Rischio di riciclaggio: Lettera al mercato IVASS per richiesta di informazioni da imprese estere operanti in libera prestazione di servizi nei rami vita

Lug 24 2017

L’IVASS, tramite pubblicazione di una Lettera al mercato, richiede alle Imprese di assicurazione con sede legale in uno Stato membro dello Spazio Economico Europeo informazioni sull’attività assicurativa svolta in Italia nei rami Vita in regime di libera prestazione di servizi, per la valutazione – di propria competenza – in merito al rischio di riciclaggio di denaro e di finanziamento del terrorismo.

Le imprese dovranno inoltrare le informazioni richieste entro il 28 luglio 2017.

Lettera al mercato IVASS

Nuovi principi ESMA in materia di rilocalizzazione dal Regno Unito

Lug 17 2017

L’ESMA ha pubblicato tre pareri che definiscono una serie di principi specifici per i settori delle imprese di investimento, della gestione degli investimenti e dei mercati secondari, volti a promuovere la coerenza dell’autorizzazione e della vigilanza in materia di trasferimento di entità, attività e funzioni dal Regno Unito.

I pareri forniscono alle Autorità nazionali delle linee guida finalizzata a garantire un’interpretazione coerente dei requisiti relativi all’autorizzazione e alla supervisione delle richieste di trasferimento dal Regno Unito, al fine di evitare lo sviluppo di rischi di arbitraggio regolamentare e di vigilanza.

Comunicato stampa

IFRS9: Consultazione EBA sulla pubblicazione degli accordi transitori

Lug 17 2017

L’Autorità bancaria europea (EBA) ha avviato una consultazione su una serie di linee guida che specificano un formato uniforme per i requisiti di disclosure degli accordi transitori in materia di IFRS 9 e di perdite attese su crediti. Le linee guida mirano ad aumentare la coerenza e la comparabilità delle informazioni comunicate dalle istituzioni durante la transizione alla piena attuazione del nuovo principio contabile e ad assicurare la disciplina del mercato.

La consultazione avrà termine il l 13 settembre 2017.

Parallelamente, l’EBA ha pubblicato un Report con alcune osservazioni qualitative e quantitative del secondo esercizio di valutazione d’impatto dell’IFRS 9. Dal punto di vista qualitativo, il documento sottolinea che le banche hanno fatto ulteriori progressi nell’attuazione dell’IFRS 9 rispetto al precedente esercizio, sebbene le banche più piccole siano ancora in ritardo nella loro preparazione rispetto alle banche di dimensione maggiore.

Sul fronte quantitativo, le risposte ricevute mostrano che l’impatto stimato dell’IFRS 9 è principalmente determinato dai requisiti di impairment dell’IFRS 9. L’aumento stimato delle riserve è in media del 13% rispetto ai livelli attuali degli stanziamenti previsti dallo IAS 39. I coefficienti del Common Equity Tier 1 (CET1) dovrebbero diminuire in media fino a 45 punti base (bps). Le banche più piccole, che utilizzano principalmente l’approccio standardizzato per misurare il rischio di credito, hanno stimato un impatto maggiore sui rapporti dei fondi propri rispetto alle banche più grandi del campione.

Comunicato stampa
Documento di consultazione
Report sul secondo esercizio di valutazione d’impatto dell’IFRS 9

Brexit: l’EIOPA pubblica degli orientamenti di vigilanza per la rilocalizzazione dal Regno Unito

Lug 17 2017

L’EIOPA ha pubblicato un parere con l’obiettivo di promuovere, tra i Paesi membri dell’Unione Europea, la convergenza delle politiche di vigilanza e la coerenza nel processo di autorizzazione in materia di trasferimento delle imprese di (re)assicurazione dal Regno Unito. Il parere fornisce orientamenti alle autorità di vigilanza nazionali per quanto riguarda il processo di autorizzazione e la supervisione delle imprese rientranti nel perimetro della disciplina Solvency II.

Comunicato stampa
Parere EIOPA su orientamenti di vigilanza su rilocalizzazione dal Regno Unito

Sistemi di garanzia dei depositi: Pubblicati dati EBA sui mezzi finanziari disponibili e depositi coperti

Lug 17 2017

L’EBA ha pubblicato i dati relativi a due concetti chiave della direttiva sul sistema di garanzia dei depositi (Deposit Guarantee Schemes Directive o DGSD): mezzi finanziari disponibili e depositi coperti. I dati forniscono una panoramica del livello delle risorse a disposizione di ciascun sistema di garanzia dei depositi (DGS) nell’UE per coprire le potenziali passività nei confronti dei depositanti. Con questa pubblicazione, che verrà effettuata annualmente, l’EBA contribuirà a migliorare la trasparenza e la responsabilità pubblica delle DGS in tutta l’UE a beneficio dei depositanti, dei mercati, dei responsabili politici e degli Stati membri.

Comunicato stampa
Dati EBA sui DGS

Pubblicato il Risk Outlook Consob n. 13

Lug 17 2017

È stato pubblicato sul sito internet dell’Istituto il Risk Outlook Consob n. 13, documento di analisi dei trend del mercato finanziario italiano e dei principali paesi avanzati.

Nella prima metà dell’anno, gli indici azionari delle principali economie avanzate hanno mostrato buone performance, a fronte del rafforzamento del quadro macroeconomico globale.

Nonostante permangano numerose fonti di incertezza sulle politiche economiche di alcune regioni e sui relativi riflessi a livello mondiale, gli indicatori di volatilità e i volumi degli scambi si sono ridotti negli Usa, nella zona euro e in Giappone, mentre le condizioni di liquidità dei mercati nell’area euro sono migliorate.

Segnali positivi emergono anche nelle dinamiche reddituali e finanziarie delle maggiori imprese quotate dei principali paesi europei. Il settore corporate, infatti, si connota per una sostanziale tenuta dei livelli reddituali, nonostante il calo dei ricavi, e una riduzione della vulnerabilità finanziaria specie in Italia e Spagna, dove la quota di società con un livello di leverage superiore ai valori storici si è notevolmente ridotta portandosi in linea con quella osservata negli altri maggiori paesi europei. Per quanto riguarda le banche europee, invece, permangono criticità di diversa natura, a seconda dei differenti modelli di business.

I maggiori istituti tedeschi, inglesi e francesi restano significativamente esposti alle attività finanziarie più complesse e illiquide (cosiddette attività di livello 2 e 3), il cui ammontare iscritto in bilancio è fino a 10 volte superiore al capitale di migliore qualità (common equity tier 1).

Le banche italiane, per contro, continuano a caratterizzarsi per notevoli criticità sul fronte della qualità del credito: rimane notevolmente superiore alla media europea, infatti, la quota di sofferenze sul totale dei crediti, benché l’incidenza netta sia calata per effetto delle forti svalutazioni di fine 2016

Risk Outlook Consob n. 13

Quali rischi ancora implica il sistema bancario ombra?
di Carlo Milani

Lug 17 2017
Quali rischi ancora implica il sistema bancario ombra?  di Carlo Milani

Dallo scoppio della crisi del 2007-08 la regolamentazione finanziaria si è quasi esclusivamente concentrata sul sistema bancario. Pochi passi avanti sono stati fatti per normare e limitare i potenziali rischi finanziari derivanti dallo shadow banking system (SBS), il mercato da cui è scaturita la crisi finanziaria internazionale.

Di questo tema di approfondimento si è occupato il Rapporto Banche 1/2017 del CER. Dal report è emerso come a livello globale, da stime del Financial Stability Board relative a fine 2014, lo SBS ammonta a 36 trilioni di dollari (grafico 1). Il peso di sistema bancario tradizionale ($135 trilioni) e di assicurazioni e fondi pensione ($68 trilioni) è ancora predominante, ma se si osserva la dinamica dal 2014 al 2013, l’ultima disponibile, si rileva che lo SBS ha visto una crescita del 10%, mentre le restanti attività finanziarie sono diminuite tra il 6 e il 9%.

In Europa il peso dello SBS è estremamente elevato in Irlanda (oltre 10 volte il Pil domestico). Alti valori si osservano anche in Gran Bretagna (137%), in Svizzera (84) e in Germania (66,5). In Italia è pari al 15% del Pil.

Le evidenze empiriche riportate nel Rapporto CER 1/2017 sembrerebbero indicare che a distanza di alcuni anni dallo scoppio della crisi i mercati finanziari tendano nuovamente a sottostimare i rischi sottesi allo svilupparsi dello SBS. Considerando il periodo 2011-2014 si rileva che al crescere dello SBS nei principali paesi al mondo si osserva un incremento della volatilità dei mercati azionari (grafico 2). La correlazione tra queste due grandezze è però molto bassa (+7%) e non statisticamente significativa.

Allo stesso tempo, l’operatività dei soggetti attivi nel sistema ombra sembra aver rimesso in moto un processo di crescita eccessivo dei mercati finanziari, peraltro facilitato dalle politiche monetarie ultra espansive. Se tale processo dovesse continuare ad autoalimentarsi, per cui buone intonazioni dei mercati spingeranno ad investire in misura sempre crescente, c’è un rischio concreto che possano accumularsi nuovi elementi di crisi finanziaria su scala globale.

Aspetto preoccupante è in particolare l’interazione tra sistema bancario tradizionale e quello ombra. La maggior parte dei paesi sta registrano un processo di finanziarizzazione, ovvero di contestuale crescita del credito bancario ed extra-bancario (grafico 3). L’Italia, insieme alla Francia e al Lussemburgo, rientra in questo gruppo di paesi. Tra i paesi che osservano una fase di de-bancarizzazione, ovvero di sostituzione del credito bancario con quello non bancario, si annoverano Irlanda, Spagna, Norvegia e Belgio. Vi è ricompresa anche la Germania, anche se parzialmente. Il processo di de-finanziarizzazione, ovvero della contestuale riduzione del credito bancario e dei finanziamenti extra-bancari al settore privato, riguarda, seppur marginalmente, Regno Unito e Stati Uniti. I paesi in cui è in corso un processo di bancarizzazione, ovvero di riduzione del credito extra-bancario a favore del credito bancario destinato al settore privato, sono Australia, Giappone e Nuova Zelanda.

Conclusioni

Nel complesso, la maggior parte dei paesi al mondo ha visto espandere il credito erogato al settore privato non finanziario, in buona parte per effetto della crescita del sistema bancario ombra.

Le banche tradizionali sono danneggiate due volte da questo quadro in quanto subiscono

  1. la concorrenza dello SBS;
  2. i contraccolpi dell’instabilità finanziaria, anche per effetto dell’interconnessione delle banche universali e di investimento con il sistema bancario ombra.

Inoltre, considerando nell’analisi anche il credito erogato al settore pubblico si osserva che anche quei paesi che sembrano aver adottato un approccio più prudenziale, volto soprattutto ad interrompere la forte crescita del debito privato non finanziario, sia bancario che extra-bancario, hanno in ogni caso fatto affidamento al debito, in questo caso di natura pubblica.

In definitiva, l’economia globale sembra essere ancora fortemente dipendente dal credito, con potenziali problemi sulla stabilità finanziaria internazionale. Dobbiamo quindi rassegnarci al fatto che la crescita del credito e quella dell’economia reale sia un binomio imprescindibile del capitalismo? Rileggendo quanto scriveva nel 1500 lo scrittore francese François Rabelais probabilmente sì:

«Se voi sarete sempre debitore di qualcuno, questo qualcuno pregherà costantemente Dio di darvi buona salute, lunga e felice vita, per paura di perdere il suo credito; sempre dirà bene di voi in tutte le brigate; sempre nuovi creditori vi procurerà, affinché, grazie a questi, gli facciate versamento e con la terra d’altrui colmiate il suo fossato» (Rabelais F., Gargantua et Pantagruel, Libro I.12).

Luci e ombre dei Piani Individuali di Risparmio: un successo a metà
di Raffaele Zenti

Lug 07 2017
Luci e ombre dei Piani Individuali di Risparmio: un successo a metà  di Raffaele Zenti

Il 2017 ha portato con sé una novità di un certo rilievo sia per i risparmiatori che per l’industria del risparmio gestito: i PIR, acronimo di Piani Individuali di Risparmio, diventati realtà grazie alla Legge di Bilancio. Se ne è parlato per anni, ma alla fine, con biblico ritardo rispetto alla Francia, sono arrivati anche in Italia.

I PIR sono “contenitori fiscali” (fondi comuni e altri OICR, gestioni patrimoniali, polizze vita, dossier titoli) che concedono l’esenzione totale dalle imposte sui redditi dell’investimento e dalle tasse di successione, purché vengano rispettate alcune condizioni fissate dalla normativa:

– la durata dell’investimento deve essere almeno pari a 5 anni;

– l’ammontare investito non deve superare i 30mila euro l’anno, per un massimo di 150mila euro in un arco temporale quinquennale;

– l’investimento prevalente è in azioni e obbligazioni italiane di PMI.

Molto si è scritto sul perimetro normativo dei PIR e le conseguenti caratteristiche di prodotto, sicché  per i dettagli si rinvia a Assogestioni (2017); il grafico seguente riassume comunque i tratti salienti dei PIR.

L’obiettivo dei PIR è duplice e, astrattamente, nobile:

  1. consentire ai risparmiatori di investire nel proprio Paese a condizioni fiscalmente vantaggiose;
  2. al contempo, indurre un rafforzamento del capitale delle imprese italiane, anche e soprattutto quelle di dimensioni medio-piccole (PMI), traghettando il risparmio verso le imprese.

La capacità concreta dei PIR di raggiungere questi obiettivi è però parziale e discutibile; ritornerò sull’argomento in seguito.

Un successo di mercato, per ora

I PIR sono stati accolti con entusiasmo dal mercato, sia dal lato della domanda che da quello dell’offerta.

Secondo le statistiche Assogestioni di fine aprile la raccolta dei fondi PIR è stata di 3 miliardi di euro e, da indiscrezioni delle società di gestione, sta continuando a ritmi assai sostenuti. L’esenzione fiscale (unita forse all’idea vagamente patriottica di aiutare l’economia italiana) ha infatti spinto i risparmiatori italiani ad acquisti massicci di PIR, toccando alcune corde che varrebbe la pena sondare con gli strumenti della finanza comportamentale.

Dal lato dell’offerta, anche il numero di prodotti è aumentato in modo significativo: nel primo semestre 2017 sono stati lanciati (o riconvertiti, adattati) 48 prodotti di risparmio. Si tratta per lo più di fondi (42 prodotti), ma vi è anche una polizza vita multi-ramo e un paio di ETF “PIR-compliant”. Svariati operatori, soprattutto esteri, e anche di grandi dimensioni, non hanno ancora lanciato prodotti PIR, sicché è verosimile che l’elenco dei PIR si allunghi ulteriormente nei prossimi mesi.

Alcuni intermediari hanno poi lanciato conti titoli dedicati ai PIR “fai-da-te”: in sostanza, i clienti (o i loro consulenti finanziari) possono creare in totale autonomia il portafoglio, acquistando azioni, obbligazioni ed ETF, usufruendo della fiscalità agevolata prevista dalla normativa. Il resto dell’industria bancaria si sta muovendo con lentezza su questo fronte (un po’ per difficoltà attuative, un po’ perché forse è più semplice e redditizio “spingere” commercialmente i fondi comuni). Ma, visto il lungo respiro della norma, è probabile che anche l’offerta di conti dedicati ai PIR “fai-da-te” sia destinata ad ampliarsi.

Il successo dei PIR ha avuto un impatto immediato sul mercato finanziario italiano: i flussi di acquisto legati alla sottoscrizione dei PIR si sono scontrati con un’offerta rigida nel breve termine e, come da manuale di economia, i prezzi dei titoli italiani interessati dal fenomeno PIR si sono impennati. Il grafico seguente mostra l’andamento di alcuni indici di Borsa Italiana, estremamente significativo per comprendere la portata del fenomeno PIR.

L’indice più sensibile di tutti è stato sino ad oggi il FTSE Italia STAR, che raccoglie le imprese con capitalizzazione compresa tra 40 milioni ed 1 miliardo di euro – quelle maggiormente sensibili a questi flussi d’acquisto: da inizio 2017 ha conseguito una performance prossima al 30%. Segue il FTSE Italia Mid Cap, composto dalle prime 60 società per capitalizzazione che non appartengono all’indice FTSE MIB, anch’esse appetibili per i PIR. Infine, a breve distanza viene il FTSE AIM Italia, l’indice delle azioni quotate sull’AIM, il mercato regolamentato di Borsa Italiana rivolto alle piccole-medie imprese italiane con alto potenziale di crescita. Molto più in basso, e in linea con l’indice di Borsa dell’Eurozona Euro Stoxx 50, si colloca il FTSE MIB, che contiene le prime 40 società italiane, le Large Cap.

Commissioni ricche

Il campione di prodotti lanciati nel primo semestre 2017 è sufficiente a farsi un’idea del profilo commissionale dei PIR. Nella tabella seguente sono riportate le spese correnti e le commissioni di sottoscrizione dei prodotti PIR (dati a fine giugno 2017, fonte Morningstar, o prospetti delle case prodotto).

Oltre a commissioni di gestione e d’ingresso, molti PIR presentano commissioni di performance (calcolate variamente). Qualche prodotto presenta anche costi legati al disinvestimento prima dei 5 anni (si parla di costi ulteriori rispetto alla perdita del beneficio fiscale, con relativa mora, prevista dalla normativa).

Se si considera che le commissioni medie dei fondi comuni aperti italiani sono pari all’1,5%, che diventa 2,9% per i fondi azionari, 1,1% per gli obbligazionari, e infine 1,4% per i bilanciati, ne emerge un quadro di prodotti PIR mediamente costosi per il risparmiatore – anche per il contesto italiano, che già presenta costi elevati rispetto alla media europea. Va però considerato che non è detto che le commissioni di sottoscrizione vengano applicate, essendo per lo più a discrezione del collocatore, che spesso decide di “scontarle” al cliente.

Occorre poi tenere presente che, a seconda del prodotto e dell’intermediario utilizzato, possono esservi costi accessori:

  • costi associati all’eventuale apertura e tenuta del conto titoli – al momento della redazione di questo articolo, alcuni intermediari offrono a circa 100 euro/annui conti dossier dedicati ai PIR “fai-da-te” grazie ai quali i clienti o i loro consulenti possono creare in totale autonomia il portafoglio, acquistando azioni, obbligazioni ed ETF, usufruendo della fiscalità agevolata, nel rispetto dei requisiti normativi;
  • costi associati alla negoziazione per gli strumenti quotati in Borsa, come gli ETF.

Il panorama dei PIR è comunque eterogeneo, essendovi prodotti, sia fondi che ETF, che si collocano sotto l’1% (o poco oltre), di commissioni gestionali, senza spese di sottoscrizione. Ma, guardando all’offerta nel complesso, è innegabile che l’attuale offerta di prodotti PIR si caratterizzi per carichi commissionali elevati, in grado di erodere il beneficio fiscale.

Infatti, su livelli di rendimento lordo del sottostante positivi ma bassi, la maggioranza dei prodotti presenta un livello commissionale tale che il prodotto arriva ad appropriarsi del beneficio fiscale originariamente previsto dal legislatore per il risparmiatore – per un’analisi di dettaglio delle commissioni dei singoli prodotti, si rinvia a Zenti (2017). I due grafici seguenti sintetizzano questa idea, mostrando, per diversi livelli di rendimento lordo il guadagno/perdita su un orizzonte quinquennale di un investimento in PIR per un ammontare di 30.000 euro, attuato alle condizioni medie di mercato in termini commissionali analizzando separatamente le differenti categorie (azionari, bilanciati, e via dicendo). Nel primo grafico si osserva l’effetto combinato dell’applicazione di spese correnti e di sottoscrizione, nell’altro delle sole spese correnti (in nesssun caso si considerano le commissioni di rimborso, switch e performance, ove presenti, essendo calcolate con modalità assai varie da prodotto a prodotto).

Si nota subito come in media i PIR riescano a produrre un guadagno per l’investitore se il rendimento medio annuo è basso. In particolare, se vengono applicate le commissioni di sottoscrizioni, il “PIR medio italiano necessita di un rendimento lordo annuo del sottostante pari al 3% per aggiungere valore – si noti che dal 1900 al 2016 il rendimento reale medio annuo delle azioni e delle obbligazioni italiane è stato rispettivamente del 2% e del -1,1% (fonte: Credit Suisse Global Investment Returns Yearbook 2017).

Le differenze tra i singoli prodotti sono però enormi: per esempio, con un rendimento lordo del 5%, la differenza tra il PIR con il risultato migliore e quello con il risultato peggiore è di oltre 5.400 euro in cinque anni, con un capitale di 30.000 euro investito. Il panorama dei PIR è dunque assai eteogeneo, e, accanto a prodotti oggettivamente interessanti per il risparmiatore, ve ne sono altri che sembrano nati per sfruttare l’asimmetria informativa a danno del risparmiatore, facendo leva sul beneficio fiscale per ingolosire risparmiatori poco informati e incamerare commissioni elevate.

Le molte criticità dei PIR e le occasioni mancate (per ora)

Le criticità sono molte. Alcune sono legate ai risparmiatori, altre all’impatto di sistema, ed è bene analizzarle separatamente.

Dal punto di vista del risparmiatore

Molte criticità sono emerse nel paragrafo precedente, e riguardano soprattutto i costi associati all’investimento, spesso elevati nell’attuale offerta dell’industria del risparmio, piuttosto rapace. Ma i problemi non finiscono qui.

È infatti chiaro che, strutturalmente, i PIR sono per definizione un concentrato di rischio Italia. In particolare i portafogli presentano una cospicua presenza di azioni Small/Medium-Cap, ma anche, laddove sussiste una componente obbligazionaria italiana societaria, di bond, spesso illiquidi. La maggior concentrazione dei portafogli implica un maggiore rischio legato alle singole aziende – cioè rischio un idiosincratico.

Non è detto che gli investitori siano consapevoli di questi aspetti, ed un’eccessiva enfasi commerciale sul beneficio fiscale potrebbe portare ad investimenti irrazionali e incauti, con una pericolosa mancanza di diversificazione dei rischi che potrebbe allontanare molto il patrimonio da un’asset allocation ideale.

Dal punto di vista del sistema

A livello di sistema Italia, lo stimolo fornito dai PIR si estrinseca su più fronti:

  • in modo diretto sull’industria del risparmio gestito latu sensu, che ha potuto lanciare nuovi prodotti, beneficiando di importanti flussi di raccolta, e incamerare commissioni, linfa vitale del sistema bancario in epoca di tassi d’interesse molto bassi;
  • in modo indiretto, sulle imprese di dimensione medio-piccole, stimolate a quotarsi in Borsa e/o a emettere obbligazioni o altri strumenti di debito, contando sul fatto che gli investitori godranno della sostanziale esenzione fiscale;
  • sulla collettività dei risparmiatori, da un lato portandoli (con un’attività di nudging, una “spinta gentile”) ad avere un investimento almeno quinquennale sulla componente PIR del loro portafoglio – un fatto sicuramente positivo. D’altro canto, si stanno stimolando i risparmiatori ad incrementare il rischio-Italia nei loro portafogli, cosa non particolarmente sana se a tale rischio diventa significativo, dato che la maggioranza dei risparmiatori italiani ha già un reddito in qualche modo correlato alle sorti del Paese. Inoltre, data la ristrettezza dell’attuale universo investibile PIR, le valutazioni dei titoli ad esso appartenenti stanno rapidamente salendo, come si è visto: benché sostenute da domanda “strutturale” (l’orizzonte temporale minimo è 5 anni e l’uscita anticipata è disincentivata fiscalmente), non si può escludere una futura pesante correzione.

La normativa sui PIR avrebbe quindi enormi margini di miglioramento. Le occasioni mancate sino ad ora non sono poche.

Tralasciando gli aspetti di dettaglio (alcuni aspetti attuativi sono ancora oggi poco chiari), l’incentivazione del risparmio a lungo termine poteva essere attuata avendo come riferimento almeno un universo investibile europeo, a beneficio della diversificazione di portafoglio, e consentendo anche di innalzare l’ammontare massimo investibile (che, rammento, è pari a 150.000 euro in cinque anni). Ampliando l’universo investibile all’intero panorama mondiale – sempre per questioni di diversificazione dei rischi – si sarebbero potuti attuare fondi pensione PIR, sfruttando l’incentivo fiscale per stimolare il risparmio previdenziale e compiere un’azione concreta per tentare di sanare la falla pensionistica italiana, a beneficio della collettività e, peraltro, con grande stimolo per l’industria del risparmio gestito (non dimentichiamo che il life-time value di un investitore di un prodotto di previdenza complementare è elevato, proprio per la durata del rapporto).

Ma queste sono solo alcune riflessioni sul tema: non si può escludere che, visto il successo dei PIR, le loro luci e le loro ombre, il quadro normativo in futuro venga migliorato, estendendo e sfruttando tutte le opportunità sistemiche di questa tipologia di strumento, per i risparmiatori, le imprese e la collettività.

Riferimenti

  • Scafati, I. Immacolato, A. (2017), “Le linee guida per l’introduzione dei piani individuali di risparmio e gli adempimenti degli intermediari”, Assogestioni, http://www.assogestioni.it/index.cfm/3,147,11710/assogestioni-220217-arianna-immacolato.pdf
  • Ufficio Studi Mediobanca. (2016), “Indagine sui fondi e sicav italiani”, Mediobanca, http://www.mbres.it/sites/default/files/resources/download_it/rapporto_fondi_2016_presentazione.pdf
  • Zenti, R. (2017), “Kill PIR – Vol. II”, AdviseOnly, https://www.adviseonly.com/blog/investire/piani-individuali-di-risparmio/kill-pir-volume-2

 

Raffaele Zenti – Co-fondatore di AdviseOnly, società Fintech italiana, dove è responsabile del Financial & Data Analysis Group. È anche membro indipendente del board di Fondaco SGR.

Twitter: @RockZen

Linkedin: https://www.linkedin.com/in/raffaelezenti

ESMA avvia 3 nuove consultazioni sul Regolamento Prospetto

Lug 07 2017

L’ESMA ha pubblicato tre documenti di consultazione (CP) sul Regolamento Prospetto (Prospectus Regulation). Il Regolamento Prospetto, nel contesto del piano d’azione dell’Unione dei mercati dei capitali, mira a rendere più facile e più economico per le imprese, in particolare le società più piccole, l’accesso al capitale e a migliorare l’accessibilità del prospetto da parte degli investitori.

Le principali proposte di consultazione comprendono:

Documento di consultazione sul formato e sul contenuto del prospetto

Per i prospetti richiesti quando i titoli sono offerti al pubblico o ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, l’ESMA propone in gran parte di mantenere il regime esistente, ma propone anche numerose semplificazioni al fine di ridurre l’onere e le spese agli emittenti.

Documento di consultazione in materia di EU Growth prospectus

L’ESMA ha elaborato un progetto di consulenza tecnica che si occupa del formato e del contenuto del cosiddetto Growth Prospectus in materia di piccole e medie imprese (PMI), individuando i requisiti minimi di trasparenza, il formato e il contenuto delle informazioni. Per assicurare un regime proporzionato alle PMI, l’ESMA ha adeguato le richieste informative alle dimensioni degli emittenti e alla complessità delle loro operazioni.

La proposta, volta a ridurre la lunghezza e la complessità del contenuto del prospetto, mira a bilanciare le esigenze degli emittenti più piccoli e la necessità degli investitori di avere un quadro completo sui rischi legati all’investimento.

Documento di consultazione sull’esame e l’approvazione del Prospetto

Sono definiti i criteri di controllo e le procedure per l’approvazione e la presentazione del prospetto. L’ESMA propone che siano adottati criteri standard per verificare la completezza, la comprensibilità e la coerenza del prospetto e che, al di là di tali criteri standard, le Autorità nazionali competenti (NCA) debbano essere dotate di un certo livello di flessibilità. L’ESMA ritiene che tale flessibilità sia, infatti, necessaria per garantire la protezione degli investitori. Per quanto riguarda l’approvazione e il deposito, l’ESMA propone procedure da rispettare sia da parte dei partecipanti al mercato che delle NCA, basate in gran parte sulle disposizioni esistenti in materia.

Le consultazioni si chiudono il 28 settembre 2017 e l’ESMA consegnerà la consulenza tecnica alla Commissione europea entro il 31 marzo 2018.

Comunicato stampa
Documento di consultazione sul formato e sul contenuto del prospetto
Documento di consultazione in materia di EU Growth prospectus
Documento di consultazione sull’esame e l’approvazione del Prospetto