Sono ancora incoraggianti i segnali del credito bancario alle imprese?
a cura di Fabiano Salvio

Apr 23 2019
Sono ancora incoraggianti i segnali del credito bancario alle imprese?  a cura di Fabiano Salvio

Il sistema bancario italiano sembra esser tornato a vivere un momento difficile. Come emerge dall’ultimo Rapporto Banche CER 2/2018, nel corso degli ultimi 12 mesi rilevati dalle statistiche, cioè tra ottobre 2017 e ottobre 2018, gli impieghi totali erogati dal sistema bancario italiano sono diminuiti del 3,2%, contro un aumento del 10,4% in Francia, dell’1,9% in Germania. L’Italia in questo quadro sembra essere il paese con più difficoltà sul fronte bancario. Guardando al dettaglio dei finanziamenti erogati alle imprese non finanziarie la situazione italiana ad una prima analisi appare ancora peggiore. Lo stock degli impieghi alle imprese ha segnato una variazione pari a circa il -5,4% ad ottobre 2018 (-6,5% ad ottobre 2017). Nei paesi core, che comprendono Germania, Francia e le altre nazioni dell’Europa centrale, la variazione è stata invece nell’ordine del +5,2% (grafico 1).

Queste dinamiche risentono però dei processi di cartolarizzazione. La cessione dei prestiti, che negli ultimi mesi ha riguardato in particolare i crediti dubbi, fa infatti diminuire dai bilanci la consistenza dei crediti erogati. Correggendo per effetto delle cartolarizzazioni si rileva che il credito alle imprese operanti in Italia da inizio anno è tornato ad aumentare (+1,6% ad ottobre 2018 – grafico 2). 

Grafico 1. Impieghi alle società non finanziarie – Tasso di crescita su base annua

Fonte: elaborazioni CER su dati BCE.
Grafico 2. Impieghi alle società non finanziarie – Tasso di crescita su base annua corretto per le cartolarizzazioni

Fonte: elaborazioni CER su dati BCE.


L’analisi in base alla dimensione delle imprese ci dice però che il miglioramento nell’erogazione del credito si è verificato soprattutto tra le imprese medio-grandi (grafico 3). Nel dettaglio, per le medio-grandi la variazione è stata lievemente positiva nel corso dei mesi centrali del 2018, mentre per le imprese di minor dimensione si continua a registrare una contrazione del credito (-2,1%) a settembre 2018.

Per determinare quanto queste dinamiche siano influenzate da fattori di offerta e/o di domanda si possono in primo luogo osservare le indicazioni offerte dalla Bank Lending Survey (BLS), un’indagine che viene effettuata dal 2003, condotta dalle banche centrali nazionali insieme alla BCE, che viene rivolta alle principali banche dell’area euro. Nel questionario somministrato vi è una specifica domanda in cui gli intermediari possono esprimere le loro valutazioni sull’andamento della congiunturale del sistema creditizio. Con specifico riferimento alle PMI, si osserva che la le condizioni di offerta del credito alle PMI confermano un allentamento anche a fine 2018 in Italia, ma si nota un peggioramento rispetto ai trimestri precedenti (grafico 4).

Grafico 3. Variazione % su base annua dei prestiti bancari (*)

(*) Escludono i pronti contro termine e le sofferenze. Le variazioni percentuali sono corrette per tenere conto dell’effetto contabile di cartolarizzazioni e riclassificazioni. Le imprese piccole includono le società in accomandita semplice, in nome collettivo, semplici, di fatto e le imprese individuali con numero di addetti inferiore a 20.
Fonte: Banca d’Italia (Bollettino Economico).
Grafico 4. Condizioni di offerta del credito alle PMI nell’ultimo trimestre (indice di diffusione (*))

(*) 100 = massimo restringimento nell’erogazione del credito, -100 = massimo allentamento.
Fonte: elaborazioni CER su dati BCE.

Inoltre, le più recenti informazioni sul fronte del livello della domanda di credito, relative alla fine del 2017 e tratte dall’Indagine sull’accesso al credito delle PMI condotta dalla Bce e dalla Commissione Europea, non segnalano difficoltà di accesso al credito da parte delle PMI italiane. Il saldo tra le risposte di chi ha registrato un incremento del credito bancario rispetto a chi ha osservato una sua diminuzione è rimasto positivo per tutte le aree considerate. Tuttavia, nel grafico si osserva un peggioramento nelle ultime rilevazioni e l’Italia ora mostra il saldo peggiore (grafico 5).

Grafico 5. Indicatore di accesso al credito delle PMI
Saldo netto delle risposte tra chi ha registrato un incremento rispetto alla riduzione del credito bancario

Fonte: elaborazioni CER su dati BCE.

In conclusione, rispetto alla precedente nota, si evince un rallentamento dell’attività creditizia in un contesto in cui gli istituti (sia quelli italiani che quelli europei) stanno attraversando pressioni cicliche e strutturali non indifferenti, che causano una diminuzione costante dei margini per via dei bassi tassi d’interesse a fronte  di richieste di requisiti patrimoniali più elevati e di significativi investimenti imposti dalla sfida tecnologica.

Bibliografia

– CER, Rapporto Banche CER 2/2018

Product intervention: la confessione di un fallimento normativo e il rischio di una crescente e imprevedibile compartimentazione dei mercati. Il caso Cfd e opzioni binarie.
a cura di Emilio Girino

Apr 23 2019
Product intervention: la confessione di un fallimento normativo e il rischio di una crescente e imprevedibile compartimentazione dei mercati. Il caso Cfd e opzioni binarie.  a cura di Emilio Girino

Nel pacchetto delle innovazioni introdotte da Mifid2 un posto in prima fila spetta alla product intervention. Prevista dagli artt. 40-42 del reg. 600/2014 (Mifir2), essa si condensa in una manciata di regole che, secondo le competenze, attribuiscono all’Esma (per i prodotti finanziari), all’Eba (per i depositi strutturati) e alle singole autorità nazionali (per entrambe le tipologie) il potere di inibire o restringere la commercializzazione o la distribuzione di determinati prodotti ovvero di vietare determinate tipologie d’attività o pratiche finanziarie.

Ben prima dell’entrata in vigore dell’impianto Mifid2, le autorità di sorveglianza disponevano, come tuttora dispongono, di analoghi poteri interdittivi, esperibili però soltanto in via cautelativa o sanzionatoria e nei confronti di singoli operatori. La product intervention segna un pesante cambio di passo. Le restrizioni non si adottano ad personam ma per la generalità degli operatori. Possono assumersi purché non compromettano l’efficienza dei mercati o non provochino effetti negativi sproporzionati ai benefici e non creino rischi di arbitraggio normativo (tradotto: adozione generalizzata per scongiurare il dirottamento delle operazioni in Stati non soggetti alla misura). La cifra dei presupposti che permettono all’autorità l’atto d’imperio è decisamente lata: “timore significativo” per la tutela degli investitori o per il funzionamento o l’integrità dei mercati, assenza o insufficienza di interventi delle autorità per sventare la minaccia o inadeguatezza delle norme.

Il sistema attuale rintraccia le sue più recenti origini nel 2011, annus horribilis della crisi finanziaria dell’eurozona: di fronte allo sfacelo creato dalle spregiudicate scorrerie di mercati molto probabilmente manipolati (ma i cui colpevoli resteranno impuniti), si pervenne al temporaneo divieto di vendite allo scoperto e di stipulazione di naked o multiple Cds, credit default swap sottoscritti anche in assenza della detenzione di un’esposizione creditoria da assicurare ovvero sottoscritti più volte a carico di una stessa reference entity ([1]). Non esisteva all’epoca una precisa norma che consentisse l’esercizio di un simile potere di blocco ma nessuno osò sollevare obiezioni: il  momento era troppo drammatico per la tenuta economico-finanziaria dell’eurozona e chi aveva macinato utili attraverso l’uso improprio e irresponsabile di quegli strumenti nutriva ogni interesse a tacere. Il seme della product intervention, però, cominciò a germinare proprio in quel momento.

Il primo atto ufficiale si registra il 27 marzo 2018, quando l’Esma introduce un divieto di vendita al dettaglio di opzioni binarie e pone rigidi limiti alla stipulazione dei contracts for differences (Cfd).

L’opzione binaria e il Cfd sono derivati (anche se sulla prima potrebbe sollevarsi qualche legittimo dubbio) ad alto rischio intrinseco: l’opzione binaria consente di acquisire (o perdere) un dato valore fisso al formarsi di un differenziale sul fondamentale, il Cfd è invece un tipico derivato dotato di un forte effetto leva, naturale moltiplicatore di profitti e perdite rispetto al margine investito. Dal 2015 l’Esma e altre autorità centrali avevano appurato esagerate perdite causate da tali strumenti venduti alla clientela al dettaglio. Da qui la scelta di vietare le binarie e sottoporre a specifici limiti e protezioni i Cfd (livelli massimi di leva, chiusura automatica della posizione se il margine complessivo cala oltre il 50% di quello iniziale e, se ciò non bastasse causa repentini scostamenti di prezzo, blocco della perdita al livello del margine stesso). La misura entra in vigore il 22 maggio 2018, ma è temporanea, dura per tre mesi rinnovabili (e difatti rinnovati) e il 7 gennaio scorso la Consob mette in consultazione una proposta regolamentare volta a rendere permanenti le disposizioni Esma.  La disciplina rispecchia i dettami Esma: la commercializzazione al dettaglio di opzioni binarie sarà radicalmente vietata, mentre quella dei Cfd sarà soggetta a forti restrizioni: limiti alla leva in relazione alla volatilità del sottostante (tra 30:1 per le valute e 2:1 per le cripto valute), chiusura obbligata di posizioni che registrino perdite superiori al 50% del margine,  protezioni  dal  saldo  negativo  del  conto cliente, divieto d’incentivare l’operatività, avviso standard sui rischi dello strumento con indicazione della percentuale di perdite subite dai clienti dell’offerente. L’autorità italiana non sta agendo di sua iniziativa. Il meccano tecnico-legale non è arduo da scoprire e la stessa Commissione lo rivela nel documento di consultazione: “l’Esma si aspetta che le autorità nazionali competenti adottino misure simili in via permanente sulla base dell’art. 42 Mifir affinché entrino in vigore dopo la scadenza delle sue decisioni e sta portando avanti azioni di coordinamento a tal fine”. È molto semplice: mentre le misure imposte dalle autorità sovranazionali hanno una durata temporanea, quelle adottate dalle autorità nazionali sono tendenzialmente perpetue, cioè revocabili solo se e quando vengano meno i presupposti della loro adozione. Il coordinamento di Esma è quindi finalizzato a tradurre l’intervento emergenziale in una regola omogenea e senza limiti di tempo su tutti i mercati Ue.

L’istinto porterebbe a salutare la product intervention come un prezioso anticorpo addizionale contro le degenerazioni del sistema. Una più meditata riflessione suggerisce l’opposto: la malcelata confessione della perdurante inefficienza della normativa, che non a caso – si è detto – integra uno dei presupposti alternativi per l’adozione dei provvedimenti. La nuova, sesquipedale e quasi barocca architettura disciplinare (due direttive, un regolamento attuativo e oltre trenta regolamenti delegati, senza contare le norme di attuazione interna) nasce dunque affetta da un morbo non debellabile: non c’è cura se non invocare un potere interdittivo e casuistico alle autorità.

Il caso di Cfd e opzioni binarie tiene a battesimo un azzardato stravolgimento del modello di regolamentazione e di controllo dei mercati finanziari. Indubbiamente quegli strumenti non superano il vaglio di adeguatezza per la maggior parte dei clienti retail ([2]) quindi la loro distribuzione al dettaglio poteva impedirsi proprio nel rispetto delle norme su informazione, appropriatezza e adeguatezza preesistenti a Mifid2 e su cui quest’ultima non è intervenuta. L’interdizione è la parimenti indubbia risposta all’elusione di quella disciplina. Ma ha un senso, invece di dare esecuzione alle norme esistenti, penalizzare ex abrupto un’intera fetta di mercato?

Sul piano formale, può dirsi istituzionalmente (e fors’anche costituzionalmente) corretto investire le autorità di controllo di un sostanziale ruolo di supplenza e correzione normativa? La potestà regolamentare di secondo livello può, entro i confini della norma primaria, specificare e attuare i precetti di quest’ultima ma non può sostituirvisi. Senza trascurare che l’intervento, apparentemente cautelare ma nei fatti modificativo della normativa primaria, genera il rischio di un’alterazione repentina degli equilibri del mercato e dello stesso interesse degli investitori, che dall’oggi al domani possono trovarsi spiazzati da una proibizione non calcolata.

Sul piano sostanziale, la product intervention si inscrive perfettamente nel solco di quella tendenza alla compartimentazione soggettiva dei mercati in atto già da tempo. Dall’alta soglia di entrata per i Fia riservati alla comunicazione Consob n. 0097996/2014 sulla distribuzione di prodotti finanziari complessi ai clienti retail, dal targeting di clientela all’obbligo del monitoraggio costante del prodotto imposti dalla product governance, vincoli che possono e debbono condurre anche alla soppressione della distribuzione di un dato strumento su dati mercati, emerge nitida la scelta di  risolvere il problema via sbarramento. Tuttavia, mentre le disposizioni poc’anzi richiamate chiariscono sin dall’inizio i perimetri distributivi, dunque rendono prevedibili e controllabili i processi di selezione della clientela, la creazione di comparti inaccessibili al retail per via amministrativa amplia imprevedibilmente questo sentiero azzardato. Stimolare la consulenza indipendente e  rendere obbligatoria la condivisione fra intermediari e clienti dei metodi di valutazione dei prodotti (sulla scia di quanto peraltro già la disciplina Emir impone in tema di derivati): queste sarebbero scelte di market governance veramente efficienti. Affidare alle mani del Principe il vasto potere di collocare improvvise barriere di mercato non è una soluzione ma la confessione un fallimento normativo. Significa ammettere che le norme non funzionano, nel senso che il sistema non riesce a garantirne l’effettiva applicazione.


[1] Quest’ultima restrizione verrà poi riversata nel Reg. Ue 236/2012 14.3.2012 (integrato dai Regolamenti Delegati della Commissione UE nn. 826/2012 e 827/2012 del 29 giugno 2012, nn. 918/2012 e 919/2012 del 5 luglio 2012) che parimenti tornerà a consegnare le limitazioni operative all’intervento delle autorità.

[2] Un comunicato Consob del 7 febbraio 2017 già metteva in guardia il mercato contro i rischi connessi alla struttura e alla scarsa trasparenza sui prodotti in parola.

Il termometro dei mercati finanziari (19 aprile 2019)
a cura di Emilio Barucci e Daniele Marazzina

Apr 20 2019
Il termometro dei mercati finanziari (19 aprile 2019)  a cura di Emilio Barucci e Daniele Marazzina

L’iniziativa di Finriskalert.it “Il termometro dei mercati finanziari” vuole presentare un indicatore settimanale sul grado di turbolenza/tensione dei mercati finanziari, con particolare attenzione all’Italia.

Significato degli indicatori

  • Rendimento borsa italiana: rendimento settimanale dell’indice della borsa italiana FTSEMIB;
  • Volatilità implicita borsa italiana: volatilità implicita calcolata considerando le opzioni at-the-money sul FTSEMIB a 3 mesi;
  • Future borsa italiana: valore del future sul FTSEMIB;
  • CDS principali banche 10Ysub: CDS medio delle obbligazioni subordinate a 10 anni delle principali banche italiane (Unicredit, Intesa San Paolo, MPS, Banco BPM);
  • Tasso di interesse ITA 2Y: tasso di interesse costruito sulla curva dei BTP con scadenza a due anni;
  • Spread ITA 10Y/2Y : differenza del tasso di interesse dei BTP a 10 anni e a 2 anni;
  • Rendimento borsa europea: rendimento settimanale dell’indice delle borse europee Eurostoxx;
  • Volatilità implicita borsa europea: volatilità implicita calcolata sulle opzioni at-the-money sull’indice Eurostoxx a scadenza 3 mesi;
  • Rendimento borsa ITA/Europa: differenza tra il rendimento settimanale della borsa italiana e quello delle borse europee, calcolato sugli indici FTSEMIB e Eurostoxx;
  • Spread ITA/GER: differenza tra i tassi di interesse italiani e tedeschi a 10 anni;
  • Spread EU/GER: differenza media tra i tassi di interesse dei principali paesi europei (Francia, Belgio, Spagna, Italia, Olanda) e quelli tedeschi a 10 anni;
  • Euro/dollaro: tasso di cambio euro/dollaro;
  • Spread US/GER 10Y: spread tra i tassi di interesse degli Stati Uniti e quelli tedeschi con scadenza 10 anni;
  • Prezzo Oro: quotazione dell’oro (in USD)
  • Spread 10Y/2Y Euro Swap Curve: differenza del tasso della curva EURO ZONE IRS 3M a 10Y e 2Y;
  • Euribor 6M: tasso euribor a 6 mesi.

I colori sono assegnati in un’ottica VaR: se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 15%, il colore utilizzato è l’arancione. Se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 5% il colore utilizzato è il rosso. La banda (verso l’alto o verso il basso) viene selezionata, a seconda dell’indicatore, nella direzione dell’instabilità del mercato. I quantili vengono ricostruiti prendendo la serie storica di un anno di osservazioni: ad esempio, un valore in una casella rossa significa che appartiene al 5% dei valori meno positivi riscontrati nell’ultimo anno. Per le prime tre voci della sezione “Politica Monetaria”, le bande per definire il colore sono simmetriche (valori in positivo e in negativo). I dati riportati provengono dal database Thomson Reuters. Infine, la tendenza mostra la dinamica in atto e viene rappresentata dalle frecce: ↑,↓, ↔  indicano rispettivamente miglioramento, peggioramento, stabilità rispetto alla rilevazione precedente.

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