BCE: iniziati acquisti di ABS

Nov 22 2014

A seguito alle decisioni di settembre, la BCE ha iniziato ieri gli acquisti di ABS. Gli importi acquistati saranno resi noti settimanalmente.

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Per un’analisi degli acquisti di ABS e Covered Bonds della BCE, leggere qui.

La network analysis e il rischio sistemico
di Giulia Simonetti

Nov 20 2014
La network analysis e il rischio sistemico <small><small><I>di Giulia Simonetti </I></small></small>

A seguito della recente crisi finanziaria e della conseguente nuova regolamentazione, il rischio sistemico è divenuto un tema di grande interesse che  ha motivato numerose analisi e studi. Le definizioni più popolari di rischio sistemico sono:

  • il rischio che non può essere mitigato attraverso una se pur corretta diversificazione di portafoglio,
  • un rischio di disordine del sistema finanziario che può avere gravi conseguenze negative per il sistema finanziario e l’economia reale” – CRD IV[1]
  • “il rischio che il fallimento di un partecipante nell’adempiere ai suoi obblighi contrattuali possa a sua volta causare il fallimento di altri partecipanti” – BIS

Queste definizioni catturano il fenomeno e lo descrivono sotto diversi punti di vista. La definizione non è dunque univoca, il concetto è però molto semplice:

Il rischio sistemico è il propagarsi, in maniera amplificata o meno, di uno shock iniziale, causato da un trigger come un default o un’insolvenza, agli altri partecipanti al mercato attraverso canali di contagio, creando o alimentando una situazione di instabilità.

Il rischio sistemico è dunque legato alle connessioni tra gli operatori finanziari. Le interconnessioni tra le entità finanziarie agiscono come veicolo di risk sharing in periodi di quiete, mentre in periodi di crisi rappresentano il principale veicolo di propagazione degli shocks finanziari. Questo porta a definire il rischio sistemico proprio come un effetto domino (cascade default) che si innesca a seguito di uno o più default di entità finanziarie.

  1. 1.      Normativa e regolamentazione in Europa

La normativa e la regolamentazione europee introdotte negli ultimi due anni, le recommendations e i warnings dell’ESRB e più in generale gli sforzi recenti dei regolatori europei hanno portato ad una vera e propria rivoluzione nel trattamento del rischio sistemico, rischio che si materializza in periodi di stress o per shocks di liquidità o per shocks di default che tendono a propagarsi lungo tutta la rete finanziaria con un effetto domino.

L’approccio delle autorità nell’assessing e nel monitoring del rischio sistemico sta passando da uno micro-prudenziale ad uno macro-prudenziale. Le misure adottate sono sostanzialmente due:

  • un approccio più quantitativo con l’EMIR. Attraverso gli obblighi di clearing e di collateralizzazione e con l’istituzione delle CCPs, si modifica totalmente la struttura della rete finanziaria che passa dall’essere una struttura sparsa, omogenea con interconnessioni prevalentemente bilaterali OTC, ad una struttura più accentrata tipo hub and spoke  con delle milestones connettive ad un primo livello, le CCPs, entità altamente connesse ad un secondo e terzo livello, le G-SIFIs  e le O-SIFIs ed infine, le rimanenti entità finanziarie.
  • un approccio più qualitativo, di tipo “capital requirements” con Basilea III, CRR, CRD IV attraverso obblighi di detenzione di buffers di capitale sia per prevenire eventuali carenze di liquidità sia per evitare i fenomeni prociclici che scattano in momenti di crisi portando ad un aumento dell’ampiezza e dell’intensità della crisi stessa.

Negli ultimi tempi il dibattito si è concentrato sul cercare di capire quale tipologia di network sia più resiliente/elastica e capace di assorbire gli shocks dovuti a un default. Si è passati da un approccio microprudenziale limitato al perimetro di una singola banca ad un approccio macroprudenziale che invece abbraccia un perimetro molto più vasto e, attraverso la network theory, cerca di studiare non il rischio associato ad una singola banca, ma le concentrazioni di rischio sistemico nel network globale finanziario. Con il passaggio ad una struttura di rete finanziaria concentrata attorno alle CCPs, che diventano dei poli di rilevanza sistemica, si cambia la distribuzione del rischio nella rete stessa. Il rischio è collocato principalmente in queste entità. E’ per questo che l’EMIR richiede alle CCPs di mettere a punto delle procedure per il salvataggio e di risk management. A questo fine, i capisaldi sono essenzialmente tre:

  • la CCP richiede ai suoi membri di postare del collateral in forma di margine per coprire eventuali perdite future,
  • la CCP richiede ai suoi membri di postare risorse finanziarie addizionali per eventuali default di altri membri,
  • le CCPs devono  monitorare e misurare frequentemente i rischi includendo stress tests in modo da verificare l’adeguatezza patrimoniale nei vari scenari estremi di mercato.

La più recente normativa, con l’istituzione di alcuni requisiti di capitale ad hoc (anticiclici, di conservazione e per rischio sistemico) cerca di creare un cuscinetto che può essere attivato in situazioni di effetto domino o cascade default cercando di interrompere il flusso di esposizione o di default. L’EMIR va invece a modificare la rete, rendendola più accentrata e sicuramente più facile da monitorare.

  1. 2.      La letteratura su reti finanziarie e rischio sistemico

La letteratura sulle reti finanziarie è ancora agli inizi. Si distinguono principalmente tre approcci al tema delle reti finanziarie e del rischio sistemico. Alcuni papers analizzano una rete e si concentrano sui possibili effetti di propagazione e sui meccanismi di amplificazione. In alcuni casi si analizza la diffusione dello shock per effetto domino, mentre altri papers si concentrano più sull’amplificazione degli shock via prezzi o per fenomeni tipo corsa agli sportelli. Vi è poi un filone emergente nella letteratura che si concentra sullo studio della formazione di reti finanziarie con l’obiettivo di capire se una rete formatasi endogenamente sia efficiente o troppo connessa/complicata. Accanto a questi approcci teorici vi è un approccio simulativo che cerca di  valutare il fenomeno del contagio all’interno di una rete finanziaria.

Ciò che accomuna tutti gli studi di cui sopra è la modellazione dell’effetto di propagazione dello shock iniziale, e conseguente spread della crisi, attraverso la network theory.

Il rischio sistemico può essere interpretato come il materializzarsi della propagazione di uno shock attraverso i link di una rete finanziaria. Il sistema finanziario/interbancario può essere considerato come una rete (o grafo) i cui nodi sono le entità finanziarie e i link pesati tra i nodi rappresentano il flusso finanziario tra i due nodi/entità [2].

La propagazione delle perdite nella rete finanziaria avviene in primo luogo attraverso link diretti tra i balance sheets delle entità finanziarie della rete. Nel momento in cui un nodo della rete viene a mancare per via del suo default, i link che lascia scoperti possono essere di credito o di debito. I creditori, primi vicini, del nodo defaultato potranno recuperare solo parte delle somme dovute. In base alla LGD si può calcolare la perdita e computare la probabilità di default del nodo/creditore che si è trovato con un link scoperto. Questo calcolo si ripete per i secondi vicini e così via. Eisenberg e Noe (2001) [3] hanno costruito un modello statico che modella la direct network dependence (o anche knock on effect) tramite un fictitious default algorithm. L’analisi si concentra sulla possibilità di garantire il normale svolgimento dei pagamenti da parte delle entità finanziarie di una rete, dato un default iniziale di un nodo della stessa. Nel caso di default dei nodi successivi si procede algoritmicamente con lo stesso metodo senza variare le condizioni del sistema.

A onor del vero, la maggior parte degli studi in materia utilizza l’algoritmo di contagio proposto in [4] che, a differenza di Eisenberg e Noe non è istantaneo, ma è composto da più round di contagio; il che non deve dare l’impressione di una dimensione dinamica. E’ comunque un algoritmo statico, in quanto le variabili di interesse sono costanti e indipendenti dal numero di entità defaultanti o dal round in corso.

Il fenomeno del contagio attraverso la network theory è stato analizzato da numerosi studi con un approccio simulativo. Studi come quelli di Allen e Gale (2000) [5] e Freixas et al. (2000) [6] analizzano il fenomeno del contagio a partire da una data struttura del mercato interbancario. [5] studiano le quattro possibili strutture basiche di network che si possono formare tra quattro banche che hanno esposizioni reciproche. A parità di shock, gli autori dimostrano che alcune strutture sono più resistenti al contagio: in particolare un grafo completo, ovvero una struttura completa di esposizioni in cui tutte le banche hanno un’esposizione simmetrica a tutte le rimanenti banche, è molto più stabile di una incompleta, in cui ogni banca ha, ad esempio, un’esposizione solo con un’altra banca. Gli autori analizzano anche una struttura sconnessa, in cui si possono individuare degli insiemi di banche collegate fra loro all’interno della sottostruttura, ma senza alcun collegamento tra i diversi gruppi. Questa struttura è più incline al contagio, ma allo stesso tempo, evita lo shock si propaghi alle componenti non connesse. [4] invece analizza una struttura in cui c’è una banca che è collegata con tutte le altre banche, ma le banche minori non sono collegate fra loro. La robustezza di questa struttura dipende dai parametri del modello.

Alcuni autori hanno esteso l’algoritmo di contagio incorporando altri fattori che impattano su di un balance sheet: alcuni ad esempio simulano il contagio usando la net exposure invece che la gross exposure analizzando così l’impatto positivo del netting nella riduzione del fenomeno di contagio; altri inseriscono dei costi di bancarotta, che tipicamente hanno un impatto negativo sul contagio.

Indipendentemente dalle ipotesi di partenza usate nei modelli teorici e simulativi e dal tipo di dati considerati (popolando artificialmente matrici di esposizione interbancaria bilaterale o utilizzando un database reale come ad esempio Upper e Worms (2004) [7] per il mercato interbancario tedesco), il risultato che si ottiene è che il solo contagio attraverso esposizione diretta non è sufficiente a scatenare una crisi di rilevanti dimensioni: solo una piccola porzione (5-7%) dei nodi della rete risente del default da contagio. In questo contesto solo uno shock iniziale di elevata intensità può scatenare un contagio significativo. Questo tipo di conclusione non permette di spiegare quanto accaduto durante la recente crisi del 2007 allorché una crisi sistemica è stata innescata dal non corretto funzionamento del mercato subprime che costituiva solo il 4% dell’intero mortgage market.

Questo risultato può essere spiegato dal fatto i modelli direct network dependence di cui sopra non tengono conto di alcuni fattori fondamentali che concorrono all’amplificazione del contagio in caso di shock. Essi sono nella sostanza modelli statici: il contagio e la diffusione dello shock avvengono in maniera istantanea, dunque lasciando congelati i portafogli e i prezzi degli asset che li costituiscono. Di conseguenza questi modelli implicano la passività delle istituzioni finanziarie nei confronti del contagio. Ad una più approfondita analisi delle crisi finanziarie, si può notare che, oltre al canale di propagazione dello shock via esposizione diretta, vi sono numerosi effetti a catena secondari e concatenati tra loro che portano ad un’amplificazione dello shock raggiungendo i livelli di criticità osservati nella recente crisi.

L’amplificazione di uno shock è data da effetti diretti, ben modellati con la direct network dependence e da effetti indiretti come la risposta dei partecipanti all’andamento del mercato. La loro azione porta a fenomeni ben conosciuti negli ultimi anni: flight to quality, aumento di volatilità, crisi di funding e mancanza di liquidità, depressione dei prezzi, aumento della correlazione tra le asset classes. L’esposizione agli stessi fattori di rischio può portare a perdite/default simultanei in partecipanti al mercato sebbene questi non siano legati da nessuna esposizione.

La mancanza di liquidità e le crisi di funding fanno sì che i partecipanti al mercato si trovino costretti ad una vendita massiva di assets o a diminuire il livello di leverage e di esposizione al fine di essere solvibili nel breve termine. La conseguente depressione dei prezzi di assets, che si trovano ad essere quasi svenduti, e la diminuzione del valore dei portafogli che sono valutati mark to market porta ad una spirale di liquidità. Questo fenomeno comporta una maggiore fragilità della rete finanziaria in quanto il sistema bancario, al fine di soddisfare esigenze di solvibilità nel breve termine, si trova a dover liquidare posizioni a lungo termine ad un prezzo molto basso vista l’urgenza e le condizioni di mercato sfavorevoli.

Questa dinamica di mercato porta ad una notevole amplificazione dello shock che si propaga nella rete finanziaria, non solo tra entità collegate da un’effettiva esposizione, ma anche tra entità che possiedono portafogli esposti agli stessi fattori di rischio e che subiscono gli stessi effetti nocivi di una depressione dei prezzi.

Cifuentes, Ferrucci, and Shin (2005) [8] hanno indagato il fenomeno analizzando il liquidity risk in un sistema di istituzioni finanziarie interconnesse, sottoposte a vincoli di solvibilità normativi. Gli autori tengono conto sia del canale di contagio diretto che di quello indiretto dato dalle variazioni dei prezzi delle attività finanziarie, evidenziando come anche riserve di capitale abbondanti possano non essere insufficienti a prevenire il contagio. Bech e Soramaki (2001) [9] studiano il funzionamento del sistema dei pagamenti nel caso di una crisi di liquidità ovvero la possibilità di uno stallo nei pagamenti. In condizioni di crisi di liquidità le entità finanziarie possono non essere inclini a inoltrare pagamenti vista la non certezza di riceverne, questo può tradursi in una immobilità di pagamenti e il conseguente acuirsi della spirale di illiquidità.

Questa impostazione ha portato a costruire degli indicatori di rischio sistemico. Adrian e Brunnermeier (2008) [10] propongono il CoVaR come misura di rischio sistemico dove “Co” sta per “condizionale”, “contagio” e “comovimento”. Definiscono il contributo di un’entità al rischio sistemico con il deltaCoVaR ovvero la differenza tra il CoVaR calcolato in periodi di stress e il CoVaR medio dell’entità finanziaria, dove il CoVaR è il VaR dell’istituzione in esame rispetto al default di un’altra entità. Gli autori forniscono una misura predittiva del contributo al rischio sistemico con il forward deltaCoVaR: tale indicatore è costruito proiettando il deltaCoVaR sulle caratteristiche dell’impresa ritardate come la dimensione e la leva finanziaria.  Acharya et al 2010[11] propongono una misura simile:  il SES – Systemic Expected Shortfall- che viene calcolato come combinazione lineare di Expected Shortfall marginale e livello di leva. Huang, Zhou, e Zhu (2010) [12] presentano il DIP– Distress Insurance Premium come misura di rischio sistemico: esso è un ipotetico premio assicurativo contro le perdite catastrofiche (ovvero perdite in eccesso al VaR o in eccesso ad una soglia fissata) in un dato portafoglio. L’importanza sistemica di una singola istituzione è definita dal suo contributo marginale al premio assicurativo complessivo nel caso di stress. Segoviano e GoodHart (2009) [13] stimano una distribuzione congiunta multivariata di probabilità di default usando un metodo non parametrico che cattura, al contrario della correlazione, dipendenze non lineari nella struttura finanziaria. Cont (2003) [14] propone il Contagion Index che combina sia fattori di credito (le esposizioni) sia fattori di mercato (i prezzi). Esso è calcolato dal default impact atteso in uno scenario di stress del mercato come il default contemporaneo di un gruppo di istituzioni. Il default impact è il totale della perdita generata dall’effetto domino dovuto a questo default.

I lavori di cui sopra possono sicuramente essere adottati come punto di partenza per un avanzamento teorico in direzione di misure più quantitative, di indici che tengano conto di tutte le componenti del contagio in caso di stress, in modo da poter assicurare provvedimenti a livello normativo  mirati e specifici.

  1. 3.      Considerazioni conclusive

In conclusione, una rete omogenea e a densità non accentrata, come prima delle CCP, può essere un ottimo veicolo di distribuzione del rischio, ed è caratterizzata dal contagio del default a shocks comuni solo per livelli di LGD molto alti, sempre nell’ipotesi di non tenere conto dei fattori di amplificazione dello shock di cui sopra. L’entità del contagio aumenta in modo non lineare con l’entità dello shock.

Una rete accentrata, invece, come nella prospettiva EMIR sicuramente rende più robusta la struttura finanziaria, proprio per i requisiti richiesti alle CCPs e per il meccanismo di clearing che riduce l’LGD. Riguardo a questa struttura, sono in molti ad avere dubbi circa la diminuzione di liquidità e di collateral che i requisiti di capitale delle recenti normative possono comportare per le entità della rete finanziaria. Ovvero si teme che queste normative non tengano abbastanza conto del trade-off che c’è tra il ridurre il rischio sistemico e l’assicurare sufficiente liquidità al sistema. I capital requirements prudenziali istituiti per mitigare il rischio di controparte e sistemico possono allo stesso tempo condizionare la quantità di collateral disponibile nell’intero sistema finanziario.

 

Riferimenti

[1] Direttiva 2013/36/EU (CRD IV)

[2]  Giulia Simonetti (2014) “Il punto sulle risposte al rischio sistemico

[3] Eisenberg and Noe (2001)  “Systemic Risk in Financial Systems

[4]  Furfine (2003)  “Interbank exposures: quantifying the risk of contagion

[5] Allen e Gale (2000) ”Financial Contagion

[6] Freixas et al. (2000) “Systemic Risk, Interbank Relations and Liquidity Provision by the Central Bank

[7] Upper and Worms (2004) “Contagion in the German interbank market

[8] Cifuentes, Ferrucci, and Shin (2005) “Liquidity risk and contagion

[9] Bech ,Soramaki(2001) ”Gridlock Resolution in Interbank Payment Systems

[10] Adrian and Brunnermeier (2008) “CoVar

[10] Adrian and Brunnermeier (2008) “CoVar

[11] Acharya, Pedersen, Philippon, and Richardson (2010) “Measuring Systemic Risk

[12]  Xin Huang, Hao Zhou, Haibin Zhu (2011)  “Systemic Risk Contributions

[13] Segoviano and Goodhart (2009) “Banking Stability Measures

[14] Cont (2012) “Contagion and Systemic risk in Interbank Networks

 

 

Come le banche pagheranno i (loro) futuri salvataggi?
di Emilio Barucci

Nov 20 2014
Come le banche pagheranno i (loro) futuri salvataggi? <small><small><I>di Emilio Barucci </I></small></small>

La direttiva 2014/59 prevede che le banche contribuiscano ad un national resolution fund al fine di  costituire le risorse necessarie per fronteggiare il bail-in di istituti in crisi senza gravare sulle finanze pubbliche. Nel caso dei paesi appartenenti alla banking union, questi fondi saranno progressivamente uniti. In ottobre la Commissione Europea ha stabilito i criteri dettagliati per i contributi che le banche dovranno versare a partire dal 2015.

Occorre fare una piccola premessa in merito al ruolo che questi fondi dovrebbero svolgere. Guardando al caso dell’area euro, ci si accorge che questi fondi non dovrebbero permettere una copertura rispetto all’insorgere di una crisi sistemica quanto piuttosto facilitare il bail-in di una (singola) banca in difficoltà (quindi tra claim holders della banca) senza ricorrere a fondi pubblici. Nel caso del fondo previsto dalla banking union questo dato emerge riflettendo su tre aspetti: la portata del fondo è assai limitata (pari a 55 miliardi di euro, l’1% dei covered deposits), il coinvolgimento del fondo nel salvataggio di una banca non può eccedere il 5% delle liabilities della banca, l’impiego del fondo è soggetto a numerosi vincoli.

La fee che le banche saranno chiamate a versare a partire dal 2015 si compone di due parti: una proporzionale alle liabilities, che potrebbero essere oggetto di bail-in, e una componente aggiustata per il rischio. A parità di dimensione, le banche più rischiose sarebbero chiamate a versare un contributo maggiorato del 50%, quelle meno rischiose a versare un contributo ridotto del 20%.

Secondo le stime della Commissione, adottando i criteri proposti, le banche di dimensione maggiore nell’area euro (quelle che rappresentano l’85% degli assets complessivi) contribuiranno per circa il 90% del totale. Le banche di elevata dimensione (con più di 500 miliardi di liabilities) avranno un contributo medio di 300 milioni.

Il criterio di proporzionalità (alleviare i costi di questa nuova regolamentazione sulle banche piccole) ha portato ad introdurre un trattamento differenziato per le piccole banche piccole (meno di 300 milioni di liabilities esclusi gli own funds e i depositi garantiti, meno di un miliardo di total assets). Queste banche, che nell’area Euro rappresentano il 56% del totale, l’1.7% degli assets e l’1% delle liabilities, avranno una fee costante a seconda della dimensione che sarà compresa tra 1.000 e 50.000 euro (con sei scaglioni) beneficiando di una riduzione in media del 70% rispetto all’applicazione delle regole che valgono per le altre banche. Il loro contributo sarà pari allo 0.3% del totale. Lo sconto in capo alle piccole banche porterà ad un aggravio minimo per le altre banche (+0.7% per l’area euro).

I punti di attenzione appaiono essere i seguenti: indicatore di dimensione utilizzato, trattamento differenziato per le piccole banche, indicatori per la componente risk adjusted, aggiustamento per il rischio, ripartizione del contributo per dimensione delle banche. Vediamo di comprendere le ragioni e  le criticità delle scelte della Commissione.

  1. L’indicatore rispetto a cui calcolare la componente proporzionale è rappresentato dai fondi totali esclusi i depositi garantiti e gli own funds. L’idea è di mettere in relazione la fee pagata da ciascuna banca con i fondi della stessa che potrebbero essere oggetto di bail-in (depositi non garantiti, obbligazioni, esposizioni sul mercato interbancario). Sulla carta la proposta è convincente in quanto la fee è calcolata sulla massa totale dell’eventuale salvataggio. Un problema potrebbe sorgere riguardo all’incentivo per le banche ad espandere la quota di raccolta garantita. La cosa di per sé sarebbe positiva in quanto questa forma di raccolta ha il pregio di essere più stabile rispetto a quella che proviene dal mercato. Il problema è rappresentato dal fatto che un vero sistema di garanzia dei depositi (costituito ex ante) nazionale o a livello dia area euro non si intravede ancora. Si rammenta che ad oggi questa è la parte dalla banking union ancora da costruire.
  2. Trattamento differenziato per le piccole banche piccole. Il motivo per avere un trattamento differenziato per le banche piccole è duplice. Da un lato queste banche sono meno rischiose, almeno in chiave sistemica, e quindi sono meno suscettibili di intervento da parte del fondo a causa dell’assenza di interesse pubblico nel salvataggio, in secondo luogo il costo per il computo della componente aggiustata per il rischio potrebbe essere troppo elevato per queste banche. Il meccanismo appare adeguato, le cifre coinvolte sono limitate, si può solo osservare che lo sconto concesso a queste banche appare essere molto significativo: queste banche rappresentano l’1,7% degli assets e verseranno contributi pari allo 0,3% del totale. Inoltre lo sconto potrebbe indurre le banche piccole ad intraprendere strategie/modelli di business rischiosi, il monitoraggio che dovrebbe essere intrapreso su questo punto appare di difficile implementazione.
  3. Misura di rischiosità delle imprese. Il risk adjustment della fee si basa su quattro pilastri (tra parentesi indichiamo il relativo peso): risk exposure (50%), funding (20%), institution’s importance (10%), additional risk factors lasciati alla discrezione della national resolution authority (20%). Al momento il quarto indicatore non è stato definito in quanto le autorità nazionali non hanno ancora adempiuto alle loro prerogative e quindi le simulazioni sono state svolte con i pesi per i primi tre pilastri ricalibrati (62.5%, 25%, 12,5%). La risk exposure si basa su quattro indicatori equipesati: RWA/total assets, leverage ratio, common equity tier 1 capial ratio, own funds e liabilities in eccesso dell’8% disponibili per il bail-in della banca (indicatore ancora non operativo); l’indicatore di funding a regime dovrebbe essere articolato su LCR e NSFR al momento la proxy utilizzata è il loan to deposit ratio; l’indicatore sull’importanza della banca è fornito dalla quota delle esposizioni complessive verso altre banche. Gli ulteriori fattori di rischio dovrebbero riguardare le trading activities, off balance sheet exposures, esposizione in derivati e complessità della banca, public finance support. Gli indicatori considerati sono sicuramente capaci di catturare la rischiosità delle attività di una banca. Positivo è il riferimento ad una molteplicità di indicatori di bilancio che dovrebbe evitare esercizi di manipolazione. Da valutare se l’esposizione verso le altre banche offra una corretta rappresentazione dell’importanza della banca nel sistema.
  4. L’aggiustamento per il rischio rispetto alla fee calcolata sulla base della dimensione dovrebbe essere in un range pari a 0,8-1,5. Questo aggiustamento sembra essere significativo ma forse non del tutto aderente alla variabilità della rischiosità riscontrata nei bilanci delle banche. A conferma del punto 2 si osserva che il coefficiente implicito di risk adjustment per le banche piccole sarebbe pari a 0,3. Dalle simulazioni si evince che le banche di maggiori dimensione hanno un aggiustamento per il rischio di portata comunque limitata.
  5. Alla luce della necessità di fronteggiare soprattutto il rischio sistemico, è doveroso domandarsi se il rapporto 85% degli assets-90% dei contributi per le banche dell’area euro sia adeguato o se le banche maggiori non dovrebbero coprire una quota superiore. Questo 5% aggiuntivo è dovuto alla quota proporzionale (3%) e all’aggiustamento per il rischio (2%), questa seconda componente appare limitata. L’introduzione del quarto pilastro nell’aggiustamento per il rischio dovrebbe comunque aumentare questa componente.

ABI: tassi in calo, aumentano le sofferenze

Nov 18 2014

Nel bollettino di novembre dell’Associazione Bancaria Italiana (ABI) si evidenziano il calo del tasso medio sui nuovi mutui, ora ai minimi da quattro anni, e l’aumento delle sofferenze lorde al 9,3% sugli impieghi.

Per ulteriori informazioni, leggere qui.