Mini-bond: le agevolazioni fiscali
di Giulia Mele

Nov 06 2014
Mini-bond: le agevolazioni fiscali <small><small><I>di Giulia Mele </I></small></small>

Nell’articolo “Nuovi strumenti di finanziamento per le imprese”, [https://www.finriskalert.it/?p=1714] pubblicato su questo sito, si è evidenziato come il legislatore, cercando di porre rimedio al fenomeno del credit crunch, abbia introdotto importanti novità normative in materia di obbligazioni e cambiali finanziarie. Le nuove diposizioni, contenute nei c.d. Decreti Crescita ( ci si riferisce al Decreto Legge 22 giugno 2012, n.83, convertito con la Legge 7 agosto 2012, n.134 e al Decreto Legge 18 ottobre 2012, n.179, convertito con la Legge 17 dicembre 2012, n.22) rimuovono gli ostacoli di ordine civilistico e fiscale all’utilizzo, da parte delle piccole e medie imprese non quotate (di seguito “PMI”), degli strumenti delle cambiali finanziarie ed obbligazioni.

In questo articolo, si intendono approfondire le novità di ordine fiscale che riguardano i nuovi strumenti di finanziamento. Il legislatore, infatti, nell’art. 32 del decreto legge n. 83 del 2012 (di seguito “Primo Decreto Crescita”), al fine di agevolare il finanziamento delle PMI sul mercato dei capitali, ha modificato le previgenti norme in materia di deducibilità degli interessi delle obbligazioni, delle cambiali finanziarie e dei titoli similari nonché il regime impositivo dei sottoscrittori e degli emittenti. Peraltro, l’art. 32 è stato successivamente integrato e modificato dall’art. 36 del d.l. n. 179/2012 (di seguito “Secondo Decreto Crescita”) con la conseguenza che mentre le novità per il sottoscrittore trovano applicazione per le cambiali finanziarie e le obbligazioni emesse a partire dal 26 giugno 2012 (giorno di entrata in vigore  del Primo Decreto Crescita), quelle relative all’emittente si applicano ai titoli emessi a partire dal 20 ottobre 2012 (data di entrata in vigore del Secondo Decreto Crescita).

1. Regime fiscale degli interessi delle cambiali finanziarie e delle obbligazioni per i sottoscrittori

Le novità introdotte dai Decreti Crescita per i sottoscrittori sono molteplici. La più rilevante riguarda, senza dubbio, la possibilità anche per le PMI non quotate di avvalersi del regime impositivo previsto dal D.Lgs. n. 239 del 1996 applicabile, fino alla recente riforma, solo ai c.d. grandi emittenti, ovvero banche e società quotate.

Oggi anche le PMI non quotate potranno avvalersi del più favorevole regime fiscale a condizione che le obbligazioni e le cambiali finanziarie siano destinate ad essere negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione di Stati membri dell’UE o di uno degli stati aderenti all’accordo sullo Spazio Economico Europeo, purché ricompreso nella c.d. white list. Conseguentemente, gli interessi relativi alle obbligazioni e alle cambiali finanziarie non subiscono la ritenuta del 20 per cento prevista dall’art. 26, comma 1, del d.P.R. 600/1973 (il quale, invece, continuerà a trovare applicazione per le obbligazioni e le cambiali finanziarie non negoziate in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione) ma sono soggetti al più vantaggioso regime previsto dal d.lgs n. 239 del 1996 che prevede l’applicazione di un’imposta sostitutiva con aliquota del 20 per cento se il percipiente è un c.d. nettista (ovvero una persona fisica, un ente o una società non commerciale), ovvero l’erogazione senza alcun prelievo alla fonte sia quando il percipiente è un’impresa – società o ente commerciale- residente in Italia (c.d. lordista), sia quando il percettore è un soggetto residente all’estero ma in un Paese di white list.

Si tratta di una novità di una certa portata capace di semplificare gli adempimenti a carico sia dell’emittente sia del sottoscrittore con la conseguenza di consentire l’aumento del flusso di capitali stranieri in Italia.

2. Regime fiscale degli interessi delle cambiali finanziarie e delle obbligazioni per gli emittenti

L’art. 8, del Primo Decreto Crescita ha modificato anche il regime fiscale degli emittenti disponendo la disapplicazione del limite di deducibilità degli interessi passivi alle obbligazioni emesse da società non quotate, previsto dall’art. 3, comma 115, della legge n. 549/1995. L’articolo, infatti, prevede che gli interessi passivi sono deducibili a condizione che, al momento di emissione, il tasso di rendimento effettivo non sia superiore:

a)      al doppio del tasso ufficiale di riferimento, per le obbligazioni ed i titoli similari negoziati  in mercati regolamentati degli Stati membri dell’Unione europea e degli Stati aderenti all’Accordo sullo Spazio economico europeo inclusi nella white list o collocati mediante offerta al pubblico ai sensi della disciplina vigente al momento di emissione;

b)      al tasso ufficiale di riferimento aumentato di due terzi, delle obbligazioni e dei titoli similari diversi dai precedenti.

Qualora il tasso di rendimento effettivo dell’emissione sia superiore ai sopramenzionati limiti, gli interessi passivi eccedenti l’importo derivante dall’applicazione dei predetti tassi sono indeducibili dal reddito d’impresa. Tale disposizione, peraltro, non si applica agli interessi passivi relativi alle obbligazioni e ai titoli similari emessi dai grandi emittenti.

Come anticipato, il legislatore ha eliminato tali limiti allineando la disciplina delle PMI non quotate a quella dei grandi emittenti. Conseguentemente, le PMI possono emettere obbligazioni e cambiali finanziarie pattuendo tassi di interesse superiori a tali soglie senza incorrere nella penalizzazione della indeducibilità degli interessi corrisposti in esubero rispetto alla soglia medesima.

Anche in questo caso, la disapplicazione dell’art 3, comma 115, della L. n. 549/1995 è subordinata alla circostanza che i titoli emessi dall’impresa siano negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione di Paesi dell’Unione Europea o di Paesi aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo inclusi nella with list. Qualora ricorra tale condizione, gli interessi passivi rilevati dall’emittente saranno, comunque, soggetti alle regole generali in tema di deduzione degli interessi passivi contenute nell’art. 96 del TUIR. e, quindi, alla possibilità di dedurre gli interessi passivi  in ciascun esercizio fino a concorrenza degli interessi attivi e proventi assimilati e, per l’eccedenza, nel limite del 30 per cento del risultato operativo lordo della gestione caratteristica (ROL), fermo restando che gli interessi indeducibili nell’esercizio ed il ROL eventualmente eccedente potranno essere riportati in avanti senza limiti di  tempo.

L’intervento normativo consente, dunque, di equiparare i soggetti emittenti, quotati e non quotati, in relazione alla possibilità di dedurre gli oneri finanziari generati dall’emissione di finanziamenti quotati.

Nel caso in cui le cambiali finanziarie, le obbligazioni e i titoli similari non siano quotati, per usufruire del regime agevolativo è necessaria la presenza simultanea di tutte le seguenti condizioni:

  1. i titoli siano detenuti da investitori qualificati, come individuati dall’art. 100 del d.l. n. 58/1998 (Testo Unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – TUF);
  2. detti investitori non detengano, direttamente o indirettamente, anche per il tramite di società fiduciarie o per interposta persona, più del 2 per cento del capitale o del patrimonio della società emittente;
  3. il beneficiario effettivo dei proventi sia residente in Italia o in Stati e territori  che consentono un adeguato scambio di informazioni.

Quanto appena illustrato, mette in evidenza che mentre i benefici previsti per i sottoscrittori sono subordinati alla quotazione dei titoli emessi, quelli introdotti per l’emittente possono avere ad oggetto, al ricorrere di determinate condizioni, anche obbligazioni o cambiali finanziarie non quotate.

Inoltre, l’Agenzia delle Entrate, nella circolare n. 4/E (di seguito “Circolare”), ha specificato, che con la locuzione “investitori qualificati” debbono intendersi quelli individuati dalla Consob con delibera n. 16190/2007 e che nella determinazione della soglia del 2 per cento rileva, oltre al possesso delle azioni ordinarie, anche quello delle azioni speciali purché conservino gli elementi minimi causali affinché le si possa definire come partecipazioni sociali e non come titoli rappresentativi di rapporti di altra natura.

Secondo tale impostazione, pertanto, rientrerebbero nella categoria sia le partecipazioni derivanti dal possesso di azioni dotate di privilegi nella distribuzione degli utili o nell’incidenza delle perdite o di priorità o di preferenza sulla ripartizione dell’attivo di liquidazione, sia le partecipazioni derivanti dal possesso di azioni prive del diritto di voto, con diritto di voto limitato a particolari argomenti, con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni e con diritto di voto limitato ad una misura massima o per scaglioni (art. 2351 c.c.).

Secondo l’agenzia, invece, non si deve tener conto delle partecipazioni agli utili derivanti da titoli e strumenti finanziari assimilati alle azioni ai sensi dell’art. 44, comma 2, del TUIR per i quali il sottoscrittore può vantare esclusivamente diritti patrimoniali e/o amministrativi, ma che non gli attribuiscono la qualità di socio in quanto emessi a fronte di apporti non imputabili a capitale.

Secondo l’Agenzia la ratio della soglia del 2 per cento deve essere rintracciata “nell’evidente finalità di evitare che attraverso l’emissione di prestiti obbligazionari non destinati alla diffusione tra il pubblico dei risparmiatori, possano essere messe in atto operazioni che consentano, da un lato, l’attribuzione di interessi attivi a soci che detengano partecipazioni rilevanti nella società emittente, in luogo di dividendi, dall’altro l’erosione dell’imponibile societario”.

Infine nella Circolare, l’Agenzia ha, altresì, chiarito il significato di “beneficiario effettivo”, individuandolo nel soggetto che, percependo gli interessi, trae un proprio beneficio economico dall’operazione di finanziamento posta in essere e che, quindi, non sia un mero veicolo attraverso cui i flussi di reddito conseguiti si limitano a “transitare” in favore di altri soggetti.

In definitiva, la disapplicazione del regime di cui all’art. 3, comma 115, della legge n. 549/1995 è prevista per gli interessi passivi relativi a titoli emessi dai grandi emittenti, dalle PMI non quotate ma i cui titoli siano negoziati in mercati regolamentati o in sistemi multilaterali di negoziazione o, in caso di mancata quotazione, allorquando ricorrano le tre sopramenzionate condizioni.

3. Regime fiscale degli interessi delle obbligazioni partecipative subordinate

L’art. 32, commi 24 e seguenti, del Primo Decreto Crescita ha introdotto rilevanti novità fiscali anche per le obbligazioni partecipative subordinate, le cui caratteristiche sono già state affrontate nell’articolo “Nuovi strumenti di finanziamento per le imprese”.

La principale novità è costituita dal contenuto del comma 24 del citato art. 32 il quale dispone che “la componente variabile del corrispettivo costituisce oggetto di specifico accantonamento per onere nel conto dei profitti e delle perdite della società emittente, rappresenta un costo e, ai fini dell’applicazione delle imposte sui redditi è computata in diminuzione dal reddito dell’esercizio di competenza”.

La norma, in buona sostanza, stabilisce che la parte della remunerazione che rappresenta la partecipazione del sottoscrittore all’utile realizzato dall’emittente costituisce un accantonamento fiscalmente deducibile.

L’agenzia delle entrate, nella Circolare, ha evidenziato come tale disposizione sia derogatoria sia della disciplina dettata dall’art. 109, comma 9, lettera a), del TUIR, sia di quella prevista dall’art. 107 del TUIR.

La prima, infatti, stabilisce la indeducibilità della remunerazione dei titoli emessi per la quota che comporta la partecipazione ai risultati economici dell’emittente, di una società del suo gruppo o di un affare; la seconda, invece, vieta deduzioni per accantonamenti diversi da quelli espressamente considerati dalle disposizioni del TUIR.

Infine, preme rilevare come l’unico elemento di criticità della nuova disposizione debba essere ascritto alla circostanza che né la norma né la Circolare, specificano se la quota variabile di remunerazione delle obbligazioni possa qualificarsi come interesse passivo da assoggettare ai limiti i deduzione di cui all’art. 96 del TUIR e, quindi, al rispetto in ogni esercizio della soglia del 30 per cento del ROL.

Conclusioni

In definitiva, anche dalla disanima delle novità in ambito fiscale, emerge chiaramente l’intento del legislatore di ridurre la disparità esistente tra società italiane con azioni quotate e società italiane non quotate al fine di consentire, anche a quest’ultime, l’accesso a canali di finanziamento alternativi a quello bancario.

L’assunto è, altresì, confermato anche dal recente d.l. 23 dicembre 2013 n.145, convertito con Legge del 21 febbraio 2014 n. 9 (c.d. Decreto Destinazione Italia) in cui il legislatore è intervenuto al fine di facilitare la creazione di garanzie reali a favore dei portatori di titoli in maniera speculare a quanto previsto per i finanziamenti bancari. A dimostrazione di quanto sostenuto vi è, inter alia, la modifica del d.P.R n. 601/1973 finalizzata ad applicare, su opzione del soggetto finanziato, il regime di favore della imposta sostitutiva, prima riservato alle sole banche, anche “alle garanzie di qualunque tipo, da chiunque e in qualsiasi momento prestate in relazione alle operazioni di finanziamento strutturate come emissioni di obbligazioni o titoli similari alle obbligazioni”.

 

 

 

 

 

Solvency II

Nov 05 2014

L’EIOPA ha presentato, per l’approvazione, alla Commissione Europea la prima serie di documenti per l’implementazione di Solvency II.

Comunicato stampa

 

Solvency II

Nov 05 2014

L’EIOPA ha pubblicato il Piano d’Azione 2015/2016 per i i Collegi di Vigilanza e l’elenco delle società di assicurazione e riassicurazione cross-border provviste di un Collegio di Vigilanza.

Comunicato stampa

Piano d’azione

Inoltre l’EOIPA ha pubblicato i risultati delle consultazioni n. 14/014 sulle guidelinea in materia di funzionamento del Collegio di Vigilanza

Risultato della consultazione 

Banking Union

Nov 04 2014

La BCE ha pubblicato un regolamento relativo alle “tasse” sulla vigilanza. Il documento evidenzia le modalità con cui la BCE recupera le spese relative al meccanismo unico di vigilanza.

Comunicato Stampa

Regolamento

SHADOW BANKING

Nov 04 2014

Il Financial Stability Board (FSB) ha pubblicato la quarta edizione del Global Shadow Banking Monitoring Report. Il report ricomprende tutti i Paesi dell’Euro-zona e fa riferimento a dati del 2013.

Comunicato stampa

Report  

Basilea III

Nov 04 2014

Il Comitato di Basilea ha pubblicato il documento finale sugli standard del  Net Stable Funding Ratio (NSFR) così come approvato dal Comitato, dal Gruppo dei Governatori delle Banche Centrali e dai Capi delle autorità di Vigilanza nazionali.

Comunicato stampa

Documento sul NSFR

La brutta pagella del comprehensive assessment
di Emilio Barucci e Carlo Milani

Ott 30 2014
La brutta pagella del comprehensive assessment <small><small><I> di Emilio Barucci e Carlo Milani </I></small></small>

La scorsa domenica si è concluso il lungo processo che ha portato BCE ed EBA ad analizzare approfonditamente lo stato di salute dei principali gruppi bancari europei, il cosiddetto Comprehensive Assessment (CA).

Come evidenziato in passato anche su questo sito (si veda Barucci, Corsaro e Milani, 2014), l’esercizio dell’asset quality review (AQR) e degli stress test (ST) era accompagnato dal dubbio circa la sua autorevolezza/solidità. La regola del pollice, implicitamente stabilita dagli analisti, era quella del 10%: se almeno un decimo delle banche esaminate non supera l’esame, allora il CA nel suo complesso può essere ritenuto convincente. Posto che le banche scrutinate sono state circa 130, l’asticella si posizionava tra 10 e 15. I risultati del CA evidenziano che le banche europee che hanno fallito i test secondo i dati di bilancio relativi al dicembre 2013 sono 25. Tenendo conto degli interventi messi in atto durante il 2014, che hanno visto in totale aumenti di capitale per circa 130 miliardi di euro, le banche che dovranno mettere in atto degli interventi urgenti per riportare il Common Equity Tier1 (CET1) al di sopra delle soglie di guardia scendono a tredici, con un ammanco di capitale pari a poco meno di 10 miliardi di euro.

Questi numeri sembrano indicare che l’analisi condotta sia stata abbastanza severa, nel loro complesso i risultati dovrebbero essere affidabili e rappresentano un buon punto di partenza per la nuova stagione della vigilanza in capo alla BCE. Ovviamente un giudizio definitivo potrà essere dato solo con il tempo, verificando quanto i mercati premieranno le banche che hanno passato l’esame e, viceversa, penalizzeranno chi lo ha fallito.

Le banche italiane che hanno fallito gli esami costituiscono un gruppo numeroso: delle 25 banche che in prima battuta non hanno superato il CA, 9 sono italiane, 3 greche, 3 cipriote, e i casi isolati, e non molto significativi, di Francia, Spagna e Germania. Tenendo conto delle misure di rafforzamento del capitale intraprese nel 2014, tra le banche che dovranno attuare dei correttivi, si scopre che quattro sono italiane. Tra queste abbiamo MPS e Carige, seguite da Popolare di Vicenza e Popolare di Milano che nel frattempo hanno già attuato degli interventi correttivi (le altre banche italiane che hanno passato i test solo grazie agli interventi effettuati nel 2014 sono Veneto Banca, Banco Popolare, Credito Valtellinese, Popolare di Sondrio, Popolare dell’Emilia-Romagna). Rimangono quindi due banche che dovranno mettere in atto misure urgenti di rafforzamento. Rispetto al complesso delle richieste di rafforzamento di capitale avanzate da BCE ed EBA, si osserva che circa un terzo riguardano l’Italia (3 miliardi di euro). Caso emblematico è quello di MPS, che è risultata essere la banca con la peggiore ‘‘performance’’ in Europa: nonostante l’aumento di capitale effettuato nel 2014, che ha portato ad una crescita netta del CET1 di oltre 2 miliardi di euro, alla banca è stato chiesto un ulteriore sforzo di 2,1 miliardi di euro.

Dati questi risultati, il dibattito si è focalizzato sul sistema bancario italiano. Molti commentatori, soprattutto esteri, hanno individuato l’Italia come l’anello debole del sistema bancario europeo. Dall’Italia, ed in particolare da Banca d’Italia (2014), sono stati portati diversi argomenti per spiegare il non brillante risultato. Vediamoli e cerchiamo di valutare le ragioni dei risultati.

Barucci Milani

Fonte: BCE

Un primo elemento sottolineato da più parti è che le banche italiane hanno superato senza problemi l’AQR, anche se l’impatto della revisione degli attivi per gli istituti italiani è stato quello più ampio (12 miliardi di euro su un totale di 47,5 – figura 1), mentre i deficit di capitale sono emersi solo con lo ST avverso. L’osservazione è che questo scenario, essendo altamente improbabile e troppo severo per l’Italia, ha determinato uno svantaggio eccessivo per il nostro paese, già colpito da una  profonda recessione, rispetto ad altri paesi europei. C’è del vero ma le cose non stanno completamente così. Lo scenario avverso non è poi così penalizzante per l’Italia, nel confronto con gli altri paesi europei, sia relativamente al profilo di crescita economica sia riguardo ai tassi d’interesse (si veda al riguardo Milani, 2014). Anzi, rispetto al 2014 i risultati previsti dallo scenario avverso in termini di crescita del Pil non sono molto distanti da quelli attesi dal Governo: lo scenario avverso prevede una flessione simulata pari a -0,9%, mentre il dato atteso dal Governo è pari a -0,3%. Anche il dato sulla disoccupazione non è molto diverso, mentre quello sull’inflazione nello scenario avverso è addirittura più favorevole rispetto al dato previsto dal Governo, con una crescita dei prezzi ben distante dalla soglia della deflazione. L’impatto sui rendimenti dei titoli di Stato risulta invece essere più rigido rispetto ai dati correnti.

In ogni caso va sfatato un equivoco sugli scenari di ST: questi infatti non vanno considerati come delle previsioni, ma come dei valori simulati al fine di valutare la capacità delle banche di sopportare contesti macroeconomici particolarmente negativi. L’analogia che va fatta è con i crash test automobilistici: per valutare la solidità di un veicolo, lo si spinge ad una velocità elevata e lo lo si fa impattare con un ostacolo, ma la velocità del test è significativamente superiore a quella mediamente registrata nelle ore di punta del traffico urbano.

Un’altra considerazione portata da alcuni commentatori riguarda la distorsione dovuta al fatto che gli altri sistemi bancari hanno ricevuto aiuti pubblici molto significativi rispetto a quelli ottenuti dalle banche italiane. Queste ultime, infatti, hanno beneficiato di circa 8 miliardi di euro di iniezioni di capitali pubblici, contro i 20 della Grecia, i 50 dell’Irlanda, i 73 della Spagna e i 56 della Germania. Su questo punto occorre però sottolineare la resistenza portata dalle banche italiane verso l’intervento pubblico, resistenza che traeva origine dalla volontà delle stesse banche di marcare la differenza rispetto agli altri sistemi creditizi con l’obiettivo di segnalare ai mercati la loro maggiore solidità. Al riguardo va ricordato che per i Monti/Tremonti bond furono stanziate risorse per circa 12 miliardi di euro, potenzialmente estendibili ulteriormente all’occorrenza. La domanda da parte delle banche è stata ben inferiore, appunto pari a 8 miliardi. Inoltre, buona parte dell’intervento pubblico attuato in Spagna e Irlanda ha coinvolto il Fondo salva Stati europeo (EFSF), con la finalità ultima di costituire delle bad bank nazionali volte a ripulire i bilanci bancari (si veda al riguardo Barucci e Milani, 2014). Una decisione cruciale che ha probabilmente aiutato proprio le banche di questi due paesi a superare agevolmente il CA. In Italia, invece, c’è sempre stata una netta contrarietà, sia a livello di sistema bancario che istituzionale, sia a richiedere il supporto dell’EFSF sia alla costituzione della bad bank.

Occorre sottolineare che l’elevato numero di banche italiane che in prima battuta non hanno superato il CA è in buona parte dovuto ai ritardi nell’avviare gli aumenti di capitale. Sui 40 miliardi di euro di nuove iniezioni di capitale varate dagli istituti di credito italiani dal 2008 ad oggi, quasi un terzo sono stati decise negli ultimi 10 mesi e solo dopo la moral suasion di Banca d’Italia in vista del CA. Si potrà osservare che gli aumenti sono stati effettuati allorché i mercati si sono stabilizzati, c’è del vero ma una maggiore solerzia nell’effettuare tali aumenti prima della scadenza del dicembre 2013 sarebbe stata opportuna.

Dalle prime analisi da noi effettuate, contiamo di fornire un’analisi più dettagliata a breve, il principale appunto che può essere mosso alla BCE e all’EBA è di aver valutato in modo severo soprattutto la parte creditizia tradizionale mentre le riclassificazioni delle poste relative ad attività bancarie non tradizionali (trading, operazioni in derivati e fuori bilancio, titoli level 3) sono state meno significative. Questo è probabilmente all’origine dei risultati. I colossi bancari tedeschi e francesi, che risultano essere molto esposti sul secondo fronte, hanno superato agevolmente i test. E’ naturale invece che l’Italia, avendo le banche un significativo ruolo nell’attività creditizia tradizionale, ne esca male. In particolare sono state le esposizioni nei confronti delle grandi imprese ad essere state oggetto di significative rettifiche. Questa considerazione porta necessariamente ad una riflessione in merito all’impianto della normativa di vigilanza che, nonostante i correttivi introdotti rispetto a Basilea II, tende ancora a offrire un vantaggio comparato a quelle banche più propense al trading piuttosto che a finanziare l’economia reale.

In definitiva, il quadro che emerge dall’analisi condotta da BCE ed EBA certifica per l’Italia una situazione oggettivamente difficile a cui sarebbe utile trovare prontamente dei rimedi strutturali, come ad esempio varare finalmente una bad bank nazionale. A giovarsene sarebbe sia il sistema bancario sia il mondo imprenditoriale, che godrebbe di migliori condizioni di accesso al credito.

Riferimenti

Banca d’Italia, 2014, Risultati dell’esercizio di “valutazione approfondita” (Comprehensive Assessment), Comunicato stampa.

Barucci E., S. Corsaro, C. Milani, 2014, Asset quality review e stress test. Cosa ci aspetta?FinRiskAlert.it.

Barucci E., C. Milani, 2014, Una proposta per la bad bank di sistemanelMerito.com.

Milani C., 2014, Lo scenario macroeconomico avverso degli stress test europei: uno shock abbastanza severo?, FinRiskAlert.it.