Asset quality review e stress tests. Cosa ci aspetta?
di Emilio Barucci, Stefano Corsaro e Carlo Milani

Apr 10 2014
Asset quality review e stress tests. Cosa ci aspetta? <small><small><I> di Emilio Barucci, Stefano Corsaro e Carlo Milani </I></small></small>

Executive summary

In vista del kick off della Vigilanza Unica, la BCE ha promosso l’asset quality review, che ha l’obiettivo di valutare la solidità dei bilanci degli istituti che cadranno sotto il suo ombrello, l’EBA ha invece promosso gli stress test, che hanno l’obiettivo di valutare la solidità degli intermediari rispetto a condizioni di stress. In queste pagine cerchiamo di fare luce sulle condizioni delle banche italiane e sugli aspetti critici che si annidano dietro a queste analisi.

1.     Asset quality review e stress tests: stato dell’arte

Come passo preliminare verso la costruzione di un sistema di vigilanza unico sugli intermediari creditizi, la BCE ha promosso l’Asset Quality Review (AQR) con l’obiettivo di valutare la solidità e la qualità dei bilanci bancari e di aumentarne la trasparenza. Gli Stress Tests (ST), promossi dall’EBA, hanno invece l’obiettivo di valutare la solidità degli intermediari rispetto a condizioni di stress che riproducono una situazione di crisi economica e/o finanziaria.

L’AQR, necessario prerequisito per gli ST, è in pieno svolgimento. La collezione dei dati necessari per analizzare i portafogli delle 128 banche sottoposte a revisione è in via di completamento; le autorità nazionali competenti hanno creato le strutture adibite al controllo e alla consegna alla BCE dei risultati. La raccolta di informazioni interessa tutte le categorie di esposizioni nei confronti di privati (grandi aziende, piccole e medie imprese, mutui al dettaglio, altre esposizioni al dettaglio e altre esposizioni immobiliari) e prevede la divulgazione di dati concernenti tutti i contratti, le garanzie fornite, sia finanziarie che reali, e i garanti. Un team della BCE e delle singole Banche Centrali nazionali sta effettuando ispezioni per verificare la veridicità e l’omogeneità delle informazioni fornite, seguendo una tabella di marcia prestabilita (ECB, 2014c). I risultati dell’AQR saranno resi noti ad ottobre, in tempo per l’entrata in vigore della vigilanza unica bancaria in capo alla BCE. L’AQR non dovrebbe essere una verifica isolata, anche in futuro la BCE potrà revisionare i portafogli delle banche.

Uno dei punti critici nell’esercizio dell’AQR è rappresentato dalla valutazione dei crediti deteriorati. Al riguardo l’Autorità Bancaria Europea (EBA) ha definito standard uniformi per la classificazione dei non-performing loans (NPL), ovvero le esposizioni creditizie su cui risultano mancati pagamenti da almeno 90 giorni (EBA 2013). Vale la pena di osservare che la definizione di NPL stabilita dall’EBA era di fatto già in vigore nel panorama italiano. Oltre ai crediti deteriorati, anche i titoli pubblici e altri asset appartenenti a diverse categorie e rischio saranno valutati; tra essi, le attività illiquide di livello 3. Gli ispettori potranno ricalcolarne il valore e analizzare i modelli utilizzati per la valutazione.

Parallelamente allo svolgimento dell’AQR, è in corso la definizione degli scenari degli ST. Il passaggio è di fondamentale importanza per la credibilità dell’esercizio evitando che vengano definiti scenari troppo “morbidi”, come quelli identificati nel 2011, che non furono capaci di rappresentare l’andamento delle variabili che si è poi avverato. La precedente tornata di ST destò perplessità anche per il livello di guardia del Core Tier 1, fissato al 5%, che venne giudicato come troppo basso da parte dei mercati. Il risultato fu che solo otto banche non raggiunsero il livello minimo richiesto e il gap di capitale si fermò a 2,5 miliardi di euro (EBA, 2011a; EBA, 2011b).

Gli ST che avranno luogo quest’anno appaiono essere più completi e rigorosi. Il numero di banche che saranno sottoposte a scrutino, 124 con base in 22 paesi, è maggiore rispetto al campione coperto nei test del 2011; tali banche rappresentano almeno la metà del sistema bancario di ogni stato membro. Il test coprirà un periodo di tre anni, tra il 2014 e il 2016. L’analisi ipotizzerà un bilancio statico, ovvero senza considerare azioni già pianificate nei piani industriali ma ancora non attuate e considerando l’attuale modello di business della banca. L’impatto verrà valutato in termini di Common Equity Tier1 (CET1): il CET1 ratio (rispetto alle attività ponderate per il rischio) degli istituti finanziari dovrà essere superiore all’8% nello scenario base e al 5,5% nello scenario avverso. I livelli minimi di capitale al di sotto dei quali le banche non potranno scendere sono più alti rispetto al 2011: in quella occasione, la soglia calcolata in termini di Core Tier1 era del 5%. Quest’anno invece  le soglie sono dell’8 e del 5,5% e sono parametrati rispetto al CET1, la parte di capitale di miglior qualità che comprende azioni ordinarie e utili non distribuiti. La stessa normativa di Basilea 3 è meno rigida nell’imporre requisiti di capitale agli istituti bancari: essa prevede infatti che il CET1 ratio sia pari ad almeno il 4,5% delle attività ponderate per il rischio (EBA, 2011c; EBA 2014b; Comitato di Basilea, 2011).

I test del 2011 prevedevano un peggioramento delle variabili macroeconomiche (PIL, disoccupazione), una diminuzione della domanda estera e un deprezzamento del dollaro statunitense rispetto all’euro e alle altre valute europee; molto probabilmente tali fattori di stress verranno almeno in parte riconfermati. Le banche saranno chiamate a confrontarsi con i medesimi scenari macroeconomici, potrebbero essere chiamate anche a confrontarsi con shocks specifici per i mercati dove sono chiamate ad operare. Sia il trading che il banking book saranno oggetto degli ST, le banche dovranno stressare il seguente insieme di rischi: rischio di credito, rischio di mercato, sovereign risk, securitisation, cost di funding, rischio operativo. Il focus degli ST sarà sul rischio di mercato e sul rischio di credito.

Se l’AQR e l’applicazione di scenari di stress faranno emergere delle deficienze di liquidità, gli istituti bancari dovranno procedere a rafforzamenti di capitale. Se il deficit si verificherà nello scenario base, l’aumento di capitale dovrà avvenire nel più breve termine possibile. Nello scenario avverso, invece, gli istituti avranno un tempo più esteso per incrementare i propri cuscinetti patrimoniali, agendo ad esempio sulle politiche di distribuzione dei dividendi e su quelle per il contenimento dei costi (EBA, 2011d; EBA, 2014a; EBA 2014b; ECB, 2014a).

 2.     Lo stato delle banche italiane

A livello di sistema le principali banche italiane si presentano all’appuntamento degli ST con un buon livello di patrimonializzazione, che risulta comunque essere inferiore rispetto alle banche europee. Le banche italiane presentano una forte dispersione, con elementi di debolezza soprattutto riguardo alle banche medio-grandi.

Il Core Tier 1 ratio (ratio presente nella normativa di Basilea 2 corrispondente al CET1 ratio di Basilea 3) delle principali banche nostrane, a settembre o dicembre 2013, si situa tra il 7,25% di Popolare Milano e il 14,03% di Iccrea. Unicredit, Intesa San Paolo e Mediobanca si collocano poco sotto il 12%, vedi Figura 1. Il total capital ratio è inferiore al 10% solo per Banca Carige e Veneto Banca ed è superiore al 15% per tutti gli istituti di maggiore dimensione. Come termine di paragone, si consideri che il CET1 ratio e il total capital ratio delle principali banche europee, calcolato supponendo la piena applicazione delle norme di Basilea 3, è attualmente all’11,9% e 16% per le banche del Gruppo 1 (grande dimensione), al 12,4 e al 15,8% per le banche del Gruppo 2 (media-grande dimensione) (Barucci e Corsaro, 2014).

Figura 1 Ratio patrimoniale delle banche italiane ed europei

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Le banche italiane nel complesso si presentano dunque con ratio patrimoniali più bassi rispetto alle banche europee di simile dimensione, il fenomeno è significativo soprattutto per le banche di media-grande dimensione mentre le prime sei banche presentano un gap non molto significativo soprattutto in termini di Core Tier 1. Negli ultimi anni le banche italiane hanno considerevolmente diminuito la distanza rispetto al benchmark europeo: il gap è stato colmato tramite un aumento del 7,3% del patrimonio core e una diminuzione dell’8,4% delle attività ponderate per il rischio (dati riferiti al periodo dicembre 2011 – giugno 2013: Torresetti, 2014). Tutti i principali istituti finanziari nostrani hanno agito con decisione sui risk-weighted assets, attuando politiche di deleveraging e derisking.

Figura 2 Sofferenze nel sistema bancario italiano

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Le banche italiane hanno anche aumentato i tassi di copertura per i crediti in sofferenza e deteriorati. La copertura delle sofferenze è, con poche eccezioni, superiore al 50%, Intesa, Unicredit e Mps si situano attorno al 60%; i tassi di copertura dei crediti deteriorati (che includono sofferenze, incagli, ristrutturati, scaduti) presentano invece una maggiore dispersione, con valori pari o inferiori al 30% per Carige, Banco Popolare e Ubi Banca e superiori al 50% per Unicredit e Iccrea. Il livello di copertura dei crediti deteriorati per le prime cinque banche (70% dei crediti) è superiore rispetto al dato di sistema, Banca d’Italia (2013). Il tasso di copertura delle banche italiane è inferiore a quello delle banche europee ma il dato è difficilmente comparabile per il diverso criterio di classificazione: se si escludono i crediti assistiti da garanzie (come viene fatto in molte realtà europee) le banche italiane risultano avere coefficienti di copertura superiori a quelle europee.

La quantità di derivati e di assets di livello 3 delle nostre banche è pari a circa la metà degli altri paesi europei, confermando la minor propensione degli istituti nazionali nei confronti di attività rischiose. Anche in questo caso si nota una elevata dispersione guardando al dato sulla percentuale degli attivi con alcune punte per gli istituti di media-grande dimensione.

Quanto all’esposizione nei confronti di titoli di Stato, le banche oggetto di vigilanza da parte della BCE rappresentano circa il 60% dell’esposizione complessiva del sistema bancario italiano nei confronti dello Stato italiano (396 miliardi a giugno 2013). Le prime cinque banche rappresentano il 50%. I titoli pubblici rappresentano in media il 10% degli attivi bancari, dal dicembre 2011 al settembre 2013 le banche italiane hanno acquistato 150 miliardi di titoli di stato, che in larga misura sono stati contabilizzati nel banking book come available for sale (Banca d’Italia 2013).

Figura 3 Titoli di stato e derivati in portafoglio alle banche italiane

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  3.      I punti critici

Gli ST che si prospettano presentano più di un punto critico. In primo luogo, le soglie da rispettare sono state oggetto di critica, in quanto giudicate ancora troppo basse al fine di individuare le banche che sono effettivamente sottocapitalizzate.

Un altro punto debole della nuova stagione degli ST concerne il trattamento dei titoli di Stato. Le esposizioni in titoli pubblici degli istituti di credito verranno valutate a seconda della finalità per cui i titoli sono detenuti dalle banche. Se, negli ST del 2011, i titoli detenuti per attività di trading (held for trading), circa il 5% del totale, furono i soli ad essere sottoposti allo scenario di stress, quest’anno la valutazione comprenderà anche i bond detenuti nel banking book per la vendita (available for sale) e quelli mantenuti sino a scadenza (held to maturity). Per questi ultimi verrà valutato il rischio controparte che potrà richiedere accantonamenti ad hoc. I titoli detenuti per la vendita o per attività di trading saranno invece valutati al fair value, per cui le relative posizione saranno sottoposte a stress riguardo al rischio di mercato (EBA, 2014c). Ne consegue che buona parte dei titoli di Stato acquistati negli ultimi anni da parte delle banche italiane sarà sottoposta a stress.

Le posizioni in titoli di Stato saranno considerate negli ST, ma non nell’AQR. Revisionare la qualità degli attivi delle banche comprendendo anche i titoli di Stato avrebbe certamente reso la valutazione più completa; ciò è vero in particolar modo a seguito degli acquisti di titoli governativi da parte delle banche europee con i fondi delle LTRO.

L’analisi del rischio debito sovrano è resa problematica anche dal fatto che la distinzione tra titoli inseriti nel trading book e nel banking book, prevista dalla normativa di Basilea 2.5, non prevede paletti ben definiti, lasciando margini significativi alle banche nel decidere se allocare i titoli di Stato tra quelli che saranno detenuti fino a scadenza oppure tra quelli destinati alla contrattazione nel mercato. Ad esempio, l’attuale regolamentazione non richiede agli istituti di credito di dimostrare che essi hanno la possibilità di detenere i titoli fino alla loro naturale scadenza, senza che esigenze di gestione (quali ad esempio il rimborso di proprie emissioni obbligazionarie) li inducano a dismettere prima del tempo questi titoli.

Problemi potrebbero sorgere, infine, dalla mancata armonizzazione dei princìpi contabili. I princìpi IFRS non saranno uniformemente applicati a livello di supervisione europea se le definizioni di crediti deteriorati applicate non saranno in contrasto con le linee guida dell’EBA richiamate in precedenza. Tale discrezionalità potrebbe andare a discapito delle banche italiane, in cui viene applicata una valutazione più severa di quella compiuta dalle banche tedesche o francesi; queste ultime potrebbero quindi avere maggiori margini di manovra nel determinare il valore dei crediti dubbi iscritti in bilancio.

  4.      Prime evidenze

Acharya e Steffen (2014) hanno analizzato la situazione patrimoniale e creditizia delle principali banche europee sottoposte all’AQR, utilizzando sia dati di bilancio relativi a giugno 2013 (o in alcuni casi a dicembre 2012), sia alcuni ratio di mercato (market-to-book ratio, beta, ecc.). Da queste prime evidenze, sulla base di ipotesi abbastanza semplici, emergerebbe nello scenario base, ovvero con il vincolo di detenere un CET1 pari almeno all’8%, un deficit di capitale compreso tra i 7,5 e i 67 miliardi di euro per l’intero gruppo delle banche considerate. In uno degli scenari avversi, gli autori ipotizzano la totale svalutazione dei non-performing loans detenuti dalle banche: in tal caso, il deficit di capitale sarebbe compreso tra i 232 e i 435 miliardi di euro, di cui intorno ai 100 miliardi per le sole banche italiane. Le prime evidenze mostrano che in condizioni di stress i principali deficit di capitale, sia in termini assoluti che relativi al PIL, riguardino le banche francesi, seguite dalle banche tedesche e da quelle italiane e spagnole. L’analisi centrata sul valore di mercato delle banche (ovvero compiuta valutando il massimo ammontare di capitale che le banche possono ottenere sui mercati privati in rapporto all’attuale valutazione di mercato) individua invece nelle banche belghe, cipriote e greche quelle più in difficoltà nel compiere i necessari aumenti di capitale.

Soffermandosi sui risultati ottenuti, Acharya e Steffen (2014) evidenziano come la maggior parte dei deficit di capitale possano essere sanati tramite l’emissione di common equity e attraverso haircut sui debitori subordinati (cosiddetto bail-in; Brescia Morra e Mele, 2014a). Ove ciò non sia possibile, ad esempio in quanto i debitori sono altre banche o istituzioni finanziarie di importanza sistemica, potrebbe essere richiesto un sostegno pubblico. Il fondo di risoluzione comune di 55 miliardi di euro, su cui i ministri delle finanze dei paesi europei hanno trovato di recente un accordo non sarebbe sufficientemente capiente (Brescia Morra, Mele, 2014b). Al riguardo occorre comunque ricordare che secondo le ultime analisi dell’EBA le banche, soprattutto quelle di grande dimensione, hanno fatto un notevole sforzo per aumentare il loro grado di capitalizzazione (Barucci e Corsaro, 2014).

I problemi sin qui evidenziati rendono chiaro come le nubi che si erano addensate sugli ST del 2011 non si siano del tutto diradate. Mancata armonizzazione dei principi contabili, valutazione benevola del possesso di bond governativi, soglie minime troppo basse: questi e altri problemi rischiano di rendere l’analisi degli ST non convincente agli occhi dei mercati. A favore dell’autorevolezza degli ST abbiamo comunque la volontà delle autorità di fare sul serio. Le parole di Draghi e del nuovo supervisore capo del meccanismo unico di supervisione, Danièle Nouy, sono state inequivocabili: entrambi ritengono che il fallimento dei test da parte di alcune istituzioni finanziarie sia “necessario” al fine di mostrare la credibilità dei controlli sulla salute delle principali banche europee. Nouy ha inoltre evidenziato come, a differenza del passato, i titoli sovrani non possano più essere considerati asset privi di rischio e ha sottolineato l’attenzione anche nei confronti delle banche che non ricadranno direttamente sotto la sua supervisione; tali banche, se la situazione lo necessitasse, potrebbero infatti essere trasferite sotto la competenza della BCE.

Riferimenti

Implementazione delle norme di Basilea: stato dell’arte

Apr 09 2014

Il Comitato di Basilea ha pubblicato un report sull’implementazione delle normative di Basilea 2, 2.5 e 3, con dati aggiornati a marzo 2014. L’attenzione è stata posta sui processi dei singoli stati per accogliere le norme sugli standard di capitale negli ordinamenti nazionali.

Per ulteriori informazioni, leggere qui.

Pubblicato report sull’implementazione della riforma del mercato dei derivati OTC

Apr 09 2014

Pubblicato dal Financial Stability Board il settimo report semestrale sull’implementazione della riforma del mercato dei derivati OTC. Progressi sono stati compiuti nell’applicazione delle raccomandazioni del G20, attraverso l’implementazione di riforme in ambito giuridico, la configurazione di nuovi standard e un maggiore implementazione inter-nazionale delle riforme.

Per maggiori informazioni, leggere qui.

FSB: prodotti nuovi documenti su cultura del rischio e supervisione

Apr 09 2014

Il Financial Stability Board (FSB) ha reso pubblici due nuovi documenti, concernenti rispettivamente la cultura del rischio e le pratiche di supervisione. Il primo recepisce le indicazioni sul documento consultivo pubblicato nel mese di novembre 2012, il secondo analizza le modifiche alle attività di supervisione dall’inizio della crisi ad oggi, evidenziando le aree in cui permangono elementi di debolezza.

Per ulteriori informazioni, leggere qui.

Risoluzione delle banche: un compromesso importante in Europa
di Concetta Brescia Morra e Giulia Mele

Apr 03 2014
Risoluzione delle banche: un compromesso importante in Europa  <small><small><I> di Concetta Brescia Morra e Giulia Mele </I></small></small>

Il Consiglio e il Parlamento europeo, il 20 marzo scorso, hanno trovato l’accordo politico sul meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie al termine di un lungo negoziato. L’accordo raggiunto completa il secondo pilastro dell’Unione Bancaria costituito dal Single Resolution Mechanism (SRM) e dal Single Resolution Fund (il Fund). Il secondo pilastro introduce un sistema accentrato di gestione delle crisi di banche della zona euro, in coerenza con la scelta di attribuire alla Banca Centrale Europea il potere di vigilanza su queste banche (Regolamento UE 1024/2013). Esso mira a stabilire una gestione ordinata delle crisi, anche per ridurne il costo sociale. Le nuove regole, infatti, si propongono di limitare la possibilità che il fallimento delle banche pesi sui contribuenti. La disciplina del SRM e del Single Fund, delineata da una proposta di regolamento, è quindi oggi completata dalle norme sul Fondo contenute in un accordo intergovernativo.

Gli elementi di novità introdotti con il recente accordo, rispetto alla precedente bozza di regolamento descritta nell’articolo “Una vera rivoluzione: il Single Resolution Mechanism“, sono molteplici.

È stato accelerato il meccanismo di “mutualizzazione” delle risorse finanziarie nelle regole sul funzionamento del Single Fund costituito con contributi delle banche aderenti all’area dell’euro. La creazione del Fondo dovrà avvenire in otto anni (contro i dieci inizialmente previsti) dal 2015. A regime esso dovrà avere una capacità di 55 miliardi di euro e dovrà raggiungere un livello almeno pari all’1% dei depositi garantiti. Durante il periodo transitorio, all’interno del Single Fund sono previsti comparti nazionali costituiti con le risorse apportate dalle banche di ciascun paese aderente. Le somme accumulate nei comparti nazionali dovranno essere messe in comune al termine del periodo transitorio; la messa in comune dovrà riguardare il 40% delle risorse già entro il primo anno, il 60% entro il secondo anno e il 70% entro il terzo anno.

È stata ampliata la capacità di intervento del Fondo nella gestione delle crisi prevedendo la possibilità dello stesso di indebitarsi con il mercato, sulla base di una decisione della nuova autorità europea per la risoluzione delle crisi bancarie, il Resolution Board (il Board), riunito in sessione plenaria. E’ escluso che questi finanziamenti possano beneficiare di una garanzia pubblica.

È stata semplificata la procedura di risoluzione. In questa direzione si muovono le regole sul funzionamento del Board. Per esso è stato confermato l’impianto originario che vede l’organo operare in due formazioni: la sessione esecutiva e la sessione plenaria. Le novità interessano sia aspetti formali sia sostanziali delle due formazioni; la Commissione, insieme alla BCE saranno osservatori permanenti all’interno della sessione esecutiva; a quest’ultima parteciperanno anche i membri del Board che rappresentano le autorità del paese della banca oggetto dell’intervento di risoluzione. Nessuno dei partecipanti, peraltro, potrà avere potere di veto sulle decisioni da assumere. La delimitazione delle competenze tra il Board in sessione esecutiva e in sessione plenaria viene individuata sulla base di un criterio quantitativo. Il Board in sessione esecutiva sarà competente per le questioni che richiedono interventi del Single Fund fino a 5 miliardi di euro; il Board in sessione plenaria interverrà per problemi che richiedano interventi per somme superiori a tale importo. Nel senso della semplificazione del procedimento si può leggere la scelta di ritagliare un ruolo marginale per il Consiglio europeo, prevedendo una procedura di silenzio assenso. Quest’ultimo potrà solo opporsi allo schema di risoluzione approvato dal Board in due casi puntualmente definiti: se non ritenga sussista un interesse generale; se sia necessario ampliare i limiti dell’intervento del Fund rispetto a quanto ordinariamente previsto.

Una prima valutazione delle novità introdotte per il meccanismo unico di risoluzione delle crisi bancarie induce a dare un giudizio positivo sulle stesse nella prospettiva della Banking Union.

L’accelerazione nel meccanismo di “mutualizzazione” delle somme fatte confluire dalle banche nel Single Fund e l’ampliamento della forza di fuoco dello stesso con la possibilità di indebitarsi sui mercati sono indubbiamente un successo nel lungo processo per arrivare a mettere in comune risorse per gestire le crisi delle banche dei paesi aderenti all’area dell’euro. La circostanza che sia stata necessaria la stipula di un accordo intergovernativo non riduce la rilevanza positiva del compromesso politico raggiunto. L’introduzione di una nuova fonte normativa nel sistema di risoluzione delle banche può essere un indice di debolezza della capacità propulsiva del processo da parte della Commissione europea; i progressi sostanziali raggiunti, peraltro, sono indice della consapevolezza dei Governi dell’irreversibilità del processo di integrazione dei sistemi finanziari.

Anche la definizione di un chiaro ambito di competenze del Board in sessione esecutiva rafforza l’autonomia dell’istituzione rispetto ai membri partecipanti e agli interessi nazionali che rappresentano, così dando maggiore credibilità alla stessa di poter affrontare efficacemente le crisi bancarie.

Un punto debole dell’accordo è la mancata discussione di qualsiasi forma di backstop pubblico che potrebbe essere necessario nel caso in cui il nuovo meccanismo di risoluzione non riesca a fronteggiare crisi sistemiche. In questo momento l’unica forma di intervento pubblico di livello europeo è rappresentata dal European Stability Mechanism (ESM), istituito nel 2012 con un Trattato fra i paesi dell’area dell’euro per sostenere i paesi aderenti in difficoltà che prevede, in limiti molto stringenti, la possibilità di ricapitalizzazione diretta delle banche di questi paesi in crisi. La presenza di un backstop pubblico rappresenta, in tutti gli ordinamenti, un elemento in grado di rassicurare i mercati, anche per evitare di aggravare situazioni di difficoltà delle banche. L’incertezza dei mercati su cosa accade se gli strumenti di risoluzione, appena approvati, che prevedono solo l’uso di risorse finanziarie “private”, non siano sufficienti a risolvere la crisi potrebbe renderli meno efficaci.

La risoluzione delle crisi e il meccanismo di risoluzione unico per l’Area dell’Euro
di Sergio Lugaresi

Apr 03 2014
La risoluzione delle crisi e il meccanismo di risoluzione unico per l’Area dell’Euro  <small><small><I> di Sergio Lugaresi </I></small></small>

Il fulcro dell’Unione Bancaria è il modo in cui  gestire le crisi. Commissione, Parlamento e Consiglio Europei (il trilogo), hanno raggiunto un accordo sulla Direttiva sulla Gestione e Risoluzione delle  Crisi Bancarie (BRRD) e sul Regolamento per l’istituzione di un Meccanismo Unico di Risoluzione; a integrazione del regolamento  un Accordo Intergovernativo regolerà il funzionamento del Fondo Unico di Risoluzione (SRF). La Direttiva e l’Accordo intergovernativo dovranno essere recepiti dai Parlamenti nazionali (della UE la prima, dell’Unione Monetaria il secondo); il Regolamento no ed entrerà in vigore il 1° gennaio 2015. Sono state così  smentite le previsioni più pessimistiche che mettevano in dubbio il completamento dell’Unione bancaria (avviata con la costituzione di un Meccanismo Unico di Vigilanza incentrato sulla Banca Centrale Europea). Ma l’impianto che si andrà a costruire lascia alcuni dubbi sulla sua efficacia.

La crisi ha mostrato che la società e i governi non possono accettare  di  lasciare fallire le banche, così come si lasciano fallire altre imprese (non tutte in verità, vedi le aziende automobilistiche o le linee aeree). L’ingente impegno di risorse pubbliche durante l’ultima crisi ha reso però socialmente e politicamente odioso  ciò che era stato  ritenuto  normale precedentemente (Levitin 2011). Inoltre ha svelato ciò che era stato  implicito sino ad allora: investire nelle banche è meno  rischioso che investire in altre aziende, e ciò genera moral hazard.

Era perciò necessario inventarsi qualcosa.  Una strada, tentata negli USA (regola di Volker) e poi nel Regno Unito (Rapporto Vickers), e recentemente riproposta nell’Unione Europea dal rapporto Liikanen (e riproposto dal Commissario Barnier troppo tardi per questa legislatura europea), è quella di separare le funzioni socialmente essenziali delle banche da quelle più speculative e quindi rischiose.  Tale soluzione risulta molto difficile, perchè alcune delle attività speculative posso essere complementari ad alcune funzioni essenziali (per esempio la copertura dei rischi di cambio). Inoltre nulla assicura che permangano le interconessioni tra le due classi di attività, sicchè non si può escludere che in futuro il governo debba intervenire per salvare una banca speculativa al fine di evitare che il suo fallimento trascini con sè quello di banche “essenziali”. Infine, per attuare tali riforme ci vuole molto coraggio: esse aggrediscono colossi transfontralieri ora impopolari, ma sempre assai potenti.

Rinunciando a definire ex ante cosa sia essenziale (cioè salvabile) e cosa no, rimanevano dunque due possibilità: 1) lasciare alle autorità di decidere in punto di crisi cosa salvare e cosa no; 2) introdurre un sistema di ripartizione delle perdite tra azionisti e creditori in modo da ridurre i rischi per i contribuenti (il cosidetto bail-in)[1].

La BRRD introduce teoricamente entrambe le possibilità.  Ma, come vedremo, in realtà non è così.

La BRRD imporrà, infatti, agli stati membri di introdurre, qualora non lo avessero ancora fatto, tre strumenti: 1) ampi poteri di intervento  preventivo (inclusa la sostituzione del top management) quando la  banca è  in crisi ma non è ancora fallita; 2) la possibilità, nella gestione della risoluzione della banca fallita, di separare le funzioni socialmente essenziali (da salvare) da quelle che non lo sono (quindi liquidabili); 3) la possibilità di infliggere perdite immediate ai creditori o di trasformare parte dei  crediti in azioni al fine di coprire i “buchi” della banca e riportarla “frankesteinamente” in vita (bail-in).[2]

Il  bail-in è un istituto giurico nuovo e poco sperimentato. Ne esistono due versioni: una contrattuale e una imposta per autorità. Quella contrattuale può essere ex-ante (titoli di che includono clausole di perdita o conversione in caso del verificarsi di determinati eventi) o ex-post (accordi di ristrutturazione tra creditori). Quella imposta può essere solo ex-post.

La scelta è stata per il bail-in imposto, che entrarà in vigore il 1° gennaio 2016. Esso può avere un impatto significativo sul costo del finanziamento bancario: tale impatto è dato non solo dalla desiderata rimozione del cosidetto moral hazard, ma anche dall’incertezza sulla sua effettiva applicazione. Per esempio la BRRD prevede che si vada in risoluzione ogni volta che vi è sostegno pubblico, tranne che questo sia richiesto qualora vi siano difficoltà di ricapitalizzazione a seguito di soli risultati negativi degli stress test, ossia in situazione di rispetto dei requisiti minimi di capitalizzazione.  Più in generale il bail-in è concepito per intervenire in situazioni di cosidetto going concern. Se la probabilità di bail-in è magggiore della probabilità teorica di default, l’effeto sarà quello di aumentare il costo del credito bailinable al di sopra della semplice rimozione del moral hazard.

Poichè nella Direttiva non sono posti limiti al bail-in, è questo che presumibilmente le autorità userano quasi esclusivamente, in quanto più semplice da utilizzare.[3]  Però i creditori delle banche sono tanti, votano e hanno potenti organizzazioni di pressione: ecco dunque fiorire le esenzioni dal bail-in, i trattamenti preferenziali e le discrezionalità nazionali. La Direttiva esclude, oltre ai depositi coperti da garanzia (cioè sino a 100 mila euro  per persona), anche i debiti garantiti o collateralizzati (sino al valore della garanzia),  i debiti verso i lavoratori e il fisco, i debiti commericali per la fornitura di beni essernziali al funzionamento quotidiano, i debiti verso i fondi pensionistici e i debiti inferiori a sette giorni. Inoltre stabilisce una gerarchia di creditori, in modo da ridurre la probabilità di bail-in per i depositi delle persone in eccedenza dei minimi garantiti e dei depositi delle piccole e medie  imprese.

Notevoli sono inoltre i casi di discrezionalità lasciate alle autorità nazionali per proteggere certe categorie di crediti: 1) se sono troppo complessi da calcolarne in tempi brevi la perdita da infliggere (in pratica quasi tutti i  contratti derivati); 2) se sono necessari per assicurare la continuità delle funzioni critiche; 3) per evitare il contagio, in particolare ad altre banche, PMI e infrastrutture finanziarie; 4) per evitare distruzione di  valore che aumenterebbe le perdite di altri creditori. [4] Queste discrezionalità introducono molta incertezza e rischiano di mantenere il vantaggio sui mercati dei capitali delle banche dei paesi con finanza pubblica più robusta.

Le esenzioni e l’uso di queste discrezionalità[5] avrebbe l’effetto di aumentare le perdite ai danni degli altri  creditori, infrangendo il criterio della par conditio creditorum.[6]  Quindi le autorità nazionali dovranno intervenire per compensare parzialmente questi  creditori. Anche per questo la Direttiva prevede la creazione di Resolution Financial Arrangment (RFA, usualmente un fondo di risoluzione finanziato dalle banche pari all’1 percento dei depositi garantiti), che dovrebbe anche essere in grado di fornire prestiti e garanzie alle banche “resuscitate”. La Direttiva pone anche dei vincoli alla possibilità di utilizzare i RFA: essi possono essere utilizzati solo quando le perdite superano  l’8% del totale delle passività della  banca, e non possono comunque eccedere il 5% delle stesse. Gli RFA dovranno mutualizzare le risorse in caso di risoluzione di banche transfrontaliere in base ad accordi di ripartizione dei costi (burden sharing) stabiliti ex-ante, oppure ex post ma seguendo semplici criteri stabiliti nella Direttiva (in sostanza distribuzione degli asset, delle perdite e dei beneficiari dei RFA).

Rimanendo il finanziamento della risoluzione di una banca a carico dei governi nazionali, è chiaro che un sistema così congegnato non consente di spezzare il circolo vizioso tra debiti sovrani e quelli delle banche. Si è pertanto cercato di porre un rimedio a questa situazione con un Meccanismo Unico di Risoluzione (SRM) per le sole banche vigilate direttamente dalla Banca Centrale Europea (BCE).

Il Regolamento prevede che una volta che la BCE abbia dichiarato lo stato di crisi irreversibile di una banca, un Single Resolution Board (SRB, composto da un Presidente, un Direttore esecutivo e altri tre membri a tempo pieno nominati dal Consiglio,  con la Commissione e la BCE come osservatori permanenti), dotato di poteri ispettivi e sanzionatori, proponga un piano di risoluzione della banca fallita sulla base di un preesistente Resolution Plan i cui criteri generali sono stabiliti nella BRRD. Il piano di risoluzione deve essere approvato dalla Commissione (in base al principio stabilito dalla Corte di Giustizia europea che i poteri delle istituzioni europee non possono essere delegati) entro 24 ore. In pratica la Commissione, che partecipa a tutte le riunioni come osservatore, può dettare delle modifiche alle decisioni del Board se d’accordo con il Consiglio, che può esprimersi nelle 12 ore successive, e sulla base di considerazioni relative all’ interesse pubblico e all’utilizzo dell’SRF (vedi sotto),

Eventuali costi di risoluzione, incluso l’indennizzo di alcune categorie di creditori, dovranno essere finanziati da un Single Resolution Fund (SRF), l’RFA dell’area Euro, costituito con trasferimento di risorse nazionali con l’obiettivo di raggiungere lo 0,8 percento dei depositi garantiti entro 8 anni. In base all’Accordo intergovernativo nella fase transitoria L’SFR sarà utilizzato in base a “compartimenti” nazionali.[7] In ogni caso, gli interventi dell’SFR, così come eventuali finanziamenti pubblici, dovranno essere autorizzati dalla Commissione.

Potrà un tale meccanismo funzionare davero? L’esperienza dei Resolution Plan per gruppi cross-border è stata per ora limitata e insoddisfacente: le gelosie e i contrasti tra le autorità nazionali rendono difficile lo scambio di informazioni delicate come quelle sulle possibili dismissioni di asset e sulla possibile ripartizione delle perdite tra i creditori. Sarà l’SRB sufficientemente indipendente dalle pressioni politiche, soprattutto dei creditori nazionali? Sarà sufficiente l’SRF (a regime circa 55 miliardi di Euro a valori attuali) a compensare i tanti creditori che le autorità nazionali vorranno esentare dal bail-in di una grande banca cross-border? Avrà l’SRB la capacità e gli strumenti per agire tempestivamente? Se l’esatta entità della crisi di una banca non è comunicata ai mercati insieme a precise e credibili modalità di risoluzione, le conseguenze per la banca potrebbero essere devastanti.

A ben vedere tutte queste perplessità derivano dall’eccessivo ruolo che la Commissione e poi il Governo tedesco hanno dato al “bail-in imposto”. L’alternativa invece poteva essere quella di dare priorità alla separazione degli asset e alla costituzione di una bridge bank in attesa di trovare un acquirente privato, lasciando il bail-in imposto come strumento residuale e complementare. Dei 490 casi di fallimento bancario gestiti dall’FDIC americana dal 2008, 450 sono stati risolti con la vendita di parte della banche ad altre banche, spesso di stati diversi (Asmussen 2013). In caso di crisi idiosincratica gli strumenti privatistici sono possibili rendendo il bail-in potenzialmente inutile; in caso di crisi sistemica il bail-in è  invece inutilizzabile poichè contribuisce al contagio sistemico.

D’altra parte l’eccessivo ruolo dato al “bail-in imposto” deriva dal fatto che l’Unione Bancaria dovrebbe supplire alla mancanza di una vera e propria Unione Fiscale, sicchè l’esercizio eminentemente politico della ripartizione delle perdite tra creditori e contribuenti, al fine di tutelare l’interesse superiore dei depositanti e del sistema dei pagamenti, viene ridotto ad un esercizio di ripartizione tra categorie di creditori, con l’illusione che esso possa essere puramente tecnico, se non addirittura automatico. [8]

Non si può quindi non concordare con l’analisi di Deutsche Bank (2013): l’Unione Bancaria è un passo avanti nell’integrazione europea; essa però servirà solo ad allentare, non a spezzare, il legame tra debito bancario e debito sovrano.

Sinchè non si discuterà concretamente di Unione Fiscale (per fare cosa?), l’Unione Bancaria avrà bisogno anche di un po’ di fortuna, quella che non sempre ha avuto l’Unione Monetaria. La crisi di una banca transanazionale ne rivelerebbe tutte le debolezze, così come la crisi greca ha rivelato le debolezze dell’Unione Monetaria.

Riferimenti

Asmussen, Jörg, “Banking Union – essential for the ins, desirable for the outs!”, speech at the Danske Bank Financial Forum 2013, Stockholm, November 2013

Boccuzzi, Giuseppe, “Towards a new Framework for Banking Crisis Management. The International Debate and the Italian Model”, Banca d’Italia, Quaderni di Ricerca Giuridica, ottobre 2011.

Calello, Paul – Wilson, Ervin, “From bail-out to bail-in”, The Economist, Jan 28th 2010.

Deutsche Bank – Market Research, “EU Banking Union. Right Idea, Poor Execution”, Frankfurt, September 2013

Goyal, Rishi – Brooks, Petya Koeva – Pradhan, Mahmood – Tressel, Thierry – Dell’Ariccia, Giovanni – Leckow, Ross – Pazarbasioglu – IMF Staff Team, “A Banking Union for the Euro Area”, IMF Staff Discussion Note, February 2013.

Levitin, Adam J., “In Defence of Bailouts”, Georgetown Law Journal, 2011.

Mersch, Yves, “The Single Market and Banking Union”, speech at the European Forum Alpbach, August 2013.

EIOPA: partita consultazione per l’applicazione di Solvency 2

Apr 02 2014

L’EIOPA, autorità europea per le assicurazioni e le pensioni, ha lanciato una consultazione sugli standard tecnici per l’applicazione di Solvency II. La direttiva prevede l’estensione delle norme di Basilea 2 al settore assicurativo.

La consultazione terminerà il 30 giugno 2014.

Qui il documento ufficiale.

Systemic Importance of Financial Institutions: Regulations, Research, Open Issues, Proposals

Apr 02 2014

Segnaliamo il seguente working paper dell’ IMT Lucca Institute for Advanced Studies

 

Michele Bonollo, Credito Trevigiano; IMT Institute for Advanced Studies Lucca
Irene Crimaldi, IMT Lucca Institute for Advanced Studies
Andrea Flori, IMT Lucca Institute for Advanced Studies
Fabio Pammolli, IMT Lucca Institute for Advanced Studies
Massimo Riccaboni, IMT Lucca Institute for Advanced Studies

Systemic Importance of Financial Institutions: Regulations, Research, Open Issues, Proposals

Abstract: In the field of risk management, scholars began to bring together the quantitative methodologies with the banking management issues about 30 years ago, with a special focus on market, credit and operational risks. After the systemic eff ects of banks defaults during the recent fi nancial crisis, and despite a huge amount of literature in the last years concerning the systemic risk, no standard methodologies have been set up to now. Even the new Basel 3 regulation has adopted a heuristic indicator-based approach, quite far from an e ffective quantitative tool. In this paper, we refer to the di fferent pieces of the puzzle: defi nition of systemic risk, a set of coherent and useful measures, the computability of these measures, the data set structure. In this challenging fi eld, we aim to build a comprehensive picture of the state of the art, to illustrate the open issues, and to outline some paths for a more successful future research. This work appropriately integrates other useful surveys and it is directed to both academic researchers and practitioners.

http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2417483