La fine del cambio fisso Franco – Euro
di Stefano Corsaro

Gen 27 2015
La fine del cambio fisso Franco – Euro <small><small><I>di Stefano Corsaro </I></small></small>

1. La crisi e l’imposizione del cambio fisso

Una delle classiche conseguenze delle crisi economiche è la fuga dagli investimenti ‘rischiosi’ in direzione dei safe havens, paradisi sicuri in cui depositare la propria liquidità in attesa della fine delle incertezze sui mercati finanziari e nell’economia reale. La crisi del 2007-09 non ha rappresentato un’eccezione: il ripiegamento degli investitori si è tradotto in massicci investimenti in oro, la cui valutazione è aumentata dai 484 dollari/oncia di giugno 2007 a circa 1300 a settembre 2011[1], e in valute rifugio, quali il dollaro statunitense e il franco svizzero (di seguito, semplicemente franco). Gli acquisti di valuta elvetica, in particolare, hanno portato a un deciso apprezzamento del franco, il cui cambio con l’euro è diminuito da 1,65 CHF/EUR (gennaio 2008) a 1,48 (gennaio 2010), sino alla quasi parità ad agosto 2011 (grafico 1).

I chiari rischi di deflazione e di recessione, questi ultimi ancora più significativi se si considera che l’economia svizzera aveva superato quasi senza problemi la crisi e che il PIL, sebbene rallentato, aveva avuto crescita negativa solo nel 2009, hanno dunque spinto la banca nazionale svizzera (BNS) a fissare nel mese di settembre 2011 il tasso di cambio a 1,20 CHF/EUR, con possibilità di azioni per svalutare ulteriormente la moneta nazionale. Tale obiettivo veniva perseguito secondo la consolidata tecnica di stampa di moneta e vendita di attività in franchi e acquisto potenzialmente illimitato di attività in valuta straniera (BNS, 2011a; BNS, 2011b; BNS, 2014a; Monacelli, 2015).

La strategia della BNS ha garantito che il tasso di cambio non superasse al ribasso la soglia prevista, fluttuando nel periodo settembre 2011 – novembre 2014 tra 1,20 e 1,25 CHF/EUR (grafico 1). A dicembre, alle operazioni di mercato aperto è stata aggiunta l’imposizione di un tasso di interesse negativo sui depositi pari allo 0,25%, in vigore dal 22 gennaio di quest’anno; l’obiettivo è il mantenimento del LIBOR in una fascia compresa tra -0,75% e 0,25%. È prevista una soglia di esonero per l’applicazione del tasso negativo pari a 10 milioni di franchi, inoltre la soglia per le banche obbligate a detenere riserve presso la BNS è di 20 volte i requisiti minimi (Monacelli, 2015; BNS, 2014b).

Grafico 1

Untitled

 

Fonte: Banca d’Italia

2. L’interruzione del cambio fisso: motivazioni e conseguenze

Il 15 gennaio la BNS ha deciso di sospendere la fissazione del tasso di cambio minimo; al fine di limitare l’apprezzamento del franco e il peggioramento delle condizioni di credito, i tassi di interesse sui depositi sono stati abbassati di mezzo punto, così come gli obiettivi del LIBOR (BNS, 2015).
Tre sono le motivazioni principali che possono spiegare la decisione della banca centrale. Innanzitutto, come evidenziato dai vertici della stessa istituzione, il brusco calo del tasso di cambio euro-dollaro ha reso il franco troppo debole nei confronti della valuta statunitense. Ben più importanti, però, sono i restanti due motivi.

Nel corso del 2014 ulteriori incertezze economiche e geopolitiche, tra cui la caduta del prezzo del petrolio e la fuga di capitali dal rublo per la crisi russa, hanno contribuito a rafforzare il ruolo del franco come bene rifugio. La politica della BNS, come detto, prevedeva operazioni di acquisto di attività in valuta diversa dal franco: ciò ha enormemente ampliato il suo bilancio, sino agli attuali 525 miliardi di franchi (vedi grafico 2). A seguito di ciò sono emerse difficoltà sul controllo del bilancio stesso, nonché valutazioni politiche circa il ruolo della BNS; inoltre le buone condizioni dell’economia (con tassi di crescita attorno al 2%) non giustificavano misure eccezionali a difesa del cambio (verso possibili apprezzamenti).

La mossa dell’istituto elvetico ha rappresentato un ulteriore indizio circa l’imminenza dell’approvazione del QE da parte della BCE. Le nuove misura di politica monetaria non convenzionale dell’istituto di Francoforte avrebbero infatti portato incontrollabili movimenti di mercato con un’ingente immissione di euro in circolazione, flussi di capitale in uscita dall’euro, ulteriore svalutazione dell’euro e delle attività detenute dalla BNS (BNS, 2014c; BNS, 2015, Monacelli, 2015).

Grafico 2

1

Fonte: Banca Nazionale Svizzera, Monthly Bullettin.

Gli esiti dell’abbandono del cambio fisso non sono del tutto chiari. Il rafforzamento della moneta colpirà duramente l’economia nazionale: si stima un calo di 5 miliardi dell’export e una diminuzione dello 0,7% del PIL. La nuova, inattesa, ventata di instabilità proveniente dal paese elvetico ha ulteriormente spinto gli investitori verso impieghi sicuri, come l’oro, le cui valutazioni sono aumentate a seguito della scelta della BNS (si veda la nota 1), e la corona danese. L’autorità danese, pur trovandosi di fronte a rischi simili a quella svizzera, non ha abbandonato il tasso fisso, bensì ha abbassato tutti i tassi di interesse di riferimento di 15 punti base, riportando il tasso sui depositi a   -0.2% (sul tema si veda Corsaro, 2014).

Ulteriori mosse da parte della BNS non sono facilmente prevedibili, molto dipenderà dall’andamento dell’economia nazionale e dai volumi di acquisti e modalità operative del QE europeo. Date le modeste dimensioni dell’economia svizzera, non vi saranno invece reazioni rilevanti per l’euro e l’eurozona.

Bibliografia

Banca Nazionale Svizzera (BNS ). Short statement by Philipp Hildebrand on 6 September 2011 with regard to the introduction of a minimum Swiss franc exchange rate against the euro. Discorso. 2011b.

http://www.snb.ch/en/mmr/speeches/id/ref_20110906_pmh/source/ref_20110906_pmh.en.pdf

Banca Nazionale Svizzera (BNS). SNB balance sheet items end of November 2014. 2014c.

http://www.snb.ch/ext/stats/balsnb/pdf/deen/Bilanz_der_SNB.book.pdf

Banca Nazionale Svizzera (BNS).  Swiss National Bank  discontinues minimum exchange rate and lowers interest rate to –0.75%. Comunicato stampa. 2015.

http://www.snb.ch/en/mmr/reference/pre_20150115/source/pre_20150115.en.pdf

Banca Nazionale Svizzera (BNS). Swiss National Bank introduces negative interest rates. Comunicato. 2014b.http://www.snb.ch/en/mmr/reference/pre_20141218/source/pre_20141218.en.pdf

Banca Nazionale Svizzera (BNS).  Swiss National Bank sets minimum exchange rate at CHF 1.20 per euro. Comunicazione. 2011a.

http://www.snb.ch/en/mmr/reference/pre_20110906/source/pre_20110906.en.pdf

Banca Nazionale Svizzera (BNS). Monthly statistical bulletin. Dicembre. 2014a.

http://www.snb.ch/ext/stats/statmon/pdf/deen/Stat_Monatsheft.pdf


[1] Per i dati dal 2004 ad oggi, fare riferimento al seguente link: https://oro.bullionvault.it/Prezzo-Oro.do

Further evidence on the Comprehensive Assessment
di Emilio Barucci, Roberto Baviera and Carlo Milani

Gen 26 2015
Further evidence on the Comprehensive Assessment <small><small><I>di  Emilio Barucci, Roberto Baviera and Carlo Milani </I></small></small>

In our previous column on this site (Barucci, Baviera and Milani, 2015), we reported some evidence on the determinants of capital shortfalls (SF) of the Comprehensive Assessment (CA) performed by the European Central Bank (ECB) and the European Banking Authority (EBA).

In this second column, we focus on four main results.

Core versus non-core euro area countries

The first one, already mentioned in Barucci, Baviera and Milani (2015), refers to the possibility that the ECB and the EBA adopted different approaches with respect to banks depending on their origin country. To address this point, we classify banks/holdings among core countries if they are incorporated in Austria, Belgium, Germany, Finland, France, Luxembourgand the Netherlands (otherwise they are considered among peripheral countries). A different message arises from the AQR and the ST.

With respect to non-performing exposures, in the AQR the effect is positive and significant for peripheral countries, while it is negative and significant for core countries. This outcome can be interpreted in two different ways: either the ECB during CA was benevolent (tough) towards banks incorporated in core (non-core) countries or previously National Competent Authorities of core (non-core) countries adopted a more severe (lighter) control towards domestic banks: in any case we observe a change of pace. Confirming this evaluation, the effect of the coverage ratio in core countries is negative and significant, while in peripheral countries it is not significant. Overall these results suggest that the ECB considered the balance sheets of banks operating in core markets to be cleaner than those of other countries. Finally, the systemic risk associated with a large bank implies a milder impact for banks operating in core countries than for those located in peripheral ones.

Considering the Stress Test (ST) SF, the only difference between the coefficients for core and non-core countries that is significant is the one referring to the systemic risk associated with a bank. This result seems to show that systemic banks operating in core countries are riskier, taking also into account their larger size with respect to the peripheral countries (in average they have a total asset more than two times larger). We may interpret this outcome as an evidence that the ST adverse scenario has not penalized peripheral countries, while the reverse holds true for the AQR.

Role of state aids

The second topic refers to the role of state aids. During the financial crisis, in front of the financial distress of a bank, the states reacted in a very different ways. The European Commission supervises and approves state interventions, but it is difficult to say that the approach was homogeneous as they were mainly approved before strict rules were introduced in 2013. As a matter of fact, state interventions crucially depended on the public finance status of a country (the impact of state aids is estimated to be €250 bln in Germany, €60 bln in Spain, €50 bln in Ireland and the Netherlands, €40 bln in Greece). The debate on the press concentrated on the fact that the CA results may differ because of the amount of state aids in different countries. In particular in some countries (like Italy), it was argued that the financial system did not pass the exam brilliantly because it received a small state support during the crisis. Using different measures of state aids, Barucci, Baviera and Milani (2014) find that state support does not affect the AQR SF. Only direct capital injections have a negative effect on the shortfall. The latter result agrees with the fact that state capital injection increased the CET1 ratio yielding a smaller SF. Instead, the SF of the ST is positively affected by state intervention. This evidence seems to confirm that state aids induced a moral hazard effect with a riskier balance sheet (Dam and Koetter, 2012, Gropp et al., 2010, Mariathasan et al., 2014). However, it is difficult to interpret these results, as they can be the outcome of the deliberate endogenous decision of the bank (moral hazard), or of the state aids pack that often include prescription to the bank to lend money to the private sector.  

Regulatory environment

Another point involves the regulatory environment, which may have played a role on the outcome of the AQR and ST exercises. On this issue one can consider four World Bank indicators of the regulatory environment: i) the fraction of banking system’s assets that are under foreign control; ii) an indicator of capital requirement stringency; iii) an indicator of financial conglomerates restrictions; iv) an indicator of the independence of the supervisory authority. The results show that an independent supervisory authority is associated with a smaller AQR SF, instead a stringent capital regulation and restrictions on financial conglomerates lead to a higher SF. The former outcome is expected, instead it is difficult to interpret the latter results, probably at least in part they are related to the fact that with a stringent regulation national discretions did not apply. Results on the ST exercises show that strict rules on capital regulations and restrictions on the activity of financial conglomerates (including shareholding participation in non-financial companies) are associated with a lower SF.

National discretion

One of the main topic in the discussion of the AQR and ST results concerns  the role of country specific discretionary measures in the transition to Basel III (Visco, 2014). They are measured, from the capital point of view, considering the difference between the fully loaded CET1 ratio, i.e., the ratio obtained on the basis of the fully applied rules of Basel III, and the CET1 ratio in the transitional period, i.e. based on the national exceptions allowed by CRR/CRD (Capital Requirement Regulation/Directive), as result of the adverse scenario in 2016. Again we observe a different story in the AQR and in the ST.

The analysis shows that national discretion helped to pass the AQR. However, the results show that the ECB has considered banks taking advantage both of national discretions and of an IRB model as more risky, because of the tendency to use the IRB approach in order to reduce the capital absorption in line with the existing literature (see e.g. Beltratti and Paladino, 2013, Mariathasan and Merrouche, 2014, Benh et al., 2014). Moreover, national discretions have a different effect in the AQR depending on the country. The overall negative effect of the national discretion in the AQR is mainly associated with core countries: while in peripheral countries the effect is not significant, the effect is negative and significant for core countries. The average value of the national discretion measures considered, in the two group of countries, is quite similar (33 bps in terms of CET1 ratio for core countries, 36 for the others), and therefore the different effect should not be attributed to the attitude of national supervisors. This result seems to show that the ECB has allowed only the core countries to mitigate the effect of the AQR shortfall thanks to national discretions.

Taking into account the ST SF, different results show up: banks located in countries with a higher freedom to set rules that allow for a smaller capital absorption are also more risky. This outcome is mainly driven by peripheral countries, in opposition to what is observed in the AQR. As a consequence, the national discretions have implied a higher SF in the ST only for banks in countries in bad macroeconomic shape, while banks operating in core countries have not been affected by the possibility to use national discretions.

Conclusions

These results, combined with those of Barucci, Baviera and Milani (2015), shed a grey light on the CA exercise because of some pitfalls in the methodology. The puzzling point is that the AQR and the ST provide so different results.

But is it really strange? How is this fact related to CA ability in capturing banks’ risk?

An answer to these key questions will be provided in a forthcoming column in FinRiskAlert.

 

References

          Barucci, Emilio, Baviera, Roberto and Milani, Carlo (2014) Is the Comprehensive Assessment really comprehensive?, http://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2541043

          Barucci, Emilio, Baviera, Roberto and Milani, Carlo (2015) What are the lessons of the Comprehensive Assessment? A first evidence, FinRiskAlert.it

          Behn, Markus, Haselmann, Rainer and Vig, Vikrant (2014) The limits of model-based regulation, mimeo.

          Beltratti, Andrea and Paladino, Giovanna (2013) Why do banks optimize risk weights? The relevance of the cost of equity capital, mimeo.

          Dam, Lammertjan and Koetter, Michael (2012) Bank bailouts and moral hazard: evidence from Germamy, Review of Financial Studies, 25: 2343-2380.

          Gropp, Reint, Hakenes, Hendrik and Schnabel Isabel (2011) Competition, risk-shifting, and public bail-out policies, Review of Financial Studies, 24: 2084-2120

          Mariathasan, Mike and Merrouche Ourada (2014) The manipulation of Basel risk-weights, Journal of Financial Intermediation, 23: 300-321.

          Mariathasan, Mike, Merrouche, Ouarda and Werger Charlotte (2014) Bailouts and moral hazard: how implicit government Guarantees affect financial stability, mimeo.

          Visco, Ignazio (2014) L’attuazione dell’Unione bancaria europea e il credito all’economia, Audizione del Governatore della Banca d’Italia, Camera dei Deputati, dicembre 2014.

 

 

BCE: approvato il Quantitative Easing

Gen 22 2015

La BCE ha approvato l’acquisto di titoli per 60 miliardi di euro al mese, che proseguirà sino alla fine del 2016. L’80% del rischio verrà garantito dalla banche centrali dei paesi di cui si è acquistato il debito. Sono previsti limiti relativamente alle singole emissioni e al debito totale.

Per ulteriori informazioni, leggere qui.

Solvency 2

Gen 22 2015

La Commissione europea ha approvato un regolamento delegato in materia di accesso ed esercizio delle attività di assicurazione e di riassicurazione (Solvency 2). Esso è entrato in vigore il 17 gennaio.

Regolamento 2015/35

Il recepimento della Bank Recovery and Resolution Directive nel Regno Unito
di Giulia Mele

Gen 21 2015
Il recepimento della Bank Recovery and Resolution Directive nel Regno Unito <small><small><I> di Giulia Mele </I></small></small>

Il Regno Unito ha pubblicato un explanatory memorandum (di seguito il “Memorandum“) avente ad oggetto l’implementazione della Direttiva 2014/59/EU (di seguito la “BRRD” o la “Direttiva“) che istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento, ovvero il Single Resolution Mechanism (di seguito il “SRM“). Il Memorandum sintetizza i provvedimenti adottati dalle autorità inglesi per il recepimento della BRRD il cui termine era fissato per il 1 gennaio 2015.

In questo articolo si intende riportare brevemente il contenuto della BRRD ed indicare i principali interventi del legislatore inglese anche al fine di evidenziare gli impatti delle nuove disposizioni sulla previgente disciplina.

Il SRM e i contenuti della BRRD

Come noto, il SRM, istituito dalla BRRD e dal Regolamento (UE) n. 806/2014 (di seguito il “Regolamento“), rappresenta il secondo pilastro dell’Unione Bancaria che istituisce un meccanismo armonizzato per la risoluzione delle crisi bancarie al fine di salvaguardare la stabilità del sistema finanziario riducendo al minimo l’impatto negativo della crisi sui depositanti e sui contribuenti.

C’è da dire, tuttavia, che mentre la Direttiva risulta applicabile a tutti gli Stati membri dell’Unione Europea, il regolamento si applica solo agli stati dell’euro-zona e a quelli che decidano di aderirvi. La criticità più evidente di questa impostazione è legata alla possibile disomogeneità dei contenuti della prima e del secondo e, conseguentemente, al rischio di trattamenti differenti tra le banche dell’euro-zona e le altre. Tale rischio è, tuttavia, neutralizzato dalla circostanza che i contenuti della BRDD sono speculari a quelli del Regolamento.

Come il Regolamento, anche la Direttiva distingue tre fasi nel processo di risoluzione e dota le autorità competenti di poteri specifici che, a seconda della gravità della crisi, diventano via via più penetranti. Le tre fasi sono:

  • pianificazione del risanamento (preparation and prevention);
  • intervento precoce (early intervention);
  • risoluzione delle crisi (“resolution” in senso stretto”)

Nella fase della pianificazione del risanamento la Direttiva prescrive di adottare piani di risoluzione (resolution plans) e piani di risanamento (recovery plans) che contengono misure preparatorie volte a prevenire ed a risolvere tempestivamente le crisi meno profonde. In particolare, i piani di risoluzione devono essere redatti direttamente dalle autorità di risoluzione nazionali e devono indicare soluzioni ai potenziali scenari di crisi anche attraverso l’indicazione degli strumenti che potrebbero essere utilizzati. I piani di risanamento, invece, debbono essere redatti direttamente dalla banca e devono contenere, anche in questo caso, una analitica descrizione degli strumenti approntati dalla stessa per il superamento della crisi ma anche un’analisi della capacità della banca di resistere ad una crisi finanziaria sistemica.

Nella fase di intervento precoce la Direttiva consente alle autorità nazionali di imporre all’ente in dissesto di attuare le misure contenute nei piani di risanamento e di risoluzione. Inoltre possono richiedere alla banca di convocare l’assemblea, di elaborare piani di ristrutturazione del debito, di modificare la strategia aziendale ed, infine, di apportare modifiche alla struttura dell’ente, ad esempio obbligandolo a cedere alcuni assets.

In situazioni di significativo deterioramento finanziario, la BRRD consente alle autorità nazionali anche il potere di licenziare i dirigenti e di nominare un amministratore provvisorio.

Infine, l’ultima fase è quella della resolution in senso stretto che attribuisce alle autorità nazionali poteri particolarmente invasivi. Per questo, la Direttiva impone che possano essere utilizzati solo nel caso in cui (i) l’ente sia “fail or likely to fail“; (ii) non esistano misure alternative, anche nel settore privato, che potrebbero, in tempi ragionevoli, evitare il fallimento e (iii) la resolution sia necessaria per l’interesse pubblico.

In ogni caso, anche la Direttiva stabilisce il principio del no creditor worse off (“NCWO“), in base al quale nessun creditore può ricevere da questa procedura meno di quello che avrebbe ricevuto se fossero state applicate le normali procedure di insolvenza nazionali.

In questa fase possono, altresì, essere utilizzati strumenti molto penetranti, si tratta: (a) della vendita dell’attività d’impresa; (b) del bridge institution (ente ponte); (c) della separazione delle attività; e (d) del bail in. In breve, la vendita dell’attività d’impresa consente di procedere alla vendita dell’ente nella sua totalità, o di una parte della sua attività, a condizioni di mercato, senza dover richiedere il consenso degli azionisti o soddisfare requisiti procedurali altrimenti applicabili. Il bridge institution permette di trasferire la totalità o parte dell’attività di un ente a un’entità controllata da poteri pubblici. La separazione delle attività consente di trasferire attività compromesse o problematiche a un veicolo di gestione. Il bail in, infine, consente alle autorità di risoluzione di ridurre i diritti dei creditori secondo un preciso ordine di priorità. La Direttiva, peraltro, stabilisce che non tutti i crediti possano essere assoggettati al bail-in (fra le esenzioni principali vi sono i “depositi garantiti” (ovvero quelli di importo inferiore ai 100.000 euro).

Dopo aver brevemente ripercorso i contenuti della BRRD risulta opportuno, anche al fine di comprendere quanto il suo recepimento abbia inciso sul sistema inglese, descrivere sinteticamente il regime delle crisi bancarie nel Regno Unito.

Il preesistente assetto del Regno Unito e il recepimento della BRRD

La crisi e l’eventuale fallimento di un ente bancario sono disciplinate dal Banking Act del 2009 con il quale è stato introdotto nel Regno Unito un regime speciale di risoluzione (Special Resolution Regime SRR“) per gli enti bancari.

Tale provvedimento attribuisce alla Prudential Regulation Authority (di seguito “PRA“), in consultazione con la Banca d’Inghilterra e il Ministero del Tesoro, il compito di decidere se porre un ente bancario under resolution.

Nell’ambito del SRR sono previsti poteri si stabilizzazione (stabilisation powers) che vengono esercitati attraverso stabilisation options. Si tratta di una vasta gamma di poteri che permettono di traghettare l’ente in dissesto fuori dalla crisi, in particolare:

  • il trasferimento di tutto o parte del business (azioni o proprietà, es. assets and liabilities) a un’altra banca compratrice;
  • il trasferimento di tutto o parte della proprietà della banca a una bridge bank (che può essere appositamente costituita della Banca di Inghilterra);
  • la nazionalizzazione temporanea  della banca;
  • la messa in liquidazione della banca con il conseguente trasferimento dei conti dei depositanti in una banca sana;
  • la richiesta di una procedura di amministrazione bancaria.

La scelta dello strumento deve essere guidata da alcuni principi: (i) la protezione della stabilità e della fiducia nel sistema finanziario del Regno Unito; (ii) la protezione dei depositanti e dei fondi pubblici; e (iii) la non violazione dei principi sui diritti di proprietà stabiliti dall’Human Rights Act.

Analisi empiriche hanno dimostrato che lo strumento, fino ad ora, più utilizzato per “salvare” le banche in dissesto è stato quello della nazionalizzazione.

In seguito all’introduzione del SRM, il legislatore inglese è stato costretto ad intervenire modificando la disciplina delle crisi bancarie al fine di renderla in linea con quanto disposto dalla BRRD.

L’assetto delineato in precedenza, in ogni caso, rende evidente come i poteri di risoluzione previsti dal Banking Act non siano molto diversi da quelli indicati dalla Direttiva. A riprova di tale assunto vi è pure la circostanza che il Regno Unito ha introdotto nel 2013, in seguito alla riforma del Banking Act, lo strumento del bail-in tra le stabilisation options prevedendone l’entrata in vigore il 1 gennaio 2015, quindi ben un anno prima rispetto a quanto disposto dalla Direttiva e dal Regolamento. Conseguentemente, tale strumento verrà applicato con anticipo anche rispetto agli Stati dell’euro-zona.

In ogni caso, l’obbligo di recepire la BRRD improcrastinabilmente entro il 1 gennaio 2015 ha imposto l’emanazione di provvedimenti finalizzati a tale scopo. Il più importante è il c.d. Bank Recovery and Resolution Order 2014 (SI 2014 No. 3329) con il quale sono state introdotte le novità più significative in tema di risoluzione delle crisi bancarie.

In particolare, il provvedimento in esame dota le autorità nazionali di nuovi poteri pre e post risoluzione e le obbliga ad utilizzare i poteri di stabilizzazione solo dopo il bail-in.

I nuovi poteri di stabilizzazione introdotti sono i seguenti: (i) sono stati previsti due giorni di tolleranza per i pagamenti dovuti da un ente under resolution; (ii) è stata prevista la sospensione temporanea dei diritti dei creditori garantiti e (iii) è stata prevista la sospensione temporanea del diritto di recesso da parte dei terzi.

Tali poteri, entrati in vigore il 1 gennaio scorso, si aggiungono a quelli precedentemente elencati e non si applicano alle controparti centrali, per le quali si potrà fare riferimento solo alla disciplina del Banking Act.

Sono stati emanati anche altri provvedimenti, comunque di portata inferiore rispetto al precedente, che (i) hanno ridisegnato l’ordine di preferenza dei depositari modificando l’Insolvency Act del 1986; (ii) hanno individuato le modalità di compensazione nel caso di violazione del principio del NCWO; e (iii) hanno stabilito i requisiti procedurali in materia di piani di risoluzione e risanamento.

Anche lo strumento del bail-in è stato rivisitato per renderlo aderente con la disciplina della Direttiva. Bisogna evidenziare, tuttavia, come il legislatore inglese abbia utilizzato (forse anche abusato) dei margini di discrezionalità lasciati dalla BRRD agli Stati nell’applicazione di tale strumento, prevedendo l’esenzione di un numero molto elevato di crediti dall’applicazione dello stesso.

Del resto la Direttiva consente agli Stati di non applicare il bail-in a categorie di crediti: (i) per i quali il calcolo, in tempi brevi, della perdita da infliggere sarebbe troppo complesso; (ii) che risultino necessari per assicurare la continuità delle funzioni critiche; (iii) qualora ciò fosse necessario per evitare che altre banche vengano contagiate dalla crisi (e quindi per scongiurare una crisi sistemica).

Conclusioni

Quanto fin qui esposto, permette di evidenziare come il recepimento della Direttiva nel Regno Unito non abbia inciso profondamente sul sistema di risoluzione delle crisi bancarie inglese.

Lo strumento del bail in, il quale più degli altri poteva incidere sugli interessi dei creditori è stato parzialmente neutralizzato grazie all’introduzione di un numero elevatissimo di esenzioni che ha ampliato il numero delle passività c.d. “secured”.

Tuttavia, l’introduzione del principio generale per cui tale strumento dovrà essere utilizzato con precedenza rispetto alle altre stabilisation option, sembra poter escludere che le autorità inglesi possano ricorrere con facilità  allo strumento della nazionalizzazione in passato fortemente utilizzato per risolvere le crisi bancarie.

The Fundamental Review of Trading Book (FRTB) Revolution o (R)-Evolution?
di Michele Bonollo

Gen 21 2015
The Fundamental Review of Trading Book (FRTB) Revolution o (R)-Evolution? <small><small><I> di Michele Bonollo </I></small></small>

Executive Summary

Nel dicembre 2014 il Basel Committee on Banking Supervision ha presentato il terzo consultative paper, n.305 sulla revisione del rischio di mercato. Il paper precedente con relativa fase di consultazione era stato pubblicato tra ottobre 2013 e gennaio 2014. Se da un lato le innovazioni di questo nuovo paper  non sono molte, dall’altro le scadenze normative si stanno avvicinando, e le banche devono iniziare a valutare impatti sui processi, sull’operatività, sui sistemi informativi e last not least sui valori di RWA. In estrema sintesi le innovazioni riguardano aspetti  definitori del trading book (vs. banking book), le misure di rischio per le banche che utilizzano i modelli interni, il processo stesso di validazione dei modelli interni e il calcolo dell’RWA per le banche che utilizzano i modelli standard. Nel paper oltre a una generale review sul percorso che ha portato a tali innovazioni si discutono alcuni degli impatti di maggiore rilevanza.

1 Quadro Attuale: Market Risk tra Basilea 2, 2.5 e 3.

Il Rischio di mercato è uno dei building block del I Pilastro di Basilea, cioè uno dei rischi (insieme a rischio di credito e rischio operativo), la cui somma (da cui il termine building block) deve essere bilanciata da opportune dotazioni di capitale. Ricordiamo anche che il rischio di controparte, cioè il rischio di default o downgrade sulle esposizioni in derivati, è in generale ricompreso all’interno del rischio di credito, pur avendo significative specificità e complessità.

Tutta la materia nel suo attuale assetto è regolamentata dalla regolamentazione europea detta CRR e dalla circolare 285 (in precedenza circ. 263) della Banca d’Italia, si veda [3] e [9].

Il rischio di mercato, cioè il rischio di perdite nel portafoglio di trading, non è il più rilevante nelle banche italiane. Si tenga conto, come facilmente verificabile dai dati pubblici del III Pilastro, che rischio operativo e di mercato in genere non superano il 20% di RWA totale nella maggiore parte delle banche italiane.

Ciò nonostante è stato il primo rischio per cui, già nel 1996 con Basilea 1, si è passati da metodi standard (i.e. griglie di pochi coefficienti tabellari) a modelli interni nel calcolo delle figure di rischio, con la definizione del VaR 99% su orizzonte 10 giorni come misura di rischio come base per il calcolo del capitale minimo.

Anzi, è stata talmente forte tale innovazione generata dal rischio finanziario, che nelle semplificazioni giornalistiche e in alcuni casi anche in campo accademico il VaR 99% 10 giorni è stato in modo semplicistico rappresentato come il requisito di capitale delle banche.

In Basilea 1 e Basilea 2 già il quadro era un po’ più articolato, in questi termini:

  • il market risk va misurato (e nel caso di modelli interni validato) sia nelle componenti generiche (sistematiche) sia in quelle specifiche (idiosincratiche). Il requisito di capitale è la somma delle due componenti, che sono quindi due sub building block. Si distingue inoltre (sempre mediate somma) rischio di tasso, azionario, cambio, merci.
  • per le banche con i modelli interni, su base trimestrale doveva essere selezionato il maggiore tra il VaR di fine periodo e la media trimestrale, e il capital requirement si otteneva moltiplicando il MAX( ) per un coefficiente b. Tale coefficiente varia nel range [3,4] ed è determinato dall’organo validatore (in passato  Banca d‘Italia, oggi la BCE)  in relazione alle proprietà statistiche del modello, per tenere conto del possibile rischio modello, cosiddetto backtesting.

Su questo quadro, in relazione alle prime fasi della crisi finanziaria del 2007-2008, il Comitato di Basilea ha provveduto ad una prima evoluzione dei modelli di calcolo delle misure di rischio.

La prima parziale riforma, nota come “Basilea 2.5”, ha interessato soprattutto i criteri di calcolo del rischio di mercato, si vedano [6] e [7] e alcuni boundary risk.

Non è casuale che la riforma abbia investito questi ambiti per primi, un po’ in quanto il market risk e le  sue metriche sono temi in qualche modo più “maturi” anche tra i non addetti ai lavori, in parte perché i nuovi vincoli di Basilea 3, quali il rischio di liquidità, hanno richiesto una fase molto lunga di calibrazione e affinamento.

Tralasciamo qui e nel seguito  dell’articolo operatività particolari, quali trading di correlazione e cartolarizzazioni, e delineiamo i principali punti della riforma Basilea 2.5, che ha avuto pratica attuazione in Italia da 1/1/2011.

Il primo aspetto ha riguardato l’affiancamento al VaR dello Stressed VaR, cioè il calcolo del quantile sulle posizioni correnti ma utilizzando come finestra temporale dei parametri di mercato un periodo storico che nel suo ripetersi potrebbe generare particolari perdite al portafoglio della banca.

Lo Stressed VaR ha posto (almeno) due problemi nella sua applicazione:

  • la selezione del periodo temporale non è affatto semplice, in quanto non basta genericamente prendere qualche “venerdì nero” o “lunedì nero” per gli indici Dow Jones o Eurostoxx50. Se una banca ha un portafogli di profilo short le perdite si verificano in casi di maggiori incrementi degli indici. Se una investment bank ha molta più esposizione di tipo vega (sulle volatilità) che delta (sui livelli di prezzi, tassi e cambi) si devono analizzare le serie storiche delle (superfici di ) volatilità
  • Tralasciando per semplicità i fattori b e i massimi tra dati puntuali e medie di periodo, il requisito patrimoniale in Basilea 2.5 ha la struttura Requisito = VaR + Stressed VaR, così determinando un evidente double counting, che ha portato a utilizzare spesso con ragione il termine over reaction tra gli scettici delle riforme.

La seconda importante innovazione riferibile a Basilea 2.5 è stata l’introduzione del requisito IRC, Incremental Risk Charge, per le banche con i modelli interni validati.

Tale nuovo requisito, orientato sostanzialmente ai portafogli di bond, tiene conto del rischio di perdita di valore per eventi di default e downgrade, che non sarebbero stati sufficientemente coperti dal VaR specifico con orizzonte 10 giorni già calcolato in Basilea 2. L’IRC ha un livello di confidenza 99.9% e orizzonte 1 anno, in analogia con i modelli interni (le funzioni di ponderazione) del rischio di credito.

Non entriamo nei numerosi dettagli sulle metodologie di calcolo.

Se lo scopo di tenere conto di fattori di rischio prima non coperti (rischio default sui bond) ed evitare arbitraggi tra trading book e banking book è apprezzabile, è però anche qui evidente un effetto di double counting.

Infatti il calcolo delle perdite per effetto downgrade (quindi innalzamento degli spread) ha intersezione con il rischio specifico già determinato pur su altro orizzonte e livello di confidenza, e ciò porta in approccio building block (somma) a sovrastimare le potenziali perdite.

Al contrario, le banche con modelli standard hanno avuto penalizzazioni più contenute dalla riforma Basilea 2.5, tra cui l’innalzamento da 4% a 8% del requisito specifico sulle posizioni azionarie, senza variazioni di rilievo sui portafoglio esposti al rischio di tasso di interesse.

Questo ha determinato un aspro dibattito sull’effetto disincentivante di Basilea 2.5. In altri termini, una banca che ha investito nei modelli interni, con forti spese sul lato delle risorse umane e sistemi informativi, ha il concreto rischio di trovarsi penalizzata rispetto a banche che utilizzano i modelli standard. Questo a causa degli elevati sovraccarichi di capitale implicati da Stressed VaR e IRC.

2 Le principali componenti di FRTB

Nell’area delle discipline quantitative la FRTB viene spesso sintetizzata nel passaggio dal VaR all’Expected Shortfall (ES). Il termine “Fundamental” sottintende invece modifiche ben più strutturali, che investono le logiche stesse di misurazione e approvazione del processo. Alcuni autori citano correttamente la riforma come “Basilea 3.5” visti i tempi di implementazione non incorporati all’interno della CRR. Il paper 305 rispetto ai prossimi passi si riferisce a “to publish the final revised Accord text within an appropriate time frame”.

Sintetizziamo per componenti omogenee la riforma FRTB.

2.1 Impatti Organizzativi

Il primo aspetto riguarda il processo di validazione dei modelli interni. Sia nelle esperienze italiane sia in quelle europee, la validazione ha sempre riguardato il livello di legal entity (gruppo o banca appartenente al gruppo); con eventuali distinzioni per building block. Esempio: viene validata solo la banca A del gruppo bancario X, per il solo rischio generico azionario.

Con la riforma si potranno/dovranno validare i singoli desk, o centri di responsabilità.

Ai fini del processo di validazione, questo aspetto rende rilevante il tema della robustezza e dell’effettività della fase di P&L attribution. Ricordiamo che nei dipartimenti di finanza di ogni banca è buona prassi calcolare daily, in genere con consegna al tempo (t+1), i profits and losses della banca stessa. Questo reporting dipende anche da processi valutativi (i.e. pricing), in quanto solo una piccola parte delle componenti economiche è di tipo realized, cioè risultante da acquisti e vendite. Con la riforma FRTB, ai fini del backtesting, cioè della verifica della predittività delle misure di rischio, queste componenti/processi devono trovare una maggiore strutturazione anche nelle banche validate sulla finanza proprietaria.

Un secondo importante impatto riguarda la separazione tra trading book (soggetto al requisito sul rischio di mercato) e banking book (rischio di credito) e la permeabilità di tale confine, cioè sulla possibilità di spostare componenti di portafoglio o singoli deals, ad esempio, da categoria contabile HFT a AFS.

Il recente paper ha anche chiarito l’ammissibilità dei “trasferimenti” di rischio di tipo cross tra banking e trading book. Queste operazioni sono tipiche delle grosse banche, in cui la capogruppo, che deve coprire una posizione del banking book, trasferisce mediante deals infragruppo il rischio all’investment bank, che posiziona il derivato nel trading book, dove le strategie vengono implementate “in monte” a livello statistico, senza più una logica back-to-back. In questi casi è ammessa sia la collocazione del deal nel banking book sia nel trading in relazione ad opportuni vincoli e policy.

2.2 Metriche di calcolo per i modelli interni

In attesa della versione finale della FRTB, prevedibile per la fine del 2015, si possono già delineare alcuni importanti effetti:

  • sostituzione del VaR 99% con Expected Shortfall 97.5% (Da notare che in caso gaussiano, ceteris paribus, ES 97.5% produce un capital requirement leggermente maggiore del VaR 99%). I limiti del VaR sono stati delineati in quasi 20 anni di letteratura, si veda [1]. E’ noto che non cattura i fenomeni di coda e non soddisfa in alcuni casi la proprietà di subadditività, cioè la misura di rischio di una unione di due portafogli deve essere maggiore uguale alla somme delle due misure.
  • di fatto abolizione dello Stressed VaR, in favore di una generale prescrizione di calcolo delle misure di rischio mediante ES, in condizioni che tengano conto anche di periodi di stress. E’ così eliminato il primo effetto di double counting di Basilea 2.5
  • semplificazione dell’IRC  con utilizzo dell’IDR (incremental default risk), che terrà conto del solo effetto default e non del downgrade, così abbattendo anche il secondo effetto di double counting.
  • abolizione dell’orizzonte 10 giorni come unico riferimento temporale, e possibilità di aggregare con fattori di scala più orizzonti su più portafogli

Se sul piano generale si può osservare un  notevole passo in avanti, alcuni problemi rimangono non risolti. Tra questi le tecniche di backtesting, cioè come validare la qualità dell’ES. Nel caso del VaR ci si basa sulle statistiche di frequenza, cioè quante volte la P&L effettive sono peggiori del VaR. Sotto ipotesi nulla, cioè che il VaR abbia il livello di confidenza prescritto, si tratta di una verifica di ipotesi su una variabile binomiale. E su questo il comitato di Basilea ha definito le frequenze a cui assegnare i diversi valori del parametro della distribuzione.

Nel caso dell’ES non è possibile, giorno per giorno, aggiungere un dato al backtesting. Estremizzando, sarebbe come dire che un campione di dimensione 1 si confronta con una media teorica. Per questo il comitato di Basilea e alcuni autori definiscono la misura ES “non elicitable”.

Per ovviare a questo problema , vi sono diverse tecniche statistiche possibili. L’approccio più semplice indicato anche dal comitato è l’esecuzione di (almeno) due diversi backtesting su VaR calcolati al 99% e al 97.5%. Si avrà quindi una misura di rischio ai fini del backtesting differente da quella utilizzata per il reporting regolamentare. Una proposta molto recente di soluzione rigorosa del problema è di C. Acerbi, si veda [2].

2.3 Metriche di calcolo per i modelli standard

L’impatto è molto rilevante anche per le banche (in Italia tutte a parte poche unità) che determinano il requisito con il modello standard.

Principali punti chiave:

  • definizione chiara, in analogia con il nuovo modello standard sul rischio di controparte (si veda [8]), delle asset class (interest, equity, forex, credit, commodity) su cui calcolare i rischi
  • gestione del rischio di tipo delta, vega, gamma
  • confermato off-set (compensazione) per le posizioni che insistono sullo stesso fattore di rischio
  • definizione del concetto di bucket, non solo per i nodi della curva di tasso ma anche come concetto generale di cluster di rischi omogenei
  • assegnazione di matrici di correlazione per determinare i possibili effetti di diversificazione tra diversi gruppi di posizioni
  • sostanziale obbligo di decomporre le posizioni su indici nei loro componenti

2.4 Schema di Sintesi

Da [10] traiamo una utile rappresentazione grafica del percorso tracciato con i paper 265 e 305.

 Bonollo

3 Evoluzione o Rivoluzione?

Sino a quando non saranno chiuse le fasi di consultazione non si possono dare giudizi definitivi. Tra gli aspetti positivi della riforma, segnaliamo il riequilibrio del dualismo modelli standard vs. modelli interni a favore delle banche che sono andate nella seconda direzione ed hanno compiuto importanti investimenti in modelli, processi organizzativi, tecnologie.

Alcune criticità non sono a nostro giudizio ancora risolte. Le misure di rischio devono godere di buone proprietà statistico matematiche ma anche avere una semplicità che ne permetta la comunicazione verticale e orizzontale nei processi della banca. L’utilizzo di ES, e anche la complessità del relativo backtetsting, pongono diversi interrogativi.

Perplessità riguardo le banche che adottano i modelli standard. L’obiettivo di rendere questo approccio risk sensitive è apprezzabile. Se però un modello “semplice” richiede numerose nuove tassonomie, segmentazioni anagrafiche, ecc., spesso solo ai fini del calcolo del capitale regolamentare, oltretutto con pesi da applicare molto penalizzanti, il trade off semplicità/prudenza non è forse stato raggiunto in modo ottimale.

Le banche italiane che affidano il calcolo del capitale regolamentare standard spesso a procedure informatiche relativamente “povere” da un punto di vista finanziario, dovranno attrezzarsi con significative revisioni delle basi dati, delle interfacce, del data quality. Comunque, certamente, sarà una Rivoluzione…

Riferimenti

[1] Acerbi C., Tasche D. (2001), “On the coherence of the Expected Shortfall”.

[2] Acerbi C., Szekely B “Backtesting Expected Shortfall”, MSCI Research paper.

[3] Banca d’Italia (2013), “Circ.285 – Disposizioni di vigilanza per le banche”.

[4] Basel Committee on Banking Supervision (2014), “Fundamental review of the trading book: outstanding issues”, paper 305.

[5] Basel Committee on Banking Supervision (2013), “Fundamental review of the trading book: A revised market risk framework”, paper 265.

[6] Basel  committee on Banking Supervision (2009), “Revisions to the Basel II market risk framework – final version”,  paper 158.

[7] Basel Committee on Banking Supervision (2009), “Guidelines for computing capital for incremental risk

in the trading book”, paper 159.

[8] Bonollo M., Marazzina D. (2014), “Lo Standardized Approach per Credit Counterparyt Risk”, FinRiskAlert.it

[9] EUROPEAN PARLIAMENT (2013), “REGULATION (EU) No 575/2013 on prudential requirements for credit institutions and investment firms and amending Regulation”.

[10] Quell P. (2014), “FRTB: transition from Basel 2.5 to Basel 3.5”, FRTB Marcus Evans workshop.