Pillole dall’ultimo rapporto Consob sulla corporate governance delle società quotate italiane
di Angela Ciavarella, Nadia Linciano, Rossella Signoretti

Dic 22 2014
Pillole dall’ultimo rapporto Consob sulla corporate governance delle società quotate italiane <small><small><I> di Angela Ciavarella, Nadia Linciano, Rossella Signoretti </I></small></small>

Il terzo Rapporto Consob sulla corporate governance traccia una ricognizione approfondita in materia di assetti proprietari, organi sociali, partecipazione degli investitori istituzionali alle assemblee e operazioni con parti correlate delle società quotate italiane. Quali i messaggi principali?

Rimangono stabili le evidenze relative a fenomeni strutturali, quali la limitata contendibilità del controllo …
A fine 2013, la metà delle società quotate risulta controllata di diritto, il 20% circa con partecipazioni inferiori al 50% e il 16% circa attraverso patti parasociali. Rispetto al 2010, il numero di società controllate da una coalizione di azionisti si è ridotto in maniera significativa, passando da 51 a 38 (dal 12,4 al 10,4% in termini di capitalizzazione). Solo 10 società possono essere definite a proprietà dispersa.

… e l’identità degli azionisti di controllo (ultimate controlling agent) delle imprese italiane quotate
Alle famiglie sono riconducibili il 61% delle società quotate, prevalentemente piccole e operanti nel settore industriale. Anche lo Stato continua ad avere un peso considerevole, controllando 21 società industriali e di servizi, per una capitalizzazione pari a quasi il 35% del mercato. Le società non controllate, invece, sono prevalentemente finanziarie.

… a fronte di una maggiore presenza degli investitori istituzionali rilevanti, soprattutto stranieri
Dal 2009 a oggi è cresciuto da 92 a 96 il numero di società in cui è presente almeno un investitore istituzionale rilevante nel capitale. Tale trend è dovuto prevalentemente a soggetti stranieri, presenti a fine 2013 in 62 società (47 nel 2009). Inoltre mostrano un ruolo crescente nel mercato italiano gli investitori istituzionali con una strategia di portafoglio più attiva (in particolare, fondi di venture capital e private equity e fondi sovrani).

L’utilizzo di meccanismi di separazione tra proprietà e controllo, in riduzione rispetto al 1998, non mostra modifiche significative nell’ultimo quadriennio
Le imprese appartenenti a gruppi piramidali o alla parte verticale di gruppi misti sono oggi poco meno del 20% del totale delle società quotate (39% circa nel 1998), mentre le imprese che emettono azioni senza diritto di voto sono solo 28, in calo rispetto all’anno precedente (120 nel 1992). Nelle società che ricorrono a strumenti di rafforzamento del controllo, in media i diritti di voto superano i diritti ai flussi di cassa del 19% circa.

La dimensione degli organi di amministrazione è rimasta sostanzialmente invariata negli ultimi anni …
A fine 2013 gli organi di amministrazione delle società quotate italiane sono composti in media da circa 10 membri, di cui 4,6 indipendenti e 1,7 eletti dalle liste di minoranza. In ogni impresa vi sono in media due amministratori interlockers, pari a circa un quinto del board. Il fenomeno interessa prevalentemente le società industriali e di maggiori dimensioni.

… mentre la composizione di genere continua a registrare mutamenti rilevanti, per effetto della Legge 120/2011
Le regole in materia di equilibrio di genere hanno comportato un aumento consistente della rappresentanza femminile. A fine giugno 2014, più del 22% dei posti di consigliere risulta ricoperto da donne (circa 12% a fine 2012), mentre almeno una donna siede nel board in 220 imprese (169 a fine 2012). La composizione di genere è più equilibrata nelle società che hanno rinnovato il board dopo l’entrata in vigore della Legge 120/2011: in particolare, le donne sono in media 2,5 nelle 138 società che hanno proceduto al primo rinnovo dell’organo di amministrazione, 3,8 nelle sei società che hanno già effettuato il secondo rinnovo e 1,5 nelle 99 imprese per le quali, alla data del 30 giugno 2014, la legge non ha ancora trovato applicazione. Le donne ricoprono principalmente cariche non esecutive: sono amministratori indipendenti nel 64% dei casi, mentre rivestono il ruolo di amministratore delegato solo nel 3% dei casi.

La crescita della rappresentanza femminile favorisce una maggiore eterogeneità degli organi di amministrazione…
Le nomine effettuate dopo l’entrata in vigore nell’agosto 2012 della Legge 120/2011 hanno contribuito ad aumentare la board diversity. Gli amministratori nominati dopo il 31 dicembre 2012 sono più giovani e istruiti (in particolare, le donne) e sono raramente classificabili come family, ossia azionisti di controllo ovvero legati ad essi da rapporti di parentela. Inoltre, le donne neo assunte sono professioniste/consulenti più frequentemente delle altre (circa 36% versus poco più del 17%).

… che, a sua volta, mostra una certa variabilità a seconda del settore di attività, della tipologia di azionista di controllo e dei legami con l’azionista di controllo
Nel complesso, a fine 2013 gli amministratori delle società italiane quotate hanno in media 57 anni e sono stranieri solo nel 6% dei casi. Prevalgono i laureati (85% circa) e, tra questi, il 17% circa possiede anche un titolo di studio post-laurea. Le lauree nelle discipline economiche sono le più frequenti (46%), seguite da quelle in giurisprudenza (16% circa) e ingegneria (14% circa). Il profilo professionale più diffuso è quello manageriale (75% dei casi); i professionisti/consulenti rappresentano poco più del 16% mentre gli accademici costituiscono l’8% del totale.
Alcune interessanti evidenze emergono classificando gli amministratori in base alla relazione esistente con l’azionista di controllo. A fine 2013, poco più del 16% degli amministratori (pari a 381 su un totale di 2.332) sono classificabili come family, ossia risultano essi stessi azionisti di controllo ovvero sono a questi legati da rapporti di parentela. Tra i non-family, il peso degli amministratori laureati e di coloro che hanno conseguito un titolo di studio post-laurea supera di 19 punti percentuali il dato per i family, raggiungendo l’88%; inoltre, tra i laureati, il 17% ha conseguito un master e/o un dottorato (13% per i family). Per quanto riguarda il profilo professionale, risulta prevalente quello manageriale sia tra gli amministratori family sia tra i non-family. Tuttavia, mentre i primi sono quasi esclusivamente manager, i secondi sono spesso anche professionisti/consulenti o accademici, in particolare le donne.
Le imprese operanti nel settore dei servizi presentano una maggiore percentuale di amministratori stranieri, laureati e in possesso di un titolo di studio post-laurea. Inoltre, come si evince dalla distribuzione delle società per la tipologia dell’azionista di controllo, i board degli emittenti controllati da un soggetto avente natura finanziaria mostrano una maggiore eterogeneità, connotandosi per una presenza più rilevante di membri più giovani, stranieri e con un livello di istruzione più elevato, nonché per una maggiore rappresentanza femminile. Le imprese controllate da famiglie e quelle non controllate hanno board meno istruiti, mentre donne e stranieri sono meno rappresentati nelle imprese statali.
Gli amministratori partecipano in media al 91% delle riunioni del board. Il dato sale al 95% nelle imprese controllate dallo Stato. Inoltre, la partecipazione alle riunioni è mediamente superiore per gli amministratori family rispetto ai non-family (rispettivamente, 93 e 91% circa), prevalentemente per effetto degli uomini, poiché le donne family si caratterizzano per un tasso di partecipazione più basso delle non-family.

In materia di remunerazioni, a fine 2012 i cosiddetti golden parachute (ossia le indennità in caso di cessazione anticipata della carica di CEO) sono contemplati espressamente da 55 società e in via facoltativa da 36 società quotate
Come si evince dalle relazioni sulla remunerazione pubblicate per l’esercizio 2012 dalle società italiane quotate, nella maggior parte dei casi, il CEO è anche direttore generale (23 società) o è comunque legato alla società da un rapporto di lavoro dipendente (10 società). Tra le società che hanno previsto, anche in via facoltativa, un’indennità in favore del proprio amministratore delegato nel 50% circa dei casi la maturazione del diritto è legata al presupposto della giusta causa di scioglimento del rapporto. Nel 46% delle società che hanno previsto l’attribuzione o la facoltà di attribuire l’indennità, inoltre, la misura del trattamento di fine rapporto è definita in termini di un multiplo della retribuzione annuale o mensile dell’amministratore cessato. L’indennità è invece stabilita in valore assoluto o forfettario in circa il 9 % delle società; in altri casi, la misura del trattamento prende a riferimento i compensi spettanti fino al termine del mandato o di un’eventuale durata minima dell’incarico.

Le società più grandi, operanti nel settore dei servizi, a proprietà dispersa o controllate dallo Stato si caratterizzano per una maggiore presenza di golden parachute
Circa il 57% delle società appartenenti all’indice Ftse Mib ha previsto ex ante accordi di severance. La previsione (anche in via discrezionale) è più rara nelle società controllate di diritto (circa 31%) e a controllo familiare (28%) e più frequente nelle società a proprietà dispersa (circa 67%) e dove il controllo è esercitato dallo Stato (68%).

… previsti soprattutto a favore di CEO più istruiti e che non hanno rapporti di parentela con gli azionisti di controllo
La previsione di accordi di severance è inoltre legata ad alcune caratteristiche degli amministratori. Distinguendo i manager in funzione degli eventuali rapporti di parentela con l’azionista di controllo, emerge che la previsione di trattamenti di fine mandato è frequente per manager non-family (33%) e molto rara tra gli altri (3,8%). Tali accordi sono altresì più frequenti per gli amministratori laureati e in possesso di un titolo di studio post-laurea.

Nell’ultimo triennio, gli investitori istituzionali, soprattutto esteri, hanno accresciuto la partecipazione alle assemblee delle società a medio-alta capitalizzazione …
In particolare, nelle assemblee delle società del Ftse Mib e Mid Cap tenutesi nel 2014 la presenza degli investitori istituzionali è passata in media al 19% del capitale dal 15% nel 2013. Tale aumento è riconducibile prevalentemente agli investitori istituzionali esteri, il cui peso ha raggiunto il 18% del capitale, mentre la partecipazione degli istituzionali italiani rimane stabile attorno all’1%. Le società del settore finanziario e dei servizi hanno registrato la più alta partecipazione degli investitori istituzionali, in media pari a circa un quinto dell’assemblea. In particolare, gli investitori istituzionali italiani sono maggiormente presenti nelle assemblee delle società di servizi (1,3 % del capitale contro 0,9 % negli altri settori).

… mentre emergono evoluzioni differenti dell’intensità di espressione della voice con riferimento alle politiche retributive (say-on-pay) a seconda delle dimensioni delle società …
In particolare, in linea con il biennio 2012-2013, gli investitori istituzionali hanno espresso dissenso sulle politiche sulla remunerazione delle società a medio-alta capitalizzazione per circa il 30% delle azioni complessivamente detenute. Il dissenso si è concentrato nelle società dell’indice Ftse Mid Cap, per le quali l’incidenza dei voti contrari espressi sia della generalità dei soci sia dai soli investitori istituzionali è raddoppiata rispetto agli anni 2012-2013. In tali società, inoltre, gli investitori istituzionali hanno espresso voto contrario sulle politiche sulla remunerazione per oltre un terzo delle azioni detenute (34% circa); lo stesso dato era pari a circa il 26% nel 2013. Le politiche retributive delle società appartenenti all’indice Ftse Mib hanno ricevuto minore dissenso rispetto agli anni precedenti da parte degli investitori istituzionali, i quali hanno espresso voto contrario per il 27% delle proprie azioni, dato in riduzione rispetto al 32% circa del 2013 e al 37% del 2012.

… del settore di attività …
Il dissenso è più elevato tra le società operanti nel settore dei servizi, dove in media il 13% circa dell’assemblea ha votato contro la politica retributiva proposta. Il dato relativo al voto dei soli investitori istituzionali evidenzia, tuttavia, che il dissenso si è concentrato nelle società industriali, mentre è stato considerevolmente inferiore nelle società finanziarie.

… e della presenza nel board di amministratori indipendenti e di minoranza
Il voto degli investitori istituzionali sembra premiare le politiche di società in cui il board è in maggioranza indipendente e vede la partecipazione di minoranze. Tali investitori, infatti, hanno espresso per oltre un terzo delle proprie azioni voto contrario nelle società in cui la maggioranza dell’organo amministrativo non è indipendente e nessun componente è stato designato dalle minoranze.

Share

I commenti per questo post sono chiusi