Caccia al Tesoro Finanziaria@Polimi

Ott 06 2018

Il 2 ottobre 2018, presso il campus Leonardo del Politecnico di Milano, si è tenuta la seconda edizione della Caccia al tesoro finanziaria!

50 ragazzi delle IV e V dei Licei Parini, Beccaria e Vittorio Veneto di Milano hanno invaso il Dipartimento di Matematica per la seconda edizione di questa Caccia al tesoro interamente dedicata all’educazione finanziaria.

Organizzata dal laboratorio QFinLab dell’Ateneo in occasione della settimana mondiale Wiw – World investor week, e all’interno delle iniziative del Mese dell’Educazione Finanziaria, la gara ha permesso ai ragazzi di districarsi fra curiosi quiz finanziari, per imparare, giocando, alcuni dei principali concetti della matematica finanziaria, che si applicano alle scelte di ogni giorno, quali la scelta di un mutuo, il tipo di conto corrente e i rischi insiti nella scelta di quanto investire.

La Caccia al Tesoro Finanziaria offre un modo divertente per far riflettere i giovani su temi di educazione finanziaria. Il QFinLab ha ritenuto importante provare a entrare in contatto con i giovani su questi temi, stuzzicando la loro curiosità sotto forma di gioco e di competizione. In questo contesto ha avuto origine la Caccia al Tesoro Finanziaria, la cui prima edizione si è svolta il 4 ottobre del 2017, coinvolgendo 45 studenti delle classi 4 e 5 liceo di Milano. Il Politecnico di Milano è stato invaso dall’entusiasmo e dalla spigliatezza dei ragazzi, che si sono districati per il Campus Leonardo risolvendo enigmi finanziari. L’evento si è quindi ripetuto il 2 ottobre 2018, nell’ambito delle iniziative del Mese dell’Educazione Finanziaria.

www.imparalafinanza.it/

www.cacciaaltesorofinanziaria.it

Una caccia al tesoro per insegnare a studenti la finanza

Set 29 2018
Una caccia al tesoro per insegnare a studenti la finanza

Caccia al tesoro finanziaria: un’iniziativa del Qfinlab: www.cacciaaltesorofinanziaria.it

Una ‘Caccia al tesoro finanziaria’ organizzata al Campus Leonardo del Politecnico di Milano per far riflette gli studenti delle scuole superiori su tematiche come l’accumulo degli interessi, i rischi finanziari e l’uso dei mutui, ma giocando. E’ una delle iniziative milanesi della World Investor Week, parte del mese della educazione finanziaria che punta a far crescere l’alfabetizzazione finanziaria degli italiani. Ideate e promossa dallo Iosco, l’organizzazione internazionale delle autorità di vigilanza dei mercati finanziaria, in Italia ha tra i suoi promotori la Consob. Il target sono soprattutto studenti e formatori. […] 

Fonte: ANSA 

Il termometro dei mercati finanziari (28 settembre 2018)
a cura di Emilio Barucci e Daniele Marazzina

Set 29 2018
Il termometro dei mercati finanziari (28 settembre 2018)  a cura di Emilio Barucci e Daniele Marazzina

L’iniziativa di Finriskalert.it “Il termometro dei mercati finanziari” vuole presentare un indicatore settimanale sul grado di turbolenza/tensione dei mercati finanziari, con particolare attenzione all’Italia.

Significato degli indicatori

  • Rendimento borsa italiana: rendimento settimanale dell’indice della borsa italiana FTSEMIB;
  • Volatilità implicita borsa italiana: volatilità implicita calcolata considerando le opzioni at-the-money sul FTSEMIB a 3 mesi;
  • Future borsa italiana: valore del future sul FTSEMIB;
  • CDS principali banche 10Ysub: CDS medio delle obbligazioni subordinate a 10 anni delle principali banche italiane (Unicredit, Intesa San Paolo, MPS, Banco BPM);
  • Tasso di interesse ITA 2Y: tasso di interesse costruito sulla curva dei BTP con scadenza a due anni;
  • Spread ITA 10Y/2Y : differenza del tasso di interesse dei BTP a 10 anni e a 2 anni;
  • Rendimento borsa europea: rendimento settimanale dell’indice delle borse europee Eurostoxx;
  • Volatilità implicita borsa europea: volatilità implicita calcolata sulle opzioni at-the-money sull’indice Eurostoxx a scadenza 3 mesi;
  • Rendimento borsa ITA/Europa: differenza tra il rendimento settimanale della borsa italiana e quello delle borse europee, calcolato sugli indici FTSEMIB e Eurostoxx;
  • Spread ITA/GER: differenza tra i tassi di interesse italiani e tedeschi a 10 anni;
  • Spread EU/GER: differenza media tra i tassi di interesse dei principali paesi europei (Francia, Belgio, Spagna, Italia, Olanda) e quelli tedeschi a 10 anni;
  • Euro/dollaro: tasso di cambio euro/dollaro;
  • Spread US/GER 10Y: spread tra i tassi di interesse degli Stati Uniti e quelli tedeschi con scadenza 10 anni;
  • Prezzo Oro: quotazione dell’oro (in USD)
  • Spread 10Y/2Y Euro Swap Curve: differenza del tasso della curva EURO ZONE IRS 3M a 10Y e 2Y;
  • Euribor 6M: tasso euribor a 6 mesi.

I colori sono assegnati in un’ottica VaR: se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 15%, il colore utilizzato è l’arancione. Se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 5% il colore utilizzato è il rosso. La banda (verso l’alto o verso il basso) viene selezionata, a seconda dell’indicatore, nella direzione dell’instabilità del mercato. I quantili vengono ricostruiti prendendo la serie storica di un anno di osservazioni: ad esempio, un valore in una casella rossa significa che appartiene al 5% dei valori meno positivi riscontrati nell’ultimo anno. Per le prime tre voci della sezione “Politica Monetaria”, le bande per definire il colore sono simmetriche (valori in positivo e in negativo). I dati riportati provengono dal database Thomson Reuters. Infine, la tendenza mostra la dinamica in atto e viene rappresentata dalle frecce: ↑,↓, ↔  indicano rispettivamente miglioramento, peggioramento, stabilità.

Disclaimer: Le informazioni contenute in questa pagina sono esclusivamente a scopo informativo e per uso personale. Le informazioni possono essere modificate da finriskalert.it in qualsiasi momento e senza preavviso. Finriskalert.it non può fornire alcuna garanzia in merito all’affidabilità, completezza, esattezza ed attualità dei dati riportati e, pertanto, non assume alcuna responsabilità per qualsiasi danno legato all’uso, proprio o improprio delle informazioni contenute in questa pagina. I contenuti presenti in questa pagina non devono in alcun modo essere intesi come consigli finanziari, economici, giuridici, fiscali o di altra natura e nessuna decisione d’investimento o qualsiasi altra decisione deve essere presa unicamente sulla base di questi dati.

ECB: the fiscal impact of financial sector support measures

Set 27 2018

The European Central Bank (ECB) published a first thorough report taking look at the impact on taxpayers of the financial sector support measures taken in the latest ten years, following the Great Financial Crisis. This is done by focusing on the measures’ impact on deficits and debt, and on the state guarantees granted to banks and other financial institutions.

Financial sector support measures can affect deficit and debt differently. Unless they are financed from cash reserves, financial sector support measures will increase the general government gross debt. Whether they will also affect the budget balance depends on whether the operation presents a clear loss for the government. If so, they are classified as a capital transfer for statistical purposes, meaning they have an impact on the budget balance and debt ratio. The acquisition of financial assets above market price and capital injections to cover bank losses are typical examples of this.

In case the government receives shares in a bank or debt securities that are considered to be of equal value to the capital injection it provides, the support measure is classified as a financial operation that only affects the general government gross debt. The statistical reclassification of entities from the financial sector to the general government sector, notably reflecting the nationalisation of banks, also increases government debt but not the budget deficit.

The fiscal impact of the financial sector support that euro area governments provided following the 2008 financial crisis was large and varied greatly across countries, and has only partially been reversed. During and after the global financial crisis  most euro area governments provided support to individual financial institutions in order to safeguard financial stability.

 

Impact of financial sector support measures on euro area deficit and debt, and volume of contingent liabilities (GDP%)

Source: European Central Bank

At the euro area level, financial sector support measures had a very large impact on the aggregate budget deficit in 2010 (0.7% of GDP), 2012 (0.5% of GDP) and 2013 (0.3% of GDP) (see Chart A).  Viewed across several years, the scale of the impact was in many cases equal to, or even far greater than, the effect of fiscal measures taken during regular budget cycles. Eight countries saw a cumulative impact between 2008 and 2017 that was higher than the euro area average, varying from an increase in the budget deficit of more than 4 percentage points of GDP in Spain, Austria and Latvia to more than 27 percentage points in Ireland.

The impact on the euro area debt-to-GDP ratio, which peaked at almost 5.9% in 2012, stood at 4.1% in 2017. The maximum impact of the support measures on the debt-to-GDP ratio was 10% or more in eight euro area countries, including Germany, the Netherlands, Austria and Slovenia as well as the four euro area countries that required an EU/IMF adjustment programme (Ireland, Greece, Cyprus and Portugal). The time profile of the impact of the support measures on the general government gross debt varies considerably.

The impact has started to partially and slowly reverse in most countries and in the euro area as a whole, thanks to the income generated from the support measures, such as dividends received on shares in financial institutions and fees received for public guarantees, and the sale of financial assets. Across countries, the recovery from the support provided has been particularly pronounced in Ireland, where the impact of financial sector support measures on the debt-to-GDP ratio had declined by 30 percentage points by 2017 compared with the peak, and also the Netherlands (ten percentage points since the peak), Latvia and Germany (six percentage points since the peak). However, support measures added to the debt in Italy, Cyprus and Portugal in 2017.

Euro area contingent liabilities fell from more than 8% of GDP in 2009 to 1.4% in 2017. In most cases, the explicit guarantees that many euro area governments provided to individual institutions at the height of the financial crisis  or, in a few instances, the financing of asset management vehicles  have been phased out. This mostly represents a positive development, as a return to financial stability meant there was no need to renew expiring guarantees.

Some guarantees have however been called, and receiving entities have been classified in the general government sector, causing the reduction in the guarantee to be matched by an equivalent increase in government debt and/or deficit. For example, one-fifth of the guarantees provided as part of the partial privatisation of the Portuguese bank Novo Banco in October 2017, amounting to 2% of GDP, have been called, serving to increase the 2018 deficit by 0.4 percentage point of GDP. Six euro area countries, including France, Italy and Spain, still had outstanding contingent liabilities exceeding 1% of GDP in 2017. In addition, in July 2018 Cyprus provided guarantees for an asset protection scheme (APS) as part of the sale of the Cyprus Cooperative Bank (CCB). The APS covers potential unexpected losses on assets which have been acquired by the buyer of CCB, amounting to about 13% of GDP.

The widespread, large and long-lasting fiscal impact of financial sector support measures underlines the importance of further reinforcing the institutional framework in the euro area.

ECB: The fiscal impact of financial sector support measures: where do we stand a decade on from the financial crisis? (HTML)

BIS: local lending drivers in the banking market

Set 27 2018

The Bank for International Settlement (BIS) published an extended report aimed at assessing which factors can determine local lending by banks’ foreign subsidiaries. The literature on the behaviour of global banks has focused mainly on cross-border. It is however interesting to explore the local lending market to assess the role of banks in the development of local business and, more generally, in the well-being of households in the country. The distinction between global and local lending is important for two reasons. First, local lending is much more stable, growing more slowly during expansions and shrinking less sharply during bad times. Second, local lending has grown much more important over the past two decades.

Namely, the report compares the importance of factors that are specific to the host country with those that are specific to a bank’s owner. Tthe impact of host-specific factors is estimated by comparing the lending behaviour of subsidiaries that are located in different countries but have the same parent. The impact of owner-specific factors is instead estimated by comparing the lending behaviour of subsidiaries that are located in the same country but have different parents.

The inference is drawn from a panel dataset populated with bank-level observations from the Bankscope database. Using this database, ownership structures are identified and incorporated into a unique methodology that identifies and compares the owner and subsidiary-specific determinants of lending.

Results show that host-specific factors tend to influence local lending by global banks more strongly than owner-specific factors do. Specifically, the state of the host country’s economy and the financial health of local subsidiaries are more important than the macroeconomic conditions in parent countries and the financial condition of a bank’s parent company. The lending behaviour of global banks’ subsidiaries throughout the world is thus more closely related to local macroeconomic conditions and their financial conditions than to those of their owner-specific counterparts.

 

BIS: What drives local lending by global banks? (PDF)

ECB: the implications of US-China trade war

Set 26 2018

The European Central Bank (ECB) issued a report assessing the impact on the real economy of the increasing wave of protectionism that is affecting global trades. Particularly, the study focuses on the possible impact on the global economy of a hypothetical escalation in trade tensions, with an eye to the recent tensions between the US and China. The channels through which protectionism might affect the economy are discussed and the potential global impact is quantified.

In the near term, the direct effects of higher trade tariffs on economic activity in the country imposing the tariffs depend on two main channels: the expenditure switching channel – with a positive impact on GDP – and the aggregate income channel – with a negative impact. On the one hand, higher import tariffs could reduce the purchasing power of households by decreasing real disposable incomes, thereby discouraging domestic consumption and investment and reducing GDP. On the other hand, higher prices for imported goods could induce consumers and firms to switch to domestically produced goods, increasing domestic demand and reducing imports. The relative importance of the two channels, and consequently their combined impact on GDP, depends crucially on the degree of substitutability between domestically produced goods and imported goods. Greater substitutability would imply that switching consumption to domestic goods is less costly for the consumer, rendering the expenditure switching channel stronger. However, if applied to intermediate goods, higher tariffs can also increase the cost of domestic production and lead to a delay in investments. At the same time, retaliatory trade measures can reduce exports and exacerbate the negative effect of trade disputes.

Indirect negative effects arising from a deterioration in business and consumer confidence could amplify the impact on economic activity. The direct trade effect does not take into account possible additional confidence effects and financial sector stress stemming from increased uncertainty about future policies. Uncertainty and confidence effects can have a sizeable negative impact on global investment and economic activity. Firms’ investment decisions depend not only on current trade policy but also on prospective US and global trade policies. Similarly, uncertainty about future trade policies could affect the consumption behaviour of households. As concerns about the negative implications of rising protectionism increase, households may increase precautionary savings and postpone consumption. In addition, financial markets may respond to the negative real effects. A sharp change in trade policies could provide a catalyst for a reassessment of stock and bond prices, which would amplify the effects described above.

The protectionist measures taken so far will have only a marginal effect on global economic activity, as the targeted products represent only a small part of world trade. However, an escalation of trade tensions could have significant adverse global effects, as shown in a hypothetical scenario in which the United States raises tariffs on all imports by 10 percentage points and its trading partners retaliate with a 10 percentage points tariff increase on their US imports.

The direct channel described above is simulated in the GIMF model as an across-the-board imposition by the United States of 10% import tariffs on final and intermediate goods from all trading partners, who respond by imposing equivalent tariffs on US exports (but not vis-à-vis each other). It is very difficult to capture the indirect confidence effects of such import tariffs, so, for simplicity, it is assumed that bond premia rise by 50 basis points and stock markets decline by two standard deviations in all countries. For the United States this implies a 16% fall in the stock market. Although this implies elevated volatility in financial markets, it is still smaller than at the peak of the global financial crisis (in the fourth quarter of 2008), when the S&P 500 fell by 28% and bond premia rose by 230 basis points.

In the simulations, it is assumed that the trade disputes last only two years and that additional fiscal revenues generated by tariff increases are used to reduce budget deficits, rather than to support demand. Furthermore, monetary policy and exchange rates are assumed to react endogenously in all countries, and confidence effects are modeled as changes in equity and bond risk premia.

Finally, in all scenarios the assumed form of retaliation is critical to spillovers. For example, if China and the United States escalate trade disputes between themselves and no other country is involved, trade diversion effects come into play. In such a scenario, higher tariffs make US goods more expensive in China and Chinese goods more expensive in the United States. As a result, goods of third countries, which are not part of the trade dispute, gain in competitiveness vis-à-vis US goods in China and Chinese goods in the United States. The extent to which a third economy benefits from this trade diversion depends on how easily a country can substitute between imported products from different countries. Lower substitutability would imply less trade diversion. This effect also depends on whether the exchange rate moves in line with the model predictions. The analysis is thus preformed in two different scenarios, aimed at exploring the correspondent different channels.

The trade channel

This scenario design suggests significant negative effects on the United States. The direct trade channel lowers US economic activity by 1.5% in the first year (see the blue bars in Chart A). Lower US imports and gains in market shares by US producers within their home market are outweighed by lower exports. Estimation results suggest that the United States’ net export position would deteriorate substantially. In this model, US firms also invest less and hire fewer workers, which amplifies the negative effect on the US economy by reducing domestic demand. Gradual adjustment and substitution towards domestic production provides only limited compensation over time, and the direct trade effects of higher tariffs still imply that GDP will be 1% lower by the third year of the simulation.

By contrast, in China the trade effect on GDP is initially slightly positive, although the gains diminish over time. In the first year of the simulation, domestic consumption and investment fall in China. However, these negative effects are more than compensated by gains in China’s net export position: the United States imports fewer Chinese goods, but that is cushioned by trade diversion to third countries, where Chinese exporters gain market share at the expense of US exporters. However, over time these benefits diminish: as US production adjusts in response to higher tariffs, demand for Chinese goods falls and Chinese GDP gains diminish.

The confidence channel

The deterioration in confidence has significant adverse effects on global activity. Global financial market reactions have a significant and more wide-ranging impact on output across countries, with global output around 0.75% lower in the first year (see the yellow bars in Chart A). The tightening of financial conditions dampens US GDP by about 0.7% and global trade by 0.75%. Heightened uncertainty and weakened confidence act as a drag on Chinese activity.

Taken together, this implies that real economic activity in the United States could be more than 2% lower than the baseline in the first year alone, and global trade could fall by up to 3% relative to the baseline. In a nutshell, although one may argue about the relative contributions of each of the channels discussed above and about the overall effect on economic activity, qualitatively the results are unambiguous: an economy imposing a tariff which prompts retaliation by other countries is clearly worse off. Its living standards fall and jobs are lost.

ESMA: bond liquidity indicators in secondary markets

Set 26 2018

The European Securities and Markets Authority (ESMA) today publishes a working paper examining liquidity in EU fixed income markets, providing a broad overview of market liquidity in EU sovereign bond and corporate bond markets.

The study, reporting on different aspects of market liquidity, shows that the situation differs significantly between sovereign and corporate bonds. ESMA has found that sovereign bond market liquidity has increased recently, potentially due to the effects of supportive monetary policy. However, in parallel, it has seen evidence of several episodes of deteriorating secondary market liquidity for corporate bonds, especially between 2014 and 2016.

In terms of drivers, the issuance size plays a crucial role in both categories, with market liquidity more abundant for bonds that have a benchmark status and are issued in larger volumes in the sovereign segment with outstanding amounts being the main bond-level drivers in the corporate segment.

For both sovereign and corporate bonds, ESMA sees a correlation between increased stress in financial markets and a deterioration in market liquidity.

Liquidity in fixed income markets – risk indicators and EU evidence (PDF)

Quale futuro per la Data Science nel Wealth Management?
di Raffaele Zenti

Set 23 2018
Quale futuro per la Data Science nel Wealth Management? di Raffaele Zenti

Quale sarà l’impatto dell’ondata tecnologica di Intelligenza Artificiale (AI) e Machine Learning (ML), pilastri della Data Science, sull’industria del Wealth Management (WM)? Di certo l’ondata Fintech sta portando e porterà novità nella matura e relativamente poco digitale industria del WM. La parte forse più elettrizzante di questa rivoluzione tecnologica in atto riguarda AI e ML. Si tratta di strumenti incredibilmente potenti che risolvono già una discreta quantità di problemi della vita di tutti i giorni, oltre a imperversare (spesso in modo del tutto casuale e inappropriato) nei convegni Fintech, essendo ormai oggetto di discussioni da bar.

Per capire il possibile impatto di ML e AI sul vasto mondo del WM, mettiamo prima a fuoco l’argomento, facendo chiarezza sul significato di queste parole, spesso confuse tra loro e utilizzate a sproposito. Vediamo allora che cosa si cela dietro al gergo della Data Science.

Intelligenza Artificiale, Machine Learning e Data Science

C’è una bella distinzione tra ML e AI: il ML ha a che fare con l’inferenza, le previsioni, l’individuazione di pattern nascosti nei dati, il ragionamento automatico, la rappresentazione della conoscenza. Si tratta di generare e condensare informazioni che aiutano a prendere decisioni migliori. E fare previsioni. Ad esempio, sfruttare i Big Data per individuare nuovi cluster di clienti, nuovi bisogni ai quali associare prodotti, creando la giusta mappatura, analizzare e simulare il client conversion funnel… si può continuare per paginate e paginate, perché le applicazioni sono vastissime.

L’AI, intesa in senso stretto, è qualcosa di più del ML. L’AI è un computer che agisce come un Homo sapiens. Pertanto occorre che la macchina sappia interagire con gli umani utilizzando gli strumenti del Natural Language Processing, sfruttando al contempo gli algoritmi di Machine Learning . Le applicazioni tipiche sono i chatbot e gli assistenti virtuali.

Figura 1 – Strettamente parlando l’Intelligenza Artificiale differisce dal Machine Learning per l’uso del Natural Language Processing (NPL) – vale a dire metodi di riconoscimento vocale, analisi testuale automatica, comprensione generazione di testi e discorsi –consentendo a un computer di agire come un umano.

Spesso l’idea di AI è però più ampia, e coincide con l’idea di Data Science, area multidisciplinare che si colloca all’interesezione di statistica, computer science, scienze sociali e Data Visualization (DataViz), senza dimenticare le conoscenze di dominio in termini di business (cioè la Business Intelligence). Al crescere dell’automazione nell’industria finanziaria si è iniziato a parlare di Financial Data Science: essenzialmente, e in modo non particolarmente sorprendente, applicazioni di Data Science alla finanza.

Nella pratica, tutte queste distinzioni pseudo-formali lasciano il tempo che trovano: la pratica consiste nell’utilizzare i dati a disposizione e tutti gli algoritmi e le tecniche di analisi note per estrarre valore dai dati. Occorono informazioni spendibili, che aiutano concretamente a generare più ricavi e/o ridurre costi. Il resto non conta.

Figura 2 – Financial Data Science: un’area interdisciplinare che richiede different skills.

Financial Data Science: il vantaggio degli incumbent

Con l’affermarsi dei modelli di business “data –driven”, nell’industria della gestione dei risparmi grande è il timore degli “incumbent”, gli operatori tradizionali, nei confronti dei giganti della tecnologia: Amazon, Alphabet/Google, Facebook e Apple in testa. Comprensibile. Hanno masse enormi di utenti. E li conoscono alla perfezione, grazie alla loro capacità di analizzare i dati – la frontiera della Data Science non è certo nelle università (mi spiace), ma lì. Quando i Big Tech decideranno di entrare con forza sul mercato dei risparmi e degli investimenti, sarà battaglia. Gli intermediari finanziari tradizionali hanno però parecchie armi a loro disposizione.

Primo vantaggio: i dati

Praticamente ogni settore dell’economia ha accesso a una quantità di dati inimmaginabile anche solo una decina d’anni fa – e l’industria del WM non fa eccezione. Banche, assicurazioni, asset manager, hanno infatti un bel po’ di dati dai quali estrarre informazioni di enorme valore grazie alla Financial Data Science.

Tipicamente gli intermediari che si occupano di gestire gli investimenti sono in possesso dei seguenti tipi di dati:

  • finanziari, relativi a posizioni e movimenti presenti e passati dei clienti e a flussi di pagamento – dati dai quali si possono ricavare, informazioni sulle dinamiche d’investiemnto, nonché sulle abitudini di consumo/risparmio;
  • socio-demografici, come età, luogo di nascita e residenza, sesso, situazione familiare e via dicendo, fondamentali, ad esempio, per inquadrare l’investment life-cycle del cliente;
  • le risposte al questionario Mifid (che, se ben disegnato e compliato correttamente, è una miniera d’informazioni), cruciale per estrarre il DNA finanziario del cliente;
  • dati d’interazione cliente-intermediario, come quelli legati alla fruizione del sito, all’apertura di eventuali newsletter, uso di app, conversazioni telefoniche (rammento che devono essere conservate per cinque anni e se ne possono estrarre indici di attitudine e sentiment).

Anche senza dati ulteriori (legati ad esempio ai social media come Linkedin, Facebook, Twitter, o ad attività specifiche di “smart engagement”, come quiz, gaming, e via dicendo) è chiaro che si tratta di un patrimonio informativo notevole.

Innanzitutto sono informazioni ricchissime, perché specifiche: riguardano la sfera economico-patrimoniale. E poiché stiamo parlando di risparmi e investimenti, questo è evidentemente molto più rilevante delle passioni per teneri gattini o il meme del momento che si possono trovare su Instagram e Facebook.

Si tratta inoltre di un data-set che può essere “aumentato” – senza fare grandi voli di fantasia – incrociandolo con varie fonti dati esterne, in primis i dati dei mercati finanziari, quelli dell’economia e le news. Poi, volendo, vi sono svariati “alternative data sets”, ad esempio quelli legati a sentiment analysis, o geospaziali.

Vantaggio ancor più considerevole è che, in ottica GDPR, gli intermediari sono pienamente titolati a macinare questi dati in loro possesso (possesso pienamente autorizzato, cosa che forse non sarebbe sempre vera per i Big Tech), in quanto si tratta di dati inerenti la sfera finanziaria, utilizzati per risolvere problemi finanziari, quelli alla base del rapporto contrattuale.

Ma in che modo AI e ML possono concretamente aiutare l’industria del wealth management? Le applicazioni sono moltissime, e possono impattare l’intera “value chain”. Per esempio, con il supporto di dati e algoritmi, si possono affrontare e risolvere problemi come::

  • individuare e comprendere i bisogni finanziari dei clienti e i loro obiettivi reali;
  • costruire modelli predittivi del comportamento dei clienti (ad esempio se acquisterà o meno un dato prodotto finanziario/assicurativo);
  • individuare i clienti attualmente piccoli ma con elevato potenziale di crescita;
  • migliorare la segmentazione dei clienti, offrendo loro soluzioni d’investimento e servizi accessori personalizzati, migliorando la user experience a costi molto bassi;
  • individuare quali bisogni finanziari sono soddisfatti da un dato prodotto, e per quali obiettivi è consigliabile;
  • supportare le reti di consulenti finanziari, agenti e altri relationship manager con informazioni mirate sui clienti e recommendation systems relativi alle migliori soluzioni da offrire ai clienti, in base ai loro specifici bisogni e caratteristiche;
  • gestire la compliance in tempo reale;
  • simulare l’impatto di eventi di mercato su processi, masse in gestione, costi e margini – attuando qualle che è probabilmente la più utile forma di risk management per un wealth manager (molto più che calcolare il VaR al 99% a una settimana sui portafogli dei clienti);
  • catturare e analizzare nuove fonti di dati.

Figura 3 – I dati dovrebbero essere al cuore del processo di wealth management, supportando e indirizzando tute le principali azioni.

Quindi le aziende finanziarie possono estrarre valore tangibile da numerose fonti dati interne ed esterne utilizzando gli strumenti della Data Science. Tuttavia, la quantità di dati non è l’aspetto più rilevante.

Secondo vantaggio: conoscenza di dominio

I dati sono la materia prima, certo. E la loro quantità rileva, ma la qualità rileva di gran lunga di più. La rilevanza dei dati in termini di business è strategica: nei problemi di ML legati alla gestione dei risparmi, gettare nel bidone degli algoritmi supervisionati o non-supervisionati i dati in modo indiscriminato raramente è una buona idea. Il settore finanziario è infatti fortemente regolamentato, con prassi professionali dalla logica forte e ben consolidata: sarebbe follia non includere queste informazioni “di struttura” nel processo di number crunching. La “features selection”, cioè la selezione delle variabili di input è cruciale se non si vogliono avere algoritmi che funzionano bene in fase di training ma sono incomprensibili e funzionano male nell’opertività quotidiana.

La comprensione del business che sta dietro e intorno ai dati è di gran lunga più importante della soluzione tecnica, cioè di sviluppo di modelli complessi ma fini a sé stessi, e deve essere tenuta in conto nello sviluppo dei modelli stessi. Modelli black-box molto grandi, nella nostra esperienza (Virtual B SpA in larga parte di questo si occupa) tendono all’overfitting e al data snooping: termini che, in sostanza, significano che il modello non ha penetrato davvero la logica del problema che vuole risolvere, bensì ha operato una sofisticatissima interpolazione con scarso valore predittivo. Più dati ci sono, più complesso è il modello, meno conoscenza di dominio si ha, e più è probabile, insidioso e difficile da riconoscere l’overfitting.

Inoltre, per molte applicazioni algoritmiche legate alla gestione dei risparmi i regulators vogliono poter effettuare il “look through”, cioè aprire la scatola del modello per capirne le logiche e i nessi causali. Ragionevole. In questi casi, aver attuato un’analisi via deep learning, per esempio, scaraventando dentro la black box tutte le informazioni possibile, non è esattamente una grande idea.

Ecco perché la conoscenza di dominio è fondamentale, se si vuole utilizzare la Data Science per azioni concrete, misurabili, con un elevato ROI sugli investimenti in tecnologia. Questo è un enorme vantaggio degli intermediari finanziari. Questo è il primo articolo di una serie: nei prossimi vedremo alcune applicazioni concrete.

Take home

Gli intermediari finanziari sono già oggi in possesso di basi dati di grande valore. Si tratta di sfruttarle con intelligenza e senso pratico, mettendo al lavoro gli strumenti offerti dalla Financial Data Science, cioè algoritmi di Machine Learning e tutto ciò che viene in senso lato connotato come Intelligenza Artificiale.

La Financial Data Science, in breve, fa esplodere efficienza e scalabilità. Che si traducono in maggiore produttività. Cioè margini migliori. Di questi tempi, non è male.

Il termometro dei mercati finanziari (21 settembre 2018)
a cura di Emilio Barucci e Daniele Marazzina

Set 22 2018
Il termometro dei mercati finanziari (21 settembre 2018)  a cura di Emilio Barucci e Daniele Marazzina

L’iniziativa di Finriskalert.it “Il termometro dei mercati finanziari” vuole presentare un indicatore settimanale sul grado di turbolenza/tensione dei mercati finanziari, con particolare attenzione all’Italia.

Significato degli indicatori

  • Rendimento borsa italiana: rendimento settimanale dell’indice della borsa italiana FTSEMIB;
  • Volatilità implicita borsa italiana: volatilità implicita calcolata considerando le opzioni at-the-money sul FTSEMIB a 3 mesi;
  • Future borsa italiana: valore del future sul FTSEMIB;
  • CDS principali banche 10Ysub: CDS medio delle obbligazioni subordinate a 10 anni delle principali banche italiane (Unicredit, Intesa San Paolo, MPS, Banco BPM);
  • Tasso di interesse ITA 2Y: tasso di interesse costruito sulla curva dei BTP con scadenza a due anni;
  • Spread ITA 10Y/2Y : differenza del tasso di interesse dei BTP a 10 anni e a 2 anni;
  • Rendimento borsa europea: rendimento settimanale dell’indice delle borse europee Eurostoxx;
  • Volatilità implicita borsa europea: volatilità implicita calcolata sulle opzioni at-the-money sull’indice Eurostoxx a scadenza 3 mesi;
  • Rendimento borsa ITA/Europa: differenza tra il rendimento settimanale della borsa italiana e quello delle borse europee, calcolato sugli indici FTSEMIB e Eurostoxx;
  • Spread ITA/GER: differenza tra i tassi di interesse italiani e tedeschi a 10 anni;
  • Spread EU/GER: differenza media tra i tassi di interesse dei principali paesi europei (Francia, Belgio, Spagna, Italia, Olanda) e quelli tedeschi a 10 anni;
  • Euro/dollaro: tasso di cambio euro/dollaro;
  • Spread US/GER 10Y: spread tra i tassi di interesse degli Stati Uniti e quelli tedeschi con scadenza 10 anni;
  • Prezzo Oro: quotazione dell’oro (in USD)
  • Spread 10Y/2Y Euro Swap Curve: differenza del tasso della curva EURO ZONE IRS 3M a 10Y e 2Y;
  • Euribor 6M: tasso euribor a 6 mesi.

I colori sono assegnati in un’ottica VaR: se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 15%, il colore utilizzato è l’arancione. Se il valore riportato è superiore (inferiore) al quantile al 5% il colore utilizzato è il rosso. La banda (verso l’alto o verso il basso) viene selezionata, a seconda dell’indicatore, nella direzione dell’instabilità del mercato. I quantili vengono ricostruiti prendendo la serie storica di un anno di osservazioni: ad esempio, un valore in una casella rossa significa che appartiene al 5% dei valori meno positivi riscontrati nell’ultimo anno. Per le prime tre voci della sezione “Politica Monetaria”, le bande per definire il colore sono simmetriche (valori in positivo e in negativo). I dati riportati provengono dal database Thomson Reuters. Infine, la tendenza mostra la dinamica in atto e viene rappresentata dalle frecce: ↑,↓, ↔  indicano rispettivamente miglioramento, peggioramento, stabilità.

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ESTER to replace EONIA as the risk free rate

Set 20 2018

The working group on euro risk-free rates is an industry-led group established in 2018 by the European Central Bank, the Belgian Financial Services and Markets Authority (FSMA), the European Securities and Markets Authority (ESMA) and the European Commission. Its main tasks are to identify and recommend alternative risk-free rates and transition paths.

This initiative to identify a new benchmark rate is consistent with the global recommendation of the Financial Stability Board (FSB). Following various scandals involving market manipulation of quote-based interest rate benchmarks, the FSB recommended the development and adoption of more appropriate near risk-free rates as robust alternatives to existing interest rate benchmarks.

The private sector working group on euro risk-free rates has recommended the euro short-term rate (ESTER) as the new euro risk-free rate. The working group recommends, in particular, replacing the euro overnight index average (EONIA) with the new euro risk-free rate. This is because the EONIA as it stands will no longer meet the criteria of the EU Benchmarks Regulation and will therefore see its use restricted as of 1 January 2020. ESTER will also provide a basis for developing fallbacks for contracts referencing the Euribor, as the compliance of its reformed methodology with the requirements of the EU Benchmarks Regulation will be assessed in 2019.

The working group’s recommendation is not legally binding on market participants. However, it provides orientation and represents the prevailing market consensus as regards the preferred euro risk-free rate to which market participants can now start transitioning. In line with the working group’s terms of reference, its decision to recommend ESTER was taken by consensus by more than the required two-thirds majority.

The selection process for recommending ESTER as the euro risk-free rate was the following: the working group developed key selection criteria against which it assessed a number of candidate rates. The result of this assessment was that three rates had characteristics that could potentially qualify them to become the euro risk-free rate:

(i) ESTER – the new rate reflecting euro area banks’ borrowing costs in the wholesale unsecured overnight market to be produced by the ECB;

(ii) GC Pooling Deferred, a one-day secured, centrally cleared, general collateral repo rate produced by STOXX;

(iii) the RepoFunds Rate, a one-day secured, centrally cleared, combined general and specific collateral repo rate produced by NEX Data Services Limited.

The working group had also launched a market-wide consultation on these three candidate rates before the vote, the outcome of which had provided valuable input into the decision-making process.