Shadow banking

Ott 20 2014

Il Financial Stability Board (FSB) ha pubblicato un Regulatory Framework Haircuts on Non-centrally Cleared Securities Financing Transactions. Questo regolamento ha la finalità di ridurre i rischi connessi al c.d. shadow banking attraverso operazioni di finanziamento tramite titoli. Il regolamento tiene conto della consultazione pubblica del 20 agosto 2013.

Comunicato stampa

Regulatory Framework

2014 Nicola Bruti Liberati Prize (IV edition)

Ott 13 2014
The Bachelier Finance Society and the Department of Mathematics of the Politecnico di Milano, in cooperation with Springer, are proud to announce the 2014 Nicola Bruti Liberati Prize (IV edition) which is to be awarded annually for a doctoral thesis in all subjects of Mathematical Finance, such as, but not limited to: Derivative Pricing, Computational Finance, Econometrics and Statistical Methods applied to Finance, Risk Analysis, Portfolio Optimization, Probability Methods in Finance, and Numerical Methods in Finance.

Nicola obtained an undergraduate degree from Bocconi University (2001) in Mathematical Finance. He died in 2007 in a traffic accident in Sydney, while he was completing his PhD thesis at the University of Technology. At that time, he was also cooperating with the Quantitative Finance group of the Department of Mathematics of the Politecnico di Milano.

In order to commemorate Nicola, his family and the Department of Mathematics of the Politecnico di Milano offer an annual prize of E3.000 for the best doctoral thesis to be selected by a Committee appointed by the Bachelier Finance Society.
Theses defended in 2013 and 2014 must be submitted no later than January 31st, 2015.

The call for scholarship can be downloaded from the QFinLab web-site (www.mate.polimi.it/qfinlabor at the following urls

Nuovi strumenti di finanziamento per le imprese
di Giulia Mele

Ott 13 2014
Nuovi strumenti di finanziamento per le imprese <small><small><I>  di Giulia Mele </I></small></small>

1.      Introduzione

L’accesso al credito per le Piccole e Medie Imprese non quotate (di seguito le “PMI”) nel nostro paese è sempre stato piuttosto complesso. Lo stato di crisi, che ormai da alcuni anni interessa l’economia italiana, ha aumentato in maniera esponenziale le difficoltà per le PMI di reperire capitali a causa dell’aumento del cost of funding delle banche.

È proprio in questo contesto che originano le innovazioni normative introdotte dal Decreto Legge 22 giugno 2012, n.83, convertito con la Legge 7 agosto 2012, n.134, (di seguito il “Primo Decreto Crescita”) e dal successivo Decreto Legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito con la Legge 17 dicembre 2012, n.221, (di seguito il “Secondo Decreto Crescita” e, congiuntamente, i “Decreti Crescita”), che hanno apportato significative innovazioni nel settore della finanza d’impresa con riguardo, in particolare, alla disciplina delle cambiali finanziarie e delle obbligazioni e titoli similari (c.d. mini-bond).

Il nuovi strumenti di finanziamento introdotti dai Decreti Crescita prevedono rilevanti novità normative finalizzate ad ampliare le opportunità di ricorso al mercato dei capitali per le società italiane non quotate, rimuovendo i limiti di natura societaria e fiscale che finora penalizzavano tali società rispetto alle società quotate e rispetto alle omologhe società di altri Paesi europei.

In particolare la nuova norma consente alle PMI, in presenza di alcuni specifici requisiti, di emettere: (i) cambiali finanziarie (titoli di debito a breve termine), (ii) obbligazioni/mini-bond (titoli di debito a medio-lungo termine) ed (iii) obbligazioni e titoli similari con clausole di subordinazione e di partecipazione.

Le nuove disposizioni, trovano applicazione nei confronti delle società di capitali, delle società cooperative e delle mutue assicuratrici non emittenti titoli rappresentativi del capitale negoziati in mercati regolamentati o non regolamentati (di seguito “Società non quotate”) che rientrano nella definizione dettata dalla Raccomandazione della Commissione Europea 2003/361/CE ovvero le piccole e medie imprese (piccole sono le imprese con meno di 50 dipendenti ed un fatturato annuo o uno stato patrimoniale annuo inferiore a 10 milioni di Euro. Le medie imprese sono quelle con meno di 250 dipendenti ed un fatturato annuo inferiore a 50 milioni di euro o un totale dell’attivo dello stato patrimoniale inferiore a 43 milioni di Euro).

Rimangono, invece, escluse dall’ambito di applicazione dei Decreti Crescita le banche, e le c.d. micro-imprese, ovvero quelle che occupano meno di 10 persone e realizzano un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di Euro.

In estrema sintesi, le novità più rilevanti introdotte dai Decreti Crescita riguardo tale argomento consistono:

  • nella modifica del quinto comma dell’articolo 2412 c.c. (limiti all’emissione) che fissa limiti quantitativi all’emissione di obbligazioni;
  • nell’eliminazione del diverso trattamento fiscale dei titoli emessi da società non quotate rispetto ai titoli emessi da società quotate e nell’eliminazione del trattamento penalizzante in termini di deducibilità degli interessi passivi corrisposti rispetto a tali titoli;
  • nella modifica della disciplina delle cambiali finanziarie per rendere tale strumento utile fonte di finanziamento a breve termine;
  • nell’introduzione di una disciplina specifica per l’emissione di obbligazioni e titoli similari da parte di società non quotate (i c.d. mini-bonds) che possano prevedere clausole di partecipazione e di subordinazione; e
  • nella possibilità di dematerializzare tali titoli, favorendone la circolazione sul mercato.

2.      Cambiali finanziarie

La cambiale finanziaria è una figura introdotta nel nostro ordinamento già nel 1994 con la legge n.43. Le cambiali finanziarie sono titoli di credito all’ordine emessi in serie aventi struttura analoga a quella del pagherò cambiario (contenete, quindi, la promessa incondizionata di pagare una somma di danaro da parte dell’emittente) e che circolano con il regime della girata a cui va apposta la clausola “senza garanzia”.

La legge 43/1994 precisa, inoltre, che l’emissione di cambiali finanziarie costituisce una forma di raccolta di risparmio tra il pubblico, conseguentemente le stesse saranno disciplinate anche dall’art.11 del Testo Unico Bancario (decreto legislativo n.385/1993), dalla connessa deliberazione CICR del 19 luglio 2005 ed, infine, dalle istruzioni di vigilanza per le banche nella parte dedicata alla raccolta del risparmio da parte di soggetti diversi dalle banche. Data la peculiare natura delle cambiali finanziarie, queste presentano alcuni profili di specialità rispetto alla disciplina del vaglia cambiario. In particolare, (i) sono emesse in serie all’interno di un ammontare complessivo predeterminato; (ii) sono titoli che rappresentano una frazione omogenea di una operazione collettiva di importo predeterminato; e (iii) hanno un contenuto uniforme in ordine al taglio e alle caratteristiche all’interno della medesima serie.

La prassi operativa in materia di cambiali finanziarie ha segnalato un modesto andamento delle operazioni di emissioni. Le ragioni di della scarsa utilizzazione dello strumento devono essere rintracciate: (i) nella rigidità delle caratteristiche del titolo (durata minima troppo elevata); (ii) nelle formalità di emissione e trasferimento (materializzazione del titolo); e (iii) in ragioni di ordine fiscale (svantaggioso regime di tassazione).

2.1.Le novità introdotte dai Decreti Crescita

Al fine di incentivare l’utilizzo delle cambiali finanziarie è intervenuto il legislatore che con i Decreti Crescita ha cercato di rimuovere gli ostacoli che ne limitavano la diffusione. Pertanto, la nuova disciplina:

  • indica espressamente i soggetti legittimati all’emissione di tali titoli;
  • amplia la durata massima e minima dei titoli;
  • consente l’emissione dematerializzata della cambiale;
  • definisce una rigida disciplina per l’emissioni di cambiali da parte di società non quotate imperniata sulla figura dello sponsor e sulla limitazione dei soggetti che possono sottoscriverle ai soli investitori professionali.

La nuova legge n. 43/1994, così come modificata dai Decreti Crescita, stabilisce che i soggetti legittimati ad emettere cambiali finanziarie sono le società di capitali (ovvero società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata), le società cooperative e le mutue assicuratrici. Conseguentemente, risulterà preclusa alle società di persone e alle altre forme associative di esercizio d’impresa la possibilità di emettere tali titoli. La ratio di tale delimitazione deve essere rintracciata nella volontà legislativa di canalizzare le risorse del mercato finanziario verso determinate strutture organizzative, nel presupposto che le stesse, per un verso, debbano essere favorite nella raccolta di capitali e, per un altro verso, siano più idonee ad assicurare una tutela dei terzi.

Ulteriore novità è costituita, come anticipato, dall’ampliamento della durata minima e massima della cambiale. In passato, infatti, tale titolo non poteva avere una scadenza non inferiore a tre mesi e non superiore a dodici mesi dalla data di emissione. Questi limiti hanno forse costituito la causa principale della mancata diffusione di tale strumento. Per questo i Decreti Crescita hanno imposto un ampliamento di tali termini stabilendo che la cambiale finanziaria debba avere una scadenza non inferiore ad un mese e non superiore a trentasei mesi. Il legislatore ha, in buona sostanza, inteso avvicinare la durata delle cambiali finanziarie a quella delle commercial paper diffuse all’estero così da soddisfare sia esigenze di immediata liquidità sia investimenti di medio periodo.

Al fine di aumentare l’appeal di tale strumento, inoltre, il legislatore ha previsto la dematerializzazione delle cambiali finanziarie introducendo nella Legge n. 43/1994 il nuovo articolo 1-bis.

Infine, la novità più importante è costituita dalla definizione di una rigida disciplina per le emissioni di cambiali da parte di Società non quotate. La versione originaria della legge n. 43/1994 non dettava, infatti, alcuna indicazione sull’emissione e sulla circolazione delle cambiali finanziarie. Il Primo Decreto Crescita muta questo quadro e detta una disciplina sull’emissione e circolazione di cambiali finanziarie differenziata a seconda che la società emittente abbia o meno titoli negoziati in mercati regolamentati o non regolamentati.

Nel primo caso (società o enti con titoli rappresentativi del capitale negoziati in mercati regolamentati o non regolamentati) le imprese non dovranno rispettare particolari condizioni; nel secondo caso (società o enti che non hanno titoli rappresentativi del capitale negoziati su mercati) le imprese sono soggette a specifici vincoli sia nella fase di emissione che in sede di circolazione. In particolare, l’art. 1, comma 2-bis, della nuova legge n. 43/1994, stabilisce tre condizioni per l’emissione e la circolazione di cambiali finanziarie:

a)      l’intervento di uno sponsor;

b)      il bilancio revisionato da un revisore legale o da una società di revisione legale iscritti nel Registro dei revisori legali e delle società di revisione;

c)      i titoli siano (i) collocati esclusivamente presso investitori professionali che non siano, direttamente o indirettamente , neanche per tramite di società fiduciaria o interposta persona, soci della medesima impresa emittente e (ii) destinati alla circolazione esclusivamente tra investitori qualificati.

Per quanto riguarda il ruolo dello sponsor, può essere ricoperto da banche, imprese di investimento, SGR, società di gestione armonizzate, SICAV e intermediari finanziari iscritti nell’elenco previsto dall’articolo 107 del Testo Unico Bancario, nonché banche autorizzate all’esercizio dei servizi di investimento anche aventi sede legale in uno Stato extracomunitario, purché autorizzate alla prestazione di servizi nel territorio della Repubblica.

Lo sponsor ha il compito di:

a)      supportare la società nella fase di emissione e di collocamento dei titoli;

b)      sottoscrivere e mantenere nel proprio portafoglio, fino alla naturale scadenza, una quota dei titoli (tale obbligo, tra l’altro, viene meno quando l’emissione sia assistita, in misura non inferiore al 25% del valore di emissione, da garanzie prestate da una banca o da un’impresa di investimento, ovvero da un consorzio di garanzia collettiva dei fidi per le cambiali emesse da società aderenti al consorzio).Tale quota non può essere inferiore:

i.            al 5% del valore dell’emissione, per le emissioni fino a 5 milioni di Euro,

ii.            al 3% del valore di emissione eccedente 5 milioni di Euro, fino a 10 milioni di Euro, in aggiunta alla quota precedente;

iii.             il 2% del valore di emissione eccedente 10 milioni di Euro, in aggiunta alle quote anzidette;

c)      assicurare la liquidità dei titoli, almeno a intervalli predefiniti, per tutta la durata dell’emissione (attività di market making).

Lo sponsor, inoltre, è tenuto ad effettuare una valutazione periodica, su base almeno semestrale (e comunque in occasione di ogni evento straordinario che possa modificarne il giudizio), del valore dei titoli. In particolare, esso effettua una classificazione della qualità creditizia della società emittente e, per le operazioni garantite, del livello di garanzia, rendendo pubbliche le classificazioni adottate.

Infine, lo sponsor ha l’obbligo di segnalare se l’importo delle cambiali finanziarie messe in circolazione sia superiore al totale dell’attivo corrente (vale a dire le attività in bilancio con scadenza entro l’anno dalla data di riferimento del bilancio).

La nuova disciplina delle cambiali finanziarie ha, senza dubbio, il pregio di aver reso lo strumento finanziario più elastico e quindi in grado di soddisfare una più ampia sfera di interessi delle imprese. Tuttavia, il complesso di vincoli che accompagna l’emissione da parte di società non quotate rende economicamente impegnativo il ricorso a questo canale di finanziamento, soprattutto per le piccole e medie imprese.

3.      Minibond

Conviene, preliminarmente, evidenziare che la locuzione “minibond” è un’espressione atecnica che non appare nei Decreti Crescita e che, cosa più importante, non si riferisce ad nuova categoria di titoli. Si tratta, infatti, di un termine che ricomprende le obbligazioni in genere ed i titoli c.d. similari (ovvero i titoli di debito delle società a responsabilità limitata ex 2483 c.c. e gli strumenti finanziari partecipativi ex 2346 c.c. aventi natura di finanziamento), nonché la particolare tipologia delle obbligazioni partecipative e con clausole di subordinazione, peraltro già previste dall’art. 2411 c.c..

Fatta questa precisazione, bisogna rilevare che la disciplina delle obbligazioni era già stata oggetto, nel 2003, di importanti modifiche finalizzate ad ampliare la struttura finanziaria delle società per azioni rendendo più flessibile l’utilizzo di questi strumenti.

Le novità introdotte dai Decreti Crescita, in particolare all’art. 32 del Primo Decreto Crescita, si inseriscono nel solco di queste precedenti modifiche pur avendo lo scopo specifico di favorire le società senza azioni quotate e riguardano:

a)      l’eliminazione completa dei limiti quantitativi di emissione per le obbligazioni destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione e convertibili;

b)      una specifica disciplina per le obbligazioni e titoli similari subordinati e partecipativi emessi da società non quotate.

3.1.La deroga ai limiti quantitativi all’emissione di obbligazioni destinate alla quotazione e convertibili

L’aspetto di maggiore novità è rappresentato dalla modifica del quinto comma dell’art. 2412 del codice civile che, in passato, poneva rigidi limiti all’emissione di obbligazioni. In particolare, il primo comma sancisce che “la società può emettere obbligazioni al portatore o nominative per una somma complessiva non eccedente il doppio del capitale sociale, della riserva legale e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio di  approvato (…)”. La ratio di tale limite è ascrivibile alla necessità di assicurare un equilibrato rapporto tra capitale di rischio e capitale di debito. Tuttavia il legislatore, ai commi successivi, prevede una serie di casi in cui tale limite può essere derogato in ragione del fatto che non sussisterebbe, in tali ipotesi, la necessità di garantire una equilibrata distribuzione del rischio tra azionisti e obbligazionisti.

Une delle deroghe previste riguardava le società per azioni quotate alle quali era permesso di superare tale limite a condizione che le obbligazioni emesse fossero, a loro volta, quotate. Tale deroga trovava il suo fondamento nel fatto che la quotazione implica la soggezione dell’emittente ad una serie di obblighi informativi che rendono i dati fondamentali della società emittente noti ai potenziali investitori. In buona sostanza, il giudizio sull’equilibrio finanziario è espresso direttamente dal mercato.

Il Primo Decreto Sviluppo ha ampliato questa fattispecie estendendo la deroga anche “alle emissioni di obbligazioni destinate ad essere quotate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione ovvero di obbligazioni che danno il diritto di acquisire ovvero di sottoscrivere azioni (art. 2412, comma 5, così come modificato dal d.l. 83/2012)” con una differenza alquanto significativa rispetto all’impostazione precedente. Ad oggi, infatti, le PMI possono ricorrere ad un forma di finanziamento alternativa a quella bancaria superando il limite del patrimonio netto, a condizione che le obbligazioni siano destinate ad essere quotate in mercati regolamentati ovvero in sistemi multilaterali di negoziazione ed a prescindere dal fatto che la società abbia o meno azioni quotate. Questa innovazione si giustifica alla luce del fatto che gli obblighi informativi, sopra richiamati, trovano applicazione non solo in ipotesi di società con azioni quotate ma anche quando siano quotate le sole obbligazioni.

La seconda deroga ai limiti all’emissione riguarda invece quelle obbligazioni che  attribuiscano ai loro titolari il diritto di sottoscrivere o acquisire azioni dell’emittente, ovvero in ipotesi di emissione di titoli obbligazionari convertibili in azioni.

Accanto all’eliminazione del limite legale, che precludeva alle società non quotate la possibilità di emettere obbligazioni per un ammontare superiore al doppio del patrimonio netto, il legislatore ha allineato il trattamento fiscale per gli emittenti obbligazioni quotati e non quotati prevedendo, anche per i secondi, la deducibilità degli interessi passivi e delle spese di emissione, insieme all’esenzione della ritenuta d’acconto in presenza di investitori esteri white list.

Il nuovo intervento normativo, in buona sostanza, agevola l’accesso, per gli emittenti di minori dimensioni, ai più importanti mercati internazionali di capitali a condizioni non discriminatorie rispetto alle grandi imprese.

3.2.Obbligazioni e titoli similari subordinati

Come anticipato, i Decreti Crescita sono intervenuti anche sulle obbligazioni o titoli similari contenenti clausole di subordinazione e di partecipazione.

La facoltà per le società per azioni di emettere obbligazioni subordinate era già stata prevista dal legislatore nel 2003 che all’art. 2411 c.c. stabilisce che il “ diritto degli obbligazionisti alla restituzione del capitale ed agli interessi può essere, in tutto in parte, subordinato alla soddisfazione dei diritti degli altri creditori della società”.

In questo contesto, il Primo Decreto Sviluppo è intervenuto prevedendo la possibilità di emettere obbligazioni e anche  “titoli similari” con clausole di subordinazione.

Il Primo Decreto Sviluppo si occupa, altresì, di precisare il contenuto che deve assumere la clausola di subordinazione. In particolare, essa deve definire i termini di postergazione del portatore del titolo rispetto ai diritti degli altri creditori della società (ma ad eccezione dei sottoscrittori del capitale sociale). I titolari di tali obbligazioni potrebbero, in caso di successiva liquidazione della società emittente, essere postergati nel rimborso del capitale investito a tutti o parte dei creditori della società. Si tratta, evidentemente, di titoli più rischiosi rispetto alle classiche obbligazioni. Conseguentemente, il tasso di interesse che gli obbligazionisti postergati riceveranno sarà più elevato del tasso di interesse degli obbligazionisti non postergati.

Infine, il Primo Decreto Sviluppo stabilisce che le obbligazioni ed i titoli similari con clausola di subordinazione devono avere una scadenza uguale o superiore a 36 mesi.

3.3.Obbligazioni e titoli similari contenenti clausole di partecipazione

Il Primo Decreto Sviluppo ha dettato una disciplina specifica anche per le obbligazioni ed i titoli similari contenenti clausole di partecipazione, ovvero clausole che commisurano il corrispettivo spettante al portatore del titolo al risultato economico dell’impresa emittente. Anche in questo caso, le obbligazioni ed i titoli similari con clausole di partecipazione devono avere scadenza uguale o superiore a trentasei mesi.

La disciplina prevede che il corrispettivo spettante all’investitore consti di una parte fissa e di una parte variabile:

–          la “parte fissa” è rappresentata da un tasso di interesse che non può essere inferiore al Tasso Ufficiale di Riferimento pro tempore vigente;

–          la “parte variabile” è quella commisurata al risultato economico dell’esercizio, nella percentuale indicata all’atto di emissione ( secondo regole di calcolo che non possono essere modificate per tutta la durata dell’emissione e sono dipendenti da elementi oggettivi e non possono discendere da deliberazioni societarie assunte in ciascun esercizio di competenza).

In ogni caso, il Primo Decreto Sviluppo, precisa che la “variabilità del corrispettivo riguarda la remunerazione dell’investimento e non si applica al diritto di rimborso in linea capitale dell’emissione”. Questo significa che la clausola non può arrivare ad incidere sul rimborso del capitale; il portatore del titolo ha comunque diritto al rimborso del capitale alla scadenza.

Infine, si pone il problema di capire le società non quotate possano emettere obbligazioni e titoli similari contenenti clausole di partecipazione solo nella forma prevista dal Primo Decreto Crescita o possano, invece, fare riferimento anche alla disciplina generale contenuta nell’art. 2411 c.c., comma 2. In considerazione del fatto che l’obiettivo delle nuove norme è quello di favorire il finanziamento delle imprese, ampliando le forme di investimento, bisogna ritenere che il Primo Decreto Crescita ampli le possibilità già previste dell’ordinamento. Conseguentemente le società non quotate potranno emettere obbligazioni e titoli similari tanto in base alle previsioni del codice quanto in base alle indicazioni del decreto legge n.83/2012.

3.4.Obbligazioni subordinate partecipative

Si tratta obbligazioni ibride, ovvero contenenti sia clausole di subordinazione che di partecipazione. In questo caso, gli interessi dei titolari saranno in parte commisurato al risultato economico dell’azienda e il rimborso del capitale investito sarà postergato rispetto ad alcuni  o parte dei creditori della società.

L’art.32, commi 24 e 24-bis, prevede una specifica disciplina di carattere contabile e fiscale che consente un risparmio nella tassazione degli utili.

Il Primo Decreto Crescita evidenzia come le obbligazioni subordinate partecipative permettano “ anche di modulare gli esborsi finanziari in funzione dei risultati di impresa favorendo la sostenibilità nelle fasi di rapida crescita o di ristrutturazione, in cui i flussi di cassa posso essere sotto tensione per investimento e per ricostituzione dei margini operativi”.

Conclusioni

Le innovazioni introdotte dimostrano, chiaramente, l’intento del legislatore di ridurre il ruolo centrale che, da sempre, ha nel nostro ordinamento il canale bancario e che ha mostrato tutti i suoi limiti nel corso della crisi finanziaria del 2008 che ha imposto alle banche regole più restrittive in materia di patrimonio di vigilanza, con la conseguente drastica riduzione dei finanziamenti soprattutto alle piccole e medie imprese.

L’impulso riformista del legislatore si prefigge, quindi, lo scopo di assicurare alle piccole e medie imprese una ulteriore opportunità di accesso al credito, così da ridurre la loro dipendenza dal sistema bancario creando, anche per le PMI Italiane, un “mercato del debito”, analogamente a quanto già avviene nei sistemi finanziari ed industriali europei  più avanzati.

Il percorso iniziato con i Decreti Crescita non sembra, tuttavia, ancora essersi arrestato. A circa un anno di distanza, infatti, dalla conversione del Primo e del Secondo Decreto Crescita il legislatore è tornato ancora sulla materia in due diverse occasioni, prima con il d.l. 23 dicembre 2013 n.145 ( c.d. Decreto destinazione Italia), convertito con Legge del 21 febbraio 2014 n.9 e poi con alcune disposizioni contenute nel d.l. 24 giugno 2014 n. 91 convertito con Legge n. 116 dell’11 agosto 2014. La finalità è quella di agevolare ulteriormente le imprese italiane nell’accesso a canali di finanziamento alternativi a quello bancario, mediante forme di provvista sul mercato dei capitali: le emissioni obbligazionarie, ma anche un più ampio utilizzo dello strumento delle cartolarizzazioni.

In definitiva, l’attuale sistema di finanziamento risulta sempre meno banco-centrico, le riforme legislative mirano, infatti, a rimuovere ostacoli normativi all’accesso diretto al mercato dei capitali di debito affinché questo possa costituire un efficace canale di finanziamento alternativo per piccole e medie imprese non quotate.

 

Banking Union: un passo importante ma non la panacea di tutti i problemi
di Emilio Barucci

Ott 13 2014
Banking Union: un passo importante ma non la panacea di tutti i problemi <small><small><I> di Emilio Barucci  </I></small></small>

Nella complessa partita che riguarda l’Europa post crisi del debito sovrano, la Banking Union (BU) rappresenta sicuramente una storia di successo. Gli Stati nazionali e le istituzioni europee sono riuscite in larga misura a rispettare la tabella di marcia che si erano imposti per mettere a punto un sistema di vigilanza a livello europeo incentrato sulla BCE.

La BU dovrebbe poggiare su tre pilastri: il Single Supervisory Mechanism (SSM), il Single Resolution Mechanism (SRM) e il Single Deposit Guarantee Scheme (SDG). Il SSM e il SRM ambiscono a creare un level playing field per quanto riguarda la vigilanza bancaria, a rendere il sistema più solido e a recidere il cordone ombelicale tra banche e conti pubblici. Il SDG intende invece creare una rete di protezione a livello europeo per i possessori di depositi.

Un bilancio sullo stato della BU ci porta a dire che il SSM è oramai pienamente in funzione con l’asset quality review, gli stress tests e il passaggio a giorni della vigilanza delle banche (diretta per le più grandi e indiretta per le più piccole) in capo alla BCE. Il SRM, assieme al Single Resolution Fund (SRF), è oramai definito anche se entrerà in funzione nel 2016. Invece, il SDG ancora non si vede all’orizzonte.

Il SSM rappresenta sicuramente una nota positiva. L’azione combinata dell’EBA, sul fronte della regolazione, e della BCE, sul fronte della vigilanza, dovrebbe garantire un assetto regolamentare e di vigilanza comune a tutti i paesi dell’area euro evitando l’eterogeneità osservata prima della crisi finanziaria, un dato che aveva portato a significativi arbitraggi regolamentari. Questo dovrebbe contribuire a rafforzare il mercato unico europeo in ambito finanziario.

L’assetto decisionale che si viene a creare su materie di vigilanza all’interno della BCE (Supervisory Board e Governing Council) potrà richiedere una messa a punto nella pratica ma ci sono tutte le condizioni affinché il nuovo sistema funzioni efficacemente. I possibili conflitti (all’interno della BCE) tra l’attività di vigilanza e la condotta della politica monetaria così come i possibili conflitti tra la BCE e le autorità di vigilanza nazionale sembrano essere di portata ridotta. Più complesso è il rapporto che si verrà ad instaurare con l’EBA e con l’European Systemic Risk Board, che sono incaricate rispettivamente della regolazione in materia bancaria e delle politiche macroprudenziali. E’ presto per giudicare, ma è facile prevedere che queste istituzioni saranno chiamate a cooperare strettamente e che le complesse procedure formali di interazione nell’eventualità di conflitti non verranno attivate.

Il SRM e il SRF rappresentano sicuramente le novità di maggior rilievo della BU. Il SRM mette a punto una procedura che dovrebbe evitare il fallimento di una banca con le sue ricadute nefaste per l’intero sistema finanziario, il meccanismo stabilisce che devono essere gli azionisti e i possessori di obbligazioni a ‘‘pagare’’ il conto di un eventuale dissesto. Questo deve avvenire o tramite equity swap o write off del debito garantendo pienamente i possessori di alcune tipologie di obbligazioni e di depositi fino a 100.000 euro. Si tratta di una procedura di bail-in (tipo quella avvenuta per Cipro) che rischia di cambiare radicalmente il mondo dei titoli di debito emessi dalle banche: essi non saranno più plain vanilla ma avranno delle componenti di opzionalità che saranno assai difficili da valutare e assai poco gradite al mercato. Questi aspetti rischiano di complicare l’attività delle banche soprattutto nei paesi (come l’Italia) che presentano un elevato funding gap. Questo problema è amplificato dalla soglia elevata delle liabilities che debbono essere assorbite dai claimants della banca (8%) prima di poter far ricorso al SRF e dalla elevata discrezionalità nella mani del Single Resolution Board nel definire le liabilities che potrebbero essere oggetto di write-off. Senza dimenticare che l’esclusione ex ante di alcuni titoli (covered bonds) può condurre ad una pericolosa segmentazione del mercato.

Il ruolo dei privati nella gestione delle crisi risulta prevalente, il SRF può intervenire solo se gli investitori privati hanno sopportato l’8% delle perdite, l’intervento deve essere inferiore al 5% delle liabilities e il suo impiego è soggetto a numerosi vincoli. Il SRF (55 miliardi di euro in tutto) può svolgere il ruolo di ‘‘facilitatore’’ del processo di bail-in di una banca ma non può assolutamente costituire un back-stop per fronteggiare crisi bancarie sistemiche.

Con il SRM si passa dall’idea che le banche ‘‘non’’ possono fallire all’idea che esse possono fallire ma che il processo deve avvenire in modo ordinato con gli azionisti e gli obbligazionisti che debbono pagare in primo luogo il conto. Questo complica terribilmente il quadro alla luce dell’elevato grado di discrezionalità della procedura (la sua stessa attivazione e il riferimento all’interesse pubblico nel definire la procedura di bail-in). Il SRM pone in capo alle banche vincoli nella gestione del loro passivo, vincoli che debbono soddisfare ex ante in previsione di una crisi. Le banche di fatto debbono sottostare ad un’ulteriore autorità di vigilanza.

Nonostante queste criticità possiamo concludere che la BU rappresenta sicuramente un passaggio importante ma occorre non caricarla di aspettative eccessive. In primo luogo, come abbiamo visto, la BU non garantisce affatto uno schermo efficace nei confronti delle crisi bancarie di rilevanza sistemica: la necessità di un back stop pubblico è ancora presente. In secondo luogo, occorre ricordare che la BU era parte di una road map che comprendeva l’unione fiscale (con una qualche forma di mutualizzazione del debito) e l’unione politica. La sensazione è che il dibattito si sia arenato su un equivoco: la BU garantisce di poter trattare le crisi bancarie senza far pagare lo scotto ai contribuenti e senza appesantire i conti pubblici, questo elimina l’esigenza di un maggior coordinamento delle politiche economiche dei singoli Stati, di una politica fiscale comune e in definitiva della mutualizzazione del debito. Occorre ricordarsi che questo non è quello che la BU è in grado di garantire: la BU non è un sostituto degli eurobonds.

Solvency II

Ott 10 2014

La Commissione europea ha adottato un atto delegato contenente norme di attuazione per Solvency II.
L’atto comprende:
– la valutazione delle attività e delle passività, comprese le cosiddette “misure di garanzia a lungo termine;
– come impostare il livello di capitale e calibrare le varie classi di asset in cui le compagnie di assicurazioni possono investire;
– e come le compagnie di assicurazione dovrebbero essere gestite e governate.
L’atto entreà in vigore dopo l’esame e l’approvazione del Parlamento Europeo e del Consiglio.

Comunicato Stampa

Testo dell’atto delegato

Valutazione dell’impatto

FAQ  

Gestione del rischio

Ott 10 2014

Il Comitato di Basilea ha pubblicato un documento contenente i risultati dell’implementazione delle banche dei principi sulla gestione del rischio operativo. L’analisi riguarda 60 banche di rilevanza sistema appartenenti a 20 paesi diversi.

Comunicato Stampa

Documento