestiti vivi, in calo rispetto al picco raggiunto lo scorso settembre (Banca d’Italia, 2014; Focarelli, 2014).
FONTI DI FINANZIAMENTO ALTERNATIVE
Uno dei maggiori punti di debolezza del sistema produttivo italiano è la dipendenza eccessiva dal credito bancario: oltre il 64% dei debiti esterni delle imprese è infatti costituito da prestiti bancari, percentuale di gran lunga superiore rispetto a Francia (38,3%), Germania (50,9%), Regno Unito (29,6%), USA (29,1%). Quasi il 40% del credito è inoltre costituito da prestiti a breve termine e circa il 20% da prestiti a vista; di contro, i prestiti a breve in Germania e Francia ammontano al 18% (Banca d’Italia, 2014; Forestieri, 2014).
Al fine di allentare il legame tra investimenti aziendali e credito bancario, due strade paiono particolarmente promettenti: l’utilizzo di fondi prestati dalle compagnie di assicurazione e l’emissione di obbligazioni (ci soffermeremo soprattutto sui mini-bond).
L’Italia ha di recente aperto alla possibilità che anche le compagnie di assicurazione (nonché la SACE e le società di cartolarizzazione) possano fornire credito alle imprese, seguendo dunque la strada di altri paesi europei, come la Francia e la Germania, in cui tale opportunità è già realtà da diversi anni. La novità è contenuta nel decreto legge 91/2014, c.d. decreto competitività (art. 22, commi 3-7). La riserva bancaria non è stata eliminata del tutto, in quanto le assicurazioni dovranno agire di concerto agli istituti bancari, che determineranno le imprese meritevoli di credito e saranno obbligati a mantenere “un significativo interesse economico nell’operazione fino alla scadenza dell’operazione”. Sono esclusi dall’intervento le persone fisiche e le microimprese. Al fine di favorire la nuova attività di finanziamento, è stato esteso anche alle società di assicurazione (e a enti creditizi e organismi di investimento collettivo del risparmio) il regime di esenzione da ritenuta alla fonte sugli interessi (art. 22, comma 1). L’IVASS, autorità di vigilanza del settore assicurativo, stabilirà le condizioni e i limiti per la concessione di questi nuovi prestiti bancari-assicurativi (Senato, 2014).
I mini-bond sono stati introdotti nell’ordinamento italiano nel 2012 con il decreto c.d. sviluppo (83/2012) (art. 32). La loro emissione è favorita sul piano legislativo e sul piano fiscale. Nel primo caso, è stata prevista una deroga ai limiti (pari al doppio del patrimonio netto della società emittente) all’emissione di obbligazioni da parte di società non bancarie, mantenendo però l’obbligo di quotazione dei titoli stessi; sul piano fiscale, gli investitori sottostanno alla stessa normativa prevista per quotazioni di società quotate e banche. Le PMI godono dunque dell’esenzione da ritenuta (pari al 20%) sugli interessi ed altri proventi delle obbligazioni e potranno dedurre gli interessi passivi, nei limiti del 30% del reddito operativo lordo, se le obbligazioni sono sottoscritte da investitori qualificati. Anche le spese di emissione possono essere dedotte dalla tassazione. Favoriti sono anche i sottoscrittori di mini-bond scambiati su mercati regolamentati, assoggettati a una imposta del 20% sugli interessi, in deroga alla normativa generale. Un importante ruolo di valutazione delle imprese emittenti e di collocamento dei titoli è assegnato agli intermediari finanziari. Le imprese dovranno infatti essere assistite da banche o altri istituti di credito e questi ultimi dovranno detenere sino a scadenza una quota di titoli rispetto all’importo dell’emissione compresa tra il 2% e il 5%. Aperti a imprese di ogni dimensione, i mini-bond sono utili soprattutto per le PMI, impossibilitate ad accedere ai mercati regolamentati di capitali (Barbagallo, 2014; Forestieri, 2014; AgID, 2012).
ASSICURAZIONI E MINIBOND POSSONO ESSERE UTILI?
La volontà di diversificare le fonti di approvvigionamento delle imprese, in un sistema banco-centrico come quello italiano, è certamente apprezzabile; permangono però, per entrambi gli strumenti summenzionati, ombre che dovranno essere diradate.
I grandi assicuratori europei impiegano il 5% del proprio portafoglio in prestiti (dati relativi a fine 2013, comprendenti anche i mutui, esclusi dalla normativa italiana). Gli attivi delle compagnie di assicurazione italiane ammontano a 560 miliardi di euro: se queste ultime allocassero il 3% del proprio portafoglio per prestiti alle imprese, si garantirebbero nuovi fondi per quasi 17 miliardi. Le stesse compagnie di assicurazione potranno trarre benefici da questa nuova opportunità. Esse, difatti, hanno concentrato buona parte dei loro investimenti (274 miliardi di euro) in titoli di stato; una maggiore diversificazione sarebbe quindi auspicabile di per sé e al fine di ottenere rendimenti maggiori (Focarelli, 2014; Parente, 2014).
Nonostante alcune perplessità da parte del mondo delle assicurazioni, è da valutarsi positivamente la necessità che le banche collaborino alla individuazione dei prestiti da erogare, quantomeno in una prima frase. Bisogna infatti tenere in considerazione che le compagnie non possiedono attualmente le conoscenze necessarie per compiere tali scelte in autonomia e che esse dovranno affrontare il passaggio dai classici rischi di assicurazioni al rischio di credito. Mentre i primi sono la conseguenza di eventi non correlati tra loro e il loro rischio aggregato può essere considerato, per la legge dei grandi numeri, nullo, nel secondo caso gli eventi sono correlati tra loro e il rischio aggregato non è mai nullo. Il rischio di credito è però mitigato sia dalla partecipazione delle banche alle attività di concessione del credito, sia dalla possibilità per le assicurazioni, previa modifiche normative della Banca d’Italia, di accedere alla Centrale dei Rischi. L’IVASS ha coerentemente valutato in modo positivo sia il coinvolgimento degli istituti di credito che l’obbligo per le banche di detenere un rilevante interesse economico sino alla scadenza dell’operazione. Quest’ultima disposizione permetterà di evitare situazioni di azzardo morale, ma crea un rischio di arbitraggi regolamentari, che dovranno essere colmati dall’IVASS stesso in successivi regolamenti (la attuale disposizione normativa si limita ad obbligare le compagnie assicurative a detenere adeguati livelli di patrimonializzazione). Quest’ultimo problema si risolverà definitivamente con l’entrata in vigore di Solvency 2 (gennaio 2016), la nuova normativa internazionale per il mondo assicurativo (Focarelli 2014; Gobbi, 2014; Panucci, 2014; Parente, 2014).
Il più grave punto debole della proposta è dato dalla considerazione che nel breve-medio periodo le aziende di maggiori dimensioni, più facilmente valutabili dalle inesperte compagnie di assicurazione, riceveranno la maggioranza dei fondi addizionali disponibili. Si tratta delle stesse aziende che ricevono già prestiti a tassi di interesse inferiori (il divario tra prestiti di importo superiore e inferiore a un milione di euro è attualmente di 150 punti base, in aumento rispetto ai 100 punti del 2002-2007 e ai 130 del 2013) e che rappresentano solo una piccola parte del tessuto produttivo italiano (Gobbi, 2014; Banca d’Italia, 2014).
Il mercato dei mini-bond sta conoscendo una rapida espansione. La raccolta totale nel 2013 si è attestata a 82 milioni di euro; nel periodo gennaio – maggio 2014 sono stati già emessi titoli per oltre 140 milioni, quadruplicando i valori dell’anno precedente. Al fine di favorire un ulteriore sviluppo, è stato stabilito che il Fondo di garanzia per le Pmi possa essere utilizzato per le sottoscrizioni di mini-bond da parte di investitori istituzionali, sino a un massimo di 1,5 milioni per impresa. La ridotta dimensione della copertura del Fondo dovrebbe escludere problemi di azzardo morale nell’utilizzo dello strumento (Centro Studi Confindustria, 2014; MISE, 2014).
I mini-bond rappresentano un’importante risposta ai limiti nella raccolta di fondi per le piccole e medie imprese italiane. Il potenziale di raccolta è stimato prudenzialmente a 15 miliardi di euro; al fine di garantire una adeguata domanda, è necessario spingere investitori specializzati e istituzionali a considerare l’acquisto di mini-bond. Nel 2013 sono nati 20 fondi privati, che potranno garantire una domanda di circa 4 miliardi di titoli; le norme contenute nel decreto ‘Destinazione Italia’, che hanno aperto anche alle imprese di assicurazione la possibilità di acquistare mini-bond, potranno altresì portare a una domanda stimabile in 5 miliardi di euro. Criteri diversi portano a valutazioni diverse circa il numero di società potenzialmente interessate all’emissione di mini-bond: considerando come possibili emittenti solo le imprese con fatturato tra 10 e 200 milioni di euro, crescita maggiore rispetto al proprio settore di riferimento, redditività, sostenibilità, patrimonializzazione e liquidità soddisfacenti, il numero di queste imprese potrebbe attestarsi a circa 1500, di cui oltre due terzi nel settore manifatturiero e più dell’80% situate al Nord (Centro Studi Confindustria, 2014; Schirone, 2014).
Gli investitori italiani si caratterizzano per scarsi investimenti in mercati finanziari (nel 2013 poco più di un quarto delle famiglie deteneva strumenti di rischio) e per una bassa educazione finanziaria. In conseguenza di ciò e delle turbolenze della crisi, gli investitori sono poco propensi alla diversificazione dei propri portafogli (Linciano e Soccorso, 2014). Sommando tali limiti alla scarsa cultura all’accountability degli imprenditori italiani e al pericolo di selezione avversa conseguente all’asimmetria informativa esistente tra imprenditori e investitori, si comprende come il principale pericolo sia rappresentato dall’azzardo morale (moral hazard). Al fine di limitare tale rischio, è necessario possedere adeguate competenze di valutazione aziendale e di diversificazione degli investimenti; bisognerà inoltre compiere una due diligence legale e finanziaria dell’azienda oggetto di interesse, analizzarne la deal flow e valutarne attentamente il rapporto rischio/rendimento (Sannini, 2013).
BIBLIOGRAFIA
- Agenda per l’Italia Digitale (AgID). DECRETO-LEGGE 22 giugno 2012 n.83. 2012.
- Banca d’Italia. Relazione annuale. 2014.
- Barbagallo, Carmelo. Credito e Regolamentazione. Un sistema finanziario stabile e orientato alla crescita. Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e borsa in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano – ‘L’industria bancaria verso gli anni 2020: rigenerazione manageriale’. 2014.
- Barucci, Emilio, Stefano Corsaro e Carlo Milani. Asset Quality Review e Stress Tests. Cosa ci aspetta? FinRiskAlert.it. 2014.
- Centro Studi Confindustria (CSC). La partenza ritardata e lenta. I fondi europei leva per uscire dalla crisi. Scenari economici n. 20. 2014.
- Focarelli, Dario. Audizione presso le Commissioni 10° e 13°. Senato della Repubblica. 2014.
- Forestieri, Giancarlo. I nuovi canali di finanziamento delle imprese. Minibond. cartolarizzazioni, capitale di rischio. Bancaria, n. 6. 2014.
- Gobbi, Giorgio. Audizione nell’ambito del disegno di legge n. 1541, concernente la conversione in legge del decreto-legge 24 giugno 2014, n.91. Senato della Repubblica. 2014.
- Linciano, Nadia e Paola Soccorso. Gli investimenti finanziari delle famiglie italiane tra scarsa diversificazione e bassa cultura finanziaria. FinRiskAlert.it. 2014.
- Ministero dello Sviluppo Economico (MISE). Decreto 5 giugno 2014. Attuazione dell’art. 12, comma 6-bis, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145, relativo all’estensione degli interventi del Fondo di garanzia per le PMI alle operazioni di sottoscrizione di obbligazioni o titoli similari emessi da piccole e medie imprese. 2014.
- Panucci, Marcella. Audizioni presso le Commissioni riunite Industria e Ambiente. Senato della Repubblica. 2014.
- Parente, Fausto. Audizione dell’IVASS. Senato della Repubblica. 2014.
- Sannini, Alessandro. Molti operatori si stanno affacciando sul mercato per investire su corporate bond di PMI italiane. Per l’operatore che sottoscrive obbligazioni la valutazione d’azienda deve essere simile ad un private equity. Linkiesta.it. 2013.
- Schirone, Giuseppe. Finanziamento della crescita e mini-bond: il problema e una possibile (parziale) soluzione. Anteo, n.75. Prometeia advisor sim. 2014.
- Senato della Repubblica. Disegno di legge n.1541. 2014.
L’ESMA ha pubblicato un aggiornamento alle linee guida su ETF e altri temi collegati all’UCITS. I temi trattati sono la diversificazione del collaterale ricevuto nell’ambito delle tecniche di efficace gestione del portafoglio e le transazioni OTC sui derivati. Le autorità competenti dovranno, entro il primo ottobre, notificare all’ESMA la loro posizione circa il rispetto di tali norme.
L’EIOPA ha pubblicato un documento con alcune delle formule da applicare per calcolare i requisiti di capitale di Solvency 2.